La scelta del playboy: Harmony Destiny
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La scelta del playboy - Sarah M. Anderson
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Bringing Home the Bachelor
Harlequin Desire
© 2013 Sarah M. Anderson
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-734-9
1
Nel bel mezzo della discussione – la stessa discussione che aveva col figlio ogni mattina – Jenny si perse in un sogno a occhi aperti. Per una volta, avrebbe voluto avere qualcuno che si prendesse cura di lei; per una volta, avrebbe voluto sentirsi coccolata; solo per una volta, pensò con un sospiro, avrebbe voluto provare come ci si sente ad avere il mondo ai propri piedi, invece che essere calpestata da tutti quanti.
«Perché non posso andare con Tige dopo la scuola?» si lamentò Seth, dal sedile del passeggero. «Ha una moto nuova, ha detto che posso farci un giro. Meglio che sprecare tempo ad aspettare che tu finisca quella tua stupida riunione.»
«Niente moto» ribadì Jenny col tono che usava per cercare di ragionare coi propri alunni di prima e seconda quando la pazienza si assottigliava troppo. Con un po’ di fortuna, sarebbero arrivati a scuola prima che la perdesse del tutto; mancavano solo poche miglia.
«Perché no? Josey ci va sempre, e sai che non lo farebbe se non fosse sicuro.»
«Josey è una donna adulta» replicò lei a denti stretti. Era quella la differenza tra il Seth di quattordici anni e quello di otto: da piccolo, il figlio era sempre stato in grado di capire quando non era il caso di insistere. «Ha imparato a guidare la moto dal marito, non ha mai avuto un incidente, e sai benissimo che non è più montata in sella da quando è rimasta incinta. Posso ricordarti che Tige ha diciassette anni, va troppo veloce, non mette il casco e ha già avuto due incidenti? Niente. Moto.»
«Uffa, mamma. Non è giusto.»
«La vita è ingiusta. Abituati.»
Seth roteò gli occhi. «Se papà fosse qui, mi lascerebbe andare in moto.»
Prima che potesse trovare una risposta coerente al nuovo trucco del figlio per farla sentire in colpa, fece l’ultima curva e si trovò davanti alla Pine Ridge Charter School, dove lei insegnava ai bambini di due classi nella stessa aula. Ovunque erano parcheggiati camion e furgoni, e fari da stadio squarciavano i primi bagliori dell’alba.
Accidenti. La discussione con Seth le aveva fatto scordare che quel giorno sarebbero iniziate le riprese.
La Pine Ridge Charter School era l’unica scuola per bambini dai sei ai quattordici anni nel raggio di due ore di macchina. Era stata fondata e costruita da sua cugina Josey White Plume, con l’aiuto della madre Sandra, e inaugurata l’autunno precedente per lo più grazie alle donazioni del Crazy Horse Choppers, il negozio di moto della famiglia Bolton. I tre fratelli facevano soldi a palate con le moto customizzate per ricchi clienti; Josey aveva finito con lo sposare Ben Bolton, e ora era incinta del loro primo figlio.
Se la storia fosse finita lì, sarebbe stato già abbastanza strano, ma la follia invece proseguiva: Bobby Bolton aveva registrato dei webisodi, episodi per Internet, che Jenny riteneva non fosse neanche una vera parola – del fratello Billy che costruiva motociclette nell’officina del Crazy Horse per postarli. Evidentemente avevano avuto un grande successo, con centinaia di migliaia di hit, soprattutto perché Billy sproloquiava come un marinaio ubriaco e all’occorrenza lanciava gli attrezzi contro le persone. Jenny non aveva Internet, perciò non aveva visto lo spettacolo. Né intendeva guardarlo. Aveva tutta l’aria di essere un intrattenimento della più bassa lega.
E ora l’intera produzione si era spostata alla scuola. Billy Bolton avrebbe costruito una moto insieme agli alunni, avrebbe insegnato loro come utilizzare gli strumenti giusti e, una volta ultimato, il mezzo sarebbe stato messo all’asta e i proventi donati alla scuola. Bobby avrebbe documentato il tutto.
Jenny non sapeva quale parte del piano le piacesse di meno. Ben in fondo non era male: era premuroso e faceva una gran bella figura in moto, ma era un po’ troppo distinto per i suoi gusti. Tuttavia, rendeva felice Josey, e questo rendeva felice Jenny.
