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Anime perdute (eLit): eLit
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Anime perdute (eLit): eLit

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About this ebook

Ma voi sapete cosa succede a un'anima quando un demone ne entra in possesso?

Mi chiamo Kaylee e riesco a prevedere la morte delle persone. In quei momenti da dentro mi erompe un urlo, un vero e proprio canto. Quando la pop star Eden muore all'improvviso durante un concerto, però, tutto tace in me: in quel corpo non c'è nessuna anima per cui cantare. E di nuovo la mia vita viene stravolta dal dono che mi è capitato in eredità. Per salvare le anime di due adolescenti che l'hanno barattata in cambio di fama e fortuna, questa volta metto a rischio la mia. Il tutto in un febbrile gioco di equilibri con il mio focoso boyfriend!
LanguageItaliano
Release dateSep 29, 2017
ISBN9788858975909
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    Anime perdute (eLit) - Rachel Vincent

    successivo.

    1

    Addison Page aveva il mondo ai suoi piedi. Era bella, sapeva cantare, sapeva muoversi e non le mancava il denaro. Fattore, quest'ultimo, di non trascurabile importanza. Ma certi vantaggi hanno sempre il loro prezzo. Non è tutto oro quel che luccica...

    «Cosa?» urlai a squarciagola per farmi sentire in mezzo a tutto il baccano e alla musica che proveniva da una dozzina di casse rimbombanti. Intorno a noi migliaia di corpi ondeggiavano a tempo di musica, con le mani in alto e le labbra che intonavano le parole della canzone. Cantavano all'unisono con la ragazza bella e splendente che si dimenava sul palco e che appariva in primo piano su un paio di schermi giganti. Io e Nash avevamo degli ottimi posti, grazie a suo fratello Tod, ma nessuno dei due era seduto. La folla trasudava eccitazione, e si gasava sempre di più a ogni secondo che passava, si muoveva come un corpo unico, una marea che montava e si ritirava a tempo di musica. Sentivo l'energia vibrare dentro di me, le mie terminazioni nervose erano in fibrillazione. Mi sentivo pervasa da una forza che da sola sarebbe bastata a farmi rimbalzare dalle mura del liceo a quelle dell'università. Non ci tenevo a sapere come Tod avesse avuto dei posti così vicini al palco, ma neppure il più terribile dei sospetti mi avrebbe indotto a restarmene a casa. Non mi sarei mai persa l'opportunità di vedere il concerto di Eden dal vivo, anche se quello significava dover rinunciare a trascorrere un sabato sera insieme a Nash, da soli, mentre mio padre faceva lo straordinario al lavoro.

    Eravamo solo all'inizio dello spettacolo...

    Nash mi prese per un fianco, mi attirò più vicino a sé e mi urlò all'orecchio. «Ho detto: Tod usciva con lei!»

    Una scarica di adrenalina mi scosse le vene mentre inalavo il suo profumo. Stavamo insieme da sei settimane, e ancora sorridevo ogni volta che mi guardava, e arrossivo ogni volta che il suo sguardo intenso indugiava su di me. Le mie labbra sfiorarono il suo orecchio mentre gli parlavo. «Con chi usciva Tod?» C'erano diverse migliaia di possibili indiziate che ballavano attorno a noi.

    «Lei!» Nash rispose, urlando a sua volta e indicando con la testa, al di là della folla, quella che era la principale attrazione della serata. I capelli castani scarmigliati ad arte furono illuminati per un istante dalla sfuggente luce dell'occhio di bue.

    Addison Page, la cantante che apriva il concerto di Eden, si dimenava sul palco con indosso un paio di stivaletti neri stretti alle caviglie, jeans strappati, una canotta bianca aderente e un cinturone scintillante di colore argento. Stava cantando un motivetto triste, ma piuttosto ritmato, che parlava di un tizio che l'aveva piantata. Tra i suoi lisci capelli biondo platino, spiccava una ciocca blu elettrico che brillava sotto le luci e si apriva a ventaglio quando lei si voltava di scatto verso il pubblico dal centro del palco. La sua voce riusciva a raggiungere le note più alte. Un'abilità per cui era famosa.

    Mi immobilizzai, mentre tutta la gente intorno a me continuava a ballare al ritmo della musica. Non potevo crederci.

    «Tod frequentava Addison Page?»

