Una buffa, piccola strega
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About this ebook
Carole Mortimer
Carole Mortimer was born in England, the youngest of three children. She began writing in 1978, and has now written over one hundred and seventy books for Harlequin Mills and Boon®. Carole has six sons, Matthew, Joshua, Timothy, Michael, David and Peter. She says, ‘I’m happily married to Peter senior; we’re best friends as well as lovers, which is probably the best recipe for a successful relationship. We live in a lovely part of England.’
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Una buffa, piccola strega - Carole Mortimer
successivo.
1
«Non mi aspettare, questa sera» avvertì Jane. «Il signor Blair oggi ritorna a Londra e non ho la minima idea dell'ora in cui potrò lasciare l'ufficio. Lui non ha l'abitudine di guardare l'orologio... soprattutto quando ho un appuntamento.» L'ultima precisazione era stata fatta con una punta d'irritazione.
Lauri sollevò la testa per ammirare la giovane zia, sempre perfettamente truccata e pettinata, e rimpianse di non avere nulla in comune con lei. Lauri, infatti, aveva una testa di capelli di un colore tra il rosso e il dorato e il suo viso era disseminato di lentiggini, che lei aveva cercato con ogni mezzo di far sparire, ma che continuavano a spiccare soprattutto sul naso e subito sotto gli occhi, verdissimi.
E non si poteva nemmeno dire che assomigliasse allo zio, perché Steve aveva gli stessi capelli neri di Jane e gli occhi scuri. Tra l'altro, era un tipo al quale piaceva molto prendere in giro la nipote a causa di quei capelli color carota e non soltanto per quelli.
I genitori di Lauri erano morti undici anni prima, quando lei non aveva che sette anni, ed era stata Jane, all'epoca appena venticinquenne, a occuparsi della bambina. Jane e Steve erano sempre vissuti in casa del fratello maggiore Robert, il padre di Lauri, e di sua moglie Adele, e quando la giovane coppia era scomparsa, avevano continuato ad abitarvi assieme alla nipote.
Nonostante la zia affermasse di essere rimasta nubile per scelta, pur non mancandole gli ammiratori, Lauri si era spesso domandata se Jane non avesse rinunciato al matrimonio per causa sua e di Steve.
«Dovevi uscire stasera?» le chiese.
«Robin ha detto che forse sarebbe passato» rispose Jane con un'alzata di spalle. «Ma gli darò un colpo di telefono nel caso in cui faccia tardi in ufficio.»
Lauri represse un sospiro di sollievo. Non le piaceva affatto intrattenere Robin Harley in attesa che la zia tornasse a casa perché, sebbene fosse un uomo affascinante, aveva un modo di parlare così grave che finiva per diventare noioso. Steve, che pure non prendeva mai niente sul serio, non lo sopportava e quando gli capitava di trovarsi in sua presenza si nascondeva dietro le pagine del giornale aperto, fingendosi assorto nella lettura.
«E così il signor Blair è di ritorno» mormorò Lauri. «Forse ora avrò l'occasione di conoscere l'uomo che è l'idolo di tutte le dattilografe.»
«E pensare che credevo di esserlo io!» si lamentò Steve dall'altra estremità del tavolo, dov'era seduto a fare colazione.
«Oh, togliti queste idee dalla testa!» lo prese in giro Lauri.
«E tu?» ribatté lui. «Non crederai davvero di poter incontrare Alexander Blair, vero?»
«E perché no? Dal momento che mia zia è la sua segretaria privata, credo anzi di avere buone probabilità di vederlo. E poi tu lavori nel reparto vendite...»
«Sono il suo migliore venditore... o quasi» si corresse Steve, cogliendo gli sguardi ironici della sorella e della nipote. «L'anno scorso, ero il terzo in graduatoria.»
«Sì» convenne Jane, sorridendo. «E, di conseguenza, non sei ancora il migliore.» Poi si alzò e prese la borsetta. «Se vuoi un passaggio, Lauri, sbrigati. Non ho intenzione di arrivare in ritardo proprio il giorno in cui ritorna il signor Blair.»
