Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L ombra dello scandalo (eLit): eLit
L ombra dello scandalo (eLit): eLit
L ombra dello scandalo (eLit): eLit
Ebook411 pages5 hours

L ombra dello scandalo (eLit): eLit

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

New York, 1902. Non sarà facile questa volta mantenere una mente lucida e analitica per l'investigatrice privata Francesca Cahill. È stata infatti trovata morta, brutalmente accoltellata, l'affascinante Daisy Jones, prostituta d'alto bordo ed ex amante di Calder Hart, fidanzato di Francesca. Seguire le tracce come un segugio sembra portare le indagini proprio alla porta di Calder, gli indizi puntano tutti su di lui, ma Francesca non si dà per vinta. Nonostante le pressioni della famiglia, la rottura del fidanzamento da parte di Hart, che vuole in questo modo tenerla lontano dallo scandalo, la tenace giovane investigatrice è determinata a scavare nel torbido per portare alla luce la verità. Segreti, bugie e un inconfessabile passato mettono la vittima al centro di un quadro inimmaginabile.
LanguageItaliano
Release dateSep 28, 2017
ISBN9788858976067
L ombra dello scandalo (eLit): eLit
Author

Brenda Joyce

Originaria di New York ma residente in Arizona, ha iniziato a scrivere giovanissima e da allora ha pubblicato più di trenta romanzi, che hanno avuto successo in tutto il mondo.

Read more from Brenda Joyce

Related to L ombra dello scandalo (eLit)

Titles in the series (2)

View More

Related ebooks

Historical Fiction For You

View More

Related articles

Related categories

Reviews for L ombra dello scandalo (eLit)

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L ombra dello scandalo (eLit) - Brenda Joyce

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Deadly Kisses

    Mira Books

    © 2006 Brenda Joyce Dreams Unlimited, Inc.

    Traduzione di Maria Barbara Piccioli

    Questo volume è stato precedentemente pubblicato con il titolo:

    Ombre su New York.

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-606-7

    1

    New York City

    Lunedì, 2 giugno 1902, prima di mezzanotte

    «Francesca, è stato magnifico da parte tua offrirti di presiedere il Comitato femminile per la raccolta fondi dell’Unione dei Cittadini» esclamò Lady Van Wyck Cahill, tendendo al portiere il mantello di velluto rosso rubino. Sottile, bella ed elegante, sorrideva raggiante alla figlia nell’ingresso della loro casa della Quinta Strada. Al collo sfoggiava un celebre rubino appartenuto a una principessa asburgica.

    Francesca era distratta. «Non mi sono esattamente offerta, mamma» rettificò, liberandosi a sua volta del mantello in satin turchese. «So benissimo che siete state tu e la signora Astor a decidere per me.»

    Julia spalancò gli occhi, affettando ignoranza. «Tesoro! Come ti è venuta un’idea simile? Pensaci... sei la signora più giovane che abbia mai presieduto il comitato... e so che sarai meravigliosa... lo sei sempre.»

    In realtà, Francesca non era troppo dispiaciuta della nuova carica; l’indagine di cui si stava occupando era semplice routine. Una vicina aveva scoperto che dal solaio erano scomparsi parecchi oggetti, fra cui svariati e pregevoli cimeli di famiglia, e dopo aver letto dell’ultimo caso di Francesca sui giornali ne aveva richiesto i servigi. Lei era quasi certa che il colpevole fosse il genero della signora Canning.

    «È una buona causa» sospirò. «E qualcuno deve pur occuparsi del reperimento dei fondi. Vorrei soltanto che tu mi avessi chiesto prima se avevo il tempo di dedicare all’incarico tutto l’impegno e l’attenzione che merita.»

    Julia la prese sottobraccio. «Mi dispiace, cara. E naturalmente hai ragione. Avrei dovuto chiedertelo.»

    Francesca sapeva benissimo cosa avesse in mente la madre. Julia era una rappresentante di spicco della buona società, e a dispetto dei successi riportati dalla figlia minore ne considerava con sospetto la nuova professione, continuando ad avversarne il coinvolgimento in qualsivoglia indagine, benché questa volta sembrasse sollevata di saperla alle prese con un caso che non era né pericoloso né motivo di imbarazzo. Il suo obiettivo era tenerla così impegnata con il comitato dell’Unione dei Cittadini da non avere tempo per altro se non per il fidanzato.

