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Un incantevole estate
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Un incantevole estate

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About this ebook

Inghilterra, 1820.
Miss Christiana Daventry è disposta a tutto pur di non finire su una strada, anche ad accettare l'offerta di lavoro di Lord Braybrook, in cerca di una dama di compagnia che si occupi della matrigna. Forte, dignitosa e onesta, oltre che incantevole, Christy si rivela ben diversa da ogni altra donna conosciuta da Julian, tanto da indurlo rapidamente a dimenticare quanto sarebbe scandaloso cedere alla crescente attrazione che prova per la sua governante!
LanguageItaliano
Release dateJun 10, 2018
ISBN9788858983966
Un incantevole estate

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    Un incantevole estate - Elizabeth Rolls

    Julian Trentham, Visconte di Braybrook, si morse la lingua e cercò di ricordarsi che Serena, la matrigna, preferiva usare il tatto con la sua intrattabile sorellastra Lissy. Dirle che si comportava come una attricetta di second’ordine in una brutta tragedia non sarebbe stato, in effetti, molto delicato.

    «Non è giusto, mamma!» protestò con veemenza Alicia, detta Lissy. «Julian ieri ha incontrato Harry solo per cinque minuti e...»

    «Mezz’ora» puntualizzò Julian, seduto sul divano. «Abbastanza a lungo per rendermi conto che, a parte l’impiego come segretario di Sir John, non ha altre prospettive per il futuro.»

    Julian lanciò un’occhiata al gatto soriano seduto in grembo alla matrigna. Quel dannato animale era convinto che anche lui adorasse i felini. Non avrebbe potuto commettere errore più grande.

    «Cinque minuti!» ripeté Lissy. «E il povero Harry è stato dichiarato inadatto a me. Che cosa voglia dire non lo capisco proprio!»

    «Vuole dire, fra le altre cose, che lo ridurresti sul lastrico in un mese» replicò Julian in tono imperturbabile. «Abbi un po’ di buonsenso, Lissy.»

    «Non è vero!» protestò la giovane.

    «Mia cara Lissy, sono sicura che quel simpatico e affascinante Mr. Daventry...» intervenne Serena mentre il gatto si stiracchiava e balzava giù dal suo grembo. «Che cosa stavo dicendo? Che Mr. Daventry non è affatto benestante...»

    «Che cosa importa il denaro? E poi ha uno stipendio.»

    «Duecento sterline l’anno?» le chiese Julian. «Il denaro non ha importanza se ne puoi fare a meno. Ne ha molta, invece, quando vengono a pignorarti il mobilio e il padrone di casa ti caccia in mezzo alla strada perché non hai pagato l’affitto.»

    «Harry ha una casa tutta sua, a Bristol. Me l’ha detto lui.»

    «Un uomo di grande sostanza, dunque» commentò Julian con sarcasmo, osservando rassegnato il gatto che gli si avvicinava.

    Il suo setter, Juno, che era sdraiata ai suoi piedi, alzò il capo e poi lo riabbassò con un guaito dolente.

    «Io non sposerei mai Lissy» dichiarò Davy che aveva solo sei anni ed era impegnato a ricomporre un rompicapo che rappresentava la mappa dell’Europa. «Sposerei la mamma.»

    «Bravissimo» si complimentò Julian. «Così non rischieresti di finire in carcere per debiti.»

    Lissy fece una faccia offesa, anche se in realtà si stava sforzando di non ridere. Il gatto saltò in grembo a Julian, affondando le unghie nei suoi pantaloni.

    «Quando sarai più grande, non vorrai più saperne di sposare la mamma» obiettò Lady Braybrook rivolta al figlio.

    «Del resto anche Lissy, adesso che è grande, non vuole più sposare me» commentò Julian.

    «Non ho mai pensato di farlo!» obiettò lei, con foga.

    «Me lo hai chiesto quando avevi cinque anni. Davy, perché non vai in cucina a vedere se Ellie ha qualcosa di buono da darti da mangiare?»

    Davy saltò giù dalla sedia, spargendo pezzi del rompicapo per tutto il salotto, e se la svignò prima che sua madre potesse fermarlo in nome della buona educazione e di un’eventuale indigestione.

    «Non vedo perché tu debba ficcare il naso negli affari miei» disse Lissy appena Davy ebbe richiuso la porta.

    «Probabilmente perché sono, mio malgrado, il tuo tutore. Calmati, Lissy, tanto sei troppo giovane per pensare al matrimonio.»

    «Fra non molto avrò diciotto anni» rispose lei come se pronunciasse una sentenza di morte.

    «Ti ricordo che ne hai compiuti diciassette solo tre mesi fa. Non si può dire che tu sia già una vecchia zitella.»

    «Se invece di Harry fosse stato uno dei tuoi amici ricchi e titolati? Per esempio Lord Blakehurst?»

    «Lord Blakehurst? È sposato! Lo avrei sfidato a duello se ti avesse fatto delle proposte. In ogni caso non intendo dare il mio consenso al tuo fidanzamento almeno fino all’anno prossimo.»

    Il gatto si girò sulla schiena per farsi grattare la pancia e Julian si rassegnò ad accontentarlo.

    «Perché mai?»

    «Perché sei troppo giovane, e non ripetermi che hai quasi diciotto anni.»

    «Ma noi ci amiamo e non è giusto che soltanto perché lui non è ricco...»

    «Lissy, Daventry non si può permettere di sposarti» replicò Julian cercando di mantenere la calma. «Soprattutto se penso ai conti da pagare che mi hai mandato da Bath il mese scorso» aggiunse.

    Lissy arrossì.

    «Se non possiamo più vederci, allora...»

    «Non gli ho proibito di frequentare questa casa!» esclamò Julian irritato. «Lissy, smettila di recitare come se questa fosse una tragedia di pessimo gusto.»

    Serena tossì e Julian si ricordò del tatto che gli aveva raccomandato.

    «In fondo è un giovanotto simpatico e credo di potermi fidare di lui» aggiunse.

    «Vuoi dire che potremo ancora vederci?»

    Julian fissò sua sorella con severità. «Se sarete invitati agli stessi ricevimenti, potrete vedervi. Può anche venire a trovarti qui, di tanto in tanto. Ma non potrai incontrarlo da sola né scrivergli. Le stesse condizioni varrebbero per qualunque altro uomo che volesse corteggiarti, anche se fosse ricco come Mida.»

    «E probabilmente stai pensando di essere molto generoso!»

    «Sì» rispose lui annuendo con vigore. «È proprio così. E se credi che invece io sia un tiranno senza cuore, ti faccio notare che nostro padre avrebbe scacciato Daventry a suon di frustate, gli avrebbe aizzato dietro i cani, si sarebbe lamentato con il suo datore di lavoro e ti avrebbe rinchiusa in camera tua per un mese almeno. Pensa inoltre che, quando avrai compiuto ventun anni, non potrò più impedirti di sposarti.»

    Lissy lo guardò imbronciata. «Se tu sapessi che cos’è l’amore» replicò con voce tremante, «capiresti com’è angoscioso dover aspettare.» Detto ciò, se ne andò infuriata.

    «Non avevamo detto di usare il tatto con tua sorella?» chiese Serena.

    «Altro che tatto! Avrebbe bisogno di un po’ di sale in zucca. Che cosa ha letto negli ultimi tempi?» domandò Julian mettendo a terra il gatto.

    Ignorando la domanda, Serena chiese al suo figliastro se si ricordava di quando aveva diciassette anni.

    Julian ricordava bene i suoi peccatucci di gioventù. «Almeno non volevo sposarle.»

    Serena rise, Julian arrossì e il gatto approfittò del momento di distrazione per tornare sulle sue ginocchia con un agile balzo.

    «Se Tybalt ti dà fastidio, devi solo farlo scendere.»

    «Posso sopravvivere a un gatto. Ero un problema, quando avevo diciassette anni?»

    «A tuo padre veniva quasi un colpo ogni volta che ci arrivavano notizie di quello che combinavi prima a Oxford e poi a Londra. Il peggio è stato quando Worcester voleva sfidarti a duello perché ti interessavi troppo a Harriette Wilson.»

    «Chi te lo ha raccontato?»

    «Allora era vero? Avevo detto a tuo padre che erano solo assurde invenzioni e che non doveva crederci nemmeno per un attimo.»

    «Te l’ha detto lui?» Julian non sapeva neppure che suo padre fosse a conoscenza di quel fatto.

    «Certo. Altrimenti come poteva chiedermi consiglio?»

    «Aveva chiesto i tuoi consigli?» domandò alla matrigna.

    Gli riusciva difficile immaginare suo padre che discuteva con Serena dei rapporti che suo figlio intratteneva con una nota cortigiana.

    «Me li chiedeva spesso» rispose Serena, gli occhi grigi le brillavano maliziosi. «Anche se raramente li seguiva.»

    Julian decise che non voleva andare a fondo della faccenda. «Rimarrò qui per il resto dell’estate. Poi Lissy ed Emma andranno da zia Massingdale in inverno. Credo che ce la faremo a tenere Lissy lontano dai guai almeno fino ad allora» le disse.

    «Rimarrai qui fino alla riapertura dei lavori in Parlamento?»

    «Molto probabilmente. Andrò a Bristol per qualche giorno, la prossima settimana. Devo vedere Modbury per certi affari e già che ci sono gli chiederò di raccogliere qualche informazione su Daventry, a proposito della sua casa, per esempio.»

    «Mi sorprende che sia padrone di una casa» osservò Serena.

    «Sembra che Alcaston sia il suo padrino e che gli abbia assegnato una rendita.»

    «Alcaston? Il duca?»

    «È stato lui a raccomandare Daventry a Sir John. Vuoi che dica a zia Lydia di venirti a trovare, mentre sarò via? Oppure...»

    Serena lo fermò con un’occhiata gelida. «Posso anche essere bloccata su questa miserabile sedia, Julian, ma questo non significa che abbia bisogno di qualcuno che mi stia addosso per tutto il tempo, come farebbe Lydia se fosse qui.»

    «Va bene, non le chiederò di venire.»

    Julian avrebbe dovuto pensare a qualcun altro, perché con le figlie a Bath per l’inverno Serena aveva bisogno di qualcuno che le facesse compagnia. Il fatto di essere immobilizzata sulla miserabile sedia, come la chiamava lei, limitava moltissimo la sua indipendenza.

    Se rifiutava sua cognata Lydia, che l’avrebbe in effetti infastidita lamentandosi continuamente del fato crudele che l’aveva ridotta così, chi altri avrebbe potuto occuparsi di lei?

    «Julian, non voglio avere intorno nessuna parente piena di buone intenzioni.»

    «Ti capisco benissimo.»

    A volte si chiedeva se la matrigna riuscisse a leggergli nella mente. Avrebbe dovuto pensare a un’altra soluzione e, nel frattempo, era meglio affrettarsi a scrivere a Modbury per chiedergli di scoprire quanto poteva sul conto di Daventry.

    Credo di avere trovato la casa di cui mi avete scritto, milord. È l’unico Daventry che ho scovato, in Christmas Steps. C’è solo il fatto che ci vive una giovane donna, una certa Mrs. Daventry...

    Buon Dio! Julian stava in cima alla via e si chiedeva se non fosse una pazzia quello che stava per fare. Era un antico vicolo medievale, così ripido che qualcuno aveva costruito degli scalini. Secondo Modbury portava giù direttamente al vecchio molo e un tempo ospitava case di tolleranza e taverne frequentate dai marinai.

    Non potete andare in un luogo simile, milord!

    Certo che ci poteva andare. Brandendo l’ombrello, Julian si incamminò giù per i gradini scivolosi. C’erano due possibilità: o Daventry ci teneva la sua mantenuta che usava il suo cognome o era già sposato. Riteneva più probabile che si trattasse di una moglie, perché un’amante così lontana non era conveniente, se non poteva raggiungerla regolarmente. In ogni caso, entrambe avrebbero dato il colpo di grazia all’infatuazione di Lissy, qualora non fosse bastata la descrizione di quella stradina equivoca.

    Era ormai buio, e nell’aria aleggiava puzzo di cavolo, pesce e di povertà. Dalle finestre delle vecchie casupole dalla struttura di legno gli abitanti lo spiavano con occhio sospettoso.

    La casa che Julian stava cercando si trovava fra il negozio di un pescivendolo e di uno speziale. Un gatto spelacchiato e con un occhio si appiattì contro il muro mentre lui si avvicinava alla porta aperta.

    Qualcuno stava parlando ad alta voce dentro la casa.

    «Siate ragionevole. Ho ricevuto la lettera di Mr. Daventry che scrive la casa e tutto quello che contiene. Così...»

    «Spero che non vorrete mettere anche me all’asta con tutti i miei vestiti e la spazzola per i capelli» replicò la voce di una donna, una specie di maestrina petulante che un uomo avrebbe pensato due volte prima di importunare.

    «Dato che Mr. Daventry è mio fratello e non mio marito» continuò la voce di donna, «non possiede né me né le mie cose.»

    Fratello? E se fosse stato un modo per nascondere il fatto di essere la sua amante?, si chiese Julian.

    «Se tornerete la prossima settimana, avrete la casa e tutto quello che contiene, perché me ne sarò andata con tutto quello che possiedo.»