Lavoravano tutti e tre per la Blair Computers, ma Jane iniziava una mezz'ora prima. Lauri, però, si recava quasi sempre in ufficio con la zia perché capitava spesso che Steve passasse direttamente da un cliente.
«Questa mattina vengo anch'io in ufficio» disse lui. «Dunque, posso accompagnarti io, Lauri.»
«Quando guiderò io...» iniziò lei.
«Dio ci salvi!» fu il commento di suo zio.
«Ho fatto molti progressi!» fece Lauri, guardandolo furiosa. «La settimana scorsa, l'istruttore mi ha detto che ero pronta a sostenere l'esame!»
«Che cosa gli hai offerto perché ti dicesse una cosa del genere?» insistette Steve.
«Proprio niente! Sei sempre...»
«Finitela, bambini che non siete altro!» esclamò Jane, scoppiando subito dopo a ridere nel vedere l'espressione arrabbiata della nipote. «Quando la smetterete di stuzzicarvi? Be' vi lascio... Ma, mi raccomando, occhio all'orologio.»
E non era una raccomandazione inutile la sua perché quando Steve e Lauri cominciavano a litigare perdevano la nozione del tempo.
«Dal momento che trovi tanto da ridire sul mio modo di guidare» disse Lauri quando la zia fu uscita, «perché non giudichi di persona?»
«Vorresti che ti lasciassi il volante?»
«Perché no? La tua macchina è un catorcio, ragione per cui se anche dovessi fracassare un fanalino non sarebbe la fine del mondo!»
«Gerty non è affatto un catorcio!» fece Steve risentito.
«Capirai! E poi, perché non usi una macchina della società come fanno tutti gli altri venditori?»
«Perché preferisco la mia.»
«E la chiameresti vettura, quella?» rincarò Lauri con disprezzo. «È in uno stato deplorevole. Prima di tutto si apre una sola portiera, la tua. E poi è tutta arrugginita. Per non parlare...»
«Mi arrendo!» la interruppe Steve. «Forse Gerty non sarà una macchina di lusso, ma non mi lascia mai in panne. Cosa che non si può dire delle altre!»
«È per concedere un po' di riposo a Gerty che la settimana scorsa hai dovuto noleggiare un'altra auto?»
«Era necessario controllare i freni» rispose lui, arrossendo. «E tu lo sai benissimo!»
«Mi lascerai guidare fino in ufficio?» gli chiese Lauri, mentre sparecchiava. «Oppure hai paura ad affidarmi la tua cara macchina?»
«E va bene, ti concedo di guidare!» Steve le lanciò le chiavi. «Sai le risate che ci faremo?»
«Vedremo!» ribatté lei, guardandolo piena di collera. «Te le farò rimangiare queste parole!»
«Sarà meglio andare. Non so a che ora arriveremo in ufficio se ci muoviamo a una velocità da tartaruga... I conducenti inesperti impiegano il doppio del tempo necessario per percorrere un tragitto.»
«Soltanto perché rispettano i limiti di velocità?»
«Sì, ma sai che barba quando te li ritrovi tra i piedi?»
Steve dovette aprire la portiera dalla parte del conducente per potersi mettere sul sedile del passeggero. Lauri prese posto al suo fianco, ma si sentì pervadere da un improvviso nervosismo.
«Giura che non mi prenderai in giro!» disse, rivolgendosi allo zio con occhi supplichevoli.
«D'accordo» rispose lui, con un sorriso. «Ma sii prudente!»
Gerty era un vecchio modello sportivo la cui carrozzeria, a giudicare dai pochi punti non ancora intaccati dalla ruggine, doveva essere stata rossa. In cambio, aveva un motore che funzionava davvero bene, tanto che Lauri doveva tener d'occhio il tachimetro per paura di superare i limiti consentiti.
«Niente male» ammise Steve quando la ragazza entrò nell'area di parcheggio della società. «Hai soltanto fatto cadere la borsa della spesa a una vecchia signora e travolto un bambino in bicicletta...»