    Al solo pensiero di Calder Hart, il cuore di Francesca accelerò. Hart aveva sempre quell’effetto su di lei, fin dal giorno in cui lo aveva conosciuto e aveva fatto di tutto per negare l’attrazione che provava per un uomo tanto chiacchierato. Nonostante le sue umili origini – era nato nel poverissimo Lower East Side – Calder era adesso uno degli uomini più ricchi della città e, fino a poco tempo prima, nonostante la sua fama di libertino, uno dei partiti migliori, concupito da quasi tutte le signore dell’alta società con figlie in età da marito. Lui, tuttavia, aveva preferito legarsi a cortigiane e divorziate, rifuggendo da legami che sarebbero stati più consoni alla sua posizione. Francesca faticava ancora a credere che fosse toccato proprio a lei, un’eccentrica con pretese di intellettuale – un’investigatrice! – conquistarne il cuore. Sapeva di essersi attirata ostilità e invidia, ma i mormorii e i pettegolezzi che un tempo l’avrebbero addolorata adesso più che altro la divertivano. Perché quasi sempre al suo fianco c’era Hart che le sussurrava all’orecchio di godersi le luci della ribalta.

    Non che tutto fosse perfetto, naturalmente. Suo padre era ancora ferocemente contrario al fidanzamento; un mese prima ne aveva preteso la rottura e non sembrava affatto propenso a tornare sui propri passi, benché la moglie si rifiutasse addirittura di parlargli a meno che non fosse assolutamente necessario. Julia, infatti, si ostinava a vantarsi del legame della figlia, ignorando l’iniziativa del marito.

    Dal canto suo, Francesca sapeva che non sarebbe più stata capace di immaginare un futuro senza Hart ed era decisa a guadagnare Andrew alla propria causa. Suo padre, dopotutto, era uno dei pensatori più progressisti e illuminati di New York, oltre che un grande umanitario e lei lo ammirava immensamente. Mai e poi mai lo avrebbe tradito fuggendo, benché con Hart avesse discusso anche quella possibilità. Era la prima volta che non riusciva ad averla vinta con Andrew, e Hart, da parte sua, aveva suggerito di non esercitare troppe pressioni, almeno per il momento. In quei giorni, Calder era fuori città e Francesca ne sentiva terribilmente la mancanza.

    Come leggendole nella mente, Julia mormorò: «Quando rientra Calder?».

    «Fra un giorno o due, mamma. È a Boston, a occuparsi dei suoi affari, lo sai.» La fortuna di Hart si basava soprattutto sulle compagnie di spedizione, sulle assicurazioni e sulle ferrovie. Era inoltre uno stimato esperto d’arte, proprietario di una delle collezioni più grandi e rinomate del paese.

    Qualche tempo prima, Francesca si era sentita enormemente lusingata quando Calder aveva commissionato il suo ritratto, e lei non aveva esitato a posare nuda. Il quadro era stato ultimato il mese precedente – e immediatamente trafugato. Poiché Francesca era troppo sconvolta per dedicarsi di persona alle indagini, Hart aveva incaricato un investigatore privato, ma non era emersa alcuna pista; il dipinto sembrava svanito nel nulla. Peggio ancora, se fosse riapparso e fosse stato mostrato pubblicamente, per Francesca sarebbe stata la fine sotto il profilo sociale. Si era fatta parecchi nemici, anche se buona parte di loro era ormai in carcere.

    Ma quella sera non voleva preoccuparsi per il ritratto scomparso e si costrinse invece a pensare all’imminente ritorno di Hart. Moriva dalla voglia di trovarsi di nuovo fra le sue braccia. «Vado a letto» annunciò, baciando la madre sulla guancia. «È stata una serata gradevole.»

    «Non è vero?» concordò Julia, soddisfatta.

    Entrò Andrew Cahill, che era uscito un momento a dare istruzioni al cocchiere per l’indomani mattina. Elegante nello smoking, era un uomo di bassa statura con favoriti quasi eccessivi. Francesca gli sorrise. «Papà? Ti sei divertito stasera?» Sua sorella, in nulla inferiore a Julia come dama di società, aveva offerto una cena per la raccolta di fondi destinati alla nuova, grande biblioteca pubblica che presto sarebbe sorta tra la Quinta Strada e la Quarantaduesima. L’evento si era svolto nel salone del Waldorf Astoria e vi aveva partecipato un centinaio di ospiti. Alla cena non erano mancati caviale e danze. «Ma certo» rispose Andrew, serio in faccia. «È una causa degna e aspetto con ansia l’apertura della nuova biblioteca. Francesca, vorrei parlarti nel mio studio prima che tu vada a letto.»