Bobby, il più giovane dei tre fratelli, le rivolgeva la parola solo quando voleva qualcosa. Era bello e affascinante e incredibilmente ricco e forse questo era abbastanza per la maggior parte delle donne, ma lei non si fidava di lui.
Di Billy, il fratello maggiore, si fidava ancora meno. Era... be’, non sapeva se appartenesse a tutti gli effetti agli Hell’s Angel, ma non l’avrebbe sorpresa scoprire che se la intendeva con una qualche banda di motociclisti. Era un uomo imponente, da cui tutti sembravano intimoriti. Quando le era stato presentato, al matrimonio di Josey, le era sembrato un mix di calma, pericolo e sensualità, insomma una combinazione eccitante. Era fuori di dubbio uno spettacolo da ammirare, con i capelli castani legati in una coda, la barba tagliata a puntino e lo smoking che gli calzava a pennello.
Come i fratelli, Billy era dotato di una bellezza grezza, ed era ricchissimo; dei tre, tuttavia, era quello che ostentava di meno. Non che Ben lo facesse, ma tutto ciò che possedeva era al top della gamma. Bobby si premurava di far notare a tutti quanto fosse ricco e popolare. Billy? Era come se i soldi lo infastidissero. Jenny era rimasta ammutolita dal modo in cui l’aveva guardata dall’alto in basso, ed era solo riuscita a dire un Piacere di conoscerti.
Ebbe a malapena il tempo di parcheggiare nel posto che le era assegnato che Seth era già sceso dall’auto, meravigliato da tutto quel circo che si ritrovavano intorno. Di solito Jenny era la prima ad arrivare a scuola; le piaceva prendersi del tempo prima che una masnada di diavoletti di sei, sette e otto anni si riversasse in aula. Si preparava il tè, controllava di avere tutto il necessario per le lezioni e si organizzava in vista della giornata. E dato che di solito Seth si accampava nella sala polifunzionale a esercitarsi con la chitarra, era un momento molto vicino allo zen.
Quel giorno? Niente zen per lei. Invece, una donna gridò in un walkie-talkie mentre le passava accanto intanto che un tecnico aggiustava le luci, riuscendo ad accecarla con il proiettore: «C’è un problema – auto nell’inquadratura».
Prima che potesse ripararsi gli occhi, una persona iniziò a parlare a raffica al suo fianco. «Jennifer? Ciao, Bobby Bolton. Ci siamo conosciuti al matrimonio di Ben. È un piacere rivederti. Sono così contento di quest’opportunità, di poter fare qualcosa di buono per la scuola. Qui fate un ottimo lavoro, e siamo tutti entusiasti di farne parte, ma abbiamo bisogno che sposti la macchina.»
Jennifer. Sentì i capelli che le si rizzavano in testa. Oh, certo, aveva cercato di farle i complimenti, ma il suo nome non era Jennifer. Non lo era mai stato, e aveva i documenti legali per dimostrarlo. Lei si chiamava Jenny Marie Wawasuck.
Si voltò lentamente. «Scusa?»
Bobby aveva in testa delle cuffie con il microfono, e nonostante avesse l’aria di uno che raramente si alza prima di mezzogiorno, era bello come sempre. «Come sono sicuro saprai, Jennifer, stamattina giriamo. Abbiamo bisogno che sposti la macchina.»
Era decisamente troppo presto per perdere la pazienza, ma certe cose sono incontrollabili. «Perché?»
Bobby le rivolse quel genere di sorriso che le faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi. «Dobbiamo riprendere Billy che arriva in moto, e abbiamo bisogno dello spazio.» La voce era meno affettata, il tono perentorio. «Sposta la macchina.»
Di tutti gli arroganti... Jenny si fermò, un trucco che aveva imparato da tempo lavorando con i bambini di tutte le età: non mancava mai di attirare la loro attenzione. Si raddrizzò per tutto il suo metro e sessantacinque, ma nonostante ciò era ancora un buon venti centimetri più bassa di lui; detestava dover sollevare la testa per guardarlo, ma non aveva uno scalino a portata di mano. «No. Questo è il mio posto, parcheggio sempre qui.» Sapeva di essere un po’ irragionevole; dopotutto, spostare l’auto non era niente di che. Tuttavia, non voleva che Bobby Bolton pensasse di poterla calpestare tutte le volte che voleva.
Troppo spesso le persone pensavano di poterlo fare. Credevano che non si sarebbe ribellata perché era una brava ragazza o perché insegnava ai bambini o perché non aveva niente , niente altro che un parcheggio assegnato.
