Il misterioso Luke (eLit): eLit
By Rebecca York
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Luke non ricorda nulla del proprio passato. Sa solo che la valigia piena di contanti che si è ritrovato tra le mani una volta risvegliatosi in quello squallido motel non può essere sua. In tale situazione l'unica cosa a cui può dare ascolto è l'intuito, che gli dice di fidarsi di Hannah, un'investigatrice privata pericolosamente sexy che frequenta il suo stesso bar. A causa di un'aggressione inspiegabile subita dalla donna le loro strade s'incrociano, innescando la miccia della passione...
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Il misterioso Luke (eLit) - Rebecca York
successivo.
1
Era un'ora indecente, almeno per Hannah Dawson. Troppo presto per andare a dormire, troppo tardi per salvare la sua anima.
Non che la sua anima fosse in pericolo. Almeno, questo era quanto le avevano assicurato al dipartimento di polizia di Baltimora. Le garanzie del dipartimento, però, non mettevano a tacere i sensi di colpa che la tormentavano da quattro mesi, dal giorno in cui era morto Sean Naylor.
Seduta a un tavolo del Last Chance Bar, beveva il secondo bicchiere di vino della serata. Bere non le piaceva, non sopportava gli effetti dell'alcol, tuttavia ciò non le impediva di tentare di annegare i sensi di colpa in qualche bicchiere di vino.
Sarebbe stato meglio tornare a casa, ma purtroppo sapeva che, una volta chiusa la porta, i fantasmi del passato sarebbero tornati a ossessionarla. Così se ne stava seduta al suo tavolo, osservando gli altri clienti abituali del bar. Ad alcuni aveva addirittura attribuito un soprannome. C'era Fiore di Paglia, la bionda che ogni sera usciva con un uomo diverso. E poi Mangia Fumetti, che dopo avere ingollato tre bicchieri di whisky si raggomitolava in un angolo fingendo di leggere. C'era Sam il Sofferente, che se ne stava chino per ore sullo stesso bicchiere. E infine quello nuovo, il Fuorilegge, che da qualche tempo si ritrovava ogni sera al Last Chance.
Sembrava fuori posto, in quel locale. Per la verità, sembrava fuori posto in una città della East Coast come Baltimora. Aveva piuttosto l'aspetto di un cowboy, e non per i vestiti che indossava, quanto piuttosto per il colorito abbronzato del viso e per i muscoli che s'intravedevano sotto la camicia. C'era qualcosa di misterioso, nella sua espressione. Sembrava che stesse fuggendo.
Ma da chi?
Dalla polizia o da se stesso?
Hannah lo aveva notato immediatamente e aveva trascorso diverso tempo a studiarlo. Aveva occhi e capelli scuri, zigomi sporgenti, naso e labbra sottili. Il suo era un viso anonimo, ma la grazia felina dei suoi movimenti attirava subito l'attenzione. Almeno aveva attirato l'attenzione di Hannah.
Chissà che voce aveva?, si domandò per l'ennesima volta. Nelle ultime sere era stata sul punto di rivolgergli la parola, non fosse altro che per avere il piacere di sentirlo rispondere, però alla fine ci aveva sempre rinunciato.
Sospettava, piuttosto, che anche lui la stesse osservando. In più di un'occasione le era parso di avvertire il suo sguardo addosso, ma non lo aveva mai colto in flagrante.
Annoiata, consultò l'orologio. Erano le undici e mezzo, ancora troppo presto per rincasare, tuttavia non le andava di trattenersi in quel locale. Quindi pagò la consumazione e uscì all'aperto, rincuorata dal peso della pistola nascosta sotto la giacca. L'aveva conservata anche dopo aver lasciato la polizia, ma non sapeva se l'avrebbe mai usata di nuovo contro un essere umano.
