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Le peccatrici di New York (eLit): eLit
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Le peccatrici di New York (eLit): eLit

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About this ebook

New York, 1902. Francesca Cahill ai tè con le dame dell'alta società newyorkese preferisce combattere il crimine. Il suo talento di investigatrice privata la porta a indagare su alcune cruente aggressioni, avvenute nei bassifondi della metropoli a danno di giovani donne. Le prime due vittime sono sopravvissute, mentre per la terza si tratta di omicidio. Sembra proprio che per le strade di New York si aggiri un serial killer, e Francesca non si darà per vinta finché non lo avrà fermato. Sembra che l'unica pista da seguire non porti a niente. Che cosa hanno in comune le vittime, oltre a essere giovani e irlandesi? Il tempo stringe, la paura ormai dilaga per le strade del quartiere. C'è un pazzo da catturare.
LanguageItaliano
Release dateSep 29, 2017
ISBN9788858976050
Le peccatrici di New York (eLit): eLit
Author

Brenda Joyce

Originaria di New York ma residente in Arizona, ha iniziato a scrivere giovanissima e da allora ha pubblicato più di trenta romanzi, che hanno avuto successo in tutto il mondo.

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    Le peccatrici di New York (eLit) - Brenda Joyce

    . 1 .

    New York City

    Martedì, 22 aprile 1902, ore 5.00 del pomeriggio

    La scena del crimine era raccapricciante.

    Francesca Cahill fissava la donna, raggelata. La vittima, coperta solo dalla biancheria intima, giaceva in una pozza di sangue dello stesso colore marrone rossiccio dei suoi capelli. Brividi gelidi le corsero lungo la spina dorsale, brividi che nulla avevano a che fare con la temperatura di quella perfetta giornata primaverile, calda e soleggiata. Anche se nessuno lo avrebbe detto, lì dentro.

    L’appartamento in cui Francesca era coraggiosamente entrata era lungo e stretto, formato da un’unica stanza. Alle estremità c’erano due finestre che lasciavano filtrare un po’ di luce ma non molta, visto che una era quasi completamente schermata dall’edificio di mattoni rossi che sorgeva di fronte, a pochi metri di distanza. All’estremità opposta, c’era il letto su cui giaceva la vittima con addosso solo la biancheria. Francesca era rimasta sulla porta, dando le spalle al corridoio buio che trasudava un’umidità malsana. Tra lei e la vittima erano visibili le tracce di una vita miserevole: un divanetto con il rivestimento scolorito e pieno di buchi, un tappetino altrettanto scolorito su cui c’era una bacinella d’acqua, come se la donna avesse fatto un pediluvio prima di andare a letto. Al di là dello sgangherato minuscolo soggiorno c’era un tavolo quadrato e traballante con due orribili sedie, una delle quali con una gamba rotta, riparata alla meno peggio. In cucina, solo una credenza ingombra di una pila di piatti e stoviglie scompagnati, una stufa a legna e un lavello dove una pentola sporca aspettava di essere lavata. Alle spalle di Francesca, a pochi passi dalla porta d’ingresso, era stato piazzato un cavalletto della polizia con la scritta Non oltrepassare.

    Un uomo stava esaminando il corpo con attenzione. Corpulento, di media statura, con un abito di tweed e la camicia stropicciata. Francesca lo riconobbe all’istante. Tossì per segnalare la propria presenza e avanzò verso il letto. La gonna blu le ondeggiava intorno alle caviglie e qualche ciocca bionda era sfuggita allo chignon e al cappellino blu. Fra le mani inguantate stringeva una borsetta.

    L’uomo si voltò. «Signorina Cahill!» esclamò. Sembrava sorpreso di vederla.

    Lei gli rivolse un sorriso caloroso. Era decisa a non farsi estromettere dalla scena del crimine, anche se il caso non era suo. Nessun cliente l’aveva incaricata di investigare su quell’omicidio. «Buongiorno, ispettore Newman, anche se per la vittima non è stata affatto una buona giornata, evidentemente.» Guardò il cadavere della donna. Vista da vicino, non dimostrava più di una ventina d’anni. Era bella, notò. Newman le aveva chiuso gli occhi.

