Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La trappola (eLit): eLit
La trappola (eLit): eLit
La trappola (eLit): eLit
Ebook379 pages5 hours

La trappola (eLit): eLit

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Qualcuno sta pedinando e uccidendo delle donne, qualcuno con una mente contorta e una perversa ossessione. Kate Devane dovrebbe essere la prossima vittima del maniaco che l'ha seguita con amorosa devozione. Ha dei progetti su di lei, ma non ha fatto i conti con Connor Quinn. Come fotografo della polizia, Connor ha visto troppo, sofferto troppo. È stato contento di lasciarsi tutto alle spalle fino al giorno in cui questo caso non lo ha fatto di nuovo piombare nell'incubo. Connor e Kate lavorano insieme e, anche se non lo sanno, sono diventati amanti immaginari attraverso l'anonimia del computer. Ma la realtà è dietro l'angolo. A meno che l'incubo prevalga, costando la vita a Kate e rigettando Connor in un'oscurità senza scampo.
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2017
ISBN9788858966198
La trappola (eLit): eLit

Read more from Rachel Lee

Related to La trappola (eLit)

Related ebooks

Thrillers For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for La trappola (eLit)

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La trappola (eLit) - Rachel Lee

    successivo.

    Prologo

    Si svegliò di soprassalto, con il cuore che gli martellava nel petto e la testa che gli pulsava dolorosamente. La luce era intensa, troppo intensa, dopo l'oscurità del sogno, e lui quasi si lasciò sfuggire un grido al passaggio improvviso dalla notte al giorno.

    Dio, non un'altra volta!

    Scese faticosamente dal letto, passò davanti alla finestra da cui si riversava la luce del sole mattutino e si lasciò cadere sull'inginocchiatoio nell'angolo. Intrecciò le mani in preghiera così strettamente da far sbiancare le nocche. Cupe immagini del sogno fluttuavano nella sua mente, immagini d'orrore che di certo dovevano essere scaturite dall'inferno.

    Alzando gli occhi, guardò disperatamente il crocefisso di legno appeso alla parete e supplicò Dio di dirgli perché era perseguitato da quegli incubi. Sogni e visioni terrificanti, contro cui non poteva fare nulla. Sogni che erano orribili premonizioni di eventi futuri.

    Per qualche ragione, era stato maledetto da quella preveggenza. O da qualche tipo di connessione psichica a una mente malata. Era già stato abbastanza brutto quando aveva creduto che quelle visioni che aveva nel sonno fossero semplici incubi. Poi, però, aveva letto i giornali, visto le fotografie. Le donne che scorgeva nei suoi sogni erano reali.

    E ora erano morte.

    «Oh Dio, Ti prego, liberami da questo male...» supplicò cercando sollievo.

    Perché il mostro stava seguendo una nuova donna. Lo aveva visto in sogno, sapeva cosa intendeva fare. Doveva fermarlo, in qualche modo. Ma dubitava di essere abbastanza forte per riuscirci.

    Non sarebbe servito a nulla andare alla polizia. Non gli avrebbero creduto. Avrebbero pensato che era uno squilibrato, o addirittura che fosse lui l'assassino. E non potevano trovare la prossima vittima prima di lui.

    Forse... forse poteva farlo lui. Forse, se prestava attenzione ai suoi orribili sogni, poteva trovare qualche indizio che lo avrebbe condotto alla vittima predestinata.

    Disperato, più spaventato e disorientato di quanto fosse mai stato in vita sua, posò la testa sulle mani intrecciate e pregò.

    Il mal di testa. Il mal di testa era così forte che avrebbe voluto tagliarsela. Le compresse non servivano a nulla.

    Solo Dio poteva aiutarlo, e Dio gli aveva mandato quel castigo. Doveva esserci qualcosa che poteva fare.

    Qualcosa.

    Disperatamente, continuò a pregare.

    1

    L'agente di guardia accanto alla transenna alzò una mano.

    «Non può entrare nessuno, Quinn, specialmente un fotografo.»

