Prigioniera del milionario: Harmony Collezione
By Annie West
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Annie West
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Prigioniera del milionario - Annie West
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Captive in the Spotlight
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2013 Annie West
Traduzione di Carla Maria De Bello
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-721-9
1
Lucy immaginava quel primo giorno di libertà da cinque terribili anni. Il cielo azzurro come solo poteva essere in una giornata d’estate in Italia. Il profumo dei limoni, il canto degli uccelli nell’aria calda.
Invece inspirò un aroma familiare. Quello dei mattoni, del cemento e dell’acciaio. Un odore intriso di disperazione che le aveva riempito le narici per anni.
Represse un fremito di paura, lo stomaco in preda agli spasmi.
E se avessero commesso un errore? Se la pesante porta di metallo fosse rimasta chiusa?
Il pensiero di tornare in cella la gettò nel panico. Se le avessero negato la libertà adesso, ne sarebbe morta.
Si avvicinò alla guardia, una borsa nella mano tremante, il cuore in gola. Alla fine la porta si aprì e lei varcò la soglia.
Fumi dei tubi di scarico al posto dei limoni. Un cielo grigio anziché azzurro. Rombi di automobili a rimpiazzare il canto degli uccelli.
Eppure non le importava. Era libera!
Chiuse gli occhi, assaporando il momento che sognava da quando il terrore l’aveva inghiottita.
Era libera di fare ciò che voleva. Libera di riprendere in mano la propria vita.
Un rumore la fece voltare. Più avanti, presso l’entrata principale, una folla si muoveva agitata. Una folla con macchine fotografiche e microfoni tesi.
«Lucy! Lucy Knight!» Non ci sarebbe stato modo di confondere la brama in quelle voci. Era come se la folla stesse morendo di fame e l’odore del sangue fresco la mandasse in delirio.
Allungò il passo, ma una moto le bloccò la strada.
A quel punto i giornalisti l’avevano già circondata.«Come ci si sente, Lucy?»
«Quali sono i suoi progetti, adesso?»
«Ha qualcosa da dire ai nostri telespettatori? O alla famiglia Volpe?»
Lucy trasalì. Avrebbe dovuto aspettarselo. Perché non lo aveva fatto?
Forse perché erano passati cinque anni. Forse perché aveva sperato che il tumulto scemasse.
Cosa volevano ancora? Le avevano già tolto così tanto! Avrebbe dovuto accettare l’offerta dell’ambasciata di scortarla fino all’aeroporto, ma aveva giurato a se stessa di non fare più affidamento su nessuno. Cinque anni prima gli ufficiali inglesi non erano stati in grado di salvarla dalle farraginose ruote della giustizia italiana. Da allora aveva smesso di aspettarsi aiuto da chiunque.
A labbra serrate si fece strada tra la folla insistente.
Senza spingere né minacciare, solo con la forza e la determinazione acquisite durante quel soggiorno all’inferno.
Non era più l’innocente diciottenne che era stata incarcerata. Aveva smesso di sperare nella giustizia, ancor meno in un sostegno.
Camminò senza mai voltarsi, conscia che, se avesse esitato, sarebbe stata la fine.
La vicinanza e il rumore di così tanti corpi le procurò un’ondata di panico claustrofobico. Tremò, il respiro spezzato, lo stomaco vacillante sotto l’impulso di fuggire.
La stampa ne sarebbe stata entusiasta!
Scorse davanti a sé una breccia. La raggiunse, ma solo per scoprirsi circondata da un gruppo di uomini in abito scuro e occhiali da sole che tenevano a bada la folla.
Alle loro spalle c’era un’auto elegante, nera e con i vetri oscurati.
Incuriosita fece un passo in avanti. Gli amici si erano dileguati, negli ultimi anni. E per quanto riguardava la famiglia... be’, non avrebbero mai potuto permettersi un mezzo del genere!
Una delle guardie aprì la portiera e Lucy si avvicinò per guardarvi all’interno.
