Senza avere paura: Harmony Bianca
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Il dottor Tom Chapman sa esattamente quello che si prova a perdere chi si ama. Così, quando un giorno l'infermiera Laura McKenzie varca le porte del Pronto Soccorso con il figlioletto Harry, il suo istinto lo mette subito in guardia. C'è qualcosa che non va e lui deve intervenire subito per evitare che Laura provi il suo stesso, lancinante dolore.
Gli esami gli danno ragione e per Harry comincia un ciclo di cure che porteranno inevitabilmente Laura e Tom ad avvicinarsi sempre di più e a trasformare la loro amicizia in qualcosa di molto più intimo. Ma avendo entrambi perso così tanto in passato, saranno in grado di mettere a rischio di nuovo i loro cuori?
Alison Roberts
Tra le autrici amate e lette dal pubblico italiano.
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Senza avere paura - Alison Roberts
successivo.
1
«Qualcuno ha sentito cosa sta succedendo?» Laura McKenzie rallentò mentre spingeva un carrello per medicazioni oltre la scrivania centrale del reparto di Pronto Soccorso del Wellington's Royal Hospital e poi si fermò. «Il bambino è già arrivato?»
Una delle specialiste del reparto, Fizz Wilson, era davanti al computer, intenta a studiare i risultati di laboratorio su dei campioni di sangue. «In base alle ultime informazioni, non manca molto. Maggie era quasi del tutto dilatata. Quando Cooper porta Harley per la sua poppata, spero di potere usufruire della mia pausa per andare a incontrare il nuovo arrivato.»
«Sì... farò la pausa anch'io alla stessa ora.» Laura annuì. «Vengo con te.» Maggie era una cara amica e una ex coinquilina e Laura non vedeva l'ora di conoscere il suo bambino.
«Dove stai andando così di fretta?» chiese Tom Chapman, il primario del Pronto Soccorso, lasciando cadere sulla scrivania la cartella di un paziente.
«Vado a salutare il piccolo di Joe e Maggie.»
Tom alzò le sopracciglia. «Maggie è in travaglio?» Stava già passando in rassegna la bacheca che forniva gli aggiornamenti di tutte le pazienti presenti in reparto, sotto l'assistenza di chi si trovavano e a quale stadio di valutazione o terapia fossero. «Ieri ho lavorato con Joe al centro per il coordinamento per i primi soccorsi e pensava mancasse ancora qualche settimana.»
«No. Oggi è il gran giorno. Sono entrati in Ostetricia alle quattro di questa mattina.»
Tuttavia, Tom non sembrava per niente emozionato, e Laura, confusa, non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia mentre indugiava con lo sguardo un po' più a lungo sul suo profilo. Lavorava con quell'uomo da più di due anni ormai, ma a volte non aveva assolutamente idea di cosa gli passasse per la testa. Era un medico brillante, affabile, gentile e degno di grande fiducia, ma, allo stesso tempo, sapeva essere estremamente riservato. Come in quel momento, in cui ci si aspetterebbe che condividesse almeno un po' d'emozione per il fatto che delle persone che conosceva bene stavano per diventare genitori.
Forse aveva altre cose per la testa. Per esempio la gestione dell'unità Pronto Soccorso, il numero dei pazienti e il livello di attenzione che richiedevano. Laura scacciò l'impulso di rassicurarlo in qualche modo che, come sempre, aveva tutto sotto controllo. Tuttavia, un paio di secondi dopo, pensò che fosse stato un bene non avere detto nulla perché qualcuno l'avrebbe accusata di sfidare la sorte quando scoppiò un gran trambusto. Il personale di un'ambulanza stava oltrepas-sando in tutta fretta le porte automatiche che portavano all'area riservata ai veicoli, qualcuno stava chiedendo assistenza da una delle stanzette e stava suonando un allarme per arresto cardiaco.
Tom fu il primo a mettere le mani sul carrello che conteneva il defibrillatore e l'equipaggiamento per le vie aeree, per il posizionamento dei cateteri venosi e la somministrazione dei medicinali che potevano servire per gestire un grave attacco cardiaco.
«Dov'è il paziente in arresto?» chiese lui.
«In sala d'attesa» rispose qualcuno.
Tom iniziò a muoversi. «Fizz, prendi il comando per un minuto. Laura? Vieni con me. Possiamo arrivare lì prima che giunga la squadra che si occuperà dell'arresto cardiaco.»
Abbandonato il carrello per le emergenze, Laura si mise quasi a correre per stare dietro al lungo passo di Tom. Dato che si aspettava di vedere un paziente anziano svenuto in sala d'attesa, fu uno shock scoprire che si trattava di una bambina.