    Era impossibile che Nash mi avesse sentito. Io stessa riuscivo a stento a sentire la mia voce. Ma lui annuì e si chinò nuovamente verso di me. Mi aggrappai al suo braccio per cercare di mantenere l'equilibrio, mentre il cowboy al mio fianco agitava il suo pugno in modo troppo entusiastico e pericolosamente vicino alla mia spalla. «Tre anni fa. Lei è di queste parti.»

    Come noi, la gente del posto era accorsa in massa tanto per vedere la stella nascente del Texas, oltre alla cantante principale. «Lei è di Hurst, giusto?» A meno di venti minuti da Arlington, dove abitavamo.

    «Sì. Io e Addy abbiamo fatto il primo anno di superiori insieme, prima che ci trasferissimo ad Arlington. Lei e Tod si frequentarono per buona parte di quell'anno. Lui era al secondo anno»

    «E poi che cosa è successo?» domandai mentre la musica terminava e le luci cambiavano in vista della canzone successiva.

    Mi avvicinai di più a Nash perché potesse parlarmi nell'orecchio, sebbene in quel momento non ce ne fosse bisogno; la nuova canzone era una melodia piena di tristezza. «Addy ottenne un ruolo nell'episodio pilota di una serie di un canale per adulti. La serie ebbe successo e lei si trasferì a Los Angeles» Nash alzò le spalle. «I rapporti a distanza sono difficili quando hai quindici anni e, oserei dire, impossibili quando la tua ragazza è famosa.»

    «E perché lui non è qui stasera?» Per me sarebbe stato inconcepibile perdermi lo spettacolo di un mio ex, diventato una celebrità, che si dimenava sul palco, e magari cadeva pure, soprattutto se fosse stato lui a mollarmi.

    «Sarà qui da qualche parte.» Nash guardò intorno a sé, tra la folla che si era calmata un po' grazie al brano più tranquillo. «Non ha certo bisogno del biglietto.» Era un mietitore, per cui era lui a decidere se voleva farsi vedere oppure no e da chi voleva farsi vedere. Ciò significava che Tod poteva trovarsi anche sul palco accanto a Addison Page, e noi non l'avremmo mai saputo.

    E, conoscendo Tod, di sicuro era lì.

    Dopo l'esibizione di Addison ci fu un breve e rumoroso intervallo mentre il palco veniva preparato per l'esibizione della star. Mi aspettavo che Tod comparisse durante l'intervallo, ma non si fece vivo nemmeno quando lo stadio, all'improvviso, restò al buio.

    Per un momento, ci fu solo silenzio e oscurità, interrotti da improvvisi sospiri, braccialetti luminosi e schermi illuminati dei cellulari. Poi una luce blu scuro balenò sul palco e la folla manifestò la propria approvazione applaudendo. Una seconda luce si accese, illuminando una nuova piattaforma al centro del palco. Due lampi rosso fuoco furono proiettati dai lati del palco verso il centro. Quando scomparvero, non senza lasciare una memoria di luce impressa nei miei occhi, lei fece la sua comparsa nel mezzo del palco. Sembrava fosse lì da sempre.

    Eden.

    Indossava una giacca bianca, avvitata e scollata sul davanti, che lasciava intravedere un reggiseno di pelle color carne, e una minigonna con delle frange rosa che esaltava ogni movimento dei suoi famosi fianchi. I suoi lunghi capelli scuri frustavano l'aria a ogni scatto della testa, e l'urlo incessante della folla rimbombava nelle mie orecchie quando Eden si tuffò in ginocchio con il microfono in mano.

    Poi si rialzò lentamente, facendo ondeggiare i fianchi al ritmo della sua canzone. La sua voce era bassa e gutturale, una specie di lamento che accarezzava la musica. Era impossibile non rimanere affascinati dalla carica di sensualità che lei emanava.

    Eden era ipnotica. Ammaliante. La sua voce fluiva come il miele, dolce e appiccicosa. Ascoltarla dava dipendenza, che lo si volesse o meno.

    Il suono scorreva come sangue nelle mie vene e sapevo che, da quel momento ancora per qualche ora, anche quando sarei stata a letto, Eden avrebbe continuato a cantare nella mia mente, e che, quando avrei chiuso gli occhi, avrei continuato a vederla.

    Per Nash quella sensazione era ancora più forte; me ne resi conto con un semplice sguardo. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, ed eravamo così vicini al palco, che non potevamo perderci nemmeno un dettaglio. I suoi occhi mulinavano dall'emozione e dal desiderio, ma non per me.