Due occhi grigi la intrappolarono. Due occhi cupi quanto un cielo tempestoso.
Il clamore scemò mentre lo sguardo di Lucy seguiva un lungo naso arrogante che quasi sembrava infastidito dall’odore istituzionale che lei aveva addosso. Alti zigomi scolpiti su un viso patrizio, una solida mascella e una bocca sottile a completare quello che sembrava un tipico ritratto rinascimentale.
Nonostante la palese condanna che Lucy lesse in quell’espressione, ci fu un’altra emozione fra loro, una invisibile ondata di calore nell’aria sovraccarica. Un’ondata che le fece venire la pelle d’oca.
«Domenico Volpe!»
L’aria sfuggì dai polmoni di Lucy come da una ferita.
«Mi riconosce?» Parlò in inglese, con la perfetta dizione di un uomo che ha a propria disposizione lignaggio, educazione e potere.
«Certo.» La vista di lui evocò una valanga di ricordi. «Non ha perso un attimo del processo.»
L’uomo non inclinò la testa né si mosse, tuttavia qualcosa balenò nei suoi occhi. Qualcosa che la indusse a chiedersi se lui, come lei, mantenesse il controllo attraverso un filo sottile.
«Lei lo avrebbe fatto, al mio posto?» La voce era vellutata ma letale.
Non si sarebbe abbassato ad aggredirla, ma nemmeno avrebbe alzato un dito per salvarla. Eppure tanto tempo prima, per un fugace momento, avevano condiviso qualcosa di fragile e pieno di promesse.
Il ricordò le procurò un nodo alla gola.
Cosa ci faceva ancora lì? Perché perdeva tempo con un uomo che voleva solo il suo male? Senza aggiungere altro si voltò, ma solo per scoprire una delle guardie a bloccarle la strada.
«Per favore, signorina.» Fece cenno in direzione della portiera aperta alle sue spalle. «Si sieda.»
Con Domenico Volpe? Quell’uomo personificava tutto ciò che le era andato storto nella vita.
Soffocò una risata isterica e scosse il capo, quindi fece per aggirare la guardia, ma quest’ultima la prese per un braccio, sospingendola verso la macchina.
«Non mi tocchi!» Tutto il dolore e lo sgomento contro cui lottava le esplosero nel petto, una torbida ondata di emozioni che aveva già represso troppo a lungo.
Nessuno aveva il diritto di costringerla.
Non più.
Non dopo quanto aveva passato.
Aprì la bocca per chiedere di essere lasciata andare, ma il freddo e preciso ordine che voleva formulare non emerse. Piuttosto scaturì un’esplosione di italiano al vetriolo. Parole che non aveva mai conosciuto finché non era finita in prigione. Il genere di linguaggio preferito dai criminali e dai pazzi.
Con gli occhi sgranati, la guardia lasciò cadere la mano e indietreggiò di un passo. Come temesse che quella lingua tagliente potesse ferirlo fisicamente. E lei, con le dita strette intorno alla borsa, riprese a camminare oltre il cordone che separava Domenico Volpe dai paparazzi.
Meglio buttarsi tra gli artigli della stampa, piuttosto che rimanere dov’era.
«Mi dispiace, signore. Avrei dovuto fermarla. Ma i media stavano guardando, e...»
«Va bene così, Rocco. L’ultima cosa che voglio è un reportage su di noi che rapiamo Lucy Knight.»
Osservò la folla chiudersi intorno all’esile figura della donna mentre qualcosa di molto simile al rimorso lo assaliva.
Perché l’aveva guardato con orrore e scelto la ferocia della folla piuttosto che condividere con lui un’auto?
Quell’irritante senso di colpa tornò a farsi sentire. Non aveva senso, ovviamente. La logica assicurava che fosse lei la sola responsabile della propria distruzione. Peccato che a volte, nel buio della notte, tutto questo non sembrasse poi così scontato.
Ma lui non era l’angelo custode di Lucy Knight. Non lo era mai stato.
