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Silenzi
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Silenzi

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About this ebook

Quella notte è successo qualcosa di cui nessuno ha mai voluto parlare. Per Sloane è arrivato il momento di scoprire gli oscuri segreti della sua famiglia.
Sloane ha cinque anni e non riesce a dormire: i genitori stanno litigando di nuovo e le loro dure parole congelano quella già fresca notte autunnale. Poi il tonfo, il silenzio e la mattina dopo la madre non c'è più. Ora, dopo anni e migliaia di chilometri di distanza dalla casa in cui è cresciuta, Sloane McBride, diventata una modella di successo, sente che è arrivato il momento di affrontare i dubbi che ancora la angosciano riguardo a quanto avvenuto quella notte e al ruolo del padre nella vicenda. L'improvvisa morte del suo amico e agente, la convince definitivamente a lasciare New York e a tornare nella piccola cittadina in cui ha trascorso la sua infanzia. Qui ripiomba in una realtà che si rivela piena di segreti e bugie, dove nessuno è fino in fondo chi dice di essere. La verità travolgerà Sloane, insieme alla famiglia McBride e all'intera comunità che li circonda.
LanguageItaliano
Release dateJan 7, 2020
ISBN9788830511194
Silenzi
Author

Brenda Novak

Autrice americana, vive a Sacramento con la famiglia. I suoi romanzi da sempre incontrano i favori della critica e l'entusiasmo di migliaia di lettrici.

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    Silenzi - Brenda Novak

    successivo.

    1

    Cimitero di Bayside

    Queens, New York

    Sin da quando Sloane McBride aveva memoria, era sempre stata definita una regina dei ghiacci. Anche le persone che le erano più vicine, anzi, specialmente loro, si lamentavano del suo riserbo. La sua altezza, il suo aspetto fisico e la sua professione non la rendevano più avvicinabile, perciò quello che l'avvantaggiava nella carriera le era dannoso a livello personale. Sentiva alcuni mormorare epiteti come altezzosa, superba o scostante – e sapeva che si riferivano a lei. Nessuno sembrava capire che non aveva deciso di essere fredda. Era semplicemente una conseguenza di quello che aveva passato.

    Non ne parlava mai, però. Cercava di non pensare neanche alla sua infanzia. Ma aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe dovuta tornare nella cittadina del Texas dov'era cresciuta e, ora che non c'era più Clyde, aveva la sensazione di non poter più continuare a fuggire dal passato. Quando era mancato Clyde, aveva perso il suo porto sicuro – almeno dal punto di vista emotivo – lì negli Hamptons, e non aveva più una scusa per rimanere a New York.

    «Dio, quanto mi mancherai!» mormorò, accovacciandosi con la massima grazia che le permettevano il vestito nero e i tacchi, per sistemare i fiori che adornavano la sua tomba. Tutti quelli che lo conoscevano avevano perso un grande amico con la sua morte, come aveva dimostrato il suo funerale in una chiesa gremita. Ma nessuno avrebbe sentito la sua mancanza più di lei. L'aveva presa sotto la sua ala protettrice praticamente quando si erano conosciuti e lei aveva appena diciotto anni, senza mai tentare di cambiarla, e senza mai criticarla. Quando si isolava durante una delle tante feste di Clyde, lui spesso andava a cercarla ma non la costringeva a tornare in mezzo alla folla da cui era fuggita. Si limitava a stringerle la mano e a chiederle: «Che hai?».

    A volte Sloane glielo diceva e a volte no, ma lui non insisteva mai comunque. Era uno degli aspetti che più apprezzava in lui. Sentenziava l'acqua cheta rompe i ponti o diceva qualcos'altro che la faceva sentire accettata per quella che era, poi tornava dagli altri amici e continuava a chiacchierare e ridere fino a notte fonda, accogliendola con una semplice strizzatina d'occhio se le capitava di rientrare nella stanza.

    Non era pronta ad andare via dal cimitero e lasciarlo. Una vita intera senza di lui era una prospettiva devastante. Ma i suoi cinque figli e i rispettivi coniugi – almeno quelli che li avevano – erano fermi sotto il gazebo lì vicino a bisbigliare tra loro, e dalle loro espressioni Sloane capì che cominciavano a spazientirsi per il suo lungo indugio davanti alla tomba. Non avevano mai approvato il suo rapporto con il padre. Al funerale aveva sentito la figlia minore, Camille, bisbigliare a un'amica di famiglia: «Sono sicura che andavano a letto insieme. Le era così affezionato! Secondo me voleva bene a lei quanto ne voleva a noi».

