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Una scelta azzardata: Harmony Collezione
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Ebook158 pages3 hours

Una scelta azzardata: Harmony Collezione

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About this ebook

Travolti da una selvaggia attrazione...

Juliet Hammond, avendo un disperato bisogno di denaro, accetta di aiutare un vecchio amico in cambio di una referenza di lavoro. Così, ingenuamente, acconsente a fingersi la sua fidanzata. Poi però Juliet conosce Raphael Marchese, e tra i due scoppia un'istantanea e pericolosa attrazione. Rafe è diverso da ogni altro uomo che ha conosciuto, ma a causa di quella messinscena lui non solo crede che Juliet sia legata a un altro, ma la considera addirittura un'arrivista. La tensione sensuale tra loro è sempre più forte, e Rafe decide di cedere a quel desiderio anche se Juliet non potrà mai essere davvero sua.
LanguageItaliano
Release dateJan 10, 2020
ISBN9788830507012
Una scelta azzardata: Harmony Collezione

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    Una scelta azzardata - Anne Mather

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Bedded for the Italian’s Pleasure

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2007 Anne Mather

    Traduzione di Maria Paola Rauzi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-701-2

    1

    Juliet si chiese come fossero le Cayman in quel periodo dell’anno. Probabilmente erano molto simili alle Barbados. In fondo erano tutte isole dei Carabi. Peccato che lei non ci fosse mai stata.

    Comunque, erano di certo meglio di quella agenzia di collocamento le cui pareti verdi e il tappeto consunto erano un debole sostituto degli agi a cui una volta era abituata. Ricacciò le lacrime che minacciavano di salirle agli occhi. I miei bellissimi occhi viola, le soleva dire il padre. Gli ricordavano quelli della madre, che era morta quando lei era ancora una bambina. Quanto tempo era passato...

    Di una cosa, però, era sicura: suo padre non avrebbe mai permesso che venisse ingannata da un uomo come David Hammond. Purtroppo anche suo padre era morto per un tumore al cervello quando lei aveva diciannove anni e un anno più tardi David le era sembrato un cavaliere dall’armatura splendente.

    Se solo avesse capito subito che il principale interesse di quell’uomo era il trust che suo padre le aveva lasciato... Pochi anni dopo il loro matrimonio lui era scappato con la donna che le aveva presentato come la sua segretaria. E grazie alla sua stupida debolezza, gli aveva concesso di occuparsi del trust così che, quando aveva capito quello che stava succedendo, ormai David aveva trasferito tutti i suoi averi in un conto all’estero a proprio nome.

    Era stata così ingenua... Aveva permesso al fascino di David Hammond di accecarla e di non rendersi conto del suo vero carattere. Aveva creduto sinceramente che l’amasse e aveva ignorato gli avvertimenti degli amici quando le dicevano di averlo visto insieme ad altre donne.

    E adesso, le poche sterline che le erano rimaste si stavano prosciugando velocemente.

    I suoi amici si erano offerti più volte di aiutarla finanziariamente, ma Juliet non aveva voluto accettare proprio per non rovinare la loro amicizia. Per questo aveva deciso di trovarsi un lavoro, anche se non sapeva bene quale, visto che non aveva nessuna qualifica particolare. Se solo avesse continuato a studiare dopo che suo padre era morto! Ma la comparsa di David nella sua vita aveva stravolto ogni cosa.

    Juliet si guardò attorno ancora una volta nella sala d’aspetto chiedendosi che qualifiche avessero le persone in attesa insieme a lei, e se il suo tailleur fosse l’abbigliamento adatto per quel tipo di situazione.

    «Signora Hammond?»

    Veramente il mio cognome è Lawrence, avrebbe voluto dire Juliet, anche se sui suoi documenti risultava ancora il nome da sposata.

    Si alzò in piedi nervosa mentre la donna che l’aveva chiamata si guardava attorno nella sala d’aspetto. «Sono io» rispose stringendo la borsa e attraversando la stanza.

    «Venga nel mio ufficio, signora Hammond.» La donna, una quarantenne dai capelli rossi, la squadrò e la condusse nel suo ufficio, che non era meglio della sala d’aspetto in quanto a squallore. «Si sieda» le disse indicando una sedia. «Ha riempito il questionario?»

