Il tuo cuore mi cambia: Harmony Destiny
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Charlene Sands
Risiede nel sud della California con il marito e i loro due figli. Scrittrice dotata di grande romanticismo, è affascinata dalle storie d'amore a lieto fine ambientate nel Far West.
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Il tuo cuore mi cambia - Charlene Sands
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Redeeming the CEO Cowboy
Harlequin Desire
© 2014 Charlene Swink
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-736-3
1
Non appena vide il SUV svoltare l’angolo e imboccare la strada, Susanna Hart provò una stretta al cuore. Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato: Casey Thomas era tornato.
Stringendo per mano la nipotina Ally, rimase a osservare la palla, che la piccola aveva lanciato, fermarsi sul prato davanti all’ingresso della casa dove Casey era cresciuto. Si asciugò il sudore dell’altra mano sui jeans, maledicendo il pessimo tempismo di quell’uomo. «Accidenti» borbottò tra sé.
Immediatamente, Ally alzò gli occhi su di lei. Susanna si stampò in faccia un sorriso finto, recuperò la palla e la porse alla bimba di due-anni-quasi-tre. «Ecco qui, Pasticcino.»
La preoccupazione svanì dal viso della piccola, che ridacchiò divertita. «Non tono un paticino» protestò stringendo la palla al petto, «io facio i paticini, cia.»
Susanna appoggiò un dito al lato della bocca. «Oh, giusto, hai ragione. Dimenticavo: sei la mia aiutante più brava.»
Il sorriso di Ally si allargò. Poverina. Da quando era andata a vivere con lei, un mese prima, Susanna aveva fatto di tutto per metterla a proprio agio e farle sapere che era amata e desiderata; la bimba aveva già abbastanza problemi senza doversi preoccupare anche degli improvvisi attacchi di panico della zia Susie.
Anche se non avesse riconosciuto il biondo che le aveva spezzato il cuore e tolto la verginità dieci anni prima, le sarebbe bastato guardare la macchina per immaginare che si trattasse di lui: il SUV lucidato a specchio non poteva di certo appartenere a Meadow Drive nella periferia di Reno. E nemmeno vi apparteneva Casey Thomas, non più.
Inchiodata sul posto, cercò di recuperare una qualche misura di disinvoltura. Non avrebbe dovuto essere tanto difficile; negli ultimi dieci anni, aveva incontrato Casey una manciata di volte: quando lui era tornato per il funerale del padre di Susanna, o quando si era rotto la schiena in un rodeo e lei, essendo la migliore amica di sua sorella Audrey, l’aveva accompagnata in ospedale, o ancora quando si erano incrociati al Sunset Ranch, dopo che Audrey aveva avuto la piccola Ava Kasey Slade. E in tutte quelle occasioni avevano finto che l’incidente non fosse mai avvenuto.
Quando la macchina si fu fermata, la portiera del conducente si aprì e ne uscì un bastardino della taglia di un bracchetto, che saltò sul vialetto tutto scodinzolante. Ally immediatamente agitò le braccia, eccitata. «Bau!»
Il cucciolo si lanciò loro incontro agitando la coda come un ossesso.
«Charger!» tuonò però la voce di Casey.
Senza un attimo di esitazione, Susanna prese in braccio Ally, spronata non tanto dall’entusiasmo del cane, quanto dal tono minaccioso del suo padrone.
«Mi dispiace» riprese Casey, abbassando la voce. «In realtà è abbastanza innocuo, solo un po’ troppo esuberante.» Si issò fuori dall’abitacolo, i movimenti impercettibilmente più rigidi rispetto a qualche tempo fa, quando era il principe dei rodei. «Non volevo che spaventasse la bambina. Vieni qui, Charger.»
La coda gli crollò tra le zampe prima di trotterellare indietro verso il padrone.
Il cucciolo e Casey avevano due cose in comune: la peluria bionda arruffata e gli occhi guizzanti. Casey avanzò fino al vialetto che divideva in due il prato e si fermò, quasi si fosse trovato dinanzi a una barriera. «Ciao, Susanna.»
Lei arricciò le punte dei piedi nudi sull’erba ispida. Con una camicia color ruggine infilata in un paio di pantaloni beige, era sempre il solito, irresistibile Casey, anche se forse un po’ più raffinato; il sole gli illuminava il volto abbronzato e il sorriso brillante. «Ciao.»
Lui inclinò la testa da una parte. «Immagino che saremo di nuovo vicini di casa.»
Temporaneamente. Quando aveva parlato con Audrey, l’amica non aveva saputo dirle la data precisa del suo arrivo, ma solo che sarebbe rimasto per un mese, al massimo due. Per affari. Per Susanna era stata una pessima notizia da assorbire, anche se era riuscita a non lasciar trapelare alcuna emozione.