Cinque anni prima aveva brevemente risposto alla sua aria di fresco entusiasmo, così diversa dalle donne sofisticate e scaltre che sempre aveva frequentato. Fino a quando non aveva scoperto che era solo un’ipocrita intenzionata a usarlo come aveva fatto con il fratello.
Domenico serrò le labbra. Lo aveva appena guardato con quei grandi occhi color nontiscordardimé. Un uomo ingenuo avrebbe forse letto in essi la paura.
Ma lui non era un ingenuo, sebbene avesse vergognosamente provato una sorta di indesiderata attrazione per la donna che giorno dopo giorno era apparsa in quell’aula di tribunale proiettando un’aria di confusa innocenza.
Il suo viso era stato di un ovale perfetto, arrotondato dalla giovinezza. E i capelli – lunghi, lisci e del colore del grano nel sole – gli avevano fatto desiderare di affondarvi le dita.
Aveva detestato se stesso per questo.
«È una gattina selvatica, eh, capo? Il modo in cui se n’è andata...»
«Chiudi la portiera, Rocco.»
«Sì, signore.» La guardia si irrigidì e fece quanto gli era stato chiesto.
Domenico tornò ad appoggiare la schiena al sedile, osservando la baraonda dileguarsi lungo la strada. Erano rimasti solo pochi reporter, ma i vetri oscurati garantivano la necessaria privacy.
Strofinò la mascella. Perché Pia l’aveva messo in quella situazione? Per cosa smaniavano ancora i media? Certo, la cognata era emotivamente vulnerabile, vittima di sbalzi d’umore e infinite insicurezze.
Ma in realtà non erano i media a disturbarlo. Lui ignorava i paparazzi. Era lei, Lucy Knight. Il modo in cui lo guardava.
Era cambiata. I capelli corti la facevano sembrare un elfo dispettoso, piuttosto che l’innocente diciottenne di un tempo. E il viso si era assottigliato, scolpito in una bellezza ora più matura.
Che coraggio c’era voluto per ributtarsi in quella folla affamata? Soprattutto quando lui stesso aveva visto e sentito, per un attimo, il dolore nelle sue aspre imprecazioni.
Per tutte le settimane del processo si era mostrata impassibile. Com’era riuscita a celare completamente una simile violenta passione?
Domenico affondò nel sedile. Avrebbe dovuto ignorare le richieste di Pia e le proprie ambivalenti reazioni e andarsene. Quella donna era stata un problema dal giorno in cui era arrivata nella loro famiglia.
Premette l’interfono per parlare all’autista.
«Andiamocene.»
Mancavano ancora venti minuti all’arrivo dell’autobus.
Sarebbe riuscita a resistere? La folla si faceva sempre più fitta. Le ci volle tutta la propria forza per fingere che non le desse fastidio. Per ignorare le macchine fotografiche e i fischi di disapprovazione, il pigia pigia sempre più insistente.
Lucy sentiva le ginocchia tremare e il braccio dolere, ma non avrebbe mai appoggiato a terra la borsa. Conteneva tutto ciò che aveva e non avrebbe permesso ai giornalisti di fare uno squallido resoconto della biancheria che indossava o un profilo psicologico basato sui pochi libri che possedeva.
No, avrebbe dimostrato loro che al posto della facile preda che avevano immaginato c’era adesso una donna determinata a non cooperare.
Stava per andarsene a piedi quando la folla si mosse. Un movimento, quasi un sospiro, fluttuò lasciando al suo posto qualcosa che poteva quasi passare per silenzio.
Le telecamere si allontanarono. Al loro posto l’uomo che aveva sperato di non vedere mai più.
Domenico Volpe si faceva strada tra la folla, gli occhi fissi su di lei.
Indossava un completo scuro della lucentezza più fine, come fosse stato tessuto da perle nere. La camicia era immacolata, la cravatta di una perfetta seta scura.
Era l’immagine della ricchezza. Non una grinza rovinava i suoi abiti o le eleganti linee del suo viso. Soltanto gli occhi, incatenati a quelli di lei,