La terra siamo noi: Storie e persone per salvare il nostro futuro
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About this ebook
«Care amiche e cari amici che tenete tra le mani questo libro, vorrei raccontarvi perché ho deciso di scriverlo e come poi, all'improvviso, l'avvento tragico della pandemia ne abbia condizionato e arricchito il senso. Tutto è iniziato due anni fa, quando Greta Thunberg ha sensibilizzato il mondo intero riguardo allo scempio ambientale e al conseguente cambiamento climatico in corso. Dal nulla, la sua azione ha acquisito una potenza tale da coinvolgere anche i potenti del globo, travolti dalle critiche per la loro miopia generazionale. Una bella storia, certo, ma anche il trampolino per porgersi due domande obbligate: quanto, nella vita concreta, il desiderio di arginare la devastazione terrestre si traduce in comportamenti virtuosi? E chi è davvero disposto, al di là dei nobili pensieri e delle belle parole, a battersi in nome di questa sfida? Interrogativi urgenti prima dell'era Covid-19 e ancora di più oggi che è stato chiarito il legame tra la mancanza di rispetto della natura e la diffusione di nuovi virus. Come dunque sconfiggere il senso di fragilità che ha colpito le nostre vite, respirare un nuovo ottimismo e ispirarsi a comportamenti in armonia con l'ambiente? Le risposte che ho trovato sono racchiuse nelle storie speciali di persone normali. Non le mirabolanti imprese di supereroi dai poteri magici, ma l'impegno di giovani e meno giovani che con grinta hanno agito e agiscono in difesa del pianeta. Otto capitoli con protagonisti distanti tra loro per età, formazione e attitudini. Ma comunque uniti dalla consapevolezza che – volendo – tutti possono fare la differenza. Una grande differenza. Per questo il libro si intitola La Terra siamo noi: perché spero che, letta l'ultima pagina, e condivisa l'ultima emozione di questi ragazzi e adulti inarrestabili, vi venga voglia di ispirarvi al loro impegno. Condividendo, oltre le incertezze attuali, il piacere di aiutare l'ambiente e noi stessi.» (Riccardo Bocca)
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La terra siamo noi - Riccardo Bocca
noi
1
Alessia e Tommaso
Il 17 giugno 2001 la capitale è in festa. Impossibile vivere questa domenica senza essere attraversati dall’euforia che circola per le strade. Dopo una via crucis lunga diciotto anni, la Roma è tornata a vincere un campionato di calcio. Il terzo della sua storia. Gli eroi di stagione sono i bombardieri Gabriel Omar Batistuta e Vincenzo Montella, venti e tredici reti a testa, e assieme a loro la città osanna il talento indiscusso di Francesco Totti che, partita dopo partita, ha condotto la squadra al trionfo.
Nessuno è in grado di dire quante persone stasera affollino il Circo Massimo. In diretta La7 mostra la prateria di bandiere giallorosse davanti al palco su cui Antonello Venditti officia la felicità di un popolo che ancora stenta a crederci. Tale è l’enormità dell’evento che il sindaco Walter Veltroni, juventino certificato, sfila in passerella tra fischi secchi e tremuli consensi con la sciarpa dei campioni d’Italia al collo. Uno spettacolo bello, bellissimo nell’insieme, anche per chi di solito non segue le telenovelas del pallone. Un delirio al suo apice quando sulla passerella appare Sabrina Ferilli, tifosa romanista sempre e per sempre che ha promesso di spogliarsi in caso di trionfo: e infatti eccola a sbandierare in micro bikini tra applausi e cori.
Non serve l’occhio clinico del sociologo: è chiaro a tutti che questa giornata resterà nella memoria dei tifosi come un orgasmo civico e sportivo. D’altronde la piccola storia, a volte, si fa a pedate. Eppure in questa sbronza di canti, abbracci, amore e sudore, c’è chi non riesce a essere felice. Anzi, proprio nel cuore dell’eccitazione sente dentro di sé disagio. Lui si chiama Tommaso D’Errico, ha diciannove anni e abita a Roma 70, agglomerato residenziale della periferia sud dove si narra che l’imperatore Marco Cocceio Nerva tenesse le riserve di grano dell’Urbe. Ora I Granai è il nome di un centro commerciale in cui i ragazzi vagano annoiati, e tutt’attorno l’esistenza di tante famiglie comuni stride con lo spaccio nei viali e parcheggi. «Era la realtà a cui ero abituato, ma anche il mondo da cui sentivo un potente bisogno di allontanarmi» racconta Tommaso. Gli stessi sentimenti che prova per il calcio, in quell’avvio di Terzo millennio. Tifa assieme agli amici di quartiere ma detesta le follie da stadio. «Andavo in curva la domenica e succedevano storie assurde: insulti, botte, una fame insaziabile di autodistruzione.» Eccessi che sporcano pure il santo giorno dello scudetto. «Nel caos è scoppiato uno scontro tra tifosi e celerini. Volavano sassi, bottiglie, urlavano tutti. A me è esploso un razzo tra i piedi che per non so quanti minuti mi ha azzerato l’udito.»