    «Oh, sì.» Juliet consegnò il foglio di carta che aveva arrotolato durante l’attesa e si scusò per averlo stropicciato.

    La signora Watkins sembrò non essersi accorta delle sue scuse; era troppo concentrata a leggere quello che lei aveva scritto sul modulo soffermandosi a guardarla come se stentasse a credere ai suoi occhi.

    «Su questo questionario ha scritto che ha ventiquattro anni e che non ha mai lavorato» commentò aggrottando la fronte.

    Juliet arrossì leggermente. «È così.»

    «Come mai?»

    Juliet rimase colpita da quella domanda diretta che in fondo feriva il suo orgoglio. Respirò a fondo e replicò: «È rilevante? Ho bisogno di un lavoro adesso; non è sufficiente?».

    «Purtroppo temo di no, signora Hammond. Chi decide di assumere una persona vuole avere il suo curriculum vitae e delle referenze, quindi per me è importante sapere perché lei non ha né l’uno né le altre.»

    Juliet sospirò. «Ero sposata» spiegò evitando di entrare nei dettagli.

    «Sì, capisco.» La signora Watkins consultò di nuovo il questionario. «Il suo matrimonio è finito nove mesi fa, giusto?»

    Nove mesi e otto giorni, recitò lei in silenzio. «Sì, è corretto.»

    «E in questo periodo non ha mai lavorato...»

    «No.»

    La signora Watkins inspirò attraverso le narici emettendo lo stesso rumore del maggiordomo di suo padre, Carmichael, quando disapprovava qualcosa che lei aveva fatto. Era ovvio che quella donna disapprovava la sua mancanza di esperienza e si chiese se non avesse fatto meglio a venire lì con una maglietta trasandata e un paio di jeans.

    «Be’...» disse la signora Watkins alla fine. «Le confesso in tutta sincerità che non sarà facile trovarle un lavoro. Lei non ha qualifiche particolari né, tantomeno, esperienze lavorative. Di fatto nessun elemento che possa convincere un datore di lavoro che è una brava e fidata lavoratrice.»

    Juliet sussultò. «Io sono una persona fidata.»

    «Le credo sinceramente, signora Hammond, ma in questo mondo non si lavora basandosi sulla parola. Ciò di cui ha bisogno è un datore di lavoro precedente che garantisca per lei.»

    «Ma io non ho mai avuto nessun datore di lavoro!»

    La signora Watkins sorrise con aria di sufficienza. «Lo so.»

    «In poche parole sta dicendo che non può aiutarmi.»

    «Le sto dicendo che in questo momento non ho nessun impiego che faccia al caso suo... a meno che non voglia andare a lavare i piatti al Savoy. In sala d’attesa ci sono appese alcune proposte di corsi di vario genere. Le consiglio di leggerli e di sceglierne qualcuno che le interessa. Potrà sempre tornare da me quando avrà qualcosa di più da offrirmi. Fino a quel momento le consiglio di non perdere altro tempo.»

    Probabilmente si stava riferendo al suo di tempo, decise Juliet alzandosi in piedi. «La ringrazio» disse con le buone maniere che le avevano insegnato fin dalla nascita una serie considerevole di nanny. «Penserò a quello che mi ha detto...» Fece una pausa e aggiunse: «O magari mi rivolgerò a un’altra agenzia».

    «Buona fortuna» rispose l’altra con una certa ironia nella voce e Juliet lasciò l’ufficio sentendosi l’ultimo dei paria. In fondo cosa si era aspettata? Chi mai avrebbe potuto assumere qualcuno che non era neppure in grado di riconoscere un truffatore quando ne incontrava uno?

    Una volta in strada si incamminò lungo Charing Cross Road prendendo in considerazione le sue alternative. Sebbene fosse solo l’inizio di Marzo e piovesse, era considerevolmente caldo. Alzò la mano per fermare un taxi, ma poi l’abbassò immediatamente; ormai erano finiti i tempi in cui poteva permettersi di andare in giro così.

    Sospirando si incamminò verso Cambridge Circus dove avrebbe preso un autobus che l’avrebbe portata a Knightsbridge, dove c’era il piccolo appartamento in cui viveva adesso. La grande villa nel Sussex in cui era nata e vissuta la maggior parte della sua vita era stata venduta poco dopo il suo matrimonio con David. Lui le aveva detto che la casa che aveva trovato a Bloomsbury era molto più comoda. Era stato solo quando il marito l’aveva lasciata che aveva scoperto che la casa era stata affittata.

