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La ricetta della felicità: Harmony Jolly
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Ebook152 pages2 hours

La ricetta della felicità: Harmony Jolly

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About this ebook

Parigi sarà anche la città dell'amore, su Piper Rush però non ha alcun effetto. Qui frequenta una scuola di cucina che la renderà una chef stellata, ma intanto, per mantenersi, lavora come governante e il suo capo, l'attraente e serioso Frederic Lafontaine, non sembra apprezzare i suoi sforzi. Ogni cosa che Piper fa pare irritarlo. Eppure è a lei che chiede di accompagnarlo in Inghilterra per lavoro e la vicinanza tra i due a poco a poco si trasforma in un sentimento inaspettato. Forse era proprio Piper l'ingrediente che mancava a Frederic per essere felice!
LanguageItaliano
Release dateJul 10, 2020
ISBN9788830517387
La ricetta della felicità: Harmony Jolly

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    La ricetta della felicità - Barbara Wallace

    978-88-3051-738-7

    1

    Un uomo che appariva così bello in smoking era illegale. Mentre Piper fissava lo straordinario esemplare di maschio che dormiva sulla poltrona, fu scossa da un brivido di apprezzamento. Frederic Lafontaine si era tolto la giacca e sciolto la cravatta, eppure aveva un aspetto perfetto, con la camicia che aderiva come una seconda pelle alle sue spalle da atleta. Anche lei avrebbe dovuto incominciare a frequentare la sua lavanderia. Quell'uomo doveva essere sdraiato lì da ore, ma i suoi vestiti non avevano una sola grinza. La divisa di Piper non sarebbe durata nemmeno cinque minuti. Difatti, ebbe la conferma quando si passò una mano sulla sua gonna nera.

    E non aveva nemmeno zigomi pronunciati né folti capelli castani che supplicavano di essere toccati. Forse la perfezione arrivava tutta insieme.

    Emise un respiro profondo e gli toccò una spalla sforzandosi di ignorare la solida muscolatura che percepì sotto le dita. Dopo otto mesi al servizio di quell'uomo, non era ancora riuscita ad acquietare la sua attrazione per lui. «Monsieur? Deve svegliarsi. Sono le sette passate.»

    Quando non rispose, lo scosse di nuovo, questa volta con maggiore vigore. E funzionò. Lentamente, lui aprì gli occhi e sbatté le palpebre come se si sforzasse di focalizzare la vista. «Si è addormentato sulla poltrona» gli disse.

    «Oh.» La sua voce impastata dal sonno, risuonò più profonda e roca del solito. «Che... che ore sono?»

    «Le sette e un quarto.»

    «Cosa?» Scattò in piedi e, nel lasciare cadere le braccia lungo i fianchi, la mano destra urtò la tazza che Piper aveva posato sul tavolino qualche secondo prima. La chicchera volò via e il caffè schizzò ovunque.

    «Dannazione!» imprecò lui quando il liquido nero colpì la sua camicia. Immediatamente cercò di pulire il tessuto, sollevandolo dalla sua pelle. «Quante volte ti ho detto che devi avvisarmi se metti qualcosa vicino a me? Lo sai che non vedo gli oggetti appoggiati di lato.»

    Era difficile dire che non vedesse niente dal modo in cui era balzato in piedi prima che lei avesse la possibilità di aprire bocca. «Le porto un asciugamano.»

    «Non preoccuparti.» Si era già sfilato la camicia dalla cintura dei pantaloni. «Pulisci il tappeto prima che resti macchiato. Vado a fare una doccia.» Si girò diretto verso la scala.

    «Aspetti» lo fermò Piper.

    Muovendosi rapida, questa volta, prima che lui potesse parlare, raccolse la tazza dal tappeto, a un centimetro dalla punta della sua scarpa. «Stava per calpestarla» disse sollevandola davanti al suo volto.

    Se avesse apprezzato il suo avvertimento, non lo manifestò. «Di' a Michel, quando arriva, che sarò subito pronto. E fammi trovare la borsa vicino alla porta. A sinistra» puntualizzò con enfasi.

    Come se potesse lasciarla da un'altra parte. Piper trattenne la sarcastica risposta. Aveva imparato tanto tempo prima che alcune battaglie erano irrimediabilmente perse. Discutere con un uomo che aveva un caffè bollente sullo stomaco era una di queste. Al contrario, aspettò che lui salisse le scale, prima di spostare lo sguardo nella sua direzione. Avrebbe meritato di trovare la borsa a destra. Dio solo sa che finimondo sarebbe successo se la valigetta fosse stata messa dalla parte sbagliata.

    Ma non l'avrebbe mai spostata. Contrariata o no, non era così meschina da prendersela con un uomo cieco, o quasi cieco. La verità era che, pignoli per come erano entrambi, le regole di monsieur servivano a qualcosa. Quando Piper aveva accettato quel lavoro, era stato chiaro che il campo visivo limitato di Frederic Lafontaine richiedeva che tutto in casa fosse così. Per prima cosa, niente sarebbe dovuto essere posto di lato a sua insaputa. La sua mancanza di visione periferica avrebbe potuto causare un incidente, le aveva spiegato. La maggior parte delle volte, il sistema funzionava. Anche se altre, soprattutto quando lui attraversava la stanza con il suo passo fermo e deciso, Piper dimenticava che avesse problemi di vista.

    Dopo avere controllato ancora una volta che la valigetta fosse a sinistra, come sempre, lei si diresse verso lo sgabuzzino. «Ecco un'altra giornata divertente a Parigi» si disse mentre raggiungeva la cucina, pronta a pulire. Ovviamente il caffè era caduto sul tappeto persiano realizzato a mano. Il che significava che invece di poter usare il battitappeto elettrico, avrebbe dovuto rimuovere la macchia con olio di gomito, utilizzando acqua e aceto.

    Non era in questo modo che aveva immaginato il suo anno all'estero. Sarebbe dovuto al contrario essere l'inizio di una nuova vita entusiasmante. Il meraviglioso momento in cui aveva smesso di essere la triste Piper Rush per diventare Piper Rush, lo straordinario chef che incantava l'istituto culinario con il suo talento e affascinava gli uomini francesi con il suo umorismo americano. In breve, l'esatto contrario della sua vita a East Boston.

    Avrebbe dovuto immaginarlo.

    Non c'era voluto molto per capire che Parigi era come Boston, ma in versione francese. Il che la rendeva peggiore. Malgrado passasse ore e ore a contatto con altre persone, non aveva trovato un solo amico. Tutti erano troppo impegnati a impressionare positivamente lo chef Despelteau. In un certo senso, si sarebbe potuto pensare che il fatto che lei non ci riuscisse nonostante i tentativi, avrebbe aiutato la sua causa, e invece no. Il giorno precedente, quando non aveva usato abbastanza conserva di oca e anatra per dorare il pollo, lui aveva dichiarato che la sua pietanza era insapore e le aveva fatto una ramanzina di dieci minuti sull'importanza del gusto, anche nel preparare un piatto semplice. Tutto quello che avevano fatto le sue compagne di corso era stato ridacchiare.

    Anche Frederic le prestava a stento attenzione, eccetto che non ci fosse qualche faccenda domestica urgente da sbrigare o lei dovesse svegliarlo. Era troppo impegnato a tenere conferenze all'università o a partecipare a qualche evento sociale importante.

    La continua malinconia che cercava di tenere a bada minacciava di esplodere. Dovette deglutire per ingoiare il nodo in gola. Dio, che cosa avrebbe dato per avere qualcuno con cui parlare. O tornare a casa.

    Per abitudine, la sua mano raggiunse il cellulare infilato nella tasca del grembiule, solo per lasciarlo lì. Era ancora piena notte a Boston. Sua sorella Patience, di sicuro stava dormendo. Patience, l'unica ragione per cui lei avrebbe portato le cose a compimento. Sua sorella era convinta che stesse vivendo un sogno e, considerato quanto si fosse sacrificata perché lo realizzasse, non avrebbe mai osato distruggere la sua fantasia. E poi, Patience aveva i suoi problemi. Lei e il nipote della sua datrice di lavoro erano coinvolti in una sorta di avanti e indietro che tenevano Patience sul filo del rasoio. L'ultima cosa di cui Patience aveva bisogno in quel momento era una sorella che si lamentava perché il suo anno all'estero non era rose e fiori.

    Portò l'occorrente per le pulizie nel salone, fermandosi di fronte alla finestra. A pochi isolati di distanza, la Torre Eiffel svettava nel cielo, ricordandole che non aveva il diritto di lamentarsi. Era sola, ma almeno viveva nel lusso. Invece di abitare nella casa di monsieur, avrebbe potuto alloggiare in qualche squallido appartamento a schiacciare blatte per la colazione. O, peggio, vivere per strada. Aveva sperimentato entrambe le situazioni. E non aveva voglia di ripeterle.

    Se solo avesse avuto qualcuno con cui godersi Parigi, le cose non sarebbero state così negative. Se fino a quel momento non aveva trovato un'anima gemella, non sarebbe più successo. Avrebbe dovuto semplicemente rassegnarsi, come aveva sempre fatto.

    E adesso, aveva un tappeto da pulire. Fissando la macchia scura, sospirò. Sperava che non fosse un segnale premonitore di come sarebbe andato il resto della giornata.

    Frederic ebbe un fremito quando si sfilò la camicia bagnata. Non perché il liquido gli pungesse la pelle, ma perché era spaventato dal suo stesso atteggiamento. Aveva reagito con la sua domestica come un bambino capriccioso. Non aveva giurato che non si sarebbe più comportato come uno di quegli invalidi arrabbiati che sfogano il loro cattivo umore sugli altri? La prima volta che aveva fatto cadere una bevanda, aveva aggredito qualcuno. L'imbarazzo non era una buona giustificazione.

    Che cosa si aspettava, dopo essersi addormentato nel salone in quel modo? Era stato l'ultimo bicchiere di Bordeaux. Sapendo l'effetto che aveva l'alcol su di lui, non avrebbe mai dovuto concedersi un bicchiere. La notte precedente era rimasto seduto per ore a guardare la torre illuminata che brillava, con la mente persa dietro un turbinio di pensieri cupi.

    L'umidità della camicia raggiunse i suoi palmi. Resistendo alla tentazione di lanciare l'indumento dall'altra parte della stanza, lo lasciò cadere sul piumone del letto, dove lo avrebbe trovato Piper più tardi. Si tolse il resto dello smoking, riponendo il vestito e le scarpe nell'armadio.

    I pensieri cupi della notte precedente non erano svaniti. Perché rimpiangere un passato che non avrebbe più potuto riavere? Dopotutto, era venuto a patti con la sua vista carente molto tempo prima che incominciasse a rubargli la visione periferica. Da quando i dottori gli avevano detto la prima volta che la sua retina stava degenerando. Lui sapeva bene che un giorno il tunnel attraverso cui vedeva il mondo, si sarebbe chiuso completamente, portandolo alla cecità. Aveva accettato il suo destino e inquadrato la sua vita in anticipo. E, arrivato il momento, avrebbe portato il fardello sulle sue spalle da solo. Non avrebbe trascinato gli altri nel suo triste destino. Una promessa, che fino a quel giorno, aveva fatto di tutto per mantenere.

    Doveva scusarsi con la sua domestica.

    Quando l'agenzia del lavoro gli aveva raccomandato un'allieva americana della scuola di cucina, aveva pensato che l'idea fosse ridicola. Una residente temporanea? Quella ragazza sarebbe stata distratta dagli studi e dai giri turistici per la città. Con sua sorpresa, però, Piper si era rivelata del tutto diversa. A parte quella giornata, svolgeva il suo lavoro con attenzione e senza creare problemi. E c'erano giorni in cui nemmeno s'incrociavano per casa. Esattamente il tipo di aiuto che Frederic avrebbe voluto.

    L'errore di quella mattina con il caffè era stato colpa sua, non di Piper. Lei aveva posato la tazzina, non aspettandosi che si alzasse all'improvviso.

    Avrebbe dovuto chiederle scusa.

    Non c'era tempo però in quel momento. Si avvicinò per controllare l'ora sulla sveglia sul comodino. Per fortuna si sarebbe potuto concedere una doccia e arrivare puntuale per la sua prima lezione. Che la sua giornata fosse incominciata male o no, non importava ai suoi superiori all'università. Loro si aspettavano che tenesse le lezioni in orario. Quella sera, prima del concerto sinfonico, avrebbe cercato Piper e le avrebbe spiegato che aveva esagerato. E avrebbero dimenticato entrambi quello che era successo.

    Smacchiare il tappeto fu il compito principale della giornata.

    Quel lavoro le

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