    La ragazza si irrigidì. «Non si può rimandare?» tentò. Aveva la netta sensazione che lui volesse parlarle di Hart, argomento che evitavano ormai da un intero mese. E a meno che il padre non avesse cambiato idea al riguardo, lei preferiva non dover ascoltare quanto aveva da dirle.

    «Credo che tu e io siamo ai ferri corti decisamente da troppo tempo» fu l’asciutta risposta.

    Francesca conosceva bene quel tono. Attese che lui augurasse la buonanotte alla moglie, quindi lo seguì. I domestici si erano discretamente volatilizzati e i loro passi rimbombavano sul pavimento di marmo bianco e nero.

    «Credo che Hart sia rientrato.»

    Francesca lo guardò stupita. «No, papà, non rientrerà prima di un paio di giorni ancora, probabilmente mercoledì.»

    «Ben Garret lo ha visto per strada oggi pomeriggio» insistette Andrew con voce secca. Poi, finalmente, il suo tono di addolcì. «O così ha creduto. Abbiamo pranzato insieme e lui ha accennato al tuo fidanzamento.»

    A quel punto era anche troppo chiaro quale sarebbe stato l’argomento del colloquio. I due indugiarono un istante sulla soglia dello studio, un vasto locale dotato di luce elettrica, con le pareti rivestite di pannelli di legno e soffitti alti, che ospitava centinaia di libri, in gran parte testi di politica e filosofia, e l’unico apparecchio telefonico di tutta la casa. Un piccolo fuoco scoppiettava sotto la mensola di marmo verde smeraldo del camino.

    «Un fidanzamento che tu hai rotto, papà.» Il tono di Francesca era dolce, ma mentre parlava tormentava l’enorme diamante donatole da Hart, che si rifiutava di togliersi.

    L’espressione di Andrew era a dir poco infelice. «Quella era la mia intenzione, è vero, ma tua madre mi ha sfidato apertamente vantandosene con tutti quelli che conosciamo. E in privato non mi rivolge neppure la parola!» esclamò. «E comunque, credi che sia cieco? Vedo benissimo che porti ancora il suo anello.»

    Francesca arrossì. «Calder me lo ha offerto in segno del suo rispetto e della sua ammirazione. Non posso, davvero non posso separarmene.»

    Con un sospiro, Andrew Cahill si accostò al fuoco acceso. «Potrei parlarti fino a restare rauco di giovani donne credulone che si sono innamorate di affascinanti canaglie. Ma come tutte loro, non mi daresti il minimo ascolto. Sei convinta di essere diversa dalle altre, quella che ha saputo vincere il cuore del furfante che ami.»

    Francesca gli si affiancò. «A differenza degli altri furfanti, Hart non ha mai affermato di essere innamorato di me. Mi ha detto però quanta ammirazione e quanto rispetto nutra per me, quanto valore attribuisca alla mia amicizia ed è persuaso che siamo perfetti l’uno per l’altra.»

    «Dunque non lo sposi per amore?» chiese Andrew, scettico. «Lo sposi per rispetto, per amicizia?»

    Questa volta l’occhiata di Francesca fu fredda. «Amo Calder. Non ho mai amato nessuno come amo lui. Ha un lato buono, papà, un lato che contraddice la reputazione che lo circonda. E anche se sostiene di non credere nell’amore, mi è molto legato. Vorrei tanto che tu riuscissi a crederlo! Anch’io sono sicura che siamo fatti l’uno per l’altra.»

    «Non ho mai detto che non ti sia legato. Credo anzi che provi per te un affetto profondo. Perché altrimenti vorrebbe sposarti? Di certo non ha bisogno del tuo denaro – è ricco come Creso! Ma non posso approvare la vostra unione quando so con assoluta certezza che un giorno ti ferirà in modo atroce. Gli uomini come lui finiscono sempre per allontanarsi dalla retta via.»

    Francesca si accorse di stare tremando. Hart le aveva promesso fedeltà e sincerità eterne. Sosteneva di essere stanco della vita condotta fino ad allora, e benché gli credesse, lei non poteva fare a meno di temere che un giorno il suo interesse si sarebbe concentrato su una donna più bella e affascinante. Anzi, quella possibilità incarnava la sua più grande paura.

