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Una governante per il conte: Harmony History
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Una governante per il conte: Harmony History
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Una governante per il conte: Harmony History

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About this ebook

Londra, 1814
Quando Christian Blakely, Conte di Ridgemont, e Linnet Osborne si incontrano per la prima volta, lui la crede una ladra e lei uno sbruffone arrogante. Linnet sta cercando di rimediare agli errori di suo fratello, mentre Christian vuole risanare i torti del passato e garantire un futuro alla sorellastra. Tuttavia, nonostante le iniziali incomprensioni, Christian e Linnet non possono negare l'attrazione che provano l'uno per l'altra e il bacio appassionato che si scambiano è la prova che l'alchimia fra loro è più forte di quanto siano disposti ad ammettere. Ma entrambi sanno anche che ciò che è successo fra loro è uno sbaglio e che non dovranno rivedersi mai più. Il destino però ha altri piani in mente, tanto che Linnet viene assunta, all'insaputa di Christian, come governante nella dimora del conte.
LanguageItaliano
Release dateNov 11, 2019
ISBN9788830506824
Una governante per il conte: Harmony History
Author

HELEN DICKSON

Nata e cresciuta nello Yorkshire, dove vive con il marito, è da sempre appassionata di storia e nel tempo libero ama visitare antiche dimore da cui trae ispirazione per i suoi romanzi.

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    Una governante per il conte - HELEN DICKSON

    successivo.

    Prologo

    Cairo, Egitto, 1814

    L'inglese ascoltò il canto del muezzin e le grida dei venditori girovaghi che decantavano le loro merci su e giù per lo stretto vicolo. Né il sole bruciante che batteva sulla sua testa con forza implacabile, né le immancabili mosche riuscivano a rallentare il suo passo. I mendicanti si aggrappavano ai suoi abiti, implorando l'elemosina, ma lui non ci badava e tirava dritto per la sua strada.

    Era alto, con spalle ampie e muscolose, torace robusto e vita stretta. I lineamenti attraenti, abbronzati dal sole egiziano, erano aspramente squadrati. Lo circondava un senso di urgenza. Se avesse tardato ancora, la nave sarebbe salpata senza di lui. Tutti i passeggeri dovevano essere a bordo alle cinque in punto. Di lì a due ore.

    Richiamando un hantoor vuoto tirato da un cavallo magro, diede al conducente un indirizzo e gli ordinò di affrettarsi.

    L'uomo annuì con energia. «Vi porterò là.»

    L'inglese non chiese quanto gli sarebbe costato, si limitò a salire. La vettura marciò a buon passo, il cavallo galoppava rapido tra le strade strette invase dal pungente odore di spezie misto a quello degli scarichi aperti. Degli ostacoli si ponevano sulla loro strada: carri tirati da buoi e asini, folle di uomini e donne con i cesti sulle teste e sui fianchi, miriadi di bambini dagli occhi cerchiati di khol che correvano di fianco all'hantoor tendendo le mani per chiedere le monetine allo straniero.

    Alla fine, la vettura si fermò davanti a una casa arretrata rispetto alla strada, protetta da un'alta recinzione. L'inglese ordinò al conducente di aspettare, aggiungendo che lo avrebbe ricompensato bene se lo avesse portato alla sua nave, quindi scese e suonò la campanella attaccata al cancello.

    Un robusto egiziano di mezza età ciondolò lungo il sentiero, venendo ad aprire.

    «Devo incontrare la signora, Mrs. Marsden» pronunciò l'inglese. «Il mio nome è Christian Blakely. La mia nave parte a breve, devo fare in fretta.»

    Il domestico sorrise. «Mrs. Marsden vi sta aspettando.»

    Lo seguì su per i gradini della veranda e attraverso una tenda di perline. Un'anziana donna inglese vestita completamente di nero apparve, tenendo per mano una bambina. «Mrs. Marsden?» chiese Christian. Non l'aveva mai incontrata prima.

    «Sì, sono Mrs. Marsden, e questa è Alice.»

    I modi di lui erano bruschi. Sembrava riluttante a guardare la bambina dai folti capelli neri e ricci, non diversi dai suoi, e dai grandi occhi marroni che lo esaminavano con espressione inquisitiva e al contempo malinconica.

    Christian sentì la faccia indurirsi in una maschera priva di espressione. Non aveva mai incontrato neppure la bambina.

    Ricordava quel giorno di cinque anni prima, quando aveva appreso della sua nascita. Sapeva che non avrebbe mai più provato la rabbia, il risentimento e l'infelicità che lo avevano assalito allora.

    Sua madre era Selina, ambiziosa figlia di un militare. Era stata l'amante del padre di Christian, nonché una donna i cui unici interessi erano il denaro e la posizione. Il vecchio Lord Blakely possedeva entrambi, ma era anche sposato, perciò la posizione di moglie le era negata.

    Selina era molto giovane, e il padre di Christian ne era rimasto abbagliato. La donna gli aveva estorto denaro a un ritmo allarmante, specialmente dopo l'arrivo della bambina. Selina aveva fatto di sua figlia uno strumento di cui servirsi senza scrupoli. Era una sfortuna che il suo amante fosse morto ma, non essendo tipo da riposare sugli allori, ne aveva presto trovato un altro che sovvenzionasse i suoi bisogni.

    Christian l'aveva incontrata in diverse occasioni e l'aveva inquadrata immediatamente. Selina era bella, ma c'era una grossolanità in lei di cui suo padre era parso ignaro.

    Consapevole della sua disapprovazione, la donna lo aveva trafitto con uno sguardo sfrontato e penetrante, che non gli aveva lasciato dubbi sul fatto che avrebbe, volentieri e senza vergogna, scambiato il padre con il figlio, se solo lui si fosse mostrato compiacente.

    Sulle prime, Christian aveva tentato di far ragionare suo padre. Lo aveva implorato di lasciare Selina e di tornare da sua moglie, ma invano. Ne era seguita una furiosa lite, e il padre gli aveva detto che la sua vita privata non lo riguardava, così come la sua amante.

    Appassionato egittologo, dopo quell'aspro confronto Lord Blakely era partito per il Cairo. Selina, già incinta, lo aveva accompagnato.

    La situazione era stata intollerabilmente crudele per la madre di Christian. Lui l'aveva vista soffrire per un matrimonio con un uomo che non provava che disprezzo per lei. Perché in una donna dalla natura tenera e amorevole continuasse ad albergare una traccia d'affetto per un farabutto che la trattava in modo deplorevole, era uno degli inspiegabili misteri della vita. Era morta poco dopo la partenza del marito per l'Egitto, e Christian era sicuro che la causa del decesso fosse stata un cuore spezzato.

    Le frequenti assenze del padre, quando Christian era bambino, avevano impedito che si sviluppasse tra loro un rapporto armonioso. In seguito, le azioni paterne avevano distrutto ogni residua traccia d'affetto che avesse potuto provare nei suoi confronti.

    Con il risultato che Christian non aveva aspettative positive riguardo al matrimonio, che non gli sembrava una fonte di felicità. Quando si sarebbe sposato, non l'avrebbe fatto aspettandosi di ottenerla. Avrebbe preferito evitarlo, anche se doveva assicurarsi un erede e non poteva rimandare all'infinito l'inevitabile.

    «Siamo pronte a partire» annunciò Mrs. Marsden.

    «Dov'è lei... Selina?» Christian si guardò intorno, stupito. «Non torna in Inghilterra con noi?»

    La donna scosse il capo. «No.»

    Christian sollevò il bagaglio e lo portò fuori, sull'hantoor. Mrs. Marsden lo seguì, chiedendogli di aiutare Alice. Lui la sistemò sul sedile. Guardò la bambina e subito distolse il viso, tentando di difendersi dalla crescente e violenta ondata di collera che lo assalì alla vista della piccola creatura, il cui ingresso nel mondo aveva distrutto tanto di ciò che per lui era stato prezioso.

    Rabbioso e incapace di comprendere perché dovesse avercela tanto con una bambina innocente che non aveva chiesto di nascere, il volto risoluto e privo di espressione, Christian ordinò al conducente dell'hantoor di portarli alla nave.

    1

    Londra, 1814

    Appoggiato a una colonna di marmo nella sontuosa galleria, Lord Christian Blakely, Conte di Ridgemont, osservava con espressione annoiata la sala che si apriva sotto di lui.

    Rappresentava tutto ciò che una donna poteva sognare: era bello in modo fatale, affascinante come un demonio. Possedeva i modi, l'educazione e l'eleganza che nessuna somma di denaro avrebbe mai potuto comprare. Era uno di quegli invidiabili individui la cui classe si sarebbe rivelata anche se fosse stato vestito di stracci. Ferocemente riservato, circospetto e solitario, non doveva rendere conto a nessuno. Possedeva un'abilità quasi sovrannaturale di individuare le motivazioni altrui, il che per i suoi soci d'affari costituiva un dono impagabile, perché era in grado di svelare le ambizioni segrete dei suoi avversari.

    L'uomo che era tornato di recente dall'Egitto era molto diverso da quello che era partito un anno prima.

    Abbronzato dal sole egiziano, era muscoloso e in forma. Era circondato dall'aura di un uomo che aveva fatto e visto tutto quello che c'era da fare e vedere, e che si era confrontato con il pericolo. Era un'aura a cui le signore erano incapaci di resistere, e che aumentava le sue attrattive.

    Inarcando un sopracciglio, osservò con tiepido interesse una donna che stava passando in mezzo alla folla. Indugiò con lo sguardo su di lei. Era minuta come un'adolescente, e aveva la vita sottile. C'erano eleganza e grazia in ogni suo passo e aveva un perfetto, consapevole modo di camminare. Era in compagnia di una signora più anziana che indossava una straordinaria maschera nera e rossa e di un giovanotto che le assomigliava. La giovane si mescolava agli altri ospiti tenendo la testa alta e con un tenue sorriso sulle labbra graziose.

    Una parrucca bianca, corta e morbidamente arricciata, le copriva i capelli. Lunghi guanti bianchi le avvolgevano le braccia, e la maschera che copriva la parte superiore del suo viso era abbinata all'abito oro pallido a vita alta e alla serie di nastri e fiocchi che decorava il corpetto e le maniche a palloncino. Il suo solo ornamento era una scintillante perla a goccia annidata nell'ombra dell'elegante, giovane seno.

    Per un breve momento i loro occhi si incontrarono, poi Christian distolse lo sguardo e riportò l'attenzione sulla sala.

    Lord e Lady Stourbridge stavano dando un ballo in maschera nella loro magnifica residenza per celebrare il ritorno del Duca di Wellington dopo la vittoriosa guerra contro Napoleone Bonaparte, nella Penisola. Tutta l'Inghilterra stava esultando, e nessuno riusciva a parlare d'altro.

    La sala dai marmi bianchi e neri era piena fino a scoppiare di ospiti che si salutavano e venivano ricevuti dai perfetti padroni di casa.

    Lady Stourbridge, una delle più popolari dame del ton londinese, era una donna alta e statuaria. Quella sera era vestita di seta blu, i capelli castano chiaro ornati di piume. Le guance di Lord Stourbridge – un uomo convinto che il valore personale si misurasse con la qualità del taglio degli abiti – erano rosa, sotto la parrucca arricciata in modo elaborato. Personaggio borioso e solenne, aveva un aspetto imponente, dall'alto colletto alla punta delle scarpe dotate di fibbie.

    Lui e sua moglie rivolgevano agli invitati la loro completa attenzione, dando a ciascuno l'impressione di essere la persona più importante del ricevimento.

    Christian osservò gli ospiti riversarsi sulla grande terrazza, scendere per la stretta fuga di gradini di pietra nei giardini illuminati da torce. Il brusio di chiacchiere e risa fluiva dalle porte aperte.

    Si spostò all'ingresso della sala da pranzo e guardò all'interno senza troppo interesse. Due enormi candelabri con gocce di cristallo pendevano dal soffitto a stucchi, i fiori esplodevano dai numerosi vasi e la musica riempiva l'aria.

    Le dame erano agghindate con elaborate piume ondeggianti, e alle loro gole e alle dita scintillavano squisiti gioielli. Lo sguardo di Christian indugiò su quelle gemme costose, stabilendone con calma il valore prima di spostarsi per ammirare e valutare i dipinti che adornavano le pareti.

    Sentì un fruscio di gonne accanto a sé, e si girò per vedere da chi provenisse. La donna era attraente, ma non fu il suo viso grazioso ad attirare il suo sguardo, bensì ciò che indossava al collo. Christian non poté fare a meno di fissare le verdi profondità di una collana di smeraldi, anche se quella sera era interessato a qualcosa di molto più prezioso.

    Il ballo in maschera era un tripudio di bellezza ed eleganza, e Linnet Osborne ne assorbiva ogni dettaglio. Lacchè in divise rosso e oro vegliavano attenti sulle sale. Sopra la sua testa i candelabri, da cui pendevano centinaia di cristalli, ardevano di luci accecanti. Era l'evento più sfarzoso a cui avesse mai partecipato. Le persone dietro le maschere davano un'impressione di audacia, di sfida, come se l'atmosfera carnevalesca avesse travolto ognuna di loro.

    Mescolandosi con tanta eleganza e ricchezza, Linnet diveniva sempre più apprensiva e provava un forte impulso di fuggire.

    Fra tanti abiti vistosi, era consapevole della semplicità del proprio. Purtroppo stava indossando l'unico vestito che possedeva che fosse adatto a una simile occasione, e non poteva permettersene un altro. Per lei la serata non sarebbe mai finita troppo presto.

    D'improvviso i suoi sensi femminili vibrarono. Accorgendosi di essere osservata, sollevò lo sguardo alla galleria che circondava il piano superiore della casa e si trovò a fissare direttamente negli occhi uno sconosciuto. Stava appoggiato contro una colonna di marmo, un'espressione di profonda noia sulla bella faccia. Era molto alto e aveva spalle poderose. Attraverso la balaustra vide le calze bianche che coprivano i polpacci muscolosi. Al contrario di altri gentiluomini abbigliati come pavoni in una moltitudine di colori sgargianti, indossava pantaloni e giacca di velluto blu, il cui taglio permetteva di vedere un panciotto giallo ricamato.

    L'attenzione di Linnet si concentrò su di lui. Non avrebbe potuto guardare altrove neppure se avesse voluto. Appariva così composto e disinvolto, lei non aveva mai visto un esemplare simile di eleganza mascolina. Un'aria di languida indolenza lo avvolgeva come un mantello. I capelli folti, tirati indietro e legati sulla nuca, erano neri come la maschera che gli copriva la parte superiore della faccia. La pelle aveva una tinta bronzea.

    Il gelo nei suoi occhi la fece rabbrividire. Quando lui incrociò il suo sguardo, la loro espressione mutò, divenendo sconcertata e divertita. Ma c'era anche qualcos'altro... qualcosa che mosse un'emozione poco familiare dentro di lei, e che fece avvampare le guance. Era impossibile non reagire a quell'uomo, il cui magnetismo animale dominava la scena.

    Linnet era colpita dall'arroganza del suo atteggiamento, che la faceva sentire a disagio. Forse, pensò, l'avrebbe guardata in modo diverso se avesse saputo quanto era infelice.

    Distolse in fretta lo sguardo. Raddrizzando la schiena, fece scattare il ventaglio e sollevò appena le gonne con la mano libera, quindi seguì sua zia Lydia e il fratello Toby, insieme alla cugina Louisa e al suo fidanzato, Harry Radcliffe. Nel salire l'elaborata scalinata di marmo, Linnet assunse un'espressione di elegante noia.

    Vagò attraverso un mare di facce senza nome, fino alla sala da ballo, dove venne travolta dalla musica.

    Fu durante l'intervallo per i rinfreschi che si rese conto di non aver visto suo fratello per buona parte della serata.

    Notando il suo disagio, la zia le batté sul braccio con il ventaglio. «Che cosa succede, Linnet? Stai cercando Toby?»

    «Sì... Non so dove sia.»

    Un sorriso stirò le labbra della zia, ma i suoi occhi restarono freddi. «Forse dovresti cercare nella sala delle carte. Non è lì che passa la maggior parte del tempo?»

    Il cuore di Linnet sprofondò. «Io... non ci avevo pensato... Aveva detto che non l'avrebbe fatto. Non stasera.»

    La zia inarcò un sopracciglio in modo eloquente. «E tu gli hai creduto, mia cara?» ribatté. «Eppure, dovresti conoscerlo.»

    «Avete ragione. Andrò a cercarlo.»

    Fu sollevata di sfuggire all'oppressiva presenza della zia. Alta e statuaria, Lady Milton era una donna che colpiva. La sua unica ambizione nella vita era ingraziarsi l'élite della società, e seguiva puntigliosamente l'etichetta. Suo marito era morto in un incidente a cavallo, lasciandola favolosamente ricca, ma determinata a evitare che anche una minima parte della sua ricchezza raggiungesse gli impoveriti nipoti di Birch House, Chelsea. La sua disapprovazione nei riguardi dei parenti poveri era palese. Linnet ne era consapevole, ma non c'era niente che potesse fare, al riguardo.

    La collera e il biasimo per il comportamento del fratello le bruciavano dentro. Toby aveva vent'anni, due meno di lei, ed era già un uomo dai gusti costosi. Nel suo disperato tentativo di migliorare la loro posizione, rischiava di perdere tutto, inclusa la meravigliosa casa di Chelsea in cui vivevano da soli.

    Da quando il padre era morto, lasciandoli quasi privi di risorse, la situazione era ulteriormente peggiorata a causa dell'inclinazione di Toby per il gioco. Da allora la vita di Linnet era stata una costante preoccupazione. Ogni giorno era una lotta per far quadrare i conti, in cui sembrava che la sconfitta fosse in attesa di deriderla. La sua paura più grande era che non restasse loro altra scelta che vendere la casa, il che le avrebbe spezzato il cuore.

    Aveva preso in considerazione l'idea di cercarsi un lavoro di qualche genere, qualsiasi cosa le portasse un'entrata. Se soltanto avesse avuto qualcuno con cui parlare, che le desse dei consigli! Era afflitta, stanca delle continue preoccupazioni. Che ne sarebbe stato di loro?

    Aveva implorato infinite volte Toby di abbandonare quella vita di eccessi perché, se non avesse prestato attenzione, rischiava di finire in prigione... o peggio.

    Decisa a trovarlo prima che fosse troppo tardi, si diresse alla sala dove erano stati sistemati i tavoli per giocare a carte. All'interno regnava il silenzio, per non distrarre i giocatori. Intorno ai tavoli ricoperti di panno verde molti uomini stavano gettando via il loro denaro, mentre altri restavano in piedi, intenti a osservare. Sulla soglia Linnet esaminò i gruppi di persone affollati intorno ai giocatori, ma non c'era segno di Toby.

    Si sentì colmare dal sollievo, ma continuò a chiedersi dove potesse essere. Tuttavia non indugiò, non volendo attirare indebite attenzioni su di sé.

    Non era facile, perché era squisitamente bella, un'immagine di eleganza che attirava sempre un secondo sguardo. Linnet non aveva idea che, nel suo abito semplice, appariva molto più affascinante che se fosse stata adornata di gioielli dalla testa ai piedi. Era ignara anche dell'attenzione del gentiluomo che la stava osservando dalla sala delle carte. I suoi occhi la seguivano con un lampo di interesse.

    Linnet non era nello stato d'animo di tornare al ballo, quindi vagabondò di stanza in stanza, cercando il fratello. Giunse infine in una parte tranquilla della casa, dove i corridoi erano debolmente illuminati. Quando una porta si aprì, si fermò e, sconcertata, vide Toby emergerne con una mano sulla tasca della giacca. C'era qualcosa di furtivo nei suoi movimenti e nel modo in cui i suoi occhi dardeggiavano su e giù per il corridoio. Il sospetto montò all'istante in lei.

    «Toby!

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