    Sapeva che i suoi amici erano rimasti basiti di fronte a tanta ingenuità da parte sua, ma non aveva mai avuto a che fare in tutta la sua vita con il genere di crudeltà di David. Per fortuna quell’appartamento era intestato a lei e lui non aveva potuto metterci sopra le mani. Era sempre stato il pied-à-terre di suo padre quando aveva da sbrigare affari in città e Juliet l’aveva tenuto per ragioni sentimentali.

    A metà strada si trovò a passare davanti a un pub e vi entrò istintivamente. Dentro era molto buio; a Juliet non dispiacque in quanto preferiva che nessuno la riconoscesse dato il suo stato d’animo.

    Si sedette su uno sgabello e attese che il barman la notasse. L’uomo, basso e grasso la raggiunse sorridendole gioviale.

    «Cosa le porto?»

    Lei esitò. Non le sembrava il posto dove servivano del prosecco, ma chi poteva saperlo?

    «Alla signora non dispiacerebbe una vodka e tonic, Harry» disse una voce alle sue spalle.

    Juliet si voltò pronta a ribattere al tizio che aveva parlato che sapeva scegliere da sola i propri drink. Poi, però, spalancò gli occhi sorpresa perché aveva riconosciuto quell’uomo. Si trattava di Cary Daniels e si conoscevano fin da bambini anche se erano parecchi anni che non si vedevano; precisamente dal giorno del suo matrimonio.

    «Cary!» esclamò. «Che strano vederti qua.» Era convinta che vivesse e lavorasse a Cape Town. «Sei qui in vacanza?»

    «Magari» sospirò Cary sedendosi sullo sgabello accanto al suo allungando una banconota da venti sterline al barman quando portò le loro ordinazioni. Lui aveva preso un whisky doppio e ne bevve di colpo metà prima di continuare. «Adesso lavoro a Londra.»

    «Davvero?» Juliet era sorpresa. Anche se si erano persi di vista quando i genitori di Cary erano morti e lui era andato a vivere in Cornovaglia con la nonna paterna, aveva comunque partecipato al suo matrimonio. All’epoca era entusiasta del suo lavoro nella divisione sudafricana di una importante banca d’investimenti e tutti erano convinti che si fosse definitivamente sistemato. Evidentemente le cose erano cambiate.

    «Allora, come stai?» le chiese mettendo via il resto nella tasca dei pantaloni.

    Malgrado le luci suffuse del pub lei non poté fare a meno di notare le borse sotto gli occhi e l’incipiente calvizie dell’amico. Per non parlare del giro vita eccessivo probabilmente dovuto a troppi doppi whisky nel corso degli anni. Aveva ventotto anni, ma ne dimostrava almeno dieci di più. Che cosa gli era successo?, si chiese.

    «Oh, sto bene, grazie» rispose sollevando il bicchiere in un brindisi silenzioso. Poi bevve un sorso notando che il cocktail era più forte del solito.

    «Ho sentito del tuo divorzio» disse Cary. «Che razza di bastardo!»

    «Sì.» Era inutile negarlo, pensò lei. «Sono stata una stupida.»

    «Mi sarebbe piaciuto essere nei paraggi quando è successo. Non se la sarebbe cavata così, te lo assicuro. E adesso cosa sta facendo quel figlio di buona donna?»

    Juliet strinse le labbra. Era davvero gentile da parte di Cary essere così solidale, ma non se lo vedeva a mettere al suo posto uno come David. «Credo che David adesso sia alle Cayman» lo informò controvoglia. «Ti dispiace se cambiamo argomento? Non ho voglia di aprire vecchie ferite. Sono stata una stupida, fine della storia.»

    «Sei stata molto ingenua. Capita a tutti di esserlo. Dopo, con il senno di poi è facile essere saggi.»

    Juliet sorrise mesta. «Non è forse vero?»

    «Be’, adesso cosa fai? E dove abiti? Immagino che la casa nel Sussex sia stata venduta...»

    «Sì. Mi è rimasto un piccolo appartamento a Knightsbridge. Non è il Ritz, ma almeno è mio.»

    «Bastardo!»

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