Ancora oggi, pensandoci, Tommaso si incupisce. È il respirare di nuovo quell’aria viziata che gli faceva male. Un peso che tace al padre architetto e alla madre impiegata comunale. «La mia vita era impastata di inquietudine. Finito lo scientifico ho frequentato un anno di Ingegneria, ma non mi convinceva. Allora sono passato a Lettere dove ho preso la laurea triennale.» Una buona partenza, anche perché in parallelo si lancia come baby-sitter, animatore di centri estivi per bambini, cameriere, lavapiatti, operatore di call center, assistente a cinque sterline l’ora durante l’Erasmus in Scozia di un tuttofare che passava dalla muratura all’idraulica. Eppure continua a sentirsi incompleto. An che quando cambia e si trasferisce per un periodo ad Amsterdam. Anche quando ottiene buoni risultati al primo anno del corso di Giornalismo dell’Università Roma Tre. Si stanca e trova lavoro in uno studio grafico. Quindi impara a progettare siti per il web e gli piace, ma il finale è comunque scritto: «A luglio 2012, dopo un viaggio lungo un mese in bicicletta da Roma a Copenaghen, ho salutato il titolare dello studio che mi aveva accolto e ho pensato sul serio a voltare pagina».
Come ci riuscirà, lo vedremo. Prima c’è da introdurre un elemento fondamentale. Va cioè presentata Alessia, che di cognome fa Battistoni e dal 2010 è la seconda anima di Tommaso. Una persona delicata, lieve nei modi e nella fisicità. Immaginate l’epifania di un amore sereno, impregnato di entusiasmo ma anche, come spesso succede, di note dissonanti. «Avevo venticinque anni» dice Alessia, «e non mi ponevo proprio tutte le domande che agitavano Tommaso. Lui a ventotto anni era più avanti di me. Io venivo da una famiglia protettiva di Mostacciano, vicino al Grande raccordo anulare. Stavo per laurearmi in Ecobiologia a La Sapienza, ero ancora un po’ infantile, il sabato correvo a ballare vestita carina, andavo matta per la musica elettronica e non mi perdevo gli eventi dei dj famosi.» Lontana, nella fotografia d’insieme, da Tommaso. Ma giusto in apparenza, perché a unirli è un duplice desiderio: quello di frequentare gente diversa dai loro giri usuali e la passione per la montagna pura, incontaminata, quasi sacra, lontana il più possibile dal rito delle settimane bianche e delle piste affollate.
Quanto basta perché presto la mansarda dove Alessia e Tommaso vanno a vivere si riempia di progetti. Studio e lavoro permettendo, viaggiano a Bratislava, Cracovia, Siviglia. Ogni occasione è buona per esplorare l’Europa. Incrociano nuovi amici e consuetudini per poi tornare a casa e immaginare altre trasferte: «Un avvicinamento a quello che siamo diventati oggi, che aveva come unica bussola la speranza di libertà». Quella che i diktat metropolitani tendono a negare: il privilegio di fare cose che si ha davvero voglia di fare, e che invece sono schiacciate dal cumulo dei doveri. Anche se, a dire il vero, Tommaso e Alessia non hanno lasciato la loro città con la mentalità dei fuggiaschi, o ancora peggio col mugugno degli sconfitti. «Piuttosto abbiamo trovato il coraggio di ascoltare noi stessi e capire chi non volevamo trovarci a essere venti o trent’anni dopo, succubi di meccanismi sociali che mettono sempre al centro i soldi e l’affermazione di sé.» Logiche tossiche, le definisce Tommaso. E mentre parla l’unico traffico ad assediarlo è quello abbaiante di Punto e Virgola, grandi cani poco propensi ad accettare il transito di estranei, seguiti dai miagolanti Camilo e Remedios, i cui i nomi sono derivati dal rivoluzionario cubano Camilo Cienfuegos Gorriarán e dalla Remedios di Cent’anni di solitudine di