«Aiuto... per favore... non respira...» La donna sconvolta che aveva tra le braccia la bambina doveva essere la madre e Laura sentì subito il cuore balzarle in gola. Sarebbe stata anche lei così terrorizzata se avesse stretto tra le braccia suo figlio, Harrison, e avesse appena smesso di respirare.
«Cos'è successo?» Tom tolse con delicatezza la ragazzina dalle braccia della madre per farla sdraiare sul pavimento e poi le fece reclinare la testa per rendere pervie le vie aeree. Mise le dita sul lato del suo collo mentre le si avvicinava di più.
Laura stava aprendo la confezione che conteneva le placche del defibrillatore. Tagliò la maglietta della bambina e l'aprì per avere accesso al punto sotto la clavicola destra e poi sollevò il bordo per fare aderire la seconda placca sul lato sinistro. Notò l'importante eruzione cutanea sulla pelle e lo fece notare a Tom.
«È allergica» diceva la madre. «Ai latticini. Stava mangiando delle patatine in macchina e pensavo fossero quelle normali, ma non è stato così... qualcuno le ha dato delle patatine aromatizzate. Al ketchup. Pensava che non ci fosse nessun problema, ma abbiamo notato subito apparire l'orticaria.»
«Il battito c'è» informò Laura. «Ma è bradicardica. Non respira.»
Tom prese una maschera per l'ossigeno, la posizionò sul volto della piccola e riuscì a farla respirare. Tuttavia, era preoccupato e Laura sapeva il perché. Quella doveva essere una reazione anafilattica a un allergene e le vie aeree della bambina si stavano gonfiando rendendo più difficile l'arrivo dell'ossigeno. Dovevano muoversi in fretta o sarebbe diventato impossibile intubare e mettere al sicuro le vie aeree. Il fatto che il battito cardiaco fosse già troppo lento significava che avrebbero potuto avere a che fare con un arresto cardiaco oltre a un arresto respiratorio in breve tempo.
Tom alzò lo sguardo e questa volta fu lui a sostenere quello di Laura. Ci fu un altro momento di comunicazione silenziosa. Era una situazione critica e ogni secondo contava. Avrebbero perso alcuni di quei secondi per portare la bambina in una delle aeree di rianimazione dall'altra parte delle porte a battente, ma avrebbero potuto avere bisogno di più attrezzature di quante ne avessero su quel carrello, come un kit chirurgico per eseguire una cricotiroidotomia se una intubazione tracheale si fosse dimostrata impossibile.
Con un impercettibile cenno del capo, Tom interruppe lo sguardo, prese la bambina tra le braccia e corse via.
«Ci segua» disse Laura alla madre. Aveva preso il defibrillatore quando Tom aveva cominciato a muoversi e questa volta stava davvero correndo per stargli dietro e non interrompere il collegamento tra le placchette e il defibrillatore.
Le persone del Pronto Soccorso si affrettarono a farli passare per non intralciarli. Laura vide l'espressione spaventata sul volto di Fizz e il modo in cui fece cenno ai tirocinanti di occuparsi di quello che stava facendo. Era alle loro calcagna quando Tom mise la ragazzina sul letto.
«Arresto respiratorio» disse lui a Fizz. «Anafilassi. Sappiamo che è allergica ai latticini.»
«Le hanno somministrato l'adrenalina?»
«Sì...» La madre della bambina era vicina ai piedi del letto, le braccia strette attorno al corpo come se avesse bisogno di supporto fisico. «Abbiamo usato il suo autoiniettore, ma... non sembra aver funzionato. Quando ha iniziato a respirare a fatica sono corsa qui in auto.»
Era abituata ad affrontare quel genere di situazione, pensò Laura. Abituata a farcela da sola. Era una madre single, come lei?
«Laura? Prepara un po' di adrenalina, per favore.»
«Subito.» Il legame personale che Laura stava sentendo con quella paziente e la madre doveva essere tenuto lontano mentre si concentrava su quello che doveva fare.
Adesso stavano arrivando altri membri dello staff, incluse le due équipe mediche preposte per gli arresti cardiaci.
Stavano accadendo tante cose. Tom stava intubando la bambina, usando un videolaringoscopio in modo da potere vedere effettivamente cosa stesse facendo in mezzo ai tessuti gonfi. Un anestesista che era di servizio per l'équipe di rianimazione stava sistemando il ventilatore che avrebbero collegato non appena completato con successo l'intubazione. Aveva pronto un kit per creare una via respiratoria chirurgica se l'intubazione non fosse stata possibile a causa della quantità del gonfiore.