    «Papà, detesto essere in cattivi rapporti con te. Ma ormai conosco tutte le tue argomentazioni. Sappiamo entrambi che Calder è stato un autentico libertino furfante, così come io so di essere la prima donna a cui ha proposto il matrimonio. Perché non riesci a concedergli il beneficio del dubbio? Se sto commettendo un errore, ebbene, non riguarda forse soltanto me?»

    Di colpo, il padre si volse verso di lei e le afferrò entrambe le mani. «Sono così fiero di te, Francesca. Sei così bella, così piena di generosità, così dedita agli altri. E anche se vorrei che la tua nuova professione non fosse tanto pericolosa, so che hai salvato molte vite e assicurato alla giustizia chi lo meritava. Tu e Hart non avete nulla in comune!» proruppe alla fine. «Posso capire che ti abbia fatto girare la testa, ma come saranno le cose da qui a una dozzina di anni? Hai dedicato la tua vita ad alleviare le sofferenze e i fardelli dei meno fortunati di te, mentre Hart è l’uomo più egoista che abbia mai conosciuto. La passione non è una garanzia per un matrimonio felice, mia cara, non a lungo termine.»

    La ragazza si ritrasse di scatto. «Sei ingiusto! Giudichi Hart esclusivamente in base alla sua reputazione, ma la verità è che non lo conosci affatto, papà. Con me ha sempre dimostrato solo e unicamente nobiltà d’animo. Se sei così pronto a condannarlo, dovresti fare altrettanto con me. Ti prego, ti prego, abbi fiducia in tua figlia.»

    Andrew Cahill sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «Francesca, sei sempre stata troppo gentile e fiduciosa, fin da quando eri bambina e riempivi la casa di cani e gatti randagi. Io resto dell’idea che Hart non sia altri che un ennesimo randagio, un uomo che nessuno può onestamente difendere. Sei certa di volerlo soccorrere proprio in questo modo?»

    Francesca sapeva di essere la sola vera amica di Hart – lui stesso lo riconosceva. Ma certo nessuno poteva pensare che lo considerasse alla stregua dei poveri animali che aveva soccorso. Se quello che provava per lui non era amore, ebbene, allora davvero non sapeva cosa potesse essere. «Se lo sto soccorrendo, è perché non posso farne a meno» disse. «Papà, sai che non sono mai stata del tutto accettata in società, prima del mio fidanzamento. Le amiche della mamma, e le loro figlie, mi considerano un’eccentrica e non hanno mai neppure tentato di ammettermi nella loro cerchia. Ti è mai passato per la mente che forse è Hart a soccorrere me?»

    Quelle parole suscitarono uno sguardo carico di genuino stupore da parte del padre.

    Francesca alzò la mano inanellata. «Quando sono con lui, sento che è terribilmente giusto, papà. E non a causa della passione, ma perché è diventato il mio migliore amico, il più caro. Ti supplico di dargli un’altra possibilità. Per favore. In nome del tuo amore per me, dai a Calder un’altra possibilità per riscattarsi ai tuoi occhi.»

    Il padre la fissò per un lungo istante. Immobile, Francesca pregava per un sì.

    «Ti ho trattata da uguale per tutta la vita» disse infine Andrew. «E anche se il cuore mi dice di non farlo, cedo alla tua volontà. Sei una ragazza brillante e spero che recupererai il buonsenso prima che sia troppo tardi. Darò a Hart un’altra chance – a condizione che aspettiate un anno a sposarvi.»

    «Un anno!» esclamò Francesca, sentendo evaporare la gioia provocatele dalle prime parole di lui.

    «Un anno» ribadì calmo Andrew. «So che può sembrare un periodo molto lungo, ma non è niente quando si parla di un impegno destinato a durare il resto della vita. E se a giugno sarai dello stesso parere, vi darò la mia benedizione.»

    Con uno sforzo, Francesca si costrinse a ingoiare la delusione e a sorridere. «Grazie, papà. Grazie» sussurrò, abbracciandolo con forza.

    Lui le sollevò il mento con un dito. «Sono sempre stato orgoglioso della tua indipendenza di giudizio» disse con un sospiro. «E ho sbagliato pensando di poterti imporre la mia volontà dopo averti concesso la massima indipendenza.»

