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Per fargliela pagare: Harmony Destiny
Per fargliela pagare: Harmony Destiny
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Ebook152 pages1 hour

Per fargliela pagare: Harmony Destiny

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About this ebook

Ai tempi del liceo era una ragazza insignificante e bruttina, e per questo quei tre l'avevano presa in giro e umiliata. Aveva giurato che gliel'avrebbe fatta pagare...e finalmente il sospirato momento è arrivato! Adesso Rachel è un avvocato di successo,e sopratutto è diventata bella, bellissima. Ha in mente di sedurli, tutti e tre, e poi lasciarli con un palmo di naso e l'acquolina in bocca. E quando investe un cane e si ferma a prestargli le prime cure, il destino sembra servirle la prima vittima su un piatto d'argento, ma...
LanguageItaliano
Release dateOct 10, 2016
ISBN9788858955482
Per fargliela pagare: Harmony Destiny
Author

Julie Kenner

Residente in Texas, si divide tra la carriera di scrittrice di romanzi rosa e quella di avvocato. Le sue storie, ricche di sensualità, non sono mai banali.

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    Per fargliela pagare - Julie Kenner

    successivo.

    1

    Tre uomini. Una riunione. Tre tentativi di seduzione.

    Perfetto.

    Per millecinquecento miglia Rachel aveva soppesato i dettagli del suo piano.

    Avrebbe funzionato. Doveva funzionare.

    Mordendosi il labbro per tenere a bada le lacrime, strinse il volante e rallentò mentre si avvicinava al cartello che indicava l'ingresso di Braemer. Raddrizzò le spalle, decisa a essere la donna che era diventata. Attraente. Di successo.

    Sicura di sé.

    Negli ultimi dieci anni era riuscita a essere diversa. E nei giorni seguenti l'avrebbe dimostrato.

    A loro... e a se stessa.

    Prima di tornare a New York, gliel'avrebbe fatta pagare a quei tre, Derek Booker, Jason Stilwell e Carl MacLean. I ragazzi che le avevano reso insopportabili gli anni del liceo.

    Si tormentò il labbro. In città nessuno l'avrebbe riconosciuta. La grassa, timida Belinda Rachel non esisteva più. Ora era solo Rachel e aveva sex appeal, eleganza, brio. Era sexy, dannazione!

    La nuova Rachel era in grado di sedurre i tre. Li avrebbe rivisti al ballo che era stato organizzato per festeggiare i dieci anni dalla maturità. Poi, dopo averli fatti innamorare, li avrebbe scaricati dicendo che nessuno dei tre era abbastanza per Rachel Dean.

    Una lacrima furtiva le rotolò lungo la guancia e lei la asciugò, seccata che bastasse rimettere piede in città perché la sua facciata di freddezza si sgretolasse. Negli ultimi anni, non aveva mai pianto.

    Un lampo squarciò il cielo scuro e minaccioso e quasi subito la pioggia cominciò a cadere sul tetto di metallo della macchina. Nel giro di pochi istanti Rachel fu costretta a fermarsi in un parcheggio e spense il motore in attesa che smettesse di diluviare.

    Con la coda dell'occhio vide sul sedile del passeggero il cartoncino d'invito per la riunione del liceo di Braemer. Doveva vendicarsi. L'ultimo anno, Carl aveva cominciato a difenderla dalle battute dei ragazzi. Poi si erano uniti a lui gli altri due e lei aveva creduto che quei tre fossero diventati i suoi protettori.

    Quando era venuto il momento del ballo di fine corso, si era resa conto di quanto fosse stata stupida a illudersi. Carl l'aveva invitata e lei, come un'idiota, aveva accettato. Per l'occasione aveva risparmiato e si era persino comprata un vestito nuovo. Sua madre aveva addirittura preso un permesso dal lavoro per aiutarla a prepararsi.

    Aveva aspettato con lo stomaco in subbuglio che Carl venisse a prenderla. Poi, quando erano giunti nell'atrio della scuola, lui si era allontanato per andare a prendere da bere e non era più tornato. E quando Rachel aveva detto a Jason Stilwell e a Derek Booker che Carl l'aveva invitata, le avevano riso in faccia.