    «Ma certo che andavano a letto insieme» aveva assentito l'amica.

    Sloane era stata tentata di smentirle. Invece aveva spinto gli occhiali da sole più in alto sul naso con un dito e cercato d'ignorare loro e tutte le altre persone che sicuramente facevano le stesse congetture. Era probabile che non le avrebbero creduto se avesse insistito che lei non era la solita ragazza che cercava di approfittarsi di un ricco uomo maturo. Sì, effettivamente tra loro c'erano venti anni di differenza e, sì, erano molto legati. Clyde era stato il suo amico, il suo confidente e mentore nonché il suo agente, e persino il suo padrone di casa. Sloane abitava nel piccolo cottage dietro la sua villa sin da quando lui l'aveva convinta a lasciare il bar di Portland dove lavorava, quando era arrivato in città per il funerale della sua ex moglie. Però non era mai stato l'amante di Sloane. Non aveva mai accennato a un suo possibile interesse in tal senso e neanche lei nutriva sentimenti di quella natura per lui.

    Si rimise in piedi, con un nodo in gola che minacciava di soffocarla. Però aveva molto da fare e non poteva pensare alla sua perdita né al dolore che provava. Era sopravvissuta fino ad allora guardando sempre avanti, mai indietro, e l'attendevano delle giornate impegnative. Doveva fare i bagagli e trasferirsi. La proprietà di Clyde sarebbe stata divisa fra i suoi eredi, le stesse persone che ora aspettavano che se ne andasse. Le avevano dato il preavviso già da mesi informandola che intendevano mettere in vendita la casa non appena Clyde fosse morto.

    Strinse più forte la borsetta con la sinistra mentre si girava, per poter salutare con la destra. Non era facile affrontare la famiglia di Clyde neanche per quel breve istante. Si sentiva investita dall'uragano della loro disapprovazione che minacciava di farla volare via direttamente fuori dal cimitero.

    Solo un paio si presero la briga di fare un cenno in risposta, e comunque il loro saluto fu poco convinto.

    Non importa, si disse. Clyde aveva voluto bene a tutti loro, e per questo li avrebbe sempre trattati con educazione. Aveva anche rispettato il loro volere per la casa.

    Anche se Sloane aveva guadagnato più che bene da quando era venuta a New York e nonostante avesse tentato di convincerlo a non farlo, Clyde aveva lasciato a lei una parte del suo ingente patrimonio. Non quanto a ognuno dei figli, ma comunque una somma considerevole. Forse era quello il motivo per cui sembravano detestarla ancora di più dopo la sua morte, ma lei avrebbe accettato il suo dono perché era ciò che lui avrebbe voluto. Le aveva detto che le era grato per le ore di discorsi profondi che aveva avuto con lei nel corso degli anni, per i viaggi insieme a fare immersioni alle Hawaii, negli atolli delle Maldive e in Australia, per le risate fino a tarda notte e per tutte le cose difficili che Sloane aveva dovuto fare per occuparsi di lui negli ultimi quattordici mesi, mentre lottava contro il cancro alla prostata. Nessuno dei figli si era prestato per dare una mano per più di qualche ora sparsa. Erano troppo impegnati. Avevano proposto di assumere un'infermiera, ma Sloane si era rifiutata di affidarlo alle cure di un'estranea per evitare che Clyde si sentisse messo da parte, ora che era invalido, mentre tutto il resto del mondo continuava ad andare avanti.

    Per scongiurare il pericolo, Sloane aveva rinunciato alla carriera. Era terribile sapere che Clyde aveva i giorni contati e voleva trascorrere più tempo possibile con lui. Comunque non avrebbe lavorato ancora per molto. Fare la modella non era più divertente senza di lui. Era bravissimo a guidarla da una vetta del mondo dell'alta moda alla successiva, e Sloane non riusciva a concepire di continuare con un altro che potesse sostituirlo. Era stato il suo intervento a tirarla fuori da una condizione disperata all'inizio; Clyde le aveva dato una parvenza di vita che poi si era rivelata invidiabile, almeno a giudizio di molti. Sfilare per marchi come Prada, Gucci e Dolce & Gabbana era sicuramente prestigioso, almeno da fuori. Sloane era grata per i risultati ottenuti, ma in quel momento le sembrava che quel capitolo newyorkese della sua vita si fosse concluso con la morte di Clyde. Perciò aveva deciso infine di chiudere anche il capitolo lasciato incompiuto – quello di Millcreek. Quello da cui era fuggita tanti anni prima. Lo doveva a sua madre.