    Francesca era commossa. «Sono quella che sono grazie a te. Ti devo tutto.» Di colpo, era di nuovo felice. Se fosse riuscita a controllare il proprio appetito sessuale – o a convincere Hart a fare l’amore con lei prima del matrimonio – forse la condizione del padre non si sarebbe dimostrata così dura da rispettare. Quell’anno di attesa avrebbe dato a Andrew il tempo di conoscere realmente Hart e di apprezzarlo. «Allora, buonanotte, papà» disse, congedandosi con un sorriso.

    Uscì in corridoio e lì trovò Betty, la sua cameriera personale. In mano aveva una busta. «Signorina?» disse la ragazza. «È arrivata questa per lei.»

    Francesca era sorpresa di vederla. «Perché non sei a letto? Ti ho detto che non è necessario che mi aspetti alzata.» Forse altre giovani signore erano incapaci di spogliarsi da sole, ma lei, grazie al cielo, era perfettamente in grado di farlo.

    Betty, che aveva la sua età, sorrise. «Oh, signorina, quei bottoni sono così complicati! E prendermi cura di lei è il mio lavoro. Inoltre, il vetturino che ha portato la lettera ha detto di riferirle che era urgente, terribilmente urgente.»

    Dato che era quasi mezzanotte, Francesca si scoprì subito interessata. Prese la piccola busta, notando che la carta era di ottima qualità. C’era il suo nome, ma mancava quello del mittente. «L’ha portata un vetturino, hai detto?»

    «Proprio così, signorina.»

    Francesca spezzò in fretta il sigillo ed estrasse un foglio... il testo era breve e scritto a mano.

    Francesca, ho un disperato bisogno di aiuto. Venga da Daisy, la prego.

    Rose.

    Pochi minuti dopo, Francesca era a bordo dell’hansom che aveva fermato per strada. Non le era stato difficile sgattaiolare fuori casa, dato che suo padre era ancora nella biblioteca e sua madre di sopra, presumibilmente addormentata. Quanto al portiere, Robert, aveva finto di non vederla – lei gli passava una cifra settimanale per assicurarsi che in occasioni come quella guardasse dall’altra parte. Una volta fuori, Francesca aveva raggiunto a piedi il prestigioso Metropolitan Club, un isolato più a sud, e lì si era limitata ad aspettare l’arrivo di qualche gentiluomo. Era lunedì e il traffico di conseguenza scarso, ma quella era pur sempre New York City, e dopo qualche minuto un hansom si era fermato davanti al circolo. Restia a farsi riconoscere, lei aveva chinato la testa quando il passeggero le era passato accanto, ma era pronta a giurare che lui l’avesse guardata con curiosità; le vere signore non si aggiravano sole per la città a quell’ora di notte.

    Erano in prossimità della residenza di Daisy Jones e si chinò in avanti, aguzzando gli occhi. Cosa poteva volere Rose da lei?, si chiese per l’ennesima volta.

    Daisy Jones era l’ex amante di Hart, e una delle donne più belle che Francesca avesse mai visto. La prima volta che l’aveva incontrata, era anche una delle prostitute più costose e ricercate della città. All’epoca Francesca lavorava a un caso, a stretto contatto con il fratellastro di Calder e commissario della polizia cittadina, Rick Bragg. Allora, conosceva appena Hart ed era anzi persuasa di essere innamorata di Rick.

    Non era rimasta sorpresa nell’apprendere della liaison fra la donna e Hart. Capiva perché lui fosse disposto a mantenere una donna come quella e nel corso delle indagini fra lei e Daisy era nata una certa amicizia – subito svanita quando Calder aveva chiesto a Francesca di sposarlo. Daisy non era stata troppo soddisfatta di venire piantata.

    Comparve la grande casa vittoriana che Hart aveva acquistato per la giovane donna, parte di un accordo della durata di sei mesi che continuava a onorare. Francesca pensava, benché non potesse esserne sicura, che adesso vi risiedesse anche Rose, la più cara amica di Daisy che era stata anche sua amante, prima che la cortigiana la lasciasse per Calder.