    Il culmine dell'umiliazione era stato quando Jason era salito sul palco e aveva annunciato che la classe l'aveva votata come la ragazza destinata a rimanere vergine per sempre. Avrebbe voluto scavarsi una fossa e sprofondare.

    Al solo ricordo, Rachel rabbrividì.

    Era corsa via senza più voltarsi indietro. Una settimana dopo era arrivata a New York. E nel giro di un anno si era reinventata.

    Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a cancellare l'affronto. Non importava ciò che era diventata, quanti soldi avesse fatto... niente era cambiato. Per dieci anni, Braemer aveva colorato di nero i suoi successi, togliendole il piacere di ogni vittoria.

    Bene, era giunto il momento di affrontare i fantasmi del passato e sconfiggerli per sempre, per poter proseguire con la sua nuova vita.

    Avrebbe fatto in modo che quei tre la desiderassero, come non avevano mai desiderato nessun'altra donna. In verità, se l'invito fosse arrivato due settimane prima, probabilmente l'avrebbe cestinato. Ma era giunto al termine di due settimane orribili: le avevano revocato il contratto di affitto dell'appartamento a Manhattan, aveva appreso di avere perso una causa per dei diritti editoriali che aveva impiegato dei mesi a preparare. E per ultimo, era stata lasciata dal suo ultimo corteggiatore.

    Usciva con lui da più di un mese e tutto stava andando bene. Poi, di colpo... Forse era riuscito a scorgere sotto gli abiti eleganti la ragazza grassa e insicura, con gli occhiali, l'apparecchio ai denti e i capelli crespi. E non l'aveva più voluta.

    D'altronde, chi l'avrebbe voluta?

    Smettila! Batté un pugno contro il volante. Era cambiata. Fisico, capelli, trucco. Atteggiamento. Si era creata una nuova immagine. Ora aveva il pieno controllo. Non solo dei ragazzi. Anche di . Negli anni del liceo aveva imparato che era importante sapersi controllare.

    La pioggia era un po' diminuita, così accese il motore e uscì dal parcheggio sperando che il Cotton Gin fosse ancora il ritrovo locale.

    Aggrottò la fronte. C'era la possibilità che Carl non fosse lì. Se non l'avesse trovato quella sera, doveva forse rimandare e concentrarsi su Derek Booker?

    No. Carl MacLean era la Vittima Numero Uno. Sì, doveva affrontare Carl per primo, anche se in quel momento avrebbe solo avuto voglia di ficcarsi a letto con un buon libro.

    Decisa a non lasciarsi ipnotizzare dall'oscillare dei tergicristalli, cercò di guardare attraverso la pioggia che batteva contro i vetri.

    Fu allora che vide un cane sdraiato in mezzo alla strada.

    Immediatamente sterzò e pigiò sui freni. Il che probabilmente fu un errore, perché la macchina cominciò a sbandare e lo colpì con un rumore sordo. Gli occhi le si riempirono di lacrime.

    Quando finalmente la macchina si decise a fermarsi, era sull'orlo di un fossato.

    Rachel scese di corsa e si precipitò verso il cane. Era grosso, e nero. Un Labrador, forse.

    L'aveva ucciso? Come per rassicurarla, il cane aprì gli occhi e mosse la coda. Solo una volta.

    Rachel sentì lo stomaco che si stringeva al ricordo di Dexter, il bastardino che l'aveva adottata nell'estate di fine liceo. Era stato fedele e devoto quanto era orribile di aspetto.

    E ora... cielo, il cane la stava guardando con quegli enormi occhioni che imploravano aiuto. Rachel si inginocchiò e solo in quel momento si rese conto che sanguinava da un fianco. Oddio, cosa aveva fatto?

    Quando gli accarezzò il pelo in cerca di un collare, di un nome, il cane le leccò la mano. Niente. Incapace di decidere cosa fare, Rachel fece il gesto di alzarsi per andare a frugare in valigia in cerca di qualcosa con cui fasciarlo, ma in quel momento, lui guaì.

    «Va tutto bene. Vado solo a prendere qualcosa da metterti addosso.»

    Il cane gemette ancora e lei capì che non sarebbe andata da nessuna parte.

    Non sopportava di sentire una bestia che si lamentava.