    E, chissà, magari il suo istinto aveva avuto torto. Forse lo doveva anche a suo padre e a suo fratello, di scoprire la verità e fugare ogni sospetto.

    Il cellulare squillò mentre saliva a bordo della Jaguar. Il numero che la chiamava aveva un prefisso del Texas.

    Sloane fissò lo schermo aggrottando le sopracciglia.

    Doveva essere il nuovo padrone di casa. Era l'unico a sapere del suo arrivo imminente, a parte Paige Patterson – ora Paige Evans – la sua migliore amica dei tempi delle superiori, con cui aveva riallacciato i contatti l'anno prima grazie ai social.

    Rimase con il dito sopra il pulsante per rispondere. Il pensiero di rimettere piede a Millcreek le faceva già serrare lo stomaco. Era pronta a tornare a casa?

    No, ma forse non lo sarebbe mai stata, e dubitava di poter trovare un momento migliore per affrontare suo padre. Era arrivata a un momento di pausa naturale nella carriera. Aveva i mezzi economici per mantenersi senza lavorare e, grazie alla forza che le aveva dato il sostegno incrollabile di Clyde, ora aveva la determinazione di trovare finalmente le risposte che cercava – a qualunque costo.

    O, almeno, sperava di averne la forza. Suo padre aveva inculcato in lei e in suo fratello maggiore il principio che la lealtà era più importante di tutto, anche della verità. Sarebbe stata in grado di opporsi a lui?

    Fatto un respiro profondo, rispose: «Pronto?».

    «Signorina McBride?»

    «Sì?» Da lontano vedeva la famiglia di Clyde che si radunava intorno alla lapide come se tutti avessero aspettato solo che lei si togliesse dai piedi per potersi avvicinare.

    «Sono Guy Prinley.»

    Il suo nuovo padrone di casa, come aveva immaginato. Sloane si sforzò di calmarsi. Avrebbe dovuto imparare a mantenere il controllo molto di più per poter resistere a Millcreek. «Cosa posso fare per lei, signor Prinley? Non mi dica che non ha ricevuto la cauzione e due mesi di affitto! Ho inviato l'importo ieri mattina con PayPal.»

    Due settimane prima aveva cercato online un posto in cui alloggiare a Millcreek al suo ritorno. Clyde era debolissimo. Sloane sapeva che ormai era questione di giorni, forse ore, e che ben presto sarebbe stata costretta a trasferirsi. Ma nella sua città natale non c'erano molte abitazioni disponibili e nessuna villetta unifamiliare, e invece lei aveva bisogno di uno spazio tutto per sé per evitare di perdere sia la determinazione sia la ragione. Aveva temuto di dover comprare una casa o addirittura farla costruire, cosa che avrebbe portato via molto più tempo e sarebbe stata una bella seccatura. Ma poi aveva parlato con Paige che le aveva detto che Hazel Woods, l'ex insegnante di pianoforte di Sloane, ormai ottantenne, stava per trasferirsi in una casa di riposo e il genero – Guy Prinley, appunto – intendeva dare in affitto la sua casa in stile spagnolo, isolata e con due camere e due bagni, nonché una grande sala musica. Sloane si era convinta nell'istante in cui aveva saputo che c'erano anche una cucina moderna e ampie verande ombreggiate dai rampicanti e dagli alberi che nascondevano la casa alla vista.

    «Sì. La chiamo solo per informarla che le ho riaccreditato l'importo» disse lui.

    «Riaccreditato?» ripeté Sloane.

    «Sì, mi dispiace. Non sapevo che mia moglie avesse già un'altra persona interessata.»

    Sloane s'irrigidì sul sedile di pelle. Essere interessata non significava che la casa era già stata impegnata, perciò perché lui si sarebbe tirato indietro? «Ma come? Ho firmato il contratto che mi ha inviato per e-mail prima di mandarle i soldi. Ha ricevuto anche quello, no?»

    Lui tossicchiò, chiaramente a disagio. «Sì. Ascolti, non so che cosa dire. Non posso affittarle la casa, okay?»

    «Ma l'ha già fatto!»

    «Lei ha firmato solo ieri. Non avrà neppure avuto il tempo di fare i bagagli. Può trovare qualcos'altro. E comunque non sono sicuro che la firma digitale sia legalmente vincolante.»

    «Non voglio trovare qualcos'altro. E le assicuro che la firma digitale è vincolante, signor Prinley. Altrimenti non la utilizzerebbe nessuno in campo immobiliare. Perciò mi dica qual è il vero problema. Non ha senso.»