    Fui travolta da una violenta e irrazionale ondata di gelosia, mentre la sua fronte diventava madida di sudore. Teneva i pugni stretti lungo i fianchi, i muscoli delle sue braccia si contraevano sotto le maniche della camicia. Sembrava completamente assorto. Era come se si fosse dimenticato del mondo.

    Dovetti fare forza sulle sue dita per aprirle e intrecciarle alle mie. Lui si voltò verso di me, mi sorrise e mi strinse la mano. Il vortice nei suoi bellissimi occhi scuri rallentò il suo turbinio quando incrociò il mio sguardo. Il desiderio era ancora lì – per me questa volta – ma era più profondo e più intenso. Ciò che provava per me andava oltre la semplice attrazione fisica, sebbene ci fosse anche quella, per fortuna.

    Avevo rotto l'incantesimo per un momento. Non sapevo se ringraziare Tod per i biglietti o arrabbiarmi con lui.

    Sul palco, luci soffuse illuminavano i ballerini che avanzavano per raggiungere Eden, mentre i maxischermi riproducevano ogni particolare dei suoi movimenti. I ballerini si strinsero in cerchio attorno a lei, contorcendosi in sincronia, lasciando scivolare lentamente le loro mani sulle braccia, sulle spalle e sul ventre nudo della cantante. Poi, si disposero sui lati del palco per consentirle di venire avanti e fare la sua passerella fino a raggiungere le prime file del pubblico.

    All'improvviso mi sentii felice per non aver avuto i biglietti delle primissime file, altrimenti avrei dovuto raccogliere Nash con il cucchiaino per riportarlo a casa.

    Il soffio di un respiro caldo raggiunse il mio collo un attimo prima di sentire le parole. «Ciao, Kaylee!»

    Sobbalzai, e mi spaventai talmente tanto che quasi caddi sulla sedia. Tod era alla mia destra e, quando il braccio mulinante del cowboy lo attraversò, mi resi conto che il mietitore poteva essere visto solo da me.

    «Non farlo mai più!» sibilai tra i denti. Probabilmente il cowboy non mi avrebbe sentito comunque, ma fui attenta a non alzare la voce per non correre il rischio che il tizio pensasse che stessi parlando da sola, o peggio ancora, con lui.

    «Tira via Nash e vieni!» Dalla tasca dei suoi jeans larghi e scoloriti, Tod tirò fuori due pass plastificati attaccati a dei cordini. Il suo sorriso malefico non bastava a coprire i tratti angelici ereditati dalla madre, e dovetti sforzarmi per ricordare a me stessa che, nonostante avesse un'apparenza così innocente, Tod era un piantagrane. Sempre.

    «Che cos'è quello?» chiesi. Il cowboy aggrottò le ciglia, perplesso. Lo ignorai – tanto per non dare l'impressione di essere completamente pazza – e diedi una leggera gomitata a Nash. «Tod» mormorai mentre lui aggrottava la fronte.

    Nash alzò gli occhi al cielo e guardò oltre me, e dal suo sguardo che vagava nel vuoto mi resi conto che non riusciva a vedere suo fratello. E quindi, come al solito, s'innervosì perché Tod si faceva vedere da me e non da lui.

    «Questi sono dei pass per accedere ai camerini.» Tod mi raggiunse attraverso il cowboy, mi afferrò la mano e mi tirò verso di sé; se non mi fossi divincolata in tempo dalla sua presa, mi sarei trovata a vivere un'esperienza davvero intima con uno dei più rozzi fan di Eden.

    Mi alzai sulle punte dei piedi per arrivare all'orecchio di Nash. «Ha dei pass per i camerini.»

    L'espressione di Nash passò da torva a furente, mentre sul palco Eden si toglieva la giacca e rimaneva in reggiseno e minigonna. «Come li ha avuti?»

    «Vuoi davvero saperlo?» I mietitori non venivano pagati in denaro – almeno, non con il denaro degli esseri umani – quindi di sicuro i pass non li aveva comprati. E nemmeno i biglietti.

    «No» mugugnò Nash. Tuttavia mi seguì, comunque.

    Stare dietro a Tod era impossibile. Lui non aveva bisogno di doversi stringere per passare tra file di fan esaltati, né aveva bisogno di fermarsi e scusarsi per aver pestato il piede di una ragazza o per averle rovesciato a terra la bibita. Lui camminava allo stesso modo attraverso file di sedili e file di persone, come se nel suo mondo non esistessero.

    E probabilmente era così.