«Bugiardo!» protestò lei, sbirciandolo corrucciata, e per qualche secondo dimenticò di guardare davanti a sé. Quando infine lo fece, si accorse che una Rolls-Royce bicolore era in procinto di fare marcia indietro per posteggiare proprio davanti a lei. Lauri affondò il piede sul pedale del freno ma Gerty proseguì nella sua corsa e andò a sbattere contro la fiancata della superba auto, provocando un rumore terrificante.
«Perché non hai frenato?» si mise a gridare Steve.
«L'ho fatto!» Vedendo che lui la osservava con aria scettica, Lauri ripeté: «Sì, ho frenato ma non è servito!».
«Lo vedo!» Steve si girò verso l'altra vettura dalla quale stava scendendo il conducente. «Chissà come sarà contento che tu gli abbia rovinato la sua Rolls» disse con un sospiro.
«Sarà anche contento» esplose Lauri, «ma non aveva il diritto di indietreggiare a quel modo! Doveva lasciarmi passare prima! In ogni caso, Gerty deve aver riportato danni maggiori di quelli della Rolls.»
«Sì, ma sai quanto ci vorrà per riparare quella?»
«Non spetta mica a noi pagare il conto!» Poi, gli occhi verdi che lanciavano scintille, Lauri aprì la portiera con un movimento brusco. «È tutta colpa sua!»
Il conducente della Rolls era ora intento a guardare il punto in cui le due auto si erano urtate. L'uomo era girato di spalle.
«Lauri!» esclamò Steve, tentando improvvisamente di trattenerla.
Senza prestargli la minima attenzione, lei raggiunse lo sconosciuto che stava valutando i danni. Doveva sicuramente credersi il padrone del mondo solo perché possedeva una macchina del genere, pensò Lauri, ma la cosa non la impressionava affatto.
«È lei l'unico responsabile!» lo attaccò. «Non doveva fare marcia indietro! Non è possibile che non mi abbia vista arrivare.»
L'uomo si girò lentamente su se stesso e lo sguardo dei suoi occhi azzurri dalle lunghe ciglia scure ebbe il potere di zittirla di colpo. Aveva il naso dritto, le labbra atteggiate a una smorfia sdegnosa e i capelli neri molto corti.
Doveva essere ricco sfondato e abituato a essere obbedito... lo si capiva dal suo atteggiamento arrogante... e poteva aver superato di poco i trent'anni.
«Dunque, sarei io il responsabile?» disse con voce glaciale e sprezzante. «In questo caso, come spiega che è stata la sua macchina a urtare la mia?»
Le lentiggini parvero evidenziarsi ancora di più sul viso di Lauri.
«Gliel'ho già spiegato. Lei...»
«Lauri, calmati!» la invitò Steve, prendendola per un braccio.
«Ma io...»
«Lauri!» Era di nuovo Steve che, rivolgendosi all'interlocutore, disse: «Sono veramente spiacente di questo...».
«Spiacente?» intervenne lei. «Questa è bella! Non siamo affatto spiacenti. E non pensi che saremo noi a pagarle le riparazioni. È lei che è dalla parte del torto.»
«Lauri, taci!» Le dita di Steve le si serrarono attorno al braccio.
«Ahi! Mi fai male!»
«È quel che volevo. E ora cerca di restare calma.» Steve si rivolse di nuovo al conducente della Rolls, dicendo: «Spero che la sua macchina non abbia subito gravi danni, signor Blair».
Lauri spalancò gli occhi e rimase a bocca aperta mentre osservava il suo datore di lavoro.
«Steve, si tratta...?»
«Sì» sbuffò lo zio.
«Oh, mio Dio!» esclamò lei con aria catastrofica.
L'uomo al quale si era appena rivolta in quel modo imperdonabile era Alexander Blair, il proprietario della ditta in cui lei lavorava.
«Lei sa chi sono?» chiese quest'ultimo a Steve.
«Sì, signore. Io... io lavoro qui.»
«E la sua dolce amica?» disse con sarcasmo il signor Blair.
Lauri protestò subito, indignata: «Io non sono la sua...».
«Anche lei» tagliò corto Steve. «Sono pronto a