«Immagino di sì.»
Casey annuì, il suo sguardo schietto che oltrepassava la barriera virtuale con parole non dette. Parole che Susanna non voleva sentire. Parole che era meglio non venissero mai pronunciate. «Ehm, lei è Ally. Ora vive con me.» Strinse la piccola nell’abbraccio mentre le posava un bacio sulla testa. «Di’ ciao a Casey, Ally.»
Gli occhi della biondina si spostarono dal cucciolo al suo proprietario. «Ciao.»
Casey si avvicinò, infrangendo la barriera immaginaria, e il suo sorriso si allargò. «Ciao, Ally.» Le prese la manina e la strinse dolcemente. «Piacere di conoscerti.»
La piccola riportò l’attenzione su Charger. «Mi pace il tuo bau.»
Chiamato in causa, il cane si issò sulle zampe posteriori per grattare con quelle anteriori i costosi pantaloni di Casey, emettendo una sorta di guaito. «Credo che anche tu gli piaccia.»
«Pocio acaecialo?»
«Dipende da...» Casey guardò Susanna, una domanda che gli brillava negli occhi color cobalto.
«Zia Susie» confermò lei con un cenno del capo. Non era propriamente la zia di Ally, ma quello non era il momento più opportuno per le spiegazioni. «Penso che non ci siano problemi.»
Casey si chinò per sollevare il cane e Ally tese la mano per accarezzargli la testa. «È mobido.»
«Eh già.»
Lime e muschio le riempirono le narici. Quel profumo le ricordava l’ultima volta che erano stati vicini – a casa dei Thomas, sul divano, le sue braccia forti che la stringevano mentre lei piangeva a dirotto. Le immagini la assalirono all’improvviso, vivide come se fossero accadute il giorno prima. Erano passati dieci anni, e Casey le faceva ancora battere forte il cuore.
Se solo non fosse tornato a vivere alla porta accanto. Se solo non fosse stato il fratello di Audrey. Se solo affari importanti non l’avessero riportato a Reno... Susanna si ammonì mentalmente: non aveva tempo per i se solo. Casey Thomas era lì e ci sarebbe rimasto per qualche settimana e lei avrebbe dovuto gestire la situazione, proprio come aveva sempre affrontato tutto ciò che la vita le aveva versato addosso. A modo suo.
«La strada sembra sempre uguale» considerò lui guardandosi intorno.
«Lo è, per la maggior parte.» Susanna viveva nel mezzo: quartiere di classe media, case pulite e curate, ma lungi dalle costose ristrutturazioni permesse dagli introiti di uno stipendio dell’alta borghesia. «La signora Martinez se n’è andata, ora vive in una casa di riposo. Peter Albertson si è sposato appena finito il liceo, ma i suoi vivono ancora qui.»
«Davvero? Allora devo passare a salutarli.»
Susanna sorrise. «Sono sicura che gli farebbe piacere. Randy e Linda sentono molto la mancanza del figlio.»
Casey fissò gli occhi sulla propria casa. Da quando Audrey era andata a vivere al Sunset Ranch, un anno prima, non ci aveva più abitato nessuno. Susanna curava la proprietà e chiamava il giardiniere due volte al mese perché si occupasse del prato.
«Hai sempre la chiave di scorta?» le chiese lui di punto in bianco.
Susanna sbatté le palpebre, e disse con voce più dura di quanto intendesse: «Sì, la rivuoi indietro?».
Cogliendo la sua reazione irritata, Casey le offrì un sorriso tirato. «Nossignora. Ho bisogno di prenderla in prestito» rispose, rimettendo il cucciolo per terra. «La mia l’ho lasciata a Tahoe quando sono partito, stamattina. Me ne sono reso conto una ventina di minuti fa.»
«Oh, certo. Vado a prendertela subito. Andiamo, Ally.»
La bambina, però, le puntò le mani sul petto e si sporse a peso morto verso il cane. «Chage. Chage.»
«Torniamo subito, Pasticcino.»
«Se vuoi la tengo d’occhio io» propose Casey. Si accovacciò per stropicciare le orecchie del cucciolo, e da lì la guardò con quei suoi occhi azzurri pieni di rassicurazione. «Che ne dici?»
Sapeva di potersi fidare di lui – in fondo, aveva praticamente cresciuto Audrey da solo e sapeva cosa fare. No, non era quello il problema; il fatto era che non voleva riallacciare un rapporto troppo stretto col nuovo vecchio vicino di casa. E di certo non voleva che Ally gli si affezionasse.
La piccola, però, le posò le manine sulle guance e la fissò negli occhi. «Pepiacee.» E Susanna si rese conto che non avrebbe dovuto negarle un briciolo di felicità, dopo tutto quello che aveva passato, per orgoglio. Così la poggiò a terra. «D’accordo, allora. Ma fa’ quello che dice Casey e non allontanarti, okay?»
Il cucciolo immediatamente si precipitò ai piedi della bambina, la coda che vorticava come un mulino a vento in un giorno di tempesta.
Stavano già diventando amici.
E questo non era un bene.
Con un sospiro, Susanna tornò verso casa, salì i gradini e si voltò. Vide Ally che rideva felice guardando Charger che si rotolava nell’erba. Casey alzò gli occhi e i loro sguardi si incrociarono; passò un secondo, poi un altro. Non lo voleva lì, era una situazione che avrebbe portato solo guai. Fece una smorfia, liberandosi dalla momentanea presa che lui ancora aveva su di lei, e si infilò in casa.
Al sicuro.
Casey si appoggiò al SUV e incrociò le braccia sul petto, tenendo d’occhio Ally. Il cane si era finalmente calmato e la bambina era seduta di fianco a lui sull’erba, e parlava a raffica. Non avrebbe mai immaginato che una creatura così piccola potesse parlare tanto, eppure Charger la stava ad ascoltare con le orecchie tese e la lingua a penzoloni, come se capisse ogni parola. Audrey gli aveva accennato qualcosa sulla piccola Ally, perlopiù che aveva perso la madre, Rhonda Lee, per colpa della droga. Rhonda Lee e Susanna erano cugine di primo grado; dato che il padre della bambina non rientrava nel quadro, Susanna era la sola persona che avrebbe potuto occuparsene.
Un cigolio lo allertò all’apertura della porta, e lui alzò gli occhi. Susanna scese dal porticato e si incamminò verso di lui, rigida come una tavola, il mento cesellato tenuto bello alto: non l’aveva perdonato, questo era chiaro.
Dieci anni potevano sembrare un’eternità, ma nemmeno Casey aveva scordato la sera che aveva fatto l’amore con lei. L’imbarazzo tra loro era tutta colpa sua, il che non faceva che complicargli la missione; in qualche modo, doveva riguadagnarsi la fiducia di Susanna – per poterla aiutare. Lo doveva alla famiglia Hart: senza Eleanor e George Hart, non sarebbe mai riuscito a crescere Audrey da solo; per anni, erano stati la sua seconda famiglia quando Casey andava in giro per il paese per i rodei.
L’idea era stata di Audrey, ovviamente. «È tutta sola, Case» gli aveva detto. «E deve mandare avanti Sweet Susie’s e crescere la figlia della cugina senza alcun aiuto. Sai quanto può essere difficile.»
Certo, Casey aveva dei motivi legittimi per tornare a Reno – mettere in piedi i nuovi uffici della Sentinel Construction e sovrintendere alle ultime fasi della ristrutturazione di un ristorante modaiolo sul River Walk – tuttavia, la sua missione segreta era aiutare Susanna a rimettersi in piedi.
Peccato che la ragazza gli rivolgesse a stento la parola.
E, a giudicare dalla smorfia che le decorava il viso, non era contenta neanche della presenza del cucciolo. Anche quella era stata un’idea di Audrey. Non che a Casey dispiacesse adottare un cane del canile, ma non aveva pensato di portarlo con sé per quel viaggio; avrebbe potuto lasciarlo con Audrey al Sunset Ranch, ma la sorella aveva insistito perché lo tenesse per avere un po’ di compagnia. In realtà – ma lui l’aveva capito solo in quel momento – l’idea era che facesse da rompighiaccio.
A giudicare dall’espressione di Susanna, avrebbe fatto meglio a portare uno scalpello.
«Ecco qui.» Susie dondolò la chiave col portachiavi di plastica a forma di cupcake con la scritta SweetSusies.com in un brillante color lavanda.
Casey aprì il palmo e lei vi lasciò cadere la chiave, ma quando lui sollevò la mano le loro dita si sfiorarono. Lei spalancò gli occhi e sbatté le palpebre. Toccarlo la rendeva nervosa, e questo lo infastidiva alquanto. Perché reagiva così? «Guarda che non mordo, Suse.»
«Nessuno mi chiama più così.»
Traduzione: non voleva che usasse quel soprannome confidenziale. Audrey l’aveva sempre chiamata così, e continuava a farlo. «Cercherò di ricordarmelo» propose richiudendo la mano. «Deduco che