    Lui le andò incontro, rosso in viso, sulla fronte una patina di sudore. «È suo questo caso, signorina Cahill? Il commissario è con lei?»

    Il cuore di Francesca ebbe un piccolo sussulto. In realtà non vedeva il commissario da settimane, se si escludevano le volte in cui era passata al Bellevue Hospital dove era ricoverata la moglie. «Temo di essere sola. Crede che si tratti del Coltello?» chiese, abbassando lo sguardo sulla morta, come una falena attratta dalla luce di una candela.

    Newman batté le palpebre. «Le hanno tagliato la gola come alle altre due, signorina Cahill, però questa poveretta non se l’è cavata altrettanto facilmente... è morta. Sembra opera dello stesso aggressore, ma non potremo esserne sicuri finché il coroner non l’avrà esaminata.»

    Francesca lo guardò annuendo. Se si voleva credere ai giornali – e lei sapeva bene quanto spesso non fossero attendibili – dietro a quelle aggressioni c’era un piano preciso. Secondo il Tribune, le prime due vittime erano giovani, graziose e irlandesi, ma non erano state uccise. L’aggressore aveva inciso loro la gola con un coltello, lasciandole ferite e comprensibilmente traumatizzate. La seconda aggressione aveva reso il caso abbastanza sensazionale da meritare un titolo in prima pagina, con l’immancabile battesimo del mostro. La terza, invece, era morta, quindi forse non c’era alcun collegamento. Francesca, però, non riusciva a crederci.

    Fin da quando aveva cominciato a occuparsi di indagini criminali, si era resa conto di avere un certo istinto. Istinto che ora urlava dentro di lei. Quella era opera del Coltello, e la posta in gioco era improvvisamente salita. Adesso si trattava di omicidio.

    E quello faceva sì che il caso fosse affar suo, così com’erano affar suo le persone che vivevano due porte più in là. «Sappiamo come si chiamava?» chiese a bassa voce, concentrata sulla posizione della donna. Le braccia spalancate, la testa girata su un lato. Doveva esserci stata una lotta. Era certa che anche lei fosse irlandese.

    «Sì, si chiamava Margaret Cooper.» Anche l’ispettore si era voltato a guardare la vittima.

    Un nome che non era più irlandese del suo. Francesca era sorpresa di essersi sbagliata, ma restava persuasa che dietro l’omicidio ci fosse un disegno preciso. Fece per avvicinarsi, ma Newman la trattenne. «Signorina Cahill? È sicura di poter restare? Voglio dire...» proseguì, facendosi paonazzo. «Questa faccenda è di pertinenza della polizia e se il commissario non è qui, non sono sicuro che dovrebbe esserci lei.»

    Lei non esitò. «Sono ufficialmente incaricata del caso, ispettore, e sappiamo entrambi che il commissario mi appoggerà.» Sorrise, conciliante e ferma allo stesso tempo. In realtà, non sapeva più fino a che punto Rick Bragg l’avrebbe appoggiata. Troppe cose erano cambiate. E troppo in fretta.

    «Be’, comunque credo che non sarò costretto a decidere» esclamò Newman sollevato, quando un rumore di passi risuonò nel corridoio.

    Francesca non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi fosse arrivato. Si rese conto di essersi improvvisamente irrigidita.

    Lui era bello e pieno di carisma. Un tempo lei lo aveva considerato l’uomo più affascinante del pianeta, ma era stato prima di sapere che il suo rapporto con la moglie, da cui era separato, registrava continui ritorni di fiamma. Imponente nel suo metro e ottantacinque, Rick Bragg avanzò a lunghe falcate decise, il soprabito marrone che gli svolazzava intorno alle gambe. Aveva la carnagione scura, i capelli biondi e un che di autorevole e determinato che non gli permetteva di passare inosservato. La prima volta in cui si erano incontrati, a una serata di gala organizzata dalla sua famiglia, Francesca lo aveva subito notato fra la ressa. Ma quel periodo sembrava appartenere a un’altra vita. E allora lei era un’altra donna. Oh, sì.

    I loro sguardi si incontrarono. Nessuno dei due abbassò gli occhi.

