Sussurri nel buio (eLit): eLit
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Sussurri nel buio (eLit) - Barbara Hambly
successivo.
1
«Tessa?»
In cima alla prima, interminabile rampa di scale si scorgeva una luce fioca.
Maddie Laveau si strinse nel montgomery, voltandosi a guardare con circospezione la porta a vetri che dava sulla Ventinovesima Est. Il riverbero giallo dei lampioni filtrava nell'angusto atrio, poco più grande di un corridoio, dove si trovava la guardiola di Quincy. Il custode se n'era andato alle dieci, un'ora prima, risparmiandole per fortuna un monologo di quarantacinque minuti sulle tasse e sul partito repubblicano, che lei non aveva proprio voglia di ascoltare. La puzza di tappeti ammuffiti e di mozziconi vecchi di decenni aleggiava ovunque.
Si era affrettata a richiudere a chiave il portone subito dopo essere entrata con le chiavi di Tessa.
Ma se la sua coinquilina era riuscita ad averle, si disse, duplicando la copia di un'altra ballerina che, a sua volta, aveva fatto un doppione delle chiavi di un insegnante che non lavorava più alla Dance Loft, Dio solo sapeva chi altro a New York ne era in possesso.
Con il cuore in gola, salì le scale buie. «Tessa, sei qui?»
Silenzio.
Anche se il Glendower Building le aveva sempre messo i brividi, ospitava una delle più stimate scuole di danza della città. Maddie si chiedeva perché fosse stato scelto proprio quell'edificio. Quanti palazzi altrettanto vecchi, mal ridotti e mal illuminati c'erano a New York, incluso quello dove abitava lei!
Sin dal primo giorno in cui aveva varcato quella soglia, ventidue mesi prima, si era sentita in ansia, come se avvertisse sempre una presenza alle proprie spalle.
Salì in fretta, oltrepassando il negozio di abbigliamento per la danza del primo piano, e i magazzini e gli uffici del secondo, ma continuava a voltarsi, come se qualcuno potesse essersi nascosto nell'atrio. Neanche una Barbie sarebbe riuscita a trovare riparo in quel posto.
Negli anni Ottanta, durante l'ultima ristrutturazione, la tromba delle scale era stata ridipinta con le tonalità spente di rosa e grigio che andavano di moda all'epoca, però nessuno si era preoccupato di togliere la vecchia carta da parati e di rifare l'impianto elettrico. Il risultato era assolutamente squallido, e secondo lei la moquette industriale grigia celava altri strati di moquette, nonché il linoleum marrone che era ancora visibile ai piani superiori. Portare alla luce il parquet originale di fine Ottocento sarebbe stato come scoprire le diverse stratificazioni in un sito archeologico.
Nei mesi in cui aveva insegnato danza del ventre in una delle sale più piccole della Dance Loft, Maddie aveva sempre odiato rimanere nel palazzo di sera.
Charmian Dayforth, la proprietaria, dava senza problemi le chiavi agli studenti, agli insegnanti e all'impiegato part-time, che cambiava con la stessa rapidità delle mogli degli attori di Hollywood.
Dopo aver vissuto per sette anni e mezzo a New York, Maddie si muoveva in quell'edificio con estrema circospezione, tenendo una mano in tasca, stretta attorno alla bomboletta di spray al peperoncino.
La sua coinquilina, Tessa, era in città da sei mesi. Le vicissitudini della vita l'avevano resa tenace e sicura di sé, ma aveva soltanto diciotto anni.
Ecco perché Maddie, in quella sera di gennaio, si stava avventurando nella semioscurità, dopo aver ballato al ristorante Al-Medina sulla Lexington Avenue.
Il corso avanzato di danza di Tessa avrebbe dovuto finire alle 22, tuttavia l'insegnante in quel periodo era spesso in ritardo, perché le audizioni dell'American Ballet Academy erano alle porte.
Con l'avvicinarsi dei provini, Tessa avrebbe fatto ancora più tardi.
Non era una buona idea, in un quartiere che non aveva niente di bello che potesse essere raccontato a casa... Non che la ragazza avesse qualcuno a El Paso a cui scrivere, in ogni caso.
Sull'angusto e tetro pianerottolo, Maddie seguì la luce verso la porta su cui campeggiava la scritta The Dance Loft e tirò fuori la seconda delle pluriduplicate chiavi.
Pensò alla segreteria della scuola, che era identica alle dozzine di segreterie che aveva visto a Baton Rouge, a New Orleans e a New York negli ultimi ventitré anni, fin da quando, alla tenera età di cinque anni, aveva frequentato il primo corso di danza: tappeto logoro, rivestimento con pannelli di compensato, manifesti con i nomi degli insegnanti. Fotografie, formato 8x10, con il passepartout nero, che ritraevano ballerine serene e leggiadre sul palcoscenico, oppure primi piani autografati appesi al muro uno dopo l'altro.
Guardando la piccola stanza attraverso la porta a vetri, non riuscì a trattenere un sorriso mentre infilava la chiave nella serratura...