Prendendo una profonda boccata d'aria, si avviò verso la casa in cui da anni affittava una stanza. Un tempo l'aveva trovata comoda perché era vicina alla centrale di polizia, ma anche adesso non era molto distante dall'agenzia di investigazioni per cui lavorava, la 43 Light Street Detective Agency.
Giunta davanti alla porta, si fermò un istante, poi decise di proseguire verso il centro scientifico. Chissà che effetto le avrebbe fatto salire su una macchina del tempo e tornare indietro di sei mesi?, si chiese. Chissà se avrebbe fatto qualcosa di diverso? Oppure era stato il destino a decidere per lei quando le avevano assegnato le indagini sul caso Turner?
Ancora ricordava la sfuriata che le aveva fatto Gary Flynn, l'uomo che un tempo si era illusa di amare. Falla finita, piagnucolona. Se non te la senti di sparare alla gente, dimettiti e cercati un lavoro più tranquillo. Fino ad allora, però, smettila di frignare e torna per strada. È quello il tuo posto.
E c'era stato dell'altro. Di peggio. Cose che non avrebbe mai pensato di sentirsi dire dall'uomo che sosteneva di amarla. Hannah lo aveva fissato incredula, sgomenta. Aveva aspettato che uscisse dalla stanza, poi era crollata su una sedia, in lacrime. Il giorno seguente aveva trovato la forza di preparare i bagagli e di andarsene.
Adesso, però, continuava a tornare con il pensiero al passato, ai momenti peggiori della sua vita. A quattro mesi prima, per l'esattezza.
Si era ritrovata su una strada buia insieme ad altri due colleghi, a faccia a faccia con un gruppo di spacciatori. Uno di loro aveva urlato un'imprecazione, l'altro aveva estratto una pistola e aveva fatto fuoco. A quel punto anche Hannah aveva impugnato la pistola e aveva premuto il grilletto. Una volta, due.
All'improvviso era esploso il finimondo. Colpi d'arma da fuoco, passi che si allontanavano di corsa, urla di terrore. E quando il silenzio era tornato sulla strada, Hannah aveva visto un corpo esanime accanto al marciapiede. Gli si era precipitata accanto, si era inginocchiata vicino a lui. Uno degli spacciatori era appena un ragazzo. L'aveva guardata negli occhi e aveva chiamato la madre.
Per ore e ore, Hannah si era chiesta se fosse stato un proiettile della sua pistola a uccidere Sean Naylor. In seguito aveva saputo che non era lei la responsabile della morte del giovane, ma questo non aveva alleviato i suoi sensi di colpa.
Ancora adesso, la forza dei ricordi le toglieva il respiro. E troppo tardi ritornò alla realtà, quando un uomo le si slanciò addosso, sbattendola per terra e coprendola con il suo corpo.
«Ti ho presa, puttana!» le biascicò una voce all'orecchio, mentre lei sbatteva la testa contro il marciapiede. Un urlo le salì alle labbra, ma le mani del suo aggressore le si strinsero intorno alla gola. Invano cercò di impugnare la pistola. L'uomo le inchiodò le braccia sul selciato.
Non riusciva più a respirare, un fischio lacerante le penetrava nelle orecchie, assordandola. Stava per svenire, ne era sicura, però, un attimo prima di perdere conoscenza, il corpo che la schiacciava a terra fu sollevato di colpo.
Senza capire, Hannah si guardò intorno e vide due uomini che si avvinghiavano l'uno all'altro in una lotta disperata. Urlavano, ansimavano, si prendevano a pugni, ma all'improvviso uno dei due si divincolò e si diede a una fuga precipitosa lungo la strada.
L'altro tornò verso di lei. Hannah non sapeva se fosse il suo aggressore o il suo salvatore. Stava per prendere la pistola nel tentativo di difendersi, quando lui l'afferrò per un polso. «Non voglio farle del male» le disse per rassicurarla.
Lo stupore le tolse il fiato. Lo conosceva, lo aveva visto diverse volte al bar. Era il tizio che lei aveva soprannominato il Fuorilegge.