    Dalla porta aperta Julian poteva vedere un uomo corpulento, con pantaloni al ginocchio secondo la vecchia moda e una giacca di lana da rispettabile mercante. Anche se era di tre quarti, si intuiva quanto fosse contrariato dalla mascella contratta.

    «Forse non ho capito bene come stavano le cose, ma non vedo perché dobbiate assumere questo tono! Chiamerò gli ufficiali giudiziari e vedrete se non si porteranno via anche i vostri vestiti e la vostra spazzola per i capelli. Nella lettera c’è una lista di oggetti, e se manca qualcosa dovrete vedervela con la legge!» la minacciò agitando un foglio.

    Non erano affari suoi, pensò Julian, e il buonsenso gli diceva di non immischiarsi. Eppure che cos’era che l’uomo non aveva capito bene?

    «Potete andarvene, Goodall. Vi consiglio di chiarire le istruzioni che avete ricevuto da mio fratello; nel frattempo vi manderò il mio avvocato» continuò la donna.

    Goodall, invece di intimorirsi, fece un passo avanti verso di lei.

    «Mi state minacciando?» le domandò con un tono molto sgradevole.

    «Andatevene!»

    La paura che avvertì nella voce della presunta sorella di Daventry indusse Julian ad agire e in tre passi varcò la soglia. «Goodall!»

    «E voi chi diavolo siete?» domandò costui voltandosi di scatto.

    «La signora vi ha chiesto di andarvene. Vi consiglio di obbedire o, come conoscente dei Daventry, mi rivolgerò alla giustizia per riferire che siete entrato in casa sua e l’avete minacciata. Fuori di qui!»

    Julian si mise fra la giovane donna e l’uomo. Tutto quello che riuscì a notare di lei, con una rapida occhiata, era la sua altezza media, i suoi occhiali e il vestito di un marrone scialbo.

    «Insomma, io...» cercò di obiettare Mr. Goodall.

    «Fuori!» gli intimò di nuovo Julian.

    Poi tirò fuori di tasca un biglietto da visita e glielo diede, in modo che sapesse con chi aveva a che fare. «Sono Braybrook.»

    Impallidito di colpo, l’altro tentò ancora di protestare, ma Julian gli indicò la porta. E alla fine Goodall se ne andò.

    Julian chiuse la porta e si voltò soddisfatto, pronto a ricevere i ringraziamenti della damigella in difficoltà che aveva appena aiutato.

    «Non so chi siate, ma fatemi il piacere di andarvene insieme a lui» gli disse lei fissandolo gelidamente da dietro gli occhiali.

    Indossava una brutta cuffietta che le copriva completamente i capelli. Il vestito era così sformato che nascondeva completamente le forme del suo corpo.

    Non poteva essere l’amante di Daventry, si disse Julian perdendo ogni speranza. Nessuna cortigiana degna di quel nome si sarebbe fatta vedere in giro vestita in un simile modo, per non parlare degli occhiali.

    «Non provate nemmeno un po’ di gratitudine?» le domandò.

    «Forse vi sarò grata quando saprò chi siete e perché siete entrato in casa mia senza permesso» fu la risposta.

    «Ma se mi cacciate su due piedi come farete a saperlo?» le chiese con una logica inoppugnabile.

    Le pallide guance della giovane donna arrossirono, ma lei non si perse d’animo. «D’accordo. Chi siete?»

    Non poteva biasimarla per essere diffidente. Prese un altro dei suoi biglietti da visita e glielo porse.

    La donna lo prese con un rapido gesto, tenendosi accuratamente a distanza, e lo esaminò. C’era qualcosa in lei che lo affascinava.

    «Così sareste Lord Braybrook? Ammettiamo che siate davvero Lord Braybrook e non un furfante...»

    «Vi faccio notare» si permise di interromperla, «che una cosa potrebbe non escludere l’altra.»

    «Davvero? Oh, smettetela di guardarmi in quel modo! Ho un occhio azzurro e uno marrone, e allora?»

    Julian li notò solo in quel momento e capì cosa lo aveva colpito.

    «Questo non significa che sono una strega» aggiunse lei.

    Julian sorrise. «Non credo che lo siate, dato che Goodall non se n’è andato trasformato in rospo.»

    Per un attimo ebbe l’impressione che sarebbe scoppiata a ridere. Ma oltre a una lieve contrazione all’angolo delle sue labbra rosate non accadde nulla.

    «Vi piace scherzare» dichiarò con evidente disapprovazione.

    «Vedo che l’avete capito subito» replicò lui con un inchino.

    Anche questa volta lei rimase imperturbabile, eccetto che per un

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