Una fidanzata in affitto: Harmony Jolly
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About this ebook
Ho bisogno di una fidanzata! Subito. Raff Rafferty, rampollo di una famiglia molto facoltosa di Londra, è appena stato messo alle strette da suo nonno. Deve trovare una fidanzata al più presto, altrimenti ci penserà lui stesso a presentargli qualche giovane fanciulla di buona famiglia. Raff pensa che ci sia solo una persona in grado di aiutarlo senza volere in cambio niente: Clara Castleton, donna forte e indipendente. Ora si tratta solo di convincerla, ma in fondo a quale donna non piacerebbe indossare abiti da mille e una notte, gioielli d'altri tempi e scarpe dal tacco vertiginoso? Okay, Clara non è proprio il tipo, ma sono disperato e lei è la mia unica soluzione.
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Book preview
Una fidanzata in affitto - Jessica Gilmore
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
His Reluctant Cinderella
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2014 Jessica Gilmore
Traduzione di Alessia Di Giovanni
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-726-5
1
«Se mi dice dov’è mia sorella, le do diecimila sterline.»
La testa bassa davanti a lui si alzò leggermente e Raff si ritrovò a essere freddamente squadrato dagli occhi più verdi che avesse mai visto, l’espressione irresistibilmente felina, effetto sottolineato da zigomi alti e un mento a punta.
Se quella donna avesse avuto una coda, l’avrebbe agitata lentamente in segno di avvertimento.
Non aveva mai prestato molta attenzione agli avvertimenti. Preferiva considerarli una sfida.
«Scusi?» la sua voce era fredda quanto il suo sguardo.
Forse avrebbe dovuto provare a usare il suo fascino prima di offrirle del denaro, ma dubitava che quella tattica avrebbe funzionato con quella gelida gatta.
La sua sufficienza avrebbe dovuto infastidirlo, essendo abituato a persone che scattavano a un suo cenno, ma ammetteva di essere intrigato.
Le rivolse un caldo sorriso. «Clara Castleton?»
Lei non rispose, accennando con la testa in direzione della targhetta sulla moderna scrivania di quercia. «Come può vedere. Ma non mi pare che lei si sia presentato.»
«In effetti non l’ho fatto.»
Raff tirò la sedia di legno dall’altra parte del tavolo e si sedette. Sapeva che il suo metro e novanta poteva intimidire; ne approfittava, a volte, ma ora come ora non gli sembrava il caso.
Guardò meglio la donna davanti a lui: le sopracciglia precise, i capelli raccolti, il make up discreto, il tailleur. Si appoggiò allo schienale senza staccare gli occhi dal suo viso.
«Sono Castor Rafferty, ma dammi del tu. Puoi chiamarmi Raff. Credo che tu conosca mia sorella...»
«Oh.» Lei si sottrasse al suo sguardo intento. «La aspettavo due giorni fa» replicò formale.
«Sono stato occupato a organizzare la mia partenza e a tornare di corsa in Inghilterra. Allora, puoi dirmi dov’è Polly?»
Clara scosse la testa. «Glielo direi, se lo sapessi. Ma non lo so.»
Raff strinse gli occhi. Non le credeva, non voleva crederle. Perché, se era la verità, era in un vicolo cieco. «Su, Clara... Posso chiamarti, Clara, vero? La breve email che ho ricevuto dice...» Sollevò il cellulare per rileggerla. Non che non ricordasse cosa diceva. «"... per qualunque emergenza puoi contattarmi tramite la Castleton’s Concierge Consultancy di Clara. Complimenti per l’allitterazione, comunque..."»
Lei prese il telefono e lesse il messaggio, le intriganti sopracciglia sollevate per la sorpresa. «Mi dispiace, ho un indirizzo email, niente di più.»
«Ho provato a scriverle un paio di volte.» Fa’ dieci volte. O venti. «Forse la leggerà, se gliela mandi tu» le suggerì speranzoso. «La mia offerta iniziale non cambia.»
«Tenga pure i suoi soldi, signor Rafferty» replicò lei con voce fredda, adesso. Ma aveva alzato la temperatura di un paio di gradi, notò Raff. «Sua sorella è una mia cliente: mi ha chiesto di consegnarle le chiavi della sua casa e di continuare a occuparmi della sua gestione. È tutto quello che posso fare per lei. E, a meno che non sia un’emergenza, non manderò alcuna email.»
Lo stava congedando, era chiaro. E gli bruciava più di quanto avrebbe dovuto. Raff doveva subito cambiare tattica affinché Polly tornasse a stare dove doveva, a dirigere Rafferty’s, il centro commerciale-icona fondato dal loro nonno.
Così lui sarebbe tornato al campo. Aveva a malapena disfatto le valigie e capito quanto fosse grave la crisi umanitaria che si stava consumando nel remoto angolo del mondo in cui era, quando aveva ricevuto una email di Polly che gli ordinava di tornare a casa.
Tipico dei suoi familiari, pensare che le loro questioni fossero più importanti di migliaia di vite innocenti. Eppure eccolo lì. Si guardò attorno nell’ampia stanza bene ordinata in cerca di ispirazione. Era l’opposto del suo ultimo ufficio: una tenda alla periferia di un campo profughi. Anche l’ufficio prima di quello, che era in un vero edificio, era uno stanzino, una specie di sgabuzzino pieno zeppo di casse, documenti, provviste. Chissà com’era avere tutto quello spazio...
Situato all’angolo di una strada caratteristica, l’ufficio di Clara occupava il piano terra di un vecchio negozio; le vetrine erano schermate da tendine, l’insegna di metallo sostituita da una pratica targa sul muro.
Se fuori sembrava il set di un film sulla vecchia Inghilterra, dentro era modernissimo. La sala enorme era dipinta di un sobrio bianco interrotto solo da alcune fotografie in cornice, anche se dietro una porta finestra aveva intravisto un cortile lastricato con dei fiori e un piccolo tavolino di metallo e delle sedie, unico tratto accogliente dell’arredo.
La scrivania di Clara era addossata al muro di fronte e dominava tutta la stanza. Gli invitanti divani erano posti davanti alle vetrine e attorno a un tavolino da caffè coperto di riviste. Tutta la stanza era arredata con gusto, ma non traspariva niente della personalità della sua proprietaria.
Forse era ora di sfoderare il suo charme.
Si tese in avanti. «Sono preoccupato per Polly, non è da lei sparire così. E se è malata? Voglio solo sapere che sta bene.» Le rivolse un sorriso.
L’espressione di Clara era di pura disapprovazione. Sì, emanava ancora vibrazioni negative.
«Signor Rafferty, lei e io sappiamo che sua sorella non è scomparsa. Se n’è andata dopo essersi assicurata che ci fosse qualcuno che badasse sia al suo lavoro sia alla sua casa. Non c’è alcun mistero da risolvere. Sì, forse è un po’ strano.» Era il dubbio che le incrinava la voce? «Non si è mai neanche presa un fine settimana lungo. E forse è per questo che aveva bisogno di una pausa. Dopotutto Rafferty’s non è anche sua?»
Sfortunatamente. «È questo che ti ha detto mia sorella?»
Lei arrossì leggermente. «Non capisco.»
Oh, capiva benissimo. «Non ha usato le parole irresponsabile o lavativo?» La email di Polly poteva anche essere breve, ma era andata dritta al punto. Il suo punto di vista. E avevano sempre avuto opinioni diverse su parecchie questioni.
Clara arrossì violentemente. Non era poi così fredda, dopotutto. Quel colore le sottolineò le guance, le ciglia nere che velavano gli incredibili occhi verdi che lo attraevano inaspettatamente. Un attimo prima era una statua di marmo, bella ma gelida. Quella vulnerabilità, invece, le dava vita.
Basta!, si disse Raff. Non era lì per flirtare. Non avrebbe dovuto neppure essere lì!
«Noi parliamo unicamente di lavoro» gli disse, ma senza guardarlo. «Ho giusto mezz’ora libera adesso. Posso accompagnarla a casa sua, se vuole...»
No, avrebbe voluto replicare Raff. No, non gli andava bene. Niente di quella faccenda gli andava bene. Né la strana scomparsa di Polly né l’SOS in cui gli ordinava di tornare subito a casa. Come poteva aspettarsi che mollasse tutto perché la sorella andasse in vacanza?
Poco importava se mancava da casa da più di quattro anni. Scacciò quel pensiero. Non era utile lì, come non lo era nell’ospedale da campo di cui era il project manager. Dopotutto la sua assenza aveva dato a Polly l’opportunità che desiderava per lavorare da Rafferty’s, no?
E questo rendeva la sua scomparsa ancora più strana. Quel pensiero cominciò a preoccuparlo.
«Signor Rafferty?»
«Chiamami Raff e dammi del tu» la corresse. «Signor Rafferty mi fa sentire come se fossi a scuola.»
O, peggio, al consiglio di amministrazione di Rafferty’s, seduto attorno a un tavolo enorme a sorbirsi infinite presentazioni e discussioni quando avrebbe solo voluto smetterla di parlare, alzarsi e fare.
«Raff...» gli disse dopo una riluttante pausa. Gli piaceva il suono del suo nome sulla lingua di Clara. Asciutto e freddo come una birra lager ghiacciata in un caldo giorno estivo. «Ti va bene se andiamo adesso?»
Polly lo aveva incastrato e, finché non riusciva a capire cosa fosse successo, non aveva molta scelta.
In fondo lui era ancora il vice amministratore delegato di Rafferty’s e qualcuno doveva prendere in mano le redini della società. E, in assenza di Polly, toccava per forza a lui.
La sorella aveva previsto tutto, ma Raff le avrebbe dimostrato che non poteva essere costretto a fare niente, non poteva essere manipolato.
Però era strano... Non era da sua sorella architettare una cosa del genere. Era sempre stata la peggior stacanovista che lui avesse conosciuto. Prima avesse scoperto che cosa diamine era successo e lo sistemava, prima sarebbero potuti entrambi tornare alla loro vita.
Ed era certo che la donna davanti a lui poteva aiutarlo, se fosse riuscito a farsela amica...
«Okay, allora, Clara Castleton. Fa’ strada.»
«C’è qualcosa che non va?»
Clara sapeva di suonare fredda. Raff Rafferty poteva anche essere un uomo affascinante, ma lei preferiva mantenere le distanze, essere professionale, soprattutto se lui aveva un sorriso meraviglioso e degli occhi azzurrissimi.
E uno sguardo intenso che la metteva a disagio, come se vedesse oltre le sue barriere, come se il suo rigoroso tailleur non lo ingannasse. E questo la irritava.
Insomma era pericoloso. Prima se ne sbarazzava, meglio era.
Non era un suo cliente, ma sua sorella sì. E Polly l’aveva informata sul suo conto: Raff era il bambino d’oro, il nipote preferito del nonno. Un tipo d’uomo che Clara conosceva bene. Sin troppo bene. Non era il suo tipo. Non più...
Eccolo lì, appoggiato contro il suo furgoncino, col suo sorrisino strafottente sulle labbra scolpite.
«Prendiamo questo?» le domandò.
Clara sollevò le chiavi. «Sì, perché?»
Lui squadrò il suo pratico furgoncino, il suo logo e le informazioni di contatto su una fiancata. «Immaginavo che guidassi un’auto più elegante» le confessò, facendola trasalire.
«Risparmia la tua immaginazione» rispose lei. «Il furgoncino è pratico.»
«Sono d’accordo.»
Lui premette insieme le labbra e Clara ebbe l’impressione che stesse ridendo di lei. «Sono certa che non è quello a cui sei abituato di solito» gli disse con la voce più piatta che le riuscì. «Se preferisci camminare, ci vediamo lì.»
«Non preoccuparti. Non mi faccio di questi problemi.»
«Bene.» Il suo sorriso sembrava più una smorfia. Avrebbe dovuto farlo sedere nel retro, insieme agli scopettoni e i detersivi. Poi avrebbe voluto vedere se non ci fosse stato qualche problema...
Almeno non si era offerto di guidare, rifletté uscendo dal parcheggio e imboccando la via. Alcuni uomini non sopportavano che a guidare fosse una donna, soprattutto se si trattava di un camioncino grosso come quello. Raff, invece, era l’immagine del relax con la schiena appoggiata al sedile e le gambe stese davanti a lui.
Sì, il furgoncino era pratico, ma sembrava sempre fuori posto tra le stradine di Hopeford. Ci voleva tutta la sua abilità e concentrazione per guidare lì. I viottoli a ciottoli potevano anche essere pittoreschi e piacere ai turisti londinesi, ma erano scomodissimi per i furgoni. Ma era più facile concentrarsi sulla guida che sul fare conversazione con un uomo che sembrava aver risucchiato tutta l’aria dell’abitacolo. Era sempre stato molto spazioso prima...
Sfortunatamente, per lui non sembrava la stessa cosa. «Da quando Polly vive in quella casa?»
Clara svoltò in una curva particolarmente stretta prima di dare una risposta concisa ma cortese. «Da circa tre anni, credo.»
«Sembra tranquillo qui...»
Lei lo guardò. Sapeva che lui e Polly erano gemelli e la somiglianza era evidente. Avevano i capelli lisci e biondi, anche se quelli di lui erano più disordinati rispetto all’impeccabile chignon di lei, il naso quasi greco e la bocca piena. La somiglianza, però, riguardava solo l’aspetto. Polly Rafferty era calma, lavorava sempre, sia a casa sia in viaggio verso e dalla capitale. Era educata e riservata. Clara era la persona che la conosceva meglio a Hopeford.
E Clara preferiva la riservatezza di Polly al fascino e al sorrisino astuto di suo fratello. Erano qualità pericolose, soprattutto se una volta eri