    «Bene, ragazzo. Vediamo che cosa si può fare.» Con la mano sinistra, armeggiò con i bottoni della camicetta di Versace e riuscì a toglierla rimanendo in sottoveste. «Ora ti avvolgo bene e ti porto in macchina. Poi andremo in città a cercare un veterinario.»

    Naturalmente, non riuscì a sollevare un cane di quel peso. Malgrado la palestra...

    «Oh, caro, mi spiace, ma non ce la faccio» disse Rachel sull'orlo delle lacrime. Se lo trascinava per le zampe posteriori, forse sarebbe riuscita ad arrivare alla macchina.

    Purtroppo non aveva niente con cui trascinarlo. Frustrata, si guardò e l'unica cosa che vide furono i suoi collant bagnati.

    Meglio di niente.

    Garrett era sdraiato sul divano di pelle nell'ufficio di suo fratello e attendeva con impazienza che Carl finisse di telefonare.

    L'aria condizionata era rotta e il ventilatore non bastava a combattere la calura del Texas. Così, si era tolto la camicia rimanendo con una leggera maglietta bianca comprata per tre dollari al negozio sotto casa.

    Da quando aveva rimesso piede in Texas, gli era successo di tutto. Prima l'aereo aveva preso la coda del temporale e per venti minuti aveva ballato sopra la città. Poi, aveva dovuto aiutare una giumenta a mettere al mondo il suo puledrino. Anche se era stato eccitante, ora aveva gli occhi impastati di sonno e tutti i muscoli della schiena doloranti.

    Alzandosi in piedi, prese una sigaretta e se la mise tra le labbra ignorando la scritta di plastica, No Smoking, sulla scrivania del fratello.

    Carl coprì la cornetta con la mano. «Credevo avessi smesso» bisbigliò, in tono di accusa più che di domanda.

    «Infatti, ho smesso. Ma quando sono nervoso, mi piace prenderne una.» Garrett guardò il fratello minore. Ora che lui aveva passato la soglia dei trenta e Carl vi si stava avvicinando, la somiglianza era aumentata. Garrett era più alto, ma tutti e due avevano la struttura e i colori scuri tipici dei MacLean. Lo stesso ciuffo ribelle, gli stessi capelli neri che facevano impazzire le donne.

    Tecnicamente, erano fratellastri, ma per Garrett, Carl era suo fratello. Punto e basta. E quando lo guardava, vedeva se stesso. E anche il loro padre.

    Niente di ciò che lui, Garrett, faceva un tempo era abbastanza per suo padre, neppure che fosse diventato veterinario. Il vecchio non aveva battuto ciglio. E comunque, sicuramente, non l'aveva invitato a trasferirsi a Braemer per mandare avanti il suo ambulatorio.

    Garrett si massaggiò le tempie, cercando di scacciare i ricordi spiacevoli. Carl appese il telefono e fissò la sigaretta. «Non preoccuparti» lo rassicurò Garrett. «Non la accendo.»

    «Ti fa piacere tenertela tra le labbra mentre parli, come James Dean.»

    Suo malgrado, Garrett rise. Non riusciva a risentirsi con Carl. «Bene. Hai vinto.» E con un gesto esagerato, si tolse la sigaretta di bocca, la fece scivolare nel pacchetto e se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans.

    Aveva compiuto la manovra senza smettere di fissare Carl. «Vediamo quanto tempo riesci a resistere.» Il vecchio gioco, di quando erano bambini e si sfidavano a chi rompeva il contatto per primo. Garrett aveva sempre vinto.

    Anche ora. Carl si agitò sulla sedia e alla fine abbassò gli occhi. «Bene, bene» disse con un sorriso sulle labbra. «Hai vinto. Certe cose non cambiano mai.»

    Garrett aggrottò la fronte e rifletté che era giunto il momento di affrontare l'argomento. «Non ricordo che tu mi abbia mai mentito prima, fratellino.»

    Carl prese una matita dalla scrivania e cominciò a tamburellare sul piano di legno. «Ascolta, capisco quando sei nervo...»

    «Dannazione, Carl, non sono nervoso. Sono furibondo.»

    Carl alzò le braccia in segno di resa. «Sono solo un messaggero.»

    «Niente affatto!»

    Carl distolse lo sguardo,

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