Fizz stava lavorando per ottenere un accesso endovenoso e qualcun altro stava sistemando le sacche di soluzione salina e i deflussori che sarebbero serviti per combattere lo shock anafilattico. Laura somministrò la prima dose intramuscolare di adrenalina e poi iniziò a selezionare le altre medicine che sapeva sarebbero servite. Stava anche tenendo d'occhio lo schermo, in modo da potere avvertire Tom di qualsiasi cambiamento importante, come un ulteriore calo della pressione sanguigna o del battito cardiaco.
La tensione era palpabile e, a un certo punto, Laura sentì i singhiozzi soffocati della madre della bambina. Sentiva anche lei un nodo in gola. Quello era l'incubo di ogni genitore. Avrebbe abbracciato Harry così forte quando sarebbe andata a prenderlo dopo il lavoro che il bambino avrebbe strillato e si sarebbe dimenato per liberarsi, probabilmente ridacchiando e gemendo, come fanno i bambini di sei anni.
«Ci siamo» Tom fece un cenno soddisfatto del capo mentre si metteva attorno al collo lo stetoscopio. «Ora, miglioriamo un po' questa saturazione dell'ossigeno.»
«Il battito cardiaco sta aumentando.» Come Laura, Fizz stava guardando lo schermo sopra di loro. «E ho due grandi fori di accesso in entrambi i lati.»
«Iniziamo il test dei fluidi.» Tom voltò la testa verso la madre della bambina. «Quanto pesa?»
«Mmh... era circa ventisei chili l'ultima volta che abbiamo controllato.»
«E quanti anni ha?»
«Nove. Quasi dieci... è sempre stata piccola...»
Come Harry, pensò Laura. Era sempre stato piccolo per la sua età e anche un po' sottopeso. Ciò faceva sembrare quei bambini più giovani di quanto fossero. Più vulnerabili. Avrebbe voluto dare un abbraccio a quella giovane madre. Per provare a rassicurarla. A dire il vero, poteva sentire la stessa empatia provenire da Tom, le cui labbra si incresparono quasi in un sorriso.
«Come si chiama?»
«Elizabeth. La chiamiamo Lizzie...»
«Starà bene. Il pericolo immediato è finito.»
«Ma è in Terapia Intensiva...»
«Questo è il posto migliore per monitorare Lizzie per qualche ora. Solo per assicurarci che sia tutto sotto controllo e i medicinali stiano funzionando.»
La donna chiuse gli occhi mentre annuiva piano. «Non la ringrazierò mai abbastanza, dottor Chap-man.» Si premette le dita sulla bocca. «Mi sento come se fosse stata colpa mia. Come ho fatto a non accorgermi che l'autoiniettore era oltre la data di scadenza?»
«Sono sicura che è una cosa che non succederà mai più. E lei ha fatto proprio la cosa giusta, portandola subito qui al Pronto Soccorso.»
«Avrei potuto perderla. Io... pensavo che...» Adesso aveva la mano sopra gli occhi.
L'impulso di toccare la spalla della donna, o persino di abbracciarla, di darle conforto, fu così forte che Tom dovette stringere le dita in un pugno.
Non si faceva coinvolgere sul piano personale dai suoi pazienti. O dalle loro famiglie. Se lo avesse fatto, non sarebbe mai stato in grado di svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi e fare il suo lavoro al meglio delle sue capacità era la cosa più importante nel mondo di Tom Chapman.
L'unica cosa, più o meno...
«Può stare accanto a lei, adesso» dichiarò lui alla madre della bambina. «O, se vuole, riposare un po'.»
«Non ho ancora intenzione di allontanarmi da lei. Penso che abbia bisogno lei di riposare. Ha lavorato così sodo per salvare la mia bambina.»
«È il mio lavoro. E un privilegio per me.» Tom diede un'occhiata all'orologio. «Stavo andando in pausa pranzo, quando è successo.»
«Spero che abbia già pranzato.»
«Non ancora. Ci vado adesso.»
Tuttavia, non aveva per nulla fame, pensò Tom mentre camminava verso il bar nell'atrio all'ingresso del Royal. Era spesso così, subito dopo la scarica di adrenalina derivante dal curare qualcuno di molto grave, persino di più quando quella lotta per la vita avveniva per un bambino. Tutte le vite erano preziose, certo, ma i bambini e soprattutto quelli piccoli erano così vulnerabili che non si poteva evitare di farsi coinvolgere sul piano emotivo in qualche modo. Forse quello era il motivo per cui Tom cedette all'impulso di girare in direzione del negozio di articoli