    La carrozza si era fermata. Mentre si preparava a pagare, Francesca notò che la casa era immersa nell’oscurità, fatta eccezione per due finestre illuminate al piano superiore. Nella sua mente squillò all’istante un campanello d’allarme. Ringraziò il vetturino e scese in fretta, ma subito dopo indugiò un momento a osservare la casa di mattoni. Nessun segno di movimento, anche se naturalmente non avrebbe potuto definirla una circostanza insolita, a un’ora così tarda. Non sapendo bene cosa aspettarsi, spinse il cancello di ferro e risalì il vialetto d’accesso. Aveva i nervi a fior di pelle e quasi si aspettava che qualcuno emergesse all’improvviso dai cespugli del giardino ben curato.

    La porta d’ingresso era aperta.

    A quel punto decisamente in allerta, si rammaricò di essere uscita di casa in tutta fretta, senza neppure premurarsi di prendere il revolver, una candela o un altro degli utili oggetti che di solito teneva nella borsetta. Che sciocca era stata!

    Sbirciò all’interno. L’ingresso era immerso nell’ombra più fitta. Sempre più tesa, spinse la porta ed entrò.

    Aveva un pessimo presentimento. Dov’era Daisy? E Rose? E la servitù? Attenta a non fare rumore, si accostò alla parete, nel punto dove sapeva trovarsi un tavolino, e tese l’orecchio, in ascolto.

    Il silenzio era completo, opprimente. Aveva una gran voglia di accendere una delle lampade a gas, ma si trattenne, e dopo aver atteso che i suoi occhi si abituassero all’oscurità, si mosse con cautela.

    Più avanti, sulla destra, si apriva la sala da pranzo. Trasalì nel sentire il cigolio della porta quando la aprì, ma la stanza era buia e deserta. Attraversò in fretta l’ingresso, occhieggiando innervosita l’ampia scalinata e arrivò alla porta successiva, che dava sul più piccolo dei due salotti adiacenti. Anche quello era vuoto.

    Per un istante, la assalì il ricordo di un altro giorno, quando, proprio in quella stanza, aveva premuto l’orecchio alla porta comunicante, per ascoltare quanto si dicevano Hart e Daisy. Allora conosceva appena Calder, tuttavia si era scoperta attratta da lui come la falena dalla fiamma, al punto che non aveva esitato a spiare i due che facevano l’amore. Un’intrusione imperdonabile, ma a cui era stata incapace di resistere.

    Con uno sforzo, scacciò il ricordo dalla mente. Dopotutto, erano passati mesi da allora, ed era successo prima che Hart mettesse da parte Daisy... prima che lei e la giovane donna diventassero nemiche e rivali.

    E comunque, non aveva più importanza. Se Daisy o Rose erano nei guai, lei avrebbe fatto il possibile per essere di aiuto. Tornò indietro ed era appena rientrata nell’ingresso quando la raggiunse un suono soffocato.

    Non era sola.

    Francesca si immobilizzò, gli occhi fissi sulla scalinata che saliva di fronte a lei. Ecco di nuovo quel suono gutturale e questa volta fu certa che fosse una donna a emetterlo.

    Il rumore non proveniva dal piano superiore, ma da un punto imprecisato al di là della scalinata, nel retro della casa. Ancora una volta, lei rimpianse di non avere un’arma con sé.

    Gettando al vento la cautela, si mosse rapida in quella direzione. «Daisy? Rose?» chiamò.

    Scorse una luce tremula, forse quella di una candela, nella saletta antistante. La porta era spalancata e un’occhiata le bastò a capire che era una sorta di studio, arredato con una scrivania, un divano e qualche sedia. Entrò di corsa, ma subito si fermò con un grido.

    Seduta per terra, Rose era china su una donna dai capelli color platino che altri non poteva essere che Daisy. Rose gemeva, come in preda a un dolore straziante.

    Senza pensare, Francesca corse verso le due. Daisy indossava un abito da sera di satin pallido, su cui spiccavano larghe chiazze di sangue rosso, scuro. Si lasciò cadere in ginocchio e finalmente vide il bel volto della giovane – e gli occhi azzurri, spalancati e ciechi.

    Era morta.

    In lacrime, Rose la cullava fra le braccia.

    Francesca era sotto shock. A giudicare dalle condizioni dell’abito, Daisy era stata assassinata, forse con un coltello, e il suo orrore aumentò quando si rese conto delle profonde ferite che le straziavano il petto.