«Che ci fa lei qui?» gli chiese.
«La seguivo.»
«Come mai?»
«Ho visto che un tipo le veniva dietro. La tallonava da quando è uscita dal bar.»
Hannah si diede mentalmente dell'idiota per non essersi accorta del pericolo imminente.
«È ferita» commentò in quel momento il Fuorilegge, e di colpo lei pensò che aveva una voce perfetta. Profonda, baritonale, calda e sensuale. Subito dopo si rese conto che la stava toccando dappertutto.
«Ehi, cosa diavolo fa?»
«Mi accerto che non abbia ossa rotte.»
«Non ne ho, stia tranquillo» replicò lei, brusca, ma quando cercò di alzarsi, un dolore lancinante le saettò nella testa.
«Che c'è? Le fa male la testa?»
«Già.»
«La porto a casa.»
Due braccia granitiche la sollevarono in piedi e la sostennero per tutto il tragitto. Quando arrivarono davanti a casa sua, Hannah rimase imbambolata sul pianerottolo, ondeggiando come una canna al vento. E fu allora che il Fuorilegge le infilò una mano nella tasca dei pantaloni e incominciò a palparle una coscia.
«Ehi! Ma si può sapere che cosa pensa di fare?»
«Prendo le chiavi, tesoro. Non posso lasciarla per strada in queste condizioni.» Finalmente trovò ciò che cercava, spalancò la porta di casa e la fece entrare.
Hannah corse a sedersi in poltrona. Era sfinita, respirava a fatica, le doleva la testa...
Il Fuorilegge rimase dov'era, le mani infilate in tasca, quasi sapesse che lei non avrebbe accolto di buon grado ulteriori contatti fisici.
Hannah cercò di ignorare il suo attento scrutinio. Si portò una mano alla nuca, la sentì umida. E quando la ritrasse per guardarla, inorridì nel vederla sporca di sangue.
Udendola sussultare, lo sconosciuto le corse accanto e si chinò a esaminare la ferita. «Non sembra grave» la tranquillizzò subito. «Le ferite alla testa sanguinano sempre, ma sarà il caso che dia un'occhiata.» Detto questo, e senza aspettare il suo invito, sparì nel corridoio.
Tornò da lei in capo a pochi istanti portando un asciugamano, un rotolo di garza e un disinfettante. Aveva trovato l'armadietto del pronto soccorso in bagno. Fermandosi in piedi accanto a lei, le prese la testa, se l'appoggiò sullo stomaco, quindi incominciò a ripulirle la ferita.
Era da tempo che Hannah non provava alcun sentimento, eppure adesso, mentre quello sconosciuto le accarezzava i capelli, avvertì qualcosa in fondo al cuore. Qualcosa che non le piacque affatto.
Una volta anche Gary le aveva tenuto la testa con la stessa dolcezza, l'aveva aiutata a spogliarsi, le aveva medicato la ferita procuratale da una scheggia alla spalla. Hannah si era illusa di poter contare per sempre sul suo appoggio e sul suo sostegno, ma presto aveva scoperto come stavano davvero le cose tra loro.
Il ricordo la fece irrigidire. Cercò di allontanare la testa, ma l'uomo la tenne ferma dov'era. «Piano, tesoro» le ripeté con quella voce che la faceva sciogliere. «Ha un brutto taglio, qui dietro. Non è molto profondo, tuttavia un paio di punti non ci starebbero male.»
«No.»
«Come sarebbe a dire, no?»
Hannah non voleva andare al Pronto Soccorso. Là avrebbe senza dubbio incontrato alcuni dei suoi vecchi colleghi. Le avrebbero chiesto cosa le era capitato, le avrebbero offerto una mano, e il giorno seguente avrebbero spifferato a tutta la centrale che Hannah Dawson era un'idiota.