La porta era aperta.
Accidenti!
Tessa, per l'amor del cielo, quando sei qui da sola, chiudi la porta a chiave! Essere stata cresciuta da due alcolizzati in una zona malfamata non ti ha reso neanche un po' diffidente? Siamo nella Grande Mela!
La borsa di danza dell'amica era in un angolo della sala grande, dove le luci al neon erano ancora accese, sei metri sopra il parquet.
Restando sulla porta, Maddie esaminò la stanza. Gli specchi le restituirono la sua immagine riflessa: altezza media, snella, nonostante i cinque chili in più rispetto a quando ballava sulle punte ed era magra come un grissino. Le danzatrici del ventre non godevano della stessa considerazione delle ballerine classiche, ma almeno non erano costrette a morire di fame per entrare in una compagnia. I capelli castano chiaro, lunghi quasi fino alla vita, erano ancora acconciati in una serie di trecce e ricci, e i fermagli eleganti non si abbinavano assolutamente al montgomery verde e ai jeans.
Di Tessa nessuna traccia.
Il bagno, pensò. Vicino alla borsa di tela nera trovò le punte di raso rosa, gli scaldamuscoli fatti a maglia, consunti e bucati, ridotti a una palla, e i jeans che penzolavano dalla sbarra.
Guardandoli, ripensò alla prima volta in cui Tessa, a luglio, era entrata in segreteria con un timore reverenziale, come se si aspettasse di essere buttata fuori solo perché aveva osato respirare lì dentro.
«Mi chiamo Theresa Lopez» aveva detto con un filo di voce. «Avete una bacheca, o qualcosa di simile, dove posso appendere un annuncio per cercare qualcuno con cui dividere l'appartamento?»
Maddie gliel'aveva indicata – la bacheca era piena zeppa di annunci simili – e siccome era metà mattina e aveva appena finito di fare lezione le aveva offerto una tazza di caffè. Poi si erano sedute a chiacchierare sul vecchio divano traballante.
Anche se avevano dieci anni di differenza, a Maddie era piaciuta subito. Forse perché, quando le aveva raccontato che insegnava danza del ventre, aveva risposto: «Che figo!», e non un altezzoso: «Oh...», come le ragazze del circolo. O magari per la diffidenza che aveva colto in fondo a quegli immensi occhi marroni. Quello sguardo le aveva confermato che Theresa Lopez era sopravvissuta alla stessa guerra dalla quale lei, all'epoca, era a malapena uscita viva. Il nemico di Theresa erano stati i suoi genitori, mentre nel caso di Maddie...
Sandy.
Il ricordo del suo ex marito la faceva ancora trasalire.
E, grazie a quel sussulto, si rese conto che erano passati più di cinque minuti.
«Tessa?» Il corridoio fuori dalla segreteria era poco illuminato e sembrava distante chilometri dal bagno. Quando ci arrivò e socchiuse la porta, vide che la stanza era buia.
Tessa non c'era. Non era stata lì, almeno non recentemente.
Rimase immobile qualche minuto nell'oscurità, ascoltando il silenzio.
Non era una semplice assenza di suoni. Era un silenzio che respirava e ascoltava.
Be', si disse rapidamente, è ovvio, perché Tessa è qui da qualche parte...
In cuor suo, però, sapeva che la presenza che percepiva non era della sua coinquilina.
Tornò in segreteria, controllò di nuovo la sala grande, nutrendo l'assurda speranza di trovare Tessa lì, impegnata in qualche allungamento impossibile e semplicemente ignara del fatto che fosse così tardi.
Niente.
Esitante, la chiamò a voce alta, senza ottenere risposta neanche dalle sale prova più piccole, che i Dayforth affittavano a collaboratori esterni per corsi di tango, danze hawaiane, hip hop e, sì, anche danza del ventre, quando non le adoperavano per i corsi di danza classica.
Maddie, che cominciava davvero a essere in ansia, lasciò scendere la borsa dalla spalla e si inginocchiò in fretta per rovistare nel guazzabuglio di paillettes dorate e seta verde alla ricerca del cellulare.
Accidenti, pensò, ero sicura che sarebbe successo... Ma non sapeva esattamente a cosa si stava riferendo. Nella borsa aveva anche una pila tascabile – era risaputo che l'elettricità al Glendower Building giocava brutti scherzi – e il portafoglio, che mise nella tasca della giacca assieme allo spray al peperoncino.
Un conto era entrare all'American Ballet Academy... Maddie sapeva bene che pochi studenti erano ammessi ogni anno e come, su indicazione diretta delle più prestigiose compagnie di ballo del paese, venissero scelti soltanto gli eccellenti.
Rischiare la vita era tutta un'altra faccenda.
Quando la determinazione era forte come quella di Tessa, rifletté con sarcasmo, non era una scelta che si faceva a cuor leggero.
Maddie ricordava bene la propria adolescenza, trascorsa tra pillole dimagranti e punte macchiate di sangue. Qualche sera prima, a mezzanotte, aveva trovato Tessa in quella sala che provava