    «La richiamo» disse lui, e chiuse la comunicazione prima che Sloane avesse avuto modo di esprimergli tutta la sua indignazione.

    Sloane lasciò cadere il cellulare in grembo. Quel giorno non aveva emotivamente la forza di affrontare una cosa del genere. Aveva appena seppellito il suo migliore amico!

    Rimase seduta con una mano premuta sulla fronte a chiedersi che cosa fare, finché notò che i parenti di Clyde continuavano a lanciarle occhiate, come se fossero infastiditi dal fatto che non fosse ancora andata via.

    «Oh, Cristo santo! Vado, vado» brontolò. Mentre usciva in retromarcia dal parcheggio chiamò Paige con il Bluetooth.

    «Ehilà! Sei già arrivata?» le chiese Paige.

    Sloane regolò la bocchetta del condizionatore in modo che l'aria le arrivasse dritta addosso. Erano nel pieno di un'insopportabile ondata di afa. «No. Sono ancora a New York.»

    «Allora verrai questo finesettimana?»

    «Veramente non so quando riuscirò ad arrivare.»

    «Che vuoi dire? Hai affittato una casa.»

    «È questo il problema. Non è chiaro se ho la villetta o no. Ho appena ricevuto una strana telefonata dal padrone di casa.»

    «Strana in che senso?»

    «In pratica mi ha detto che non può più affittarmela perché sua moglie l'ha promessa a qualcun altro.»

    «Anche l'altra persona ha firmato il contratto?»

    «Non ne ho idea.»

    «Perché se sei l'unica ad avere firmato, la casa è tua. Non può cambiare idea.»

    «È quello che gli ho detto!»

    «E lui che ha risposto?»

    «Niente. Ha chiuso in fretta la telefonata.»

    Ci fu una pausa. «E che cosa intendi fare?»

    Sloane si massaggiò la tempia sinistra mentre guidava. Aveva un principio di mal di testa causato dal nodo in gola e dal senso di costrizione al petto per le lacrime trattenute a forza. «Non lo so.» Ricordò le occhiatacce che le avevano rivolto i figli di Clyde e non poté fare a meno di sentirsi mortificata. «Devo andare via al più presto dal posto in cui abito ora ma preferirei non dovermi trasferire due volte in un mese. È già abbastanza faticoso.»

    «Perché non vieni da me? Puoi appoggiarti a casa mia e trattare con quel cretino del tuo padrone di casa, o trovare un'altra sistemazione da qui. Sarà molto più facile non cercare di organizzare tutto a distanza.»

    Il nodo che serrava la gola di Sloane la strinse ancora di più. Aveva la tentazione di accettare al volo l'offerta generosa di Paige, ma si sentiva in colpa. Dopo il diploma aveva voltato le spalle a Paige come a tutti gli altri ed era andata via senza più guardarsi indietro. Aveva dovuto tagliare completamente i ponti con Millcreek, altrimenti sapeva che non sarebbe mai riuscita a scappare. Suo padre avrebbe tentato di sfruttare quelli a cui Sloane teneva per manipolarla.

    Però Paige e gli altri che aveva fatto soffrire non capivano la scelta terribile che era stata costretta a fare, né il motivo. Forse Paige aveva avuto il sentore di qualcosa, perché ogni tanto avevano parlato della madre di Sloane, ma non poteva individuare con precisione il sospetto che si era radicato in lei e che la tormentava sin da quando aveva cinque anni. «Sicura di avere spazio per ospitarmi?»

    «Sloane, sono divorziata. Micah mi ha lasciato la casa. Mi ha dato tutto, più di quanto avessi chiesto.»

    Sentendo nominare Micah Evans, Sloane strinse istintivamente il volante. Non poteva fare a meno di avvertire una fitta allo stomaco... anche dopo tutto quel tempo. Micah aveva sposato Paige pochi mesi dopo che Sloane era andata via da Millcreek. Il suo ragazzo e la sua migliore amica – un cliché stantio, eppure assolutamente inatteso.

    Avrebbe dovuto immaginarlo, presumibilmente. Sapeva che Paige aveva un debole per Micah, si capiva da come si comportava quando lui era nei paraggi. Ma tante ragazze a scuola avevano una cotta per lui. Era comprensibile. Micah era pieno di qualità; era bello, intelligente, aveva una forte personalità e doti atletiche in uno Stato in cui il football contava parecchio. Però Sloane non aveva mai pensato che Micah potesse interessarsi improvvisamente a Paige; le era sempre sembrato indifferente nei suoi confronti.