    Come per tutti i mietitori, il naturale piano di esistenza di Tod – se così si poteva definire – si trovava in qualche posto sospeso tra il nostro mondo, quello dove gli esseri umani, e occasionalmente qualche bean sidhe, vivevano relativamente in pace, e l'Aldilà, dove avvenivano molte cose strane e pericolose. Lui avrebbe potuto vivere in uno solo di questi due mondi, se avesse voluto, ma raramente lo faceva. Così quando acquisiva corporeità, normalmente dimenticava di scansare oggetti quali sedie, tavoli e porte. E persone, soprattutto.

    Naturalmente poteva farsi vedere facilmente sia da me sia da Nash, ma ovviamente si divertiva molto di più a far incazzare il fratello. Non avevo mai visto una coppia di fratelli con meno cose in comune. Nash e Tod non appartenevano neppure alla stessa specie; o per lo meno non più.

    I fratelli Hudson erano nati entrambi bean sidhe – questa era la terminologia corretta, sebbene molte persone utilizzassero il termine banshee –, da normali genitori bean sidhe. Proprio come me. Ma Tod era morto due anni prima, all'età di diciassette anni, e da quel momento le cose avevano iniziato a diventare strane. Troppo strane anche per dei bean sidhe. Tod era stato reclutato dai mietitori.

    Come mietitore, Tod avrebbe continuato a vivere nel suo corpo senza invecchiare. In cambio, avrebbe lavorato su turni di dodici ore al giorno, raccogliendo anime di persone la cui ora era arrivata. Non aveva bisogno né di mangiare, né di dormire, e quindi si annoiava nel tempo in cui non lavorava. Dal momento che io e Nash eravamo tra le poche persone a cui poteva manifestarsi, normalmente cercava di scacciare la noia stando insieme a noi.

    Così era successo che ci avevano cacciato in malo modo da un centro commerciale, da una pista di pattinaggio, da una sala da bowling, e tutto in un solo mese. E mentre sgomitavo per farmi strada tra la folla per stare dietro a Tod, avevo la sensazione che il concerto sarebbe stato il prossimo posto della lista.

    Uno sguardo al volto infuriato di Nash mi lasciò intendere che suo fratello non si era ancora palesato a lui, e che quindi dovevo essere io a trascinarlo dietro a quella testa piena di riccioli biondi che ormai si trovava diverse file davanti a noi, diretto verso una porta laterale sotto un'insegna rossa di uscita.

    La prima canzone di Eden era finita in un intenso bagliore di luce viola, che aveva proiettato il suo riflesso sulle migliaia di volti intorno a me. Poi le luci si spensero.

    Mi fermai. Non riuscivo a muovermi nel buio, avevo paura di inciampare sui piedi di qualcuno, di finire per terra, e precipitare in qualche pozza di strana fanghiglia, o di sbattere contro un palo.

    Subito dopo, sulla scena si accese una luce pulsante e vorticosa. Eden ondeggiava seguendo il nuovo ritmo, con un costume diverso, ma ugualmente succinto. Rimasi a fissarla per un istante, poi tornai a cercare Tod con lo sguardo, ma intravidi solo fugacemente i riccioli che scomparivano dietro la porta laterale chiusa.

    Io e Nash ci affrettammo cercando di farci strada in un sottobosco fatto di piedi, saltellammo su una bottiglia semi-vuota di Coca che qualcuno aveva lasciato a terra e infine, ormai a corto di fiato, raggiungemmo la porta. Lanciai un ultimo sguardo al palco, spinsi la porta, e ringraziai per il fatto che fosse aperta. Le porte attraverso le quali Tod passava, generalmente, erano chiuse a chiave.

    Tod era nella sala in fondo, e rideva, con i due pass che sventolavano nella sua mano. «Ma siete arrivati a cavallo di una tartaruga?»

    La porta si chiuse dietro di noi. Mi meravigliò il fatto che riuscissi a sentire a malapena la musica, sebbene nell'auditorium il volume fosse così alto da sfondarmi i timpani. Tuttavia, distinguevo ancora perfettamente i battiti del basso, che pulsavano dal pavimento sotto i miei piedi.

    Nash mi lasciò la mano e lanciò un'occhiataccia al fratello. «Alcuni di noi, purtroppo, sono vincolati alle leggi della fisica.»

    «Non è un mio problema.» Tod sventolò ancora i pass, e poi li lanciò a noi due. «Scansare, scusarsi e tutto il resto...»

    Feci scivolare il cordino di nylon attorno al mio collo e gli adagiai sopra i miei lunghi capelli castani. Ora chiunque avessi incrociato per strada avrebbe visto il pass che indossavo, anche se Tod fosse di nuovo sparito; quando un oggetto era in suo possesso era distinguibile solo per il lasso di tempo in cui lui si rendeva visibile, poi svaniva con lui.

    Il mietitore si materializzò. Si sentiva chiaramente lo scricchiolio delle sue scarpe da ginnastica sul pavimento mentre ci guidava attraverso una serie di sale bianche e una miriade di porte, fino ad arrivare all'ultima che era chiusa a chiave. Tod ci guardò con un sorriso malizioso, attraversò la porta e la aprì dall'interno.

    «Grazie.» Scivolai dietro di lui ed entrai in una nuova sala. L'aumento del pulsare dei bassi mi avvertì che ci stavamo avvicinando al palco. Malgrado la dubbia provenienza dei pass, il mio cuore prese a battere all'impazzata per l'eccitazione quando svoltammo l'angolo successivo e arrivammo in una sala ampia e lunga con il soffitto incavato. L'attrezzatura era accatastata contro il muro, casse, altoparlanti, strumentazione varia e luci. Dappertutto c'era gente che gironzolava, portava vestiti, cibo, e cartelline. Comunicavano tra di loro con walkie-talkie e cuffie microfono. Molti di loro indossavano badge simili ai nostri, sebbene i loro riportassero la scritta Staff in grassetto.

    Le guardie della sicurezza, in maglietta nera e cappellini da baseball dello stesso colore, giravano con le braccia muscolose incrociate sul petto. Ballerini di fila attraversavano correndo l'open space per recarsi al successivo cambio costumi, mentre una donna con una cartellina annotava qualcosa e li rispediva indietro.

    Nessuno si accorse di me e di Nash. Mi resi conto che Tod aveva ripreso la sua forma incorporea, perché non sentivo più i suoi passi. Ci incamminammo lentamente verso il palco, dove le luci pulsavano e la musica era così forte da coprire del tutto il baccano che proveniva dal backstage. Io non toccai nulla, avevo il timore che se avessimo preso anche un solo biscotto dal tavolo, avrebbero scoperto che eravamo ladri di pass per i camerini.

    Ai lati del palco, una piccola folla si era radunata per vedere lo spettacolo. Tutti indossavano badge simili ai nostri, molti reggevano attrezzi e arredi scenici, tra cui spiccava una piccola scimmia che indossava un collare e un divertente cappello colorato e luccicante.

    Scoppiai a ridere forte, chiedendomi che diavolo intendesse fare la regina americana del pop con una scimmia.

    La posizione era favorevole per cui vedevamo Eden di profilo che ballava, questa volta indossando dei pantaloni bianchi aderenti di pelle e un top abbinato. La nuova canzone era grintosa con un vibrante riff di chitarra, i movimenti del suo corpo si adattavano al ritmo della musica; ogni posa era accentuata con sensualità dai capelli che oscillavano lunghi dietro la testa. Ragazzi in jeans e maglietta scura aderente danzavano intorno e dietro di lei. Ciascuno, a turno, le toccava la mano e di tanto in tanto la sollevava.

    Eden ce la mise proprio tutta, ballando quasi ogni canzone del suo repertorio. Le riviste e i notiziari avevano dato grosso risalto all'impegno e alla dedizione con cui lei affrontava la sua carriera, alle tante ore di allenamento quotidiano e di prove e allo scrupolo con cui programmava gli impegni futuri. Ed era tutto vero. Nessuno era in grado di mettere in scena uno spettacolo come quello. Lei era la ragazza d'oro del mondo dello spettacolo, piena di soldi e fama. Girava voce che avesse firmato un contratto per girare il suo primo film e che le riprese sarebbero cominciate alla fine del suo tour da tutto esaurito.

    Tutto quello che lei toccava si trasformava in oro.

    Noi la guardavamo, incantati da ogni movimento del suo corpo, ipnotizzati da ogni singola nota della sua voce. Eravamo ammaliati. Tanto che all'inizio nessuno si accorse che qualcosa non andava. Durante l'assolo di chitarra, le braccia di Eden crollarono lungo i fianchi e lei smise di ballare.