    Connor Quinn riconobbe l'uomo, ma non riuscì a ricordarne il nome.

    «Rick Diaz mi ha fatto chiamare.»

    «Già, e io sono il re d'Inghilterra.»

    Sei mesi prima, il nastro giallo con cui la polizia delimitava la scena di un delitto avrebbe significato che Quinn poteva stare dentro, ma da quando lavorava per il Sentinel significava decisamente che doveva rimanere fuori.

    «Senti, chiedi a Diaz, vuoi? Non sono venuto qui per divertimento.»

    L'agente esitò, poi annuì e si voltò per entrare nell'edificio, ordinando a un collega di tenere d'occhio Quinn.

    Quella notte di gennaio, attorno alla baia di Tampa l'aria era gelida. I poliziotti che si muovevano frettolosamente per il cortile ed entravano e uscivano dal condominio erano tutti infagottati in giacche pesanti.

    Alla luce intensa delle fotoelettriche installate dagli agenti, le grandi querce che torreggiavano al di sopra dell'edificio a due piani gettavano ombre spettrali. Come molti condomini di Suitcase City, anche quello era circondato da un'alta recinzione di sicurezza. Ma non era servita a molto.

    «Okay» concesse l'agente, tornando da Quinn. «Il sergente Diaz dice di entrare. Tieni le mani in tasca e non toccare niente. E non usare quella macchina fotografica finché non te lo dice lui.»

    Quinn passò sotto il nastro e si diresse verso l'entrata del palazzo, con le mani in tasca, più per scaldarsele che per obbedire all'ordine. I vicini erano raccolti attorno al perimetro del nastro giallo e osservavano la scena in silenzio, come avvoltoi. Gesù, quanto odiava i curiosi.

    Il puzzo lo colpì in faccia ancor prima di varcare la porta, e fu sommerso da un'ondata di nausea. Non c'era da sbagliarsi sul fetore di un corpo in decomposizione.

    Tutte le luci dell'appartamento erano accese. La porta dava accesso a un piccolo ingresso, che segnava la separazione fra il bagno e la cucina. In fondo c'era il soggiorno, dove i tecnici della polizia stavano esaminando oggetti e prendendo appunti.

    «In fondo a destra. Diaz ti sta aspettando» gli spiegò un agente che montava la guardia alla porta della cucina.

    Le vecchie abitudini erano dure a morire, e Quinn si trovò a compilare mentalmente un inventario, mentre attraversava il soggiorno. Mobili a buon mercato, un tappeto liso. A prima vista, sembrava che niente fosse stato spostato, se non dai tecnici che stavano etichettando ogni cosa e rilevando le impronte.

    Li conosceva tutti, naturalmente. Fino a sei mesi prima era stato uno di loro. Quelli che lo notarono, lo salutarono con un cenno, nel modo in cui si saluta un conoscente con cui non si ha voglia di parlare.

    Diaz lo aspettava sulla soglia della camera da letto. Era un uomo bruno, piccolo, ma con una personalità che compensava largamente la sua bassa statura. Non si scherzava, con lui.

    «Grazie per essere venuto» disse il sergente.

    Invece di stringere la mano a Quinn, gli passò un paio di guanti di gomma.

    «Non faccio più parte di tutto questo, Rick, lo sai.»

    Diaz si strinse nelle spalle, impaziente.

    «Non m'importa se non ne fai più parte. Credo...» S'interruppe e abbassò la voce. «Credo che abbiamo a che fare con un serial killer. Ora mettiti quei maledetti guanti.»

    Quinn sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena.

    «Quante...?»

    «Con questa, fanno due.»

    «Sembri sicuro.»

    «Sì. Vieni di là.»

    La vittima era poco più di una figura informe sul letto, una figura che Quinn aveva accuratamente evitato di guardare. Notò che neppure Diaz guardava da quella parte.

    Il sergente lo condusse fino a una piccola zona pranzo in un angolo del soggiorno. Sul tavolo c'erano delle buste per riporre gli elementi di prova. Diaz ne prese una, un sacchetto di plastica trasparente che conteneva un foglietto di carta.