    Che cos'era andato storto nel loro matrimonio? Sloane era curiosa, ma non poteva chiederglielo. Era l'unico argomento che era quasi sicura di non poter mai affrontare con Paige. Aveva abbandonato entrambi senza una parola e senza più contattarli, perciò loro avevano voltato pagina. Sloane non poteva biasimare nessuno dei due per essersi sposati e avere avuto anche un figlio insieme, per quanto questo potesse farla soffrire. Ma, considerato il loro passato comune, non si sarebbero sentiti tutti un po' – o tanto – a disagio?

    «Posso andare in albergo» disse. «Non voglio invadere lo spazio di tuo figlio.»

    «Non ti permetterei mai di andare in albergo, e Trevor ha nove anni» obiettò Paige. «Per lui sarà un'avventura eccitante. E poi io avrei la possibilità di passare più tempo con te da sola. Mi sei mancata» aggiunse più sommessamente.

    Sloane approfittò del fatto che si era fermata a un semaforo per chiudere gli occhi un istante, sforzandosi di arrestare le lacrime che le stavano infine sgorgando dagli occhi. Anche a lei era mancata Paige. Terribilmente. Non aveva mai avuto un rapporto stretto con il padre o il fratello, e sua madre era scomparsa quando era ancora piccola, perciò per lei Paige era stata come una sorella. Ma non poteva permettersi di provare nostalgia, di ammettere il dolore per la loro lunga separazione, perché avrebbe potuto ripercuotersi sulla sua capacità di tenere testa a suo padre, e l'avrebbe influenzata sicuramente.

    Sentì un colpo di clacson dietro di lei. Era scattato il verde. Lanciò una rapida occhiata allo specchietto retrovisore e pigiò sull'acceleratore della Jaguar. «Non vorrei disturbarti» disse a Paige. E non avrebbe voluto neppure appoggiarsi troppo all'amica. Doveva essere in grado di andarsene di nuovo quando fosse stata pronta. Non poteva permettersi di affondare nelle sabbie mobili sentimentali che rischiavano di risucchiarla e rendere tutto più difficile. Andare via dieci anni addietro era stata la cosa più dura che avesse mai fatto; non voleva rendere quel peso ancora più gravoso.

    «La vita è breve» dichiarò Paige. «Contano solo le persone a cui teniamo. Vieni a stare da me. Fatti aiutare a sistemarti.»

    Sloane poteva quasi sentire la presenza di Clyde che la esortava ad approfittare di quell'occasione. Era sempre stato molto più bravo di lei nei rapporti umani, sempre pronto a esporsi mentre lei si tratteneva. Forse avrebbe dovuto imparare ad azzardare di più, ma non riteneva prudente rischiare di stringere dei legami troppo intimi, specialmente a Millcreek, dove il suo futuro era tanto incerto.

    Malgrado avesse delle riserve, sentì la propria voce che accettava. Dopo quello che aveva appena detto Paige, sarebbe stato maleducato insistere per andare in albergo ed era contenta di avere la possibilità di ricostruire il loro rapporto, almeno per poter smettere di vergognarsi quando ricordava le difficoltà che c'erano state tra loro durante l'ultimo anno delle superiori.

    Una volta presa la decisione, si sentì invadere da una mescolanza di emozione e agitazione che le diede energia. «Non vedo l'ora di conoscere Trevor.» Era vero, pur sapendo che sarebbe stato doloroso. Se fosse rimasta a Millcreek, forse avrebbe sposato Micah e allora sarebbe stata lei a dargli un figlio...

    «È un bambino adorabile» disse Paige. Dalla sua voce traspariva tutto l'affetto che provava per lui. «Sono sicura che ti piacerà.»

    Assomigliava a suo padre?

    L'avrebbe scoperto presto.

    «Mi ci vorrà qualche giorno per fare i bagagli. Noleggerò un deposito a Dallas in cui tenere le mie cose e da te porterò solo una valigia. Poi, quando avrò capito come vanno le cose con la casa che avrei affittato, o se ne prenderò un'altra, mi farò consegnare tutto.»

    «Cosa farai dell'auto?»

    «Verrò in macchina.»

    «Fino in Texas? Ci metterai una vita.»

    «Non devo metterci un giorno, e nemmeno due. Mi fermerò a dormire quando mi stancherò.»

    «Se preferisci così.»

    Sloane avrebbe sfruttato le lunghe ore del viaggio per prepararsi mentalmente a quello che l'aspettava. «Ti ringrazio veramente per il tuo aiuto.»

    «Di nulla. Sei la benvenuta qui, lo sarai sempre

    «Dovrei arrivare fra una settimana, dieci giorni. Ti chiamerò per dirti la data esatta fra qualche giorno.»

    Sloane stava per salutarla quando Paige la bloccò. «Tuo padre sa che vieni?»

    «Non ancora.» Lei non gliel'aveva detto, ma aveva il sospetto che gli fosse giunta la voce. Suo padre era una persona importante in città, anzi la più importante. Il fatto che fosse scappata a diciotto anni senza farsi più vedere, se non sulle riviste di moda, era stata una notizia eclatante in una cittadina tanto piccola. Probabilmente suo padre aveva detto a tutti che era come sua madre: volubile, inaffidabile, egoista, vanesia. Aveva definito Clara in quel modo molte volte. Ormai Sloane sapeva che essere come sua madre per lui non era un complimento.

    Comunque, se qualcuno in città aveva saputo del suo ritorno, di sicuro Ed ne era stato informato. Forse era stato addirittura Guy Prinley a dirglielo. Questo avrebbe spiegato il motivo del suo improvviso voltafaccia. Sarebbe stato tipico di suo padre volerla punire per essersi rivoltata contro di lui a suo tempo.

    «Allora non ne farò parola.»

    Sloane imboccò il lungo viale d'accesso che conduceva all'imponente villa in stile Tudor francese e vi girava intorno per portare al suo cottage. «Non può farti niente perché mi ospiterai, vero?»

    «Come? Perché dovrebbe farmi qualcosa?»

    Paige era la proprietaria di Little Bae Bae, una boutique in centro che vendeva giocattoli e abbigliamento per bambini piccoli. Non era in debito con Ed per il lavoro né per altro, almeno per quello che sapeva Sloane.

    «No, niente, lascia perdere. Oggi c'è stato il funerale di Clyde e non sono in me. Ci sentiamo dopo.»

    «Okay» disse Paige, e Sloane terminò la telefonata. Non voleva credere che suo padre avesse potuto cercare d'impedirle di avere la casa della Woods, ma ora che le era venuta in mente quella possibilità, non riusciva a smettere di pensarci.

    Specialmente perché Ed aveva sempre avuto qualcosa, una mancanza di coscienza o di sensibilità, che la spaventava.

    2

    Sloane impiegò due settimane a imballare tutto e mandare le sue cose in un deposito a Dallas, a un'ora e mezza di auto a est di Millcreek. In città non c'erano depositi. I traslocatori avevano un grosso camion ingombrante, grande quasi quanto un TIR, eppure consegnarono gli effetti personali di Sloane prima del suo arrivo. Si fermò a dormire in diversi Stati lungo il tragitto e si fermò a Dallas per due giorni.

    Stava rimandando il ritorno a casa, e lo sapeva. Aveva perso la villetta di Hazel Woods; non se la sarebbe aggiudicata anche se le era sembrata perfetta. Aveva tutti i diritti legali e avrebbe potuto fare causa al padrone di casa. Però, anche se l'aveva fatta infuriare, Prinley le aveva restituito i soldi, perciò almeno non ci aveva rimesso, e non voleva trascinarlo in tribunale. Era già circondata da abbastanza negatività e non vedeva motivo per costringerlo a darle le chiavi. Sollecitata da Paige, aveva deciso di fermarsi a casa sua per la prima settimana, finché non avesse potuto esaminare più a fondo le opportunità in fatto di alloggi.

    Per il caldo indossava un abito a tunica senza maniche grigio talpa a pois bianchi, e sandali bianchi. Il condizionatore della Jaguar funzionava a dovere, eppure era umidiccia per il sudore quando, giovedì, si fece guidare dal GPS fino ad arrivare a una casa in mattoni a un piano con la porta nera come le persiane, situata dietro il campo da baseball dove probabilmente suo padre giocava ancora in una squadra amatoriale.

    Era quasi l'ora di cena. Sloane voleva arrivare dopo che Trevor era andato a letto. Pensava che fosse più prudente ritrovarsi con Paige, aver modo di parlare con la sua vecchia amica e riallacciare i rapporti prima di conoscere il figlio e dover affrontare le emozioni che avrebbe potuto suscitarle.