    Pensai che si trattasse di un gesto teatrale che introduceva una nuova canzone e, quando vidi la sua testa piegarsi in avanti, immaginai che stesse contando in silenzio, pronta a sollevare gli ipnotici occhi neri e a sedurre i suoi fan ancora una volta.

    Ma i ballerini se ne accorsero e molti di loro si fermarono. E poi altri ancora. E quando l'assolo di chitarra finì, Eden rimase lì muta, come se musica e vita fossero state risucchiate via insieme.

    Il suo respiro si appesantì. Scosse le spalle, il microfono le cadde di mano e crollò per terra sul palco.

    Si sentirono delle urla nell'auditorium e il batterista smise di suonare. Il primo chitarrista e il bassista si voltarono verso di lei ed entrambi si fermarono.

    Eden era collassata, giaceva a terra con le gambe piegate e i lunghi capelli neri sparsi sul pavimento.

    Improvvisamente qualcuno dietro di me urlò, e io sobbalzai per la paura. Una donna mi passò davanti correndo verso il palco, seguita da diversi uomini muscolosi. I miei capelli si sollevarono per lo spostamento d'aria, ma io me ne accorsi a malapena. Avevo lo sguardo fisso su Eden che giaceva immobile a terra.

    Alcune persone si chinarono su di lei e in quel momento riconobbi, nella donna che mi era sfilata accanto, sua madre, la più famosa manager del mondo dello spettacolo a livello nazionale.

    La donna cercava di svegliare sua figlia, scuotendola. E piangeva. Un membro della sicurezza provò a tirarla via. «Non respira!» urlò la madre. Tutti la sentimmo chiaramente, la folla era ammutolita per lo shock. «Qualcuno l'aiuti, non respira!»

    E, all'improvviso, neppure io respiravo.

    La mia mano afferrò quella di Nash mente i battiti del mio cuore acceleravano in attesa del disperato lamento che si sarebbe fatto strada prepotentemente nella mia gola, mentre l'anima della pop star abbandonava il corpo. Il lamento di una bean sidhe può mandare in frantumi non solo un vetro, ma può rompere anche i timpani. Il suono vibra su una frequenza straziante per il cervello umano, tanto da dare l'impressione che provenga sia dall'esterno sia dall'interno del corpo di chi lo ascolta.

    «Respira, Kaylee» mi sussurrò Nash all'orecchio, cingendomi con le braccia, mentre la sua voce mi coccolava il cuore, confortandomi e rilassandomi. La voce di un bean sidhe maschio è come un balsamo dalle proprietà calmanti, e senza effetti collaterali. Nash poteva fermare l'urlo, o almeno abbassarne il volume, limitarne l'intensità. «Cerca di respirare.» Così feci. Guardai il palco oltre le sue spalle e respirai, aspettando che Eden morisse.

    Aspettando che l'urlo si facesse strada su per le mie viscere.

    Ma non accadde nulla.

    Sul palco, qualcuno scalciò il microfono di Eden che rotolò sul pavimento, fino alla buca. Nessuno se ne accorse, perché Eden continuava a non respirare. Ma io ancora non urlavo.

    Lentamente lasciai la stretta di Nash e avvertii un senso di sollievo nel momento in cui la razionalità prevalse sulla paura. Eden non era circondata dall'ombra che preannuncia l'arrivo della morte e che è visibile solo alle donne bean sidhe. «Lei sta bene.»

    Sorrisi, malgrado i volti pieni di paura che mi circondavano. «Andrà tutto bene.» Perché se fosse stata sul punto di morire, il mio urlo non si sarebbe fatto attendere.

    Ero una femmina bean sidhe. E quello era il mio compito.

    «No, lei non sta bene» disse Tod con delicatezza. Ci voltammo e lo scorgemmo che fissava il palco. Il mietitore fece segno con un dito, a indicare il viso di Eden, che giaceva circondata dalla madre, dai bodyguard e dai membri dello staff. Uno di loro aveva iniziato a praticarle la respirazione bocca a bocca. A un tratto, una sostanza eterea e nebbiosa iniziò a sollevarsi lentamente sopra il suo corpo come un serpente che esce dal cesto di un incantatore.

    Anziché sollevarsi volteggiando verso il soffitto, come facevano tutte le anime, quella di Eden sembrava appesantita, come se stesse per affondare nella terra attorno a lei. Era densa e senza colore. Su di essa giravano vorticosamente dei nastri di colore nero come catturati in un piccolo, impercettibile mulinello.

    Il respirò mi si bloccò in gola, ma lo lasciai andare

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