    «Ne abbiamo trovato diversi» spiegò. «Sostanzialmente, tutti uguali. A quanto pare la vittima li conservava.»

    Quinn prese il sacchetto e lo inclinò in modo che la plastica non riflettesse la luce. Le parole erano scritte a macchina.

    Tu sarai SUA. Tu ballerai per il Burattinaio.

    Il detective Ray Matucek li raggiunse.

    «Ehi, Connor» disse, con un cenno di saluto. «Com'è la vita civile?»

    «Lo stipendio è migliore.»

    Matucek rise.

    «Però sarà meno movimentata.»

    «È qualcosa di cui non sento la mancanza. Chi l'ha trovata?»

    «Un'amica. La vittima non si è presentata al lavoro per diverse sere. Ballava in uno di quei club sulla Dale Mabry. Cubista, spogliarellista... Comunque, l'amica si è preoccupata, e ha sentito l'odore ancor prima di bussare alla porta.»

    Quinn annuì. Non stentava a crederlo.

    «Sembra piuttosto semplice. E così, cosa volete da me?»

    Ma lo sapeva. Se lo sentiva. E sperava con tutto il cuore che qualcuno si fosse sbagliato, che non fosse vero che Diaz aveva fatto pressioni sul giornale perché lo mandassero là.

    Ma era una speranza vana.

    «Lo sai» rispose infatti Diaz. I suoi occhi scuri sfidavano Quinn a protestare. «Ho due donne morte. Forse ce ne sono di più, e semplicemente non le abbiamo ancora scoperte. Questa scena somiglia alla precedente, e là non c'era il minimo straccio di indizio. Niente capelli. Niente saliva, niente sperma, niente sangue, eccetto quello della vittima, niente impronte. A meno che lui non abbia commesso un errore, stavolta, tutto quello che metterò insieme sarà un pugno di mosche e nessuna idea su come sceglie le vittime, o perché, a parte il fatto che erano due ballerine.»

    Senza una parola, Quinn girò sui tacchi e uscì. Fuori, ripassò sotto il nastro e si allontanò nell'oscurità, lasciandosi tutto alle spalle, la donna morta, i poliziotti preoccupati, i curiosi che indugiavano nei paraggi sperando di vedere qualcosa di raccapricciante.

    Sapeva che l'avrebbe fatto, ma aveva bisogno di qualche minuto per cercare di persuadersi a tirarsene fuori. Aveva bisogno di qualche minuto lontano dal fetore della morte, per lasciare che l'aria fredda gli schiarisse le idee.

    Più tardi, quando l'oscurità sarebbe scesa nella sua anima e lui avrebbe cominciato a sentirsi come se fosse finito in un pozzo senza fondo, con nient'altro che l'orrore e la morte come costanti compagni, voleva poter rammentare a se stesso che prima ci aveva riflettuto bene. Che aveva avuto l'occasione di rifiutare. Che lo faceva per libera scelta.

    «Connor?» Diaz l'aveva seguito e si era fermato a pochi passi da lui. «Non puoi rifiutare. Se lo farai, il sangue delle sue vittime sarà sulle tue mani.»

    «Dimmi qualcosa di originale, vuoi?»

    Il sergente si avvicinò.

    «Il tempo passa. La scena del crimine è già fredda, e si raffredda ancora di più mentre tu te ne stai qui a crogiolarti nelle tue dannate angosce, o comunque tu voglia chiamarle. Sto tenendo i tecnici fuori dalla camera da letto, perciò non è stato toccato nulla, ma non posso trattenerli ancora per molto. Che vogliamo fare?»

    Diaz conosceva già la risposta, pensò Quinn, fissando i rami delle querce come se avessero potuto contraddirlo. Anche lui conosceva la risposta. La sentiva nel peso che aveva cominciato a gravargli sul cuore.

    «Lavoro per il giornale» mormorò, per prendere tempo.

    «È inteso. Ho detto loro che potrai usare tutto quello che verrai a sapere, dopo che avremo preso quel bastardo.»

    Quinn cominciava a capire perché Ben Hyssop era stato così deciso nell'ordinargli di andare là a parlare con Diaz. Tutti avrebbero ricavato qualcosa da quella storia, tranne lui. Tutto quello che avrebbe ottenuto, lui, era qualche nuovo incubo.

    Non che avesse importanza. Raddrizzando le spalle, si voltò.

    «Andiamo» disse soltanto, e s'incamminò a passo deciso verso l'appartamento. Diaz lo seguì.

    A ogni passo, Quinn sentì che si stava lasciando alle spalle la nuova vita che si era costruito.

    Diventava il cacciatore, e le sue narici cominciavano a vibrare mentre fiutava la preda. Qualcuno strisciava nella notte e uccideva per piacere, e lui non poteva permettergli di continuare. Ma per catturare la sua preda, avrebbe dovuto pensare come la sua preda.

    Per sconfiggere il mostro, sarebbe dovuto diventare un mostro a sua volta.

    La stanza in cui Judy Eppinga aveva passato gli ultimi minuti della sua vita era un insieme di contraddizioni. Un reggicalze di pizzo e un paio di sandali dal vertiginoso tacco a spillo giacevano in un angolo accanto a un tavolino, sul quale flaconi, tubetti e scatole di cosmetici erano sparpagliati attorno a un piccolo crocefisso di plastica fluorescente.

    Quinn non ne aveva più visti da quando era bambino, e ricordava vividamente quanto, a quel tempo, ne aveva desiderato uno. Ora, fissandolo, si chiese dove l'avesse preso la vittima, e cosa significasse.

    Scatta una foto. L'impulso parve scaturire da qualche angolo profondo della sua mente, e lui non avrebbe mai potuto ignorarlo. Sollevò la macchina fotografica e riprese il tavolo da toeletta da tutte le angolazioni possibili.

    C'era un quadro con l'immagine di Gesù sopra il letto, in una cornice così vecchia che Quinn pensò che fosse un ricordo di famiglia. Il letto, in se stesso, era poco più di una branda. Non il genere di letto che ci si sarebbe aspettati da una donna che intratteneva regolarmente dei visitatori. Non che tutte le spogliarelliste fossero della prostitute.

    Evitò di guardare il corpo. Ogni informazione che si potesse ancora trarne sarebbe stata scovata solo dal medico legale. La decomposizione era troppo avanzata.

    Mentre fotografava la scena e studiava ogni piccolo dettaglio, Quinn si sforzava di non pensare a ciò che tutto quello significava. Cercava di convincersi che non gli importava se una donna aveva perso la vita in qualche osceno rituale ideato da una mente malata.

    Ma gliene importava. E gliene sarebbe importato ancora di più, prima che quella storia fosse finita. A volte, si sentiva come se tutta la sua anima fosse coperta dalle cicatrici lasciate da tutti i casi su cui aveva lavorato, da tutte le intime conoscenze che aveva stretto con le vittime.

    Judy Eppinga era solo un nome, per ora, il nome di una persona che viveva in una zona periferica della città, in un piccolo appartamento, circondata da mobili a buon mercato e oggetti religiosi. Ben presto sarebbe stata, per lui, reale quanto la sua stessa famiglia.

    E anche l'assassino.

    Si aggirò per la camera lentamente, annotando nel suo taccuino ogni foto che scattava, proprio come aveva fatto quando lavorava come fotografo della polizia. Si concentrò sulla meccanica e si rifiutò di pensare alle ragioni che stavano dietro le azioni.

    Scatta una foto. Era l'impulso a guidarlo, spingendolo a concentrarsi sulle scarpe allineate con ordine sul pavimento dell'armadio a muro. Si chinò a guardarle meglio... scarpe col tacco, sandali, mocassini, calzature di ogni genere. Judy Eppinga aveva amato le belle scarpe. Un paio, in particolare, attirò la sua attenzione. Tacchi a spillo di dieci centimetri e un cinturino alla caviglia, con un fiocco di raso nero. Probabilmente, Judy le aveva indossate al lavoro.

    Scattò diverse foto delle scarpe, obbedendo a un istinto su cui non s'interrogava più. Appesi nell'armadio, sopra le scarpe, c'erano i vestiti. Niente di molto costoso o vistoso, e certo nessuno di quei capi di biancheria che ci si sarebbe potuti aspettare da una donna che faceva il suo lavoro.

    Tornando sulla soglia, scattò una serie di foto dell'intera camera. L'appartamento era sorprendentemente in ordine, notò all'improvviso. Nonostante la violenza che vi aveva avuto luogo pochi giorni prima, la stanza era quasi impeccabile.

    Forse troppo in ordine?

    Riprese a scattare foto, sentendo che in quell'ordine c'era qualcosa d'importante. Niente sangue sulle pareti, né sul pavimento...

    «Come le uccide?» chiese a Diaz.

    «La prima era morta per dissanguamento. Scommetto che questa è stata uccisa nello stesso modo.»

    Nessun segno di lotta. Era sempre qualcosa che lo lasciava sbalordito, il modo in cui un assassino poteva terrorizzare la vittima al punto da lasciarsi sgozzare come un agnello.

    Che cosa se ne faceva di tutto quel sangue?

    Fuori, in soggiorno, si guardò attorno ancora per un po'. Qualcun altro aveva scattato le foto là, prima che i tecnici cominciassero il loro lavoro, e Quinn provò una punta di rimpianto per l'occasione perduta.

    Non notò niente che gli paresse significativo. Immaginò che non fosse accaduto nulla di particolare, fino a quando l'assassino e la vittima non erano andati in camera da letto. Fino ad allora, probabilmente era sembrato... che cosa? Un appuntamento romantico? Un incontro con un amico? Oppure l'assassino aveva sorpreso la vittima mentre stava dormendo?

    «Ci sono segni di effrazione?»

    Il sergente scosse la testa.

    «Né questa volta, né la precedente. Immagino che le abbia convinte a farlo entrare, in qualche modo.»

    Quinn annuì, cominciando a far combaciare i frammenti. Un tipo che parlava bene, forse. Qualcuno che non sembrava affatto pericoloso. Probabilmente attraente. Qualcuno con una passione per il sangue.

    Si rivolse a uno dei tecnici.

    «Quando passerete alla camera da letto, controllate se ci sono impronte sulle scarpe, per favore.»

    Diaz lo guardò.

    «Che cosa?»

    Lui scosse la testa, limitandosi a brontolare: «Non lo so». Stava per lasciare la stanza quando notò qualcosa che sporgeva da sotto il divano. «Che cos'è quello?»

    Uno dei tecnici, Bill Daley, si chinò a guardare.

    «Un libro.»

    «Che genere di libro?»

    «Mi serve un po' di luce per capirlo» borbottò Daley. Un collega gli mise in mano una torcia elettrica. «A dire il vero, qui sotto ce n'è un mucchio di libri.»

    «Possiamo spostare il divano?»

    «Sicuro. Penso che non ci sia più pericolo di inquinare prove, ormai.»

    Il divano venne sollevato e allontanato dalla parete. I libri erano testi universitari. Quinn raccolse un testo di geometria analitica.

    «Non era solo una spogliarellista» commentò. «L'altra era una studentessa?»

    «No, che io sappia» rispose Diaz.

    «Dev'esserci qualche altro collegamento fra queste donne. Qualche ragione per cui sono state scelte.»

    «Maledizione, credi che non lo sappia?» scattò Diaz. Poi si trattenne. «Diavolo, non lavoravano neppure nello stesso club.»

    «Ma entrambi i locali sono sulla Dale Mabry?»

    «Già.»

    Quinn annuì e riprese a esaminare i libri. Judy Eppinga era stata una studentessa seria, a un certo punto della sua breve vita. Una spogliarellista con simboli religiosi in camera da letto e libri di matematica sotto il divano.

    Scattò qualche altra fotografia, poi uscì di nuovo dall'appartamento, stavolta per sempre.

    Non voleva sentirsi rinchiuso in quel momento, neppure per poco. Voleva respirare aria fresca e togliersi l'odore di morte dal naso, dalla bocca e dai polmoni.

    Si allontanò dagli agenti, passò accanto alla propria macchina e continuò a camminare. Era già abbastanza brutto fiutare la morte, in quella stanza, ma lui aveva fatto qualcosa di più che fiutarla. In qualche strano modo, aveva sentito il terrore della donna, come se avesse lasciato nell'atmosfera qualche traccia psichica che lui era in grado di avvertire.

    Ora, tutto quello che poteva fare era allontanarsene. Escluderlo. Ignorarlo.

    Non era mai facile.

    Alla fine, quando ebbe le orecchie così gelate che pizzicavano, le gambe così fredde che ogni passo era una sofferenza, tornò alla macchina. Gli aranceti avrebbero sofferto quella notte, rifletté.

    Pensò alle piante del suo terrazzo e decise di tornare a casa per metterle al riparo. La sua vicina, una simpatica vecchietta, gli aveva trasmesso un po' della sua passione per il giardinaggio, dapprima chiedendogli di darle una mano quando l'artrite le impediva di curare i suoi fiori, e poi regalandogli le prime due piante da appartamento.

    E ora lui temeva che i gerani gelassero, quella notte.

    La sua preoccupazione per le piante, seguendo così da vicino l'orrore di cui era appena stato testimone, lo colpì come una di quelle incredibili assurdità che a volte rendevano la vita più facile da sopportare. Quando arrivò alla macchina, più infreddolito che mai, era riuscito a prendere le distanze dall'orrore di poco prima.

    Tornato nel suo appartamento a St. Petersburg, portò i gerani in soggiorno. Per quanto poteva vedere, non avevano ancora sofferto e, poiché la temperatura sul terrazzo non era scesa sotto lo zero, probabilmente si sarebbero salvati. Lo sperava. L'ultima cosa che voleva era sentirsi colpevole di aver maltrattato dei fiori.

    Gettò gli indumenti che indossava nella lavatrice, poi fece una doccia calda, lavando via l'odore della morte che gli era rimasto appiccicato addosso come se gli fosse penetrato nei pori della pelle. La sensazione dell'acqua calda che gli scorreva sul corpo era così piacevole che rimase a lungo sotto il getto.

    Liberarsi dai suoi pensieri, però, non era facile. Sembravano decisi a imboccare strade che lui preferiva non esplorare. Come la sera in cui, a sedici anni, si era ubriacato con un gruppo di amici. Non era mai riuscito a ricordare com'era arrivato a casa, ma ricordava benissimo come suo padre l'aveva steso, quando era comparso sulla porta barcollante. E non riuscì a scacciare il pensiero di quell'incidente prima di rammentare anche la volta che suo padre l'aveva fatto ruzzolare a calci dalle scale.

    Cose piacevoli da ricordare nel bel mezzo della notte, quando tutto quello che desiderava era sprofondare nell'oblio del sonno. Il suo cervello giocava a nascondino, escogitando drastiche misure per evitare di pensare a ciò che era successo a Judy Eppinga. Se si fosse disteso sul letto e avesse chiuso gli occhi, forse un po' dell'orrore sarebbe svanito dalla sua mente.

    La maggiore virtù del suo appartamento era la vista del cielo sopra la baia.

    Quinn rimase davanti alla portafinestra della terrazza per molto tempo, cercando conforto nel cielo e nel mare, senza trovarlo. Una barca a vela, quasi invisibile sull'acqua scura, con le sole luci di posizione accese, scivolava via in un silenzio spettrale. L'unico suono che poteva sentire era l'eterno sciacquio delle onde.

    Alla fine, abbandonando la speranza di dormire, andò nello studio e accese il computer. Se c'era una cosa di cui poteva essere certo in quel freddo, vuoto mondo, era che là fuori, da qualche parte, c'era qualche altro nottambulo con cui chiacchierare.

    Katydid era on-line. Appena vide il suo codice comparire in risposta alla sua richiesta, Quinn si sentì un po' meglio. Non aveva idea di chi fosse, ma stava cominciando ad apprezzare la loro corrispondenza elettronica.

    Lei gli aveva spiegato che lavorava fino a tardi, perciò aveva immaginato che fosse una cameriera. O forse una studentessa, benché gli sembrasse più matura, a giudicare dalla sua conversazione.

    Era interessante formulare delle ipotesi, ma non le aveva mai posto domande personali, né lei ne aveva poste a lui. Era come se entrambi volessero rimanere anonimi, anche se si confidavano alcuni dei loro sentimenti più intimi.

    Inviò una richiesta di conversazione, e quasi immediatamente il suo monitor si divise in due e la risposta cominciò a formarsi sulla metà inferiore.

    Ciao CQ, scrisse lei. È un bel po' che non chiacchieriamo. Tutto bene?

    Benissimo, rispose Quinn. Provava l'impulso di confidarle ciò che aveva visto quella notte e il suo timore per quello che sarebbe accaduto dopo, ma si trattenne. Ho solo avuto un servizio fotografico duro, stasera.

    Un delitto?

    Che cosa sei... telepatica?

    La risposta tardò un po' ad arrivare.

    Solo brava a indovinare. Non credo che fotografare il circolo del ricamo possa essere duro.

    Povera ingenua. Quinn si sorprese a sorridere mentre scriveva. Non conosci quelle vecchie dame.

    Come no?

    Ci fu una pausa, come se lei non avesse più niente da dire. Neppure lui riusciva a pensare a qualcos'altro.

    La sua mente sembrava ostinatamente piena di immagini dell'appartamento di Judy Eppinga, e continuava a focalizzarsi su quelle, come se una moviola le proiettasse in continuazione nella sua testa.

    Fu sul punto di interrompere il collegamento, dicendosi che non c'era ragione di monopolizzare Katydid in quel modo, se non aveva nulla da raccontarle. Lei poteva trovare qualcosa di meglio da fare che stare seduta al computer a fissare il monitor vuoto in attesa che lui dicesse qualcosa.

    CQ?, scrisse Katydid all'improvviso. Sai qualcosa sulle molestie on-line?

    Il cuore gli balzò in gola. Era come se fosse stato catapultato di nuovo nell'appartamento di Judy, a esaminare quell'osceno biglietto.

    Molestie? Che tipo di molestie?

    Continuo a ricevere degli e-mail da un tizio che si firma S. Talker. Mi fanno sentire a disagio.

    Minacce?

    No. Solo... La scrittura s'interruppe, poi riprese dopo alcuni secondi. Non so come spiegarlo. Non mi piace, ecco. Non rispondo, ma lui continua a scrivere.

    Puoi inoltrarmi una di quelle lettere?

    Le ho cancellate tutte.

    Un'altra pausa. Certo che le aveva cancellate tutte, pensò Connor. Era la cosa più sensata da fare.

    Mandami la prossima. Mi piacerebbe vederla.

    Il collegamento s'interruppe. Così, repentinamente, Katydid era sparita, e lui non riuscì in alcun modo a ristabilire il contatto.

    Seduto, solo, al buio, nel silenzio della notte, si chiese se per caso il tessuto della realtà si fosse in qualche modo lacerato, permettendo ai demoni di balzar fuori dallo strappo.

    2

    Kathryn Devane osservò Connor Quinn attraversare a passo deciso la redazione, e notò l'improvviso silenzio.

    Non appena lui fu scomparso nell'ufficio di Ben Hyssop, Mark Polanski commentò, abbastanza forte da essere udito in tutto il salone: «Eccolo là, l'asso dei cronisti!».

    Kate trasalì. La redazione non aveva smesso di ronzare come un alveare da quando il servizio sull'omicidio di una spogliarellista era stato tolto a Mark e affidato a Connor, e quasi tutti erano dalla parte di Polanski. Era il responsabile della cronaca nera, dopotutto, mentre Connor era solo un fotografo. Mark era accorso sulla scena del crimine, la sera prima, quando aveva sentito la chiamata con la sua radio sintonizzata sulla frequenza della polizia, e di solito sarebbe stato lui a scrivere l'articolo. Ma, per qualche ragione, Ben Hyssop, il direttore editoriale, aveva deciso altrimenti.

    «È perché Quinn è stato nella polizia» aveva affermato Mark poco prima. «Probabilmente ha qualche fonte all'interno che Ben reputa più importante ma, maledizione, non è un cronista. Non saprebbe scrivere un articolo neppure per salvarsi la vita!»

    Tutti convenivano che, se Hyssop voleva servirsi di Quinn per via dei suoi contatti nella polizia, andava benissimo, ma non avrebbe dovuto soffiare il servizio a Polanski. Quinn, pensavano tutti, sarebbe dovuto essere considerato una semplice fonte di informazioni per il collega.

    «C'è sotto qualche accordo sporco» aveva ripetuto Mark fino alla noia. «Questa storia puzza.»

    Kate avrebbe voluto difendere Connor, ma le era mancato il coraggio. Voltandosi sulla sedia, lanciò un'occhiata all'ufficio di Ben Hyssop, un cubicolo dalle pareti di vetro in cui Connor e il direttore stavano parlando. Ogni volta che vedeva Quinn, provava l'impulso di dirgli: Ehi, ciao, sono Katydid, ma non lo faceva. Non voleva che lui sapesse chi era.

    Preferiva che nessuno conoscesse la sua personalità segreta, la donna che, in apparenza, non aveva un pensiero al mondo mentre intavolava conversazioni scherzose on-line. Si sentiva troppo in colpa a proposito di quella personalità spensierata, come se, in qualche modo, ingannasse qualcuno fingendo di essere un'altra.

    Ignorando la tensione nel salone attorno a lei, cercò di riportare l'attenzione sull'articolo che stava correggendo. Il suo lavoro richiedeva una costante attenzione ai dettagli, e non poteva distrarsi a rimuginare su messaggi equivoci di molestatori on-line, politiche di redazione, o su come sarebbe stata la vita se lei fosse stata realmente Katydid, anziché Kate Devane, redattrice del Sentinel e per giunta divorziata.

    Quell'ultima situazione si era verificata di recente, e la metteva così a disagio che portava ancora la fede nuziale. Mordendosi il labbro inferiore, riprese il controllo dei propri pensieri e cercò di decidere come trasformare le trenta righe di materiale utile che aveva davanti nelle quaranta di articolo di cui aveva bisogno.

    Attorno a lei lavoravano altri redattori, svolgendo lo stesso lavoro di precisione, controllando l'accuratezza delle informazioni contenute negli articoli, correggendone la grammatica, accorciandoli o allungandoli a seconda delle necessità. Salvo sorprese, sarebbero riusciti a chiudere il giornale attorno alle otto.

    Il telefono posto sulla sua scrivania squillò, e lei sollevò il ricevitore.

    «Devane.»

    «Kate, vieni qui, per favore.»

    Lei odiava il vizio di Ben Hyssop di non identificarsi mai. Quando aveva cominciato a lavorare al Sentinel, le sue chiamate la gettavano sempre nel panico, perché non sapeva da chi provenivano. Ora riconosceva la voce, ma non per questo quell'abitudine le piaceva di più.

    L'ufficio di Hyssop conteneva una scrivania, tre sedie e una brandina che il direttore usava nelle occasioni in cui un avvenimento importante teneva occupata la redazione anche di notte. Connor era ancora là, seduto su una delle sedie, a braccia conserte e con l'aria di non essere per nulla soddisfatto della conversazione. Il suo viso, un curioso miscuglio di pellerossa e irlandese, era impassibile come

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1