    Francesca si accorse che si stava mordendo il labbro inferiore. Aveva stretto i pugni e anche le pulsazioni erano accelerate. «Salve» lo salutò, cercando di nascondere il nervosismo. Ma era difficile. Un tempo si erano amati. Adesso lei era fidanzata con il suo peggior nemico, il suo fratellastro, il ricco e famoso Calder Hart.

    Se Rick era stupito di vederla lì, non lo diede a vedere. «Francesca» disse. Non distolse lo sguardo da lei nemmeno per dare un’occhiata al cadavere o alla scena del crimine. «Che sorpresa.»

    Fissandolo nei suoi occhi color ambra, lei comprese immediatamente quanto fosse esausto, sia fisicamente sia emotivamente. Provò pena per lui, perché sapeva come fosse preoccupato per le condizioni della moglie. Di colpo non ebbe più voglia di parlare di Margaret Cooper. Voleva parlare di lui, di sua moglie, dei due bambini che avevano in affido. Voleva prendergli la mano, voleva aiutarlo.

    Invece gli rispose un po’ brusca. «Mi sono imbattuta in Isaacson, del Tribune.» Cercò inutilmente di sorridere, mentre Rick continuava a guardarla, in attesa. «Doveva trovarsi al quartier generale quando è arrivata la chiamata. Non appena mi ha detto che forse si trattava del Coltello e che la vittima abitava fra la Decima e Avenue A, ho capito di dover venire subito. Maggie e i suoi bambini, vivono due porte più in là, Bragg.»

    «Lo so.» L’espressione di lui si addolcì. «Ero preoccupato anch’io.» Esitò, mentre i suoi occhi si posavano sulle mani di lei, che stringevano spasmodicamente la borsa.

    Francesca azzardò un altro sorriso che non trovò risposta. In sua presenza si sentiva goffa e impacciata. Non sapeva cosa dire, cosa fare. Erano ancora amici o Rick la odiava? L’aveva perdonata per essersi fidanzata con l’uomo che più disprezzava al mondo? Aveva accettato il fatto che un giorno lei avrebbe sposato Hart? Perché alla fine Francesca, pur con infinita difficoltà, aveva accettato il fatto che Bragg apparteneva a sua moglie.

    Avrebbe voluto una risposta a quelle domande, ma non osava formularle. Sarebbe stato egoistico da parte sua. Però, non c’era nessuno che ammirasse di più. Nessuno che considerasse più nobile, più determinato, più onesto di Rick Bragg. Era stato nominato commissario con l’incarico di ripulire il malfamato e corrotto Dipartimento di Polizia, ma era come sputare controvento. Aveva licenziato alcuni agenti e ne aveva assunti altri, riorganizzando intere unità, ma ogni piccolo passo avanti costava dolore e fatica. La stampa gli stava addosso, il clero e il movimento riformista esigevano che facesse di più; i politici esigevano che facesse di meno. Anche se aveva perso le elezioni, il Tammany Hall aveva ancora in mano buona parte della città. Lui era schierato contro il partito di Platt e il sindaco, eletto grazie al suo programma riformista, non sempre lo sosteneva, timoroso di perdere i voti dei lavoratori. Le elezioni erano alle porte e il sindaco Low non intendeva lasciarsi sconfiggere. Bragg combatteva da solo.

    Francesca sapeva che non si sarebbe mai arreso.

    Neppure ora che la moglie era in ospedale, vittima di un tragico incidente. «Ho sentito che Leigh Anne tornerà a casa presto» disse, prendendogli la mano senza pensare. Lui trasalì quando sentì le dita chiudersi sulle proprie e, rendendosi conto di ciò che aveva fatto, Francesca lo lasciò andare di colpo.

    «Sì, la dimetteranno domani» rispose Bragg, guardando altrove.

    Francesca lo conosceva così bene... o almeno, un tempo era così. Ora non avrebbe saputo dire se fosse il dolore o il senso di colpa a spingerlo ad allontanarla. «Grazie a Dio ha ripreso conoscenza nel giro di pochi giorni» sussurrò, avvertendo una piccola fitta di dolore. Perché non poteva abbracciarlo e tenerlo stretto? Sapeva che aveva bisogno di essere confortato. E anche se era fidanzata con un altro uomo, avrebbe sempre amato anche Rick.

    Lui rimase in silenzio, cupo in volto.

    «La prognosi è la stessa?» Francesca era andata diverse volte in ospedale, ma aveva parlato solo con i membri della famiglia Bragg, mai con Leigh Anne. Nel timore che reagisse a una sua visita, aveva preferito non turbarla.

    «Non camminerà mai più» rispose Rick con voce piatta, come per liquidare l’argomento. Guardò la vittima. «Se questa è opera del Coltello, abbiamo un serial killer in libertà» disse, avvicinandosi al letto.

    Francesca lo seguì e si fermò accanto a lui. «Ma stando ai rapporti che ho letto, le prime due vittime sono sopravvissute.»

    Lui stava esaminando il corpo con attenzione. Le lenzuola di cotone erano di qualità scadente, ma fresche di bucato, a parte la grande chiazza di sangue. I capelli della donna erano sciolti e le coprivano parzialmente il collo. «Sono sopravvissute, sì. Le aggressioni si sono verificate a una settimana di distanza, sempre di lunedì.»

    «Oh, cielo» sussurrò Francesca. Non poté fare a meno di provare una certa eccitazione. Ai cronisti quel particolare era sfuggito. «Questa donna è stata uccisa ieri?»

    «È stata trovata oggi pomeriggio, ma sono pronto a scommettere che è stata uccisa la notte scorsa.» Bragg le lanciò un’occhiata eloquente.

    La donna era stata sorpresa con la sola biancheria intima. Era quindi possibile che fosse stata uccisa anche quella mattina sul presto o la sera prima, mentre si preparava per andare a dormire. «Rick, ho letto che le altre due vittime erano irlandesi, entrambe sui vent’anni. È esatto?»

    Rick si chinò sul cadavere e allontanò dal collo le lunghe ciocche rosse. Il taglio alla gola parlava di ferocia.

    Francesca resistette all’impulso di portarsi una mano alla bocca, ma chiuse gli occhi e respirò a fondo. Nonostante avesse già seguito svariati casi, non riusciva ancora ad abituarsi alla morte e alla violenza. E dopotutto, fino a quel momento erano stati solo sei. La sua carriera di investigatrice era cominciata a gennaio, quando il figlio dei suoi vicini era stato rapito. Si era data da fare per aiutarli, senza immaginare fino a che punto ciò avrebbe cambiato la sua vita per sempre.

    Bragg si raddrizzò. «Si, le ragazze aggredite erano irlandesi, sulla ventina ed entrambe vivevano separate dal marito. A giudicare dalla ferita, direi che il Coltello è tornato in azione. E questa volta per uccidere.»

    Francesca teneva lo sguardo fisso davanti a sé, lottando contro la nausea. «Ma lei non è irlandese. Il cognome Cooper è più americano della torta di mele.»

    «Rimangono comunque delle analogie. Tre giovani donne, belle e prive di mezzi, aggredite in tre lunedì successivi.»

    Lei annuì. «Pensi che sia stata uccisa per errore o che il Coltello abbia deciso di alzare la posta?»

    «Non ne ho idea, ma se è stata uccisa di lunedì e il killer rimane fedele al corso di azione che ha stabilito, fra sei giorni avremo un’altra vittima.» Sollevò il viso e la fissò negli occhi.

    «Lo troveremo, Bragg. Ne sono sicura.»

    Finalmente lui le sorrise. «Se c’è qualcuno che è in grado di trovarlo, sei tu.»

    Elettrizzata dal sorriso, lo ricambiò. «Io penso che il Coltello sia un uomo, ma non possiamo escludere con certezza che si tratti di una donna. Ricordi il Killer della Croce? Alla fine è saltato fuori che era Lizzie O’Brien.» Francesca si riferiva a un caso precedente.

    «Ricordo, sì.» Dall’espressione di Rick, a Francesca parve che stesse ricordando anche ciò che un tempo c’era stato tra loro, ma dopo un istante lui si schiarì la gola e tornò al presente. «Le prime due vittime, Kate Sullivan e Francis O’Leary, non hanno visto il Coltello. Sono state assalite di spalle, ma sono sicure che fosse un uomo.»

    Lei annuì. «Chi ha chiamato la polizia?»

    «Una certa signora O’Neil. Credo che abiti alla porta accanto.»

    Francesca si irrigidì. «Bragg! Non sarà Gwen O’Neil?» Un’immagine della splendida rossa le si affacciò alla mente.

    Lui sollevò le sopracciglia. «Sì, credo che il nome sia quello. Adesso è alla centrale. Era molto scossa» aggiunse. «La conosci?»

    Gli afferrò il braccio. «Sì, e la conosci anche tu!»

    Dopo aver passato un’ora con Bragg sulla scena del crimine, Francesca decise di andare a trovare Maggie Kennedy, la sarta che era diventata una sua cara amica. Mentre saliva la stretta rampa di scale che portava all’appartamento di Maggie, cercò di riepilogare i fatti.

    C’era un assassino a piede libero, a meno che l’omicidio non fosse stato un incidente. Le tre vittime erano tutte giovani, graziose, appartenevano alla classe operaia e abitavano in un’area di due o tre isolati. Anche le prime due, Francis O’Leary e Kate Sullivan, vivevano sole. Il marito di O’Leary era sparito da circa due anni, mentre Kate Sullivan era separata. Margaret Cooper non portava la fede e nel suo appartamento non c’erano tracce di una presenza maschile. In apparenza era sola, anche se naturalmente sarebbe stato necessario verificare. Tutte e tre erano state aggredite di lunedì, a distanza di una settimana l’una dall’altra. Francesca non dubitava che ci sarebbe stata un’altra aggressione il lunedì seguente e che la vittima sarebbe stata una ragazza, giovane, graziosa, appartenente alla classe lavoratrice e sola.

    Per fortuna, pensò, avrebbe potuto parlare con le prime due, forse quel pomeriggio stesso. Ovviamente, la polizia le aveva interrogate, ma lei era certa che non avessero colto particolari importanti. All’epoca Bragg non era ancora stato incaricato del caso.

    D’un tratto ricordò la cena di gala organizzata da sua madre e sospirò. Sapeva che se fosse mancata, il prezzo da pagare sarebbe stato alto. Non era consigliabile eludere gli inviti di Julia Van Wyck Cahill! Erano le sei passate e gli interrogatori avrebbero dovuto aspettare. E poi c’era Gwen O’Neil. Francesca voleva parlare anche con lei. Non le faceva piacere pensare che Gwen e sua figlia Bridget vivessero nell’appartamento adiacente a quello della vittima, così come la preoccupava che due porte più in là abitasse Maggie con i suoi bambini. D’altra parte, quel quartiere era pieno di donne giovani e povere.

    Quando si fermò davanti alla porta di Maggie, pensò alla distanza che si era creata tra lei e Bragg. Forse era stata sciocca, ma aveva sperato che se lui si fosse riconciliato con la moglie e lei avesse sposato un altro, avrebbero potuto restare buoni amici. Così non era stato e ne era rattristata. D’altro canto, saltava agli occhi che Rick amava la moglie e, da parte sua, lei nutriva sentimenti intensi nei confronti di Hart. Lui era a Chicago per lavoro da due settimane e Francesca non riusciva a smettere di pensarlo.

    Per fortuna Leigh Anne avrebbe lasciato l’ospedale il giorno dopo. Avrebbe dovuto telefonarle a casa?, si chiese.

    Aveva raggiunto l’appartamento di Maggie, da cui si udivano grida e risate infantili. Francesca sorrise mentre bussava. L’amica era vedova e cresceva i suoi quattro figli da sola.

    Fu l’undicenne Joel Kennedy, con un passato da ladruncolo e ora suo fedele assistente, ad aprirle. Il ragazzino aveva capelli corvini e una carnagione chiarissima e portava le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Conosceva la città come le sue tasche e aveva tolto Francesca dai guai un’infinità di volte. La sua faccia annoiata si illuminò nel vederla. «Signorina Cahill!»