    Chi poteva aver voluto la sua morte, e perché? Ripensò all’ultima volta in cui l’aveva vista. Lei e Rose si erano presentate al funerale di Kate Sullivan, vittima di omicidio e oggetto della sua ultima indagine. Non c’era motivo per cui Daisy dovesse partecipare alle esequie, se non per il desiderio di tormentare Francesca. Si era mostrata infatti ostile e piena di amarezza, e non aveva nascosto la propria volontà di riprendersi Hart. Aveva fatto del proprio meglio per creare tensione fra lui e Francesca, senza farsi scrupolo di giocare sulle insicurezze di quest’ultima.

    Quel giorno, fuori della chiesa, le due donne si erano scambiate parole dure e Francesca ricordava di essersi sentita ferita e turbata, esattamente come Daisy si era riproposta.

    Ma per quanto avesse fatto di tutto per danneggiare Hart e lei, di certo non meritava di finire in quel modo.

    E così, ecco di nuovo la domanda. Chi poteva aver desiderato la sua morte? E per quale ragione?

    Francesca si inginocchiò accanto a Rose, che non aveva smesso un momento di cullare l’amica. Lacrime copiose le rigavano il viso. «Rose» sussurrò lei. «Mi dispiace tanto...»

    L’altra sollevò lentamente lo sguardo. Gli occhi verdi riflettevano un’infelicità senza limiti quando scosse la testa, senza parlare.

    Fu Francesca ad abbassare le palpebre della morta. Biondissima, con la pelle color alabastro, Daisy aveva posseduto una grazia sensuale e innata che nessun artificio avrebbe potuto assicurare. Ora tuttavia i suoi piccoli seni erano stati straziati. Tremante, Francesca si rialzò; non avrebbe acceso altre luci, si disse. Quello era un omicidio brutale e non desiderava che Rose si rendesse conto della ferocia delle ferite. Inspirò a fondo, nel tentativo di riacquistare il controllo.

    «Scoprirò chi è stato» sussurrò.

    Rose alzò di scatto la testa. «Non finga che gliene importi! Sappiamo entrambe che la odiava perché Hart si occupava di lei. So che la odiava perché aveva diviso il letto con lui!»

    Francesca scosse il capo. «Si sbaglia. Mi importa. Mi importa molto. Daisy non meritava una fine simile. Nessuno la merita!» Un po’ incerta, allungò la mano a posarla sulla spalla della bruna. «Ma ora la lasci andare, Rose. La lasci andare.»

    L’altra si limitò a stringere con più forza il corpo inerte, soffocando i singhiozzi. Era coperta del sangue dell’amica.

    «Devo avvertire la polizia» sospirò Francesca. Stava pensando a Rick Bragg. Era di lui che aveva bisogno in quel momento. Formavano un’ottima squadra – insieme avevano risolto almeno una mezza dozzina di casi difficili quanto pericolosi, e lui restava un grande amico. Era tardi, ma Francesca sapeva di doverlo avvertire immediatamente. Loro due, ne era certa, avrebbero trovato l’assassino di Daisy.

    Improvvisa, le balenò alla mente l’immagine di Hart. Poteva anche non aver amato Daisy, ma come avrebbe reagito alla notizia della sua morte? Sarebbe toccato proprio a lei informarlo, pensò sgomenta, e sfortunatamente nell’istante stesso in cui fosse tornata a casa.

    «La polizia?» Dalla voce di Rose trapelavano disprezzo e amarezza. «Dobbiamo trovare l’assassino! Sto chiedendo i suoi servigi, Francesca! Deve trovare l’assassino! Dimentichi quegli inetti! A loro non importa un bel nulla di Daisy.» Una nuova crisi di pianto la soffocò.

    Francesca assentì, ma l’istinto la metteva in guardia dall’accettare la proposta. Si chinò a coprire il cadavere sfigurato con una coperta leggera e ne approfittò per costringere Rose ad alzarsi e circondarle le spalle con un braccio. «Venga a sedersi in salotto» la esortò. Doveva farla uscire da quella stanza.

    «No!» proruppe Rose. «Non la lascerò sola.»

    «Devo andare alla polizia» ripeté Francesca. «C’è stato un omicidio, e devono essere avvertiti. Però non voglio lasciarla qui sola.»

    Di colpo Rose si lasciò cadere sul divano, coprendosi il viso con le mani. «Chi può averlo fatto? E perché?»

    Francesca si sedette accanto a lei, grata che la sua mente avesse ripreso a funzionare normