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Scacco al barone: Harmony Collezione
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Scacco al barone: Harmony Collezione

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About this ebook

Raoul era nato per comandare, e non aveva ancora imparato cosa significasse amare.



Quando Natasha de Saugure viene invitata in Francia dalla nonna, l'ultima cosa che avrebbe mai immaginato sarebbe stata di ritrovarsi erede di una vasta proprietà e del titolo di contessa. E, soprattutto, vicina di casa di un sensuale barone. La casata di Raoul d'Argentan è in disputa con quella di Natasha da due secoli, e lui non sembra intenzionato a interrompere la tradizione. Con un'unica variante: vuole sedurre a tutti i costi l'ultima rampolla dei de Saugure, sancendo di fatto la propria superiorità di rango. Anche Natasha si sente attratta da lui, l'unico problema è che Raoul non è in cerca di una moglie, e ha già chiarito esattamente la propria volontà: "Sarai solo la mia amante". Come fare per convincerlo a cambiare idea?
LanguageItaliano
Release dateMar 10, 2016
ISBN9788858947098
Scacco al barone: Harmony Collezione
Author

Fiona Hood-stewart

Scrittrice di origine scozzese, vive in Svizzera. Ama molto leggere e viaggiare e parla correttamente sette lingue tra cui l'italiano. Nella collana I NUOVI BESTSELLERS ha già pubblicato In viaggio verso casa e Novecento in cui era sempre protagonista la famiglia MacLeod.

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    Scacco al barone - Fiona Hood-stewart

    successivo.

    1

    Non che non avesse voluto tornarci, in Francia, anzi. Però, mentre l'autista imboccava il cancello della grande tenuta che ricordava appena, dall'infanzia, Natasha de Saugure sussultò per un'improvvisa ondata di emozioni confuse. Avrebbe dovuto rispondere prima, agli appelli della nonna.

    L'ombra del passato era rimasta sospesa su di loro, allontanando il momento del suo ritorno. Ora, sperava solo che non fosse troppo tardi. La voce della nonna le era sembrata così fragile, al telefono... Al punto che, nonostante le difficoltà, si era decisa a sospendere per qualche giorno il lavoro per un'organizzazione umanitaria in Africa, alla quale da molti mesi dedicava tutte le proprie energie.

    La macchina si fermò e dal finestrino aperto lei riconobbe la particolare fragranza di timo e lavanda nell'aria. Sapeva di aver fatto bene a venire.

    «Voilà, mademoiselle.» L'autista le sorrise al di sopra della spalla e scese ad aprirle la portiera.

    Lei gli restituì il sorriso. «Merci.» Con un movimento rapido del capo spinse indietro i lunghi capelli biondo cenere, poi alzò gli occhi e accarezzò con lo sguardo l'antica facciata di sasso della Rocca, le torri rotonde d'angolo, il tetto in ardesia, e la cascata di edera che ricopriva le mura vecchie di secoli. Con un sospiro, si incamminò verso l'ingresso, lungo il viale costeggiato da siepi di bosso potate con millimetrica precisione. Non vedeva la nonna da molti anni: la vecchia signora non aveva mai perdonato al figlio di aver sposato una donna che, secondo lei, era di lignaggio inferiore.

    L'antico portone dell'ingresso si schiuse e ne uscì un vecchio signore con i capelli bianchi e l'uniforme. «Bienvenue, mademoiselle» la salutò con un sorriso. «Madame ne sarà così felice...»

    Lei lo riconobbe. «Bonjour, Henri» rispose. Sua madre le aveva parlato spesso del vecchio maggiordomo, che era considerato da tutti un'istituzione, lì alla Rocca. Natasha entrò nel grande atrio con il pavimento di pietra e, mentre la testa le si riempiva di ricordi, ripeté a se stessa la domanda che l'aveva inseguita per tutto il viaggio.

    Perché la nonna aveva insistito tanto, proprio adesso, per farla tornare?

    Forse soltanto perché, dopo la morte dei suoi genitori, lei era rimasta l'unica parente in vita...

    Henri, chiaramente commosso perché lei l'aveva riconosciuto, la guidò su per lo scalone che portava al piano superiore. Nulla sembrava cambiato in vent'anni, dall'epoca della sua ultima visita in Normandia: la fragranza dell'aria, la luce che filtrava dalle alte finestre, l'eco dei tacchi sui gradini usurati dal tempo. E anche... qualcos'altro, che Natasha però non riuscì a individuare.

    «Madame l'aspetta nel salotto piccolo» annunciò Henri.

    Arrivarono davanti a una porta bianca, con la maniglia in ottone. Henri bussò prima di aprire lentamente, poi si fece da parte per lasciar passare Natasha.

    Lei deglutì. D'un tratto, le sembrò tutto molto più difficile di come le era parso a Khartoum. Con un sospiro, raccolse tutto il proprio coraggio e oltrepassò la soglia.

    La stanza, con il soffitto alto, era immersa nella penombra. Quando finalmente gli occhi riuscirono ad adattarsi, vide qualcuno sul sofà accanto alla finestra, qualcuno con i capelli bianchi e l'aspetto esile.

    «Ah, mon enfant, finalmente sei arrivata.»

    La voce era così commossa che tutte le riserve di Natasha scomparvero, come d'incanto. Invece della donna severa che era stata capace di allontanare da sé il proprio unico figlio, vide una fragile vecchia signora bisognosa di aiuto.

    «Sì, nonna. Sono qui.»

    La vecchia protese verso di lei il viso un tempo bellissimo. «Vieni qui, bambina. Siediti accanto a me. Ti ho aspettata così tanto.»

    «Lo so, nonna. Ma non potevo allontanarmi» spiegò lei. «All'organizzazione avevano bisogno di me.» Si sedette sul bordo di una seggiola con i braccioli dorati.

    «L'importante è che adesso tu sia qui, mia cara. Henri.» La voce riprese un tono autoritario. «Le thé, s'il-vous-plaît

    «Tout de suite, madame.»

    Con qualche tentennamento, Henri si inchinò e richiuse la porta.

    «Non sarà troppo faticoso, per lui?» si preoccupò Natasha. «Ha una certa età...»

    «Sciocchezze. Henri non si è mai lamentato della fatica» rispose la nonna, perentoria. Si raddrizzò sui cuscini. «Ha incominciato a lavorare qui prima della guerra, come aide de cuisine. Figurati...» Fece un cenno con la mano diafana. «Piuttosto, dimmi di te. Sei stata lontana troppo a lungo, mia cara.» Si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Lo so che è colpa mia, ma ora non è più tempo di rimpianti.» Soppesò Natasha con lo sguardo. Nonostante l'aspetto fragile, era chiaro che possedesse ancora una forza e una lucidità straordinarie.

    «Non c'è molto da dire» replicò lei. «Dopo la scuola mi sono iscritta all'università. Ma tre anni fa, quando il papà e la mamma sono morti in un incidente, ho subito pensato di partire e andare... lontano. Era il modo migliore per reagire al dolore. Così, quando si è presentata la possibilità di lavorare in Africa, l'ho colta al volo.»

    «Il tuo lavoro ti piace?» Gli occhi della nonna la fissarono pungenti.

    «Molto. È faticoso, e a volte mi fa sentire anche troppo coinvolta sul piano emotivo, ma lo trovo davvero gratificante.»

    La vecchia signora annuì. «Sei una ragazza generosa e altruista. Non come me.» Rise, amara. «Mi sono sempre preoccupata più di me stessa che degli altri, e ho pagato il prezzo più alto per il mio egoismo.» Si lasciò sfuggire un lungo sospiro e chiuse gli occhi.

    Natasha esitò. Non poteva certo dimenticare il rammarico di suo padre, o i sensi di colpa che avevano perseguitato sua madre, che per tutta la vita si era sentita responsabile per aver allontanato dalla sua famiglia l'uomo che amava. Ora, però, lei non voleva che il passato continuasse a influenzare negativamente il futuro.

    «Tutti commettiamo degli errori, nonna.»

    «Eh, già.» La vecchia signora sospirò di nuovo. «Potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto alla tua famiglia, cara? Ora vorrei tanto poter tornare indietro... è stata una follia allontanare tuo padre, il mio adorato Hubert.»

    Natasha vide la scintilla di speranza negli occhi della nonna, e il suo cuore si intenerì. «Ma certo, grandmère» rispose. «Il passato è dimenticato, ora pensiamo al futuro.»

    «Oh, cara.» La vecchia signora appoggiò una mano sulla sua e sorrise. «Ho fatto bene a insistere per farti venire...»

    Un rumore alla porta annunciò che Henri era di ritorno con il tè. Natasha balzò in piedi per tenergli aperta la porta, e la nonna ritrovò il suo cipiglio, per dare ordini su dove disporre il vassoio.

    Un'ora più tardi, dopo il tè e una lunga chiacchierata colma d'affetto, la nonna sembrò improvvisamente stanca.

    «Vado a disfare la valigia» annunciò Natasha, alzandosi.

    «Sì, mon enfant. Non so se ti farò compagnia a cena, ma Henri si occuperà di te. Verrai a darmi la buonanotte, vero?»

    «Senz'altro.» Natasha si chinò per darle un piccolo bacio sulla guancia. «A più tardi, allora.»

    «Sì, cara. Ti aspetto.»

    Dopo aver sistemato i vestiti nell'armadio profumato di lavanda, Natasha si affacciò alla finestra della sua nuova elegantissima camera e accarezzò con lo sguardo la verde campagna circostante. In lontananza, un ardito castello medioevale innalzava le proprie torri verso il cielo. Lei si schermò gli occhi con la mano, per guardare meglio, e pensò all'invasione normanna, a Guglielmo il Conquistatore... Forse, si disse, il castello era aperto alle visite.

    Era primavera inoltrata. Una fioritura generosa colorava le aiuole, che spiccavano variopinte in un prato che sembrava di velluto. Una cartolina..., pensò lei. Guardò l'orologio e si chiese se c'era il tempo per una passeggiata, prima di cena.

    Certamente sì, decise. Infilò un paio di scarpe da tennis e discese lo scalone. Nell'atrio non incontrò nessuno, uscì e incominciò a camminare, con il naso all'insù per guardare le nuvole, mentre il vento le scompigliava i capelli.

    In breve superò i confini del giardino e raggiunse i campi all'esterno, godendo del moto e dell'aria fresca. D'un tratto, sentì alle spalle un rumore di zoccoli. Si girò, e vide un uomo alto e bruno che cavalcava un baio dall'aria nervosa. L'uomo, in jeans e stivali, tirò di scatto le redini e sembrò seccato di vederla lì.

    «Chi sei?» l'apostrofò in francese, con il tono di chi è abituato a essere sempre e comunque assecondato.

    Natasha si irrigidì. «La cosa non mi sembra che la riguardi» replicò, in un francese perfetto.

    «Certo che mi riguarda, dal momento che sono il proprietario delle terre.»

    «Bene, allora la prego di scusarmi. Non sapevo di aver sconfinato» ribatté lei, con un certo sussiego. Mai e poi mai si sarebbe lasciata intimidire da un prepotente.

    «Bien. Per questa volta la scuso» ribatté lui, asciutto. «Ma che non succeda più.»

    E con questa perentoria esortazione, girò il cavallo e galoppò via, lasciando Natasha a smaltire la propria collera, con i pugni stretti lungo i fianchi.

    Che uomo odioso e arrogante, pensò con irritazione. Nessuno, mai, le era sembrato più maleducato di lui.

    Camminò in fretta per tornare alla Rocca, che in quel momento si stagliava scura contro un cielo infuocato dal tramonto, e mentre camminava fece del proprio meglio per cancellare dalla mente l'immagine del misterioso cavaliere dal pessimo carattere. Senza riuscirci.

    Chissà chi era. Di sicuro un vicino se, come aveva detto, possedeva il terreno adiacente alla Rocca. Un vicino che avrebbe anche potuto risultare molto attraente, con quella fronte ampia, i lineamenti decisi e i capelli neri...

    Alle otto in punto, vestita con un abito di seta azzurra in onore della nonna, Natasha scese il grande scalone della Rocca e si lasciò guidare da Henri in sala da pranzo. Il tavolo era immenso e la sala deserta. Lei, con un sospiro, ricordò gli aneddoti di suo padre sull'atmosfera rigida e formale che aveva caratterizzato la sua giovinezza.

    Cenò in perfetta solitudine, e alla fine fu un sollievo potersi alzare dal tavolo. Natasha sorrise a Henri e si accomiatò per salire dalla nonna. Voleva darle la buonanotte prima che si coricasse, poi si sarebbe ritirata nella sua camera, per rannicchiarsi a leggere un buon libro sul meraviglioso letto a baldacchino con la trapunta di satin azzurro.

    Dopo aver bussato tre volte senza ottenere risposta alcuna, abbassò la maniglia, per dare un'occhiata all'interno. Proprio come aveva immaginato!, pensò con un sorriso. La nonna si era addormentata. Esitò. Per un attimo pensò che fosse meglio non disturbare... eppure, qualcosa la spinse a muovere qualche passo verso il letto. La contessa de Saugure giaceva perfettamente immobile, con un'espressione serena sul viso.

    Natasha si sentì fermare il cuore. Raggiunse in fretta il letto, prese la mano della nonna tra le proprie, cercò il polso...

    Nessun battito.

    «Nonna. Nonna, svegliati» mormorò, scuotendole la spalla. Niente. La verità si fece strada, e il dolore la sopraffece.

    Anche la nonna l'aveva lasciata.

    L'antica cappella normanna era gremita di persone, molte del posto e qualcuna venuta anche da fuori. Artigiani e negozianti, che avevano lavorato per la contessa nell'arco dell'intera vita, si erano assiepati per le strade,

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