Partita a scacchi con l'amore
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Paula Marshall
Nata e cresciuta in Inghilterra, a dieci anni leggeva già Dickens e Tackeray. La passione per la storia e per l'epoca della Reggenza in particolare ha ispirato in seguito i suoi deliziosi romanzi, avventurosi e ricchi di umorismo.
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Partita a scacchi con l'amore - Paula Marshall
bianco.
1
La residenza dei Markham era uno splendido edificio di epoca Tudor. Le aggiunte successive, volte a fornire maggiori comodità alla famiglia e ai suoi ospiti, erano tutte concentrate sul retro, così che la villa conservava ancora intatto il fascino di quell'età lontana.
In quel tardo pomeriggio di aprile erano attesi un gran numero di invitati e diverse carrozze stazionavano già davanti al cancello, che dava accesso all'ampio cortile di ghiaia attorno al quale era stata costruita la villa. Un nugolo di valletti, stallieri, cocchieri e altri domestici era occupato a trasportare in casa i bagagli degli ospiti.
Due valletti, uno dei quali reggeva un enorme ombrello verde, corsero incontro a Mary e aprirono lo sportello della carrozza per permetterle di scendere e scortarla in casa insieme alla cameriera Jennie e alla sua accompagnatrice, la signorina Eliza Truman.
Le stanze assegnate a Mary si affacciavano sul paesaggio collinare che circondava la villa. Aveva appena avuto il tempo di cambiarsi, passando dagli abiti da viaggio a un vestito viola pallido, e di sedersi con un sospiro sul divano del salottino, quando il maggiordomo arrivò accompagnato da un valletto con il tè.
«Lady Markham ha pensato che vi avrebbe fatto piacere un piccolo rinfresco, dopo che avete viaggiato fin qui da Oxford. Più tardi sarà servita la cena nel salone grande. La famiglia e gli invitati si riuniranno nella sala Stuart al suono della campanella» annunciò l'uomo in tono solenne.
«Un pensiero gentile» mormorò Mary, adocchiando grata la teiera e il piatto di invitanti biscotti fatti in casa.
«Il generale e lady Markham sperano che apprezzerete la vostra visita qui» continuò il maggiordomo. «Nel caso in cui qualcosa non fosse di vostro gradimento, vi pregano di rivolgervi alla governante, la signora Marsden, che si occuperà di tutto.»
Il maggiordomo e il valletto uscirono dopo un ultimo inchino e Mary sospirò piano. Aveva dimenticato tutte le formalità richieste da quel genere di visite e non era sicura che sarebbe riuscita a reggerle per le due settimane che avrebbe trascorso in casa Markham. Si era portata dietro il lavoro, ma dubitava di avere il tempo di dedicarsi a quei difficili problemi matematici. La sua accompagnatrice, invece, era soddisfatta di tutte quelle attenzioni e intendeva chiaramente approfittarne.
«Potremmo chiamare la governante per farci portare dell'altro tè» suggerì, una volta finita la prima tazza.
«Fatelo, se volete. Io preferisco un giro nel parco. Ha smesso di piovere e ho voglia di uscire a fare quattro passi. Non occorre che mi accompagniate, se non ne avete voglia» precisò Mary.
«Portate con voi almeno Jennie» suggerì la signorina Truman, sempre attenta alle convenzioni sociali.
«Non ce n'è bisogno» tenne duro Mary, che desiderava solo stare un po' da sola.
«Ma chi vi reggerà l'ombrello?»
«Posso farlo io. Godetevi il tè; non starò via molto.»
Mary scese da basso e chiese a un valletto di indicarle come raggiungere il parco. Questi la guardò sorpreso, poi l'accompagnò fino a una porta sul retro della villa: da lì un sentiero portava alle scuderie e un altro a una serie di splendidi giardini e quindi al parco vero e proprio, con i suoi ponti decorati, le macchie d'alberi disposte ad arte e il laghetto, con un minuscolo molo a cui erano ormeggiate due barche.
La scena che Mary si trovò di fronte era così bella da farle rimpiangere di aver lasciato a casa l'album da disegno e gli acquerelli. Rimase seduta per un po' su una panchina collocata in un punto particolarmente panoramico, poi si alzò con un sospiro e si avviò verso la villa.
Per tornare scelse un sentiero che attraversava i giardini, ma mentre oltrepassava un arco rivestito di rampicanti, sentì poco lontano delle voci maschili. Decisa a evitare incontri indesiderati, stava per tornare sui suoi passi quando le parve di riconoscere una delle voci.
Ma no, non era possibile! Non poteva essere lui!
L'uomo parlò ancora concludendo la frase con una risata, e a quel punto Mary non ebbe più dubbi. Doveva scoprire se si trattava davvero di lui, in modo da essere preparata, quando l'avesse incontrato a cena. Trovarselo davanti senza alcun preavviso avrebbe messo a dura prova anche il suo leggendario autocontrollo.
Mary avanzò con cautela, nella speranza di scorgere gli uomini radunati nel giardino senza farsi vedere da loro. In effetti, al centro del gruppo c'era proprio Russell Chancellor: aveva subito riconosciuto la sua voce piacevole e profonda, sebbene fossero tredici anni che non la sentiva. Era seduto in mezzo a un gruppo di giovani uomini, davanti a un tavolo su cui non c'erano tazze di tè, ma bottiglie di Porto, Madeira e vino bianco. Non avevano certo un'aria irreprensibile, osservò Mary infastidita dalle loro risate sguaiate. Oltre a Russell, riconobbe Peregrine Markham, figlio ed erede del padrone di casa.
Questi si alzò all'improvviso e Mary si tirò indietro di scatto, decisa a non farsi notare. Non voleva parlare con nessuno di loro, e tanto meno con Russell, prima di aver avuto il tempo di riprendersi dal turbamento e dalla sorpresa provocati da quell'incontro inaspettato.
Aveva sperato di non rivederlo mai più, e se avesse saputo che anche lui era tra gli invitati, non avrebbe mai ceduto alle insistenze di lady Leominster e sarebbe rimasta a casa. A quel punto, però, aveva almeno la possibilità di prepararsi all'inevitabile incontro prima di cena. Era essenziale che Russell non si rendesse conto di quanto il solo vederlo la turbasse ancora.
Era ridicolo, si rimproverò Mary una volta giunta sana e salva in camera. Erano passati tredici anni dal suo tradimento! Eppure le era bastato scorgerlo per un attimo, perché il suo cuore si mettesse a battere all'impazzata, come se fosse passato solo un giorno da quando lui l'aveva salutata dopo un ultimo bacio appassionato. Un bacio di Giuda, aveva pensato Mary in seguito. Quel ricordo le aveva fatto versare fiumi di lacrime amare, fino a quando non era riuscita a dimenticare Russell e le sue promesse mancate, il che rendeva ancor più inaspettata la sua reazione.
Mary non poté fare a meno di chiedersi se Russell l'avrebbe riconosciuta. Dal canto suo non aveva avuto dubbi, anche se lui era cambiato: non era più un ragazzo snello, dalla grazia innocente, ma un uomo fatto, con un'espressione cinica e una risata sguaiata.
Quando Mary entrò in salotto, Eliza l'accolse allarmata. «Mia cara, non vi sarete stancata troppo? Siete tutta rossa in viso. Vi avevo detto che era un errore fare una passeggiata nel parco dopo un intero giorno di viaggio.»
«Oh, non preoccupatevi: il mio rossore è dovuto all'ammirazione per i magnifici giardini che ho appena visitato» mentì Mary. «Sono degni del pennello di un grande pittore, ve lo assicuro.»
La signorina Truman si lasciò convincere da quella spiegazione e trasse un lieve sospiro di sollievo. «Ho sentito parlare della loro bellezza e anche dell'abilità del cuoco del generale. Non vedo l'ora di scendere a cena.»
Mary condivideva la sua trepidazione, ma per ragioni molto diverse.
Russell non aveva alcuna voglia di conoscere la fanciulla che suo padre voleva fargli sposare. Aveva già incontrato parecchie volte suo fratello Peregrine, detto Perry, e lo trovava alquanto antipatico. L'idea di averlo come cognato non lo attraeva affatto.
Perry Markham amava il gioco d'azzardo, ma non sapeva perdere. Anche Russell giocava di tanto in tanto, soprattutto per alleviare la noia della sua esistenza frivola e vuota, ma non riusciva a capire come Perry potesse lasciarsi dominare completamente da una simile passione. Si chiese se il generale fosse al corrente delle ingenti perdite subite dal figlio ai tavoli da gioco e delle colossali bevute in cui tentava di annegare il dispiacere per la sua sfortuna.
Quel pomeriggio Russell si era divertito a osservare gli amici di Perry, tutti giovani con la testa vuota e troppo tempo libero, bere fino a ubriacarsi. A un certo punto gli era parso di scorgere una donna sotto l'arco che conduceva al giardino in cui si erano rifugiati. Non l'aveva vista in volto, ma gli era sembrata giovane e graziosa. Aveva sperato che si facesse avanti per ravvivare un pomeriggio scialbo e noioso malgrado il sole splendente, ma la vista di quei giovani gaudenti doveva averla indotta a ritirarsi in tutta fretta.
Ora il suo cameriere personale lo aiutava a vestirsi per la serata con la cura abituale. Era una strana vita, la sua, in cui si dava un'importanza eccessiva all'eleganza e ad altre cose in fondo secondarie. Russell aveva chiesto di recente al padre il permesso di presentarsi alle elezioni nel collegio che portava il suo nome, nella speranza che diventare un membro del Parlamento gli avrebbe fornito un interesse nella vita e un'esperienza stimolante.
«Non sei ancora pronto per questo» aveva tagliato subito corto il conte, e Russell si era chiesto perché lo detestasse al punto da negargli le opportunità che erano state offerte ad altri eredi. Possibile che ciò che era successo tredici anni prima lo avesse bollato per sempre agli occhi del genitore?
Nell'ennesimo tentativo di compiacere il padre, ora si trovava a Villa Markham per chiedere in sposa una fanciulla che si diceva fosse vacua, frivola e sventata. Presto avrebbe scoperto se quelle voci contenevano un fondo di verità, pensò mentre scendeva nel grande salone dove la famiglia Markham faceva gli onori di casa accogliendo gli ospiti.
«So che conoscete già mio figlio Peregrine, ma non credo siate stato presentato a mia figlia Angelica» disse il generale accennando con la mano a una fanciulla dai vivaci occhi azzurri, con i boccoli biondi e la figura graziosa stretta in un vestito rosa decorato da boccioli color crema.
Angelica gli fece un inchino e parlò con una vocina ancora infantile. «Sono felice di conoscervi, lord Hadleigh. Mio fratello mi ha parlato molto di voi.»
«Il piacere è mio, signorina Markham» rispose compito Russell.
«Oh, vi prego, chiamatela Angelica» intervenne lady Markham in tono cordiale. «Siamo tutti amici, qui.»
«Vada per Angelica» accettò lui con un sorriso e un inchino. «E io sono Russell.»
Avrebbe presto scoperto com'era la sua conversazione: Pickering, sempre informatissimo, gli aveva comunicato che a tavola sarebbe stato seduto vicino a lei. Conversazione? Ma cosa gli veniva in mente? Le persone del suo rango si sposavano per la dote, non per le capacità intellettuali delle future mogli, e la cordialità un po' eccessiva di lady Markham gli faceva sospettare che il matrimonio con Angelica fosse stato concordato tra i rispettivi padri. Quello che gli sfuggiva era perché avessero tanta fretta di vederli sposati.
Russell entrò in salotto e vi trovò molti invitati che già conosceva. Sapeva come intrattenerli ed era sempre affabile e gentile; aveva una tale esperienza in quel campo da sapersi muovere anche a occhi chiusi.
Russell aveva appena finito di parlare con una signora il cui marito era amico di suo padre, quando scorse una giovane donna dai capelli scuri seduta accanto alla sua accompagnatrice di mezza età. La donna gli dava le spalle, ma c'era qualcosa di familiare in lei. Fu solo quando si voltò che Russell capì chi era.
Mary Beauregard, la ragazza che aveva amato e perduto tredici anni prima! Non era cambiata molto: la pelle sembrava possedere la stessa candida morbidezza e gli occhi scuri e tranquilli erano ancora meravigliosi.
Russell non li aveva mai dimenticati, così come non aveva scordato le labbra che gli avevano promesso amore eterno l'ultima volta che l'aveva vista. Un amore eterno che era durato solo qualche settimana.
A tredici anni di distanza, constatò sconcertato, non riusciva a guardarla con freddezza, ma si sentiva ancora prendere dall'incanto di un tempo. Russell notò il lieve tremito delle labbra di lei e il gesto nervoso della mano, scattata a lisciare una piega inesistente, e capì che Mary era turbata quanto lui.
Si inchinò e atteggiò il viso in genere mobile ed espressivo alla maschera che indossava quando giocava a poker.
«Signora Wardour, se non sbaglio» la salutò nel tono più freddo e distante possibile. «Ci incontriamo di nuovo dopo molti