Il sorriso di Bobby scomparve, lasciandolo con un’espressione stanca. «So che questo è il tuo posto, ma voglio sperare che una donna adulta possa parcheggiare da un’altra parte per un giorno. Ti ringrazio. Vicky?» continuò poi nel microfono. «Possiamo preparare un po’ di caffè per Jennifer? Grazie.» Riportò l’attenzione su di lei, il falso sorriso di nuovo al suo posto. «So che è presto, ma sono sicuro che una volta che avrai spostato la macchina e bevuto il caffè ti sentirai meglio, Jennifer.»
Il tono paternalista la fece ribollire, ma prima che potesse rispondere che non beveva caffè, e tanto meno ribadire che non aveva alcuna intenzione di spostare la macchina, un’ombra la sovrastò, bloccando la luce del riflettore.
Si sentì percorrere da un brivido quando udì una voce profonda e potente. «Il suo nome non è Jennifer.» Come a enfatizzare il commento, dall’ombra comparve un pugno enorme che colpì Bobby sul braccio con tanta forza da farlo barcollare indietro di qualche passo per recuperare l’equilibrio. «È Jenny. Piantala di fare l’idiota.»
Jenny deglutì mentre Billy Bolton le passava accanto per fermarsi davanti al fratello. Cercò di ricordarsi che non aveva paura di quell’uomo. Anche se era trenta centimetri buoni più alto di lei. Anche se sopra i jeans indossava dei copripantaloni in pelle che dovevano costare un occhio della testa, e la maglietta nera che portava di certo non era di quelle che si trovano nei grandi magazzini per sette dollari. Anche se aveva gli occhiali da sole nonostante il sole non fosse ancora sorto. Anche se sembrava in tutto e per tutto una fantasia divenuta realtà di motociclista-cattivo ragazzo.
Nossignore. Erano sul suo territorio, diamine. Nella Riserva di Jenny. Non si sarebbe lasciata intimorire, punto e basta.
Raddrizzò le spalle, mostrò loro l’espressione da non-osate-mettervi-contro-di-me e non cedette di un passo. E poi si rese conto di ciò che aveva detto Billy.
Conosceva il suo nome.
Partendo dalla nuca, la pelle d’oca le scese fino alle braccia. Era pronta a scommettere che non l’avrebbe riconosciuta, e invece se l’era presa con il fratello perché non sapeva come si chiamava.
La mia scuola, la mia Riserva, si ricordò ancora una volta prima di schiarirsi la voce. «Okay. Be’, divertitevi col vostro piccolo film, signori.» Si voltò per incamminarsi verso la scuola, ma Bobby la intercettò.
«Non abbiamo risolto il nostro problema.»
«Problema?» intervenne Billy. Jenny sentì la sua voce pervaderla tutta, e ricordò che anche la prima volta che l’aveva visto aveva suscitato in lei quella reazione fisica.
«L’auto di Jennif – Jenny è nell’inquadratura.» Bobby si corresse in fretta, prima che il fratello lo colpisse di nuovo. «Dobbiamo riprenderti mentre arrivi a scuola in moto, col sole che sorge alle tue spalle, e la sua macchina è tra i piedi. Le ho chiesto di spostarla solo per oggi» aggiunse, rivolgendole un altro sorriso sensuale, «ma poiché è presto e non ha ancora bevuto il caffè, non può comprendere il valore di uno spostamento temporaneo del suo veicolo.»
E pensava che una qualche bella frase elaborata e un bel sorriso riuscissero a confonderla? «Solo perché Josey vi ha dato il permesso di girare qui a scuola non significa che abbiate il permesso di intaccare l’educazione dei miei studenti» replicò lei con un sorriso forzato.
A quel punto accadde qualcosa di strano. Billy la scrutò, si chinò su di lei per prendere un profondo respiro. «Lei non beve caffè» dichiarò mentre la donna che Jenny aveva visto prima si avvicinava con una tazza fumante.
Okay, Billy Bolton la stava ufficialmente sconcertando. Per il genere maschile Jenny era stata invisibile per, be’, quanti anni aveva Seth? Già, quattordici anni. Nessuno voleva avere a che fare con una madre single, e tanto meno con una mezza squattrinata e pellerossa come se non bastasse.
Ma Billy? Non solo aveva prestato attenzione al suo nome, e al suo profumo. Stava