    Parcheggiò lungo il marciapiede e spense il motore, guardando con trepidazione la finestra panoramica della facciata. Non aveva l'impressione che Micah e Paige fossero ricchi quando si erano sposati, ma si vedeva che erano benestanti. Potevano contare sugli introiti di Paige al negozio e sullo stipendio da poliziotto di Micah. Secondo Paige, ambiva a diventare capo della polizia un giorno, e sembrava che avesse buone possibilità. Paige diceva che era il candidato favorito per quando si fosse liberato il posto, di lì a una decina di anni o forse due, e Sloane non ne era sorpresa. Aveva sempre previsto che Micah avrebbe fatto qualcosa di buono. Era estremamente capace, anche a diciotto anni.

    Vide muoversi la tendina. Era stata avvistata.

    Si preparò mentalmente all'assalto dei ricordi che la stavano già investendo come frecce, poi prese la borsetta e la bottiglia di vino che aveva portato, e scese dalla vettura.

    La porta si aprì e Paige le andò incontro correndo. «Sloane! Bentornata!»

    Sloane resistette all'impulso di risalire in macchina e darsi alla fuga. Voleva bene a Paige, aveva sentito la sua mancanza, ma quello che provava nei confronti della sua migliore amica era diventato complicato prima della sua fuga. Dopo così tanto tempo i suoi sentimenti si erano mescolati agli strascichi di quelli che nutriva per Micah e alla sua riluttanza ad accettare Millcreek in generale. «Ciao. Grazie di avermi permesso di venire da te.»

    Paige l'abbracciò con calore. «Permesso? Ma certo! Sono felicissima di essere riuscita a convincerti. Dopo che te ne sei andata in quel modo, sicuramente sei titubante all'idea di rivedere tuo padre e tuo fratello, altrimenti saresti andata a stare da uno dei due. In questo modo avrai un posto tranquillo in cui fermarti prima di decidere la sistemazione che ti è più consona.»

    «Lo apprezzo molto. Non mi tratterrò troppo tempo.»

    Paige prese la bottiglia che le offrì Sloane. «Non resterai in città almeno un anno?»

    «Forse non così tanto. Vedremo come andrà.» Se possibile, sarebbe andata via prima. La sua intenzione era quella di rimanere a Millcreek finché non avesse potuto stabilire che cos'era accaduto a sua madre ventitré anni addietro. Non aveva idea di quanto sarebbe stato complicato risolvere quel mistero ma immaginava che non sarebbe stato facile. Poco dopo essersi trasferita a New York, aveva assunto un investigatore privato che aveva fatto delle ricerche in tutti i database a cui aveva accesso e non aveva scoperto nulla. Le aveva detto che era come se fosse svanita nel nulla. Le aveva proposto di venire a Millcreek per parlare con tutti quelli che conosceva per cercare di rintracciare Clara in quel modo, insistendo che fosse il passo successivo più logico. Però era un passo che Sloane non era ancora disposta a fare; significava superare il sottile confine che divideva il cercare sua madre e l'indagare su suo padre, perciò l'aveva bloccato. E lui era l'unica persona che avesse fatto qualche ricerca.

    Secondo Ed era scappata; essendo considerato un ricco e autorevole pilastro della comunità, nessuno a Millcreek aveva mai osato obiettare, neppure la polizia – almeno, per quello che ne sapeva Sloane. Ora che era sindaco e poteva influenzare licenziamenti e promozioni degli agenti del distretto, Sloane dubitava che la situazione potesse cambiare.

    Nessuno aveva mai chiesto a Sloane quello che aveva visto e sentito quella notte. Poiché all'epoca aveva solo cinque anni, probabilmente si dava per scontato che non avesse alcun contributo sostanziale da fornire. E lei non era sicura che avrebbe aperto bocca anche se le avessero chiesto che cosa ricordava, perché aveva troppa paura di suo padre e incerta sulla natura dei rumori che aveva udito. Cavoli, temeva ancora adesso che il padre fosse pericoloso come pensava, o di opporsi apertamente a lui per poi scoprire che effettivamente sua madre era instabile e irresponsabile come lui sosteneva, e li aveva abbandonati.

    Sloane non sapeva se fosse peggio scoprire di avere torto o di avere ragione, almeno per i rapporti con le persone che le erano rimaste della famiglia. Suo padre non l'avrebbe mai perdonata per avere dato voce al profondo e oscuro sospetto che si annidava in lei, ancor meno se avesse fatto qualcosa di più. Forse era per quello che aveva impiegato dieci anni a trovare la forza di tornare. Se solo suo fratello avesse ricordato qualcosa di quella notte, Sloane avrebbe potuto rivolgersi a lui per avere dei chiarimenti e qualche informazione utile. Avrebbe avuto l'opinione di qualcuno a cui affidarsi. Ma Randy era a dormire da un amico quando la madre era andata via. Ed era tanto legato al padre che non avrebbe mai contemplato la possibilità che aveva provocato a Sloane degli incubi terribili, in cui vedeva suo padre scavare una tomba in giardino e poi salire lentamente le scale per venire a prendere lei.