«Questo taglio ha bisogno di punti, tesoro» ribadì ancora una volta lo sconosciuto. «Se vuole, posso medicarglielo io stesso, ma le resterà una cicatrice più grande. Anche se in fondo non credo che le interessi molto, sotto quella chioma di capelli stupendi.»
Hannah si rese vagamente conto del commento personale, però non vi diede peso. Seguì con lo sguardo il Fuorilegge mentre si allontanava di nuovo verso il bagno, poi lo vide ritornare con altre garze, un cerotto e un paio di forbici.
«Si direbbe che lei conosca bene casa mia. Trova tutto con estrema facilità.»
«Soltanto perché lei è ordinata come una vecchia bibliotecaria» obiettò lui di rimando. «Ogni cosa è al suo posto. E adesso» soggiunse brandendo le forbici, «mi dispiace, ma devo tagliarle una ciocca di capelli.»
Hannah annuì e lo lasciò fare. Non poteva vedere ciò che faceva, ma si accorgeva dell'abilità con cui la stava medicando. «Dove ha imparato queste tecniche di primo soccorso?» gli chiese.
Lo sentì fare spallucce. «In giro.» Lui continuò a medicarla e, quando ebbe finito, avvolse tutto nell'asciugamano e tornò in bagno a riporre ogni cosa. «Adesso devo controllarle le pupille» annunciò mentre avanzava nuovamente verso di lei. Questa volta, però, brandiva tra le mani una lampadina tascabile.
Hannah assentì ancora. Strinse gli occhi quando il fascio di luce le colpì le pupille. «E allora?» gli chiese.
«Mi sembra che sia tutto a posto» decretò lui. «Ma è sicura di non voler farsi controllare da un medico?»
«Arcisicura. Sto più che bene.»
«Sul serio? Non si è accorta che quel tipo la seguiva, è stata aggredita e adesso permette a un perfetto sconosciuto di girare liberamente per casa sua.»
«Non del tutto.» Hannah infilò una mano sotto la giacca e ne estrasse la pistola. Era da mesi che l'adoperava soltanto al poligono di tiro, tuttavia non aveva nessuna intenzione di rivelarlo a quell'uomo.
Luke fissò gli occhi sulla pistola Si era accorto dal primo momento che la donna era armata, avrebbe potuto disarmarla senza difficoltà, però non voleva metterla a disagio. Così sollevò le mani e continuò a parlare con calma. «D'accordo. Che ne dice se arretro di qualche passo e vado a sedermi sul divano?»
Lei annuì.
«È inutile che mi tenga quell'arnese puntato addosso. Se avessi voluto aggredirla, avrei già avuto tutto il tempo per farlo.»
«Che fa? Spera di rassicurarmi?»
Lui si strinse nelle spalle e continuò a osservarla. Era sempre più sicuro di aver scelto la donna giusta per il lavoro che aveva in mente. Era in gamba, capace di difendersi, nonostante l'incidente di quella sera.
«D'accordo.» La voce di lei irruppe nei suoi pensieri. «Ha detto che un uomo mi ha seguita dall'uscita del bar. Come mai mi ha seguita anche lei?»
«Sono un cavaliere senza macchia e senza paura.»
«Che strano, a me non è sembrato.»
«Perché? Che cosa le sono sembrato?»
«Un fuggitivo.»
Lui non replicò.
«Voglio delle risposte chiare da lei» insistette Hannah. «È da un paio di giorni che mi tiene d'occhio, e stasera mi ha anche seguita fuori dal bar. Che cosa vuole da me?»
Quella domanda lo fece diventare serio di colpo. «Voglio assumerla come investigatrice privata.»
Lei lo fissò, incredula. «Dopo quello che ha visto stasera?»
«Quello di stasera è stato solo un incidente. Ho già controllato le sue credenziali. Ha lavorato nel dipartimento di polizia di Baltimora, era un poliziotto in gamba. E adesso è stata assunta nella migliore agenzia investigativa della città. I proprietari, Jo O'Malley e Mike Lancer, hanno deciso di ritirarsi