    La grande cucina-soggiorno, di solito pulitissima, era invasa da una miriade di piume che volteggiavano come fiocchi di neve. Matt e Paddy, i fratelli più piccoli di Joel, ridevano seduti sul pavimento, sfiancati da una guerra a cuscinate che doveva essere stata senza esclusione di colpi. Sul tavolo coperto di briciole e pezzi di pane, c’erano i piatti con gli avanzi della cena. Joel seguì lo sguardo di Francesca e scrollò la testa. «Idioti!» disse. «Alla mamma non piacerà affatto trovare due cuscini rovinati!»

    «Niente compiti da fare, oggi?» chiese lei. Sapeva che Maggie mandava Matt a scuola, contrariamente a molti genitori poveri, che contavano sull’aiuto dei bambini per racimolare qualcosa. Ciò nonostante, le poche scuole pubbliche erano sovraffollate e non avevano mezzi sufficienti. Francesca pensava che fosse una vergogna.

    Joel, che sapeva leggere e aveva lasciato la scuola, sollevò le spalle. «Deve scrivere l’alfabeto, ma non ne ha voglia. E io non ho voglia di litigare. Ho di meglio da fare.»

    Francesca si chiuse la porta alle spalle, mentre la sorellina di Joel, che aveva tre anni, usciva dalla stanza da letto, il viso assonnato. «Joel, se avete cenato, Matt deve mettersi a fare i compiti. Tu sai leggere. Non vuoi che tuo fratello goda degli stessi tuoi vantaggi? Ciao, Lizzie!» esclamò poi, accarezzando i capelli neri della bambina.

    Joel la fissò accigliato. «È qui per lavoro, signorina Cahill? La situazione è troppo calma da troppo tempo.»

    Lei posò la borsa sul divano. «Sì. E hai ragione, è stato un periodo tranquillo per noi. Tua madre dovrebbe tornare a momenti, no?»

    «Credo. A quale caso sta lavorando?» Gli occhi del ragazzino splendevano di eccitazione.

    Francesca gli allungò un colpetto sulla spalla. «Ci assomigliamo, tu e io» disse con un sorriso che si spense mentre lo informava dell’accaduto. «Una donna è stata uccisa, due porte più giù. Era la vicina di Gwen O’Neil.»

    Joel impallidì. «La signorina O’Neil e Bridget?»

    «Stanno bene» lo rassicurò. «Puoi fare qualche domanda in giro? Vedi se qualcuno ha notato un tipo sospetto tenere d’occhio Margaret Cooper o il suo appartamento. Chiedi se per caso aveva confidato a qualcuno di avere paura e cerca di scoprire chi fossero i suoi amici, se ne aveva. Controlla se di recente ha ricevuto visite. Sospettiamo che l’assassino sia un uomo. E potrebbe essere il Coltello» aggiunse dopo una breve pausa.

    Lui annuì, gli occhi sbarrati. «Appena rientra la mamma, mi metto al lavoro.»

    «Quale lavoro?» Maggie Kennedy entrò stringendo fra le braccia un grosso sacchetto della spesa. «Francesca!» esclamò sorridendo. «Che gioia vederti!»

    «Abbiamo un altro caso» la informò Joel mentre lei lo abbracciava. «C’è stato un omicidio, proprio nel nostro caseggiato.»

    «Lascia che parli io» si affrettò a intervenire Francesca, vedendo l’amica impallidire.

    Maggie abbracciò i figli, ma la sua espressione era tesa. «Cos’è questo disastro?» domandò ai due devastatori. «Sapete che non posso permettermi spese impreviste. Ora raccogliete tutte le piume. Fino all’ultima! Dovreste vergognarvi.» Nella sua voce vibrava un tremito.

    Francesca sapeva che l’annuncio di Joel l’aveva spaventata. Le posò una mano sulla schiena e sorrise con fare rassicurante. «Ci sediamo?»

    «Ma certo!» Maggie arrossì. «Scusami. Le mie buone maniere...» Sgomberò in fretta il tavolo e indicò una sedia. «Accomodati. Io metto a bollire l’acqua per il tè.»

    Francesca la fermò. «Niente cerimonie, Maggie, per favore. Ho davvero bisogno di parlare con te» le disse, indirizzandole uno sguardo eloquente.

    L’altra la scrutò per un attimo, poi lentamente annuì. Mentre si sedevano, Joel infilò la porta e sparì. Maggie sospirò. «È bellissimo da parte tua pagargli un salario, ma... sono sempre così preoccupata per lui.»

    Francesca aveva capito molto presto l’enorme aiuto che Joel poteva offrirle e gli aveva proposto un impiego come suo assistente, che lui aveva accettato con entusiasmo. «Sai che non gli permetterei mai di correre dei rischi» disse ora, nel tentativo di rassicurare l’amica.

    «Lo so. Hai salvato la vita a me e anche a Joel. Aveva preso una gran brutta strada.» Maggie si prese il viso tra le mani e chiuse gli occhi con un sospiro. «Sono contenta che Joel lavori per te, davvero, ma...»

    Francesca sapeva che la ragazza era esausta dopo l’interminabile turno a una macchina per cucire della Moe Levy Factory. Le sfiorò una mano. «Se preferisci che non lavori per me, troveremo qualcos’altro.»

    Maggie scosse la testa con un debole sorriso. «Ti adora e se non altro so che non va più in giro a rubare. È solo che oggi sono sconvolta.»

    Francesca se ne era accorta e se ne chiese il perché. «Gwen O’Neil ha trovato il corpo della sua vicina» riprese dopo una pausa.

    Maggie sussultò. «Lei sta bene?»

    Francesca le prese la mano. «Non lo so. Bragg ha detto che era molto scossa. Ha passato il pomeriggio alla centrale di polizia, ma credo che tornerà a casa presto. Sospettiamo che anche questo sia opera del Coltello, ma a differenza delle altre vittime, Margaret Cooper non è sopravvissuta.»

    Maggie soffocò un singhiozzo. «Le conosco tutte! Vivono... vivevano qui vicino!»

    «Proprio tutte?» Francesca si protese verso di lei.

    «Più o meno, sì» rispose Maggie. «Francis e io ci troviamo spesso nella bottega di Schmidt a fare la spesa. È così dolce, così gentile. E di recente era così felice.» La sua voce si ridusse a un bisbiglio. «Mi ha detto che aveva cominciato a frequentare una persona molto speciale.»

    Francesca si raddrizzò di scatto. «Se non sbaglio, suo marito è sparito due anni fa e lei è rimasta sola.» Nel qual caso, pensò, era ancora ufficialmente sposata.

    «So che in passato è stata sposata. Credevo che fosse vedova, però» rispose Maggie, sorpresa.

    Bragg aveva riesaminato la pratica con Francesca. No, Francis O’Leary non era vedova. «Conosci il nome dell’uomo che frequentava?» chiese ancora.

    «No, non me lo ha detto. Ma vive a due isolati da qui.»

    «Sì, sulla Dodicesima Strada.» L’avrebbe interrogata la mattina seguente, al più presto. «Dove lavora?»

    «Fa la commessa ai magazzini Lord and Taylor. Ma ieri, quando l’ho incontrata in chiesa, aveva un aspetto orribile. Mi è sembrato che sotto il colletto del vestito avesse il collo fasciato e aveva un occhio nero. Non credo che sia già tornata al lavoro.»

    Francesca memorizzò le informazioni. Se fosse andata da Francis di buon’ora, l’avrebbe trovata in casa. «Conosci anche Kate Sullivan e Margaret Cooper?»

    «Kate, non troppo bene. Solo un cenno di saluto, la domenica in chiesa. Sembra molto dolce, ma un po’ timida. Sai che sono amica di Gwen; è a casa sua che ho incontrato Margaret, una sera che ero andata a farmi prestare dello zucchero. Anche lei era molto carina.» Maggie sembrava sull’orlo delle lacrime.

    Un gruppetto di amiche, pensò Francesca, riordinando le idee. Donne che lavoravano, abitavano vicine e si incontravano di tanto in tanto durante il giorno o la domenica. «Voglio che tu faccia molta attenzione, Maggie» disse con dolcezza.

    Vide l’altra impallidire e lanciare un’occhiata ansiosa ai figli. «Margaret Cooper abitava due porte più giù, Francesca, e l’appartamento di Kate Sullivan è giusto voltato l’angolo.» Inspirò a fondo. «Sono in pericolo?»

    «Nessuna delle vittime aveva figli» rispose Francesca. Era vero, ma questo non le impediva di temere per l’amica. «Cerca soltanto di non perdere la testa. Sono sicura che i bambini non siano in pericolo e credo che non lo sia neanche tu, ma fai comunque attenzione. Un’altra cosa: voglio che lunedì prossimo lo passiate da me.»

    Maggie sgranò gli occhi. «Intendi dire alla villa?»

    Francesca annuì. Non sarebbe stata la prima volta che portava Maggie e i bambini nella sua casa paterna. «Sembra che il Coltello colpisca sempre di lunedì. È solo una precauzione.» Sorrise, ma sapeva di non essere riuscita a rassicurare l’altra.

    Maggie esitava, combattuta. «Non voglio importi...»

    Francesca la tacitò prendendole la mano. «Siamo amiche, giusto? Non è un’imposizione.»

    «Ci penserò. E chissà, forse entro lunedì il Coltello sarà già stato catturato.»

    «Lo spero proprio!» esclamò Francesca con ardore.

    Maggie sorrise, poi abbassò lo sguardo sul tavolo. «Evan è tornato a casa?» sussurrò.

    Francesca non rispose subito. Si appoggiò allo schienale, ripensando alla dolcezza con cui suo fratello aveva trattato Maggie e i bambini, quando erano stati loro ospiti – e anche in seguito. Non per la prima volta, si chiese se fra i due non fosse scoccata una scintilla di attrazione, ma naturalmente non ci sarebbe stato nulla di più impossibile di una simile unione: una sartina del Lower East Side con una nidiata di figli e l’erede di un miliardario. Certo, non bisognava dimenticare che di recente Evan era stato diseredato dal padre.

    «No. Vive ancora al Fifth Avenue Hotel. Sono molto orgogliosa di come sta tenendo testa a nostro padre.»

    «Ho sentito che ha trovato lavoro» proseguì Maggie, sempre con gli occhi bassi.

    «Sì, lavora in uno studio legale.» Dai pettegolezzi che aveva sentito, l’alta società era rimasta scossa dalla decisione del fratello di abbandonare la famiglia e la sua fortuna.

    Una breve pausa, poi l’amica disse ancora: «Non ci vediamo da quando ha portato i bambini al parco, il mese scorso».

    Francesca non sapeva cosa dire. «Non l’ho visto molto nemmeno io, da quando se n’è andato. Deve essere dura per lui fare l’impiegato e vivere in albergo.»

    «Penso che frequenti ancora la bellissima contessa Benevente» mormorò Maggie.

    La verità, decise Francesca dopo un attimo di indecisione, era sempre la scelta migliore. «Sì, li hanno visti spesso insieme. Evan è sempre stato attratto da donne sfrontate come Bartolla Benevente.»

    Finalmente Maggie la guardò. «E lei è così bella. Formano una magnifica coppia. Dovrebbe sposarla, non credi?» Il suo timido sorriso non arrivò agli occhi celesti.

    In quel momento Francesca seppe con certezza che Maggie Kennedy era innamorata di suo fratello, a dispetto dell’enorme differenza sociale, e si sentì addolorata per lei. Se anche Evan avesse ricambiato i suoi sentimenti, per loro vivere insieme sarebbe stato impossibile. E in ogni caso, Evan sembrava anche troppo preso dalla splendida contessa. «Sì, potrebbe essere un matrimonio vantaggioso.» Esitò prima di aggiungere: «Ma non credo che Evan abbia intenzione di sposarsi. Non solo perché, come ben sai, è un farfallone, ma anche perché dopo aver lasciato casa e famiglia, avrà bisogno di tempo per riorganizzare la propria vita».

    Maggie si alzò di scatto. «Sono sicura che tornerà a casa, un giorno o l’altro. Preparo il tè, che ne

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