    «Almeno avremo qualche mese da trascorrere insieme.» Paige le prese le mani e le strinse. «Sei stupenda! Ma guardati, diventi sempre più bella con il passare del tempo.»

    Paige non raggiungeva il metro e sessanta, ed era molto più bassa di Sloane, che svettava dall'alto del suo metro e ottanta. La madre di Paige le prendeva sempre in giro dicendo che assomigliavano a due personaggi della serie televisiva L'isola di Gilligan, l'ingenua Mary Ann e la sofisticata Ginger. Paige era come Mary Ann, la tipica ragazza della porta accanto, anche se non era bruna ma una bionda con le lentiggini, e Sloane era Ginger, nonostante non le assomigliasse neppure lei, con i suoi capelli castano scuro, occhi ambrati e carnagione olivastra, che doveva alle origini greche della madre. Sloane supponeva che la mamma di Paige si riferisse alla loro corporatura e alla personalità in generale. Aveva sempre avuto l'impressione che alla signora Patterson dispiacesse il fatto che Paige non attirasse l'attenzione come faceva lei, ma di questo i Patterson avrebbero dovuto solo esserne contenti. Paige era carina ma poteva confondersi tra la folla se non voleva farsi notare, oppure andare al centro commerciale, al cinema o a ballare restando nell'anonimato. Invece Sloane spiccava sempre in mezzo alla gente e non riusciva mai a scomparire.

    «La maternità ti dona» osservò Sloane.

    «Mi piace moltissimo essere madre.» Neanche a farlo apposta, Paige si girò e attirò l'attenzione di Sloane verso l'ingresso della casa, dove c'era un bimbo che le sbirciava. Doveva essere Trevor.

    «Vieni.» Paige gli fece cenno di avvicinarsi. «Vieni a conoscere la migliore amica della mamma. Hai presente, come te e Spaulding che state sempre insieme?»

    Il bambino annuì avvicinandosi.

    «Be', io sono cresciuta con Sloane. Eravamo inseparabili alle elementari, alle medie e... per buona parte delle superiori.»

    Finché Paige non si era innamorata di Micah dopo che Sloane usciva già con lui. Micah aveva creato dei problemi nel loro rapporto. Il modo in cui la voce di Paige si affievolì alla fine della frase fece capire a Sloane che anche lei lo ricordava, e fu leggermente a disagio per questo. Temeva che fosse stato un errore andare da lei, ma era troppo tardi per cambiare idea.

    «Sei un bambino veramente bello» disse Sloane, e si sentì sciogliere non appena gli occhioni azzurri di Trevor, così simili a quelli del padre, incrociarono i suoi.

    «Wow!» esclamò. «Sei altissima

    Le capitava spesso di suscitare quella reazione. La gente spesso la fissava quando passava, fischiava o mugugnava un commento sulla sua altezza. «Sì, sono sempre stata alta. Mi sembra che anche tu lo sia, per la tua età.»

    «Sì.» Paige gli strattonò scherzosamente il berrettino da baseball. «È il bambino più alto della sua classe.»

    «Il mio papà è uno e novantacinque» disse Trevor con orgoglio. «È anche più alto di te

    Sloane annuì. «Sì.»

    Trevor strizzò leggermente gli occhi mentre la guardava. «La mia mamma ha detto che siete andate a scuola insieme e che conosci papà.»

    Sloane dovette fare uno sforzo per continuare a sorridere. Non si era aspettata di avvertire una simile fitta di dolore in pieno petto. «Sì, è vero.»

    Trevor girò la testa e alzò lo sguardo verso la mamma. «Allora possiamo invitare a cena anche papà?»

    Paige si schiarì la gola. «Stasera no, tesoro. Sono sicura che ha da fare.»

    «No. Sta per andare via dalla centrale. Ci ho appena parlato.»

    «Magari un'altra volta» borbottò, esortandolo ad avviarsi mentre si dirigevano verso la casa.

    «Ho fatto le enchilada di pollo» disse a Sloane. «Avevo voglia di un bel Margarita, perciò ho deciso di cucinare qualcosa di messicano.»

    «Fantastico. Non si trova mai del buon cibo messicano a New York, non come qui.»

    «Ti darò la ricetta.»

    Paige la fece accomodare in un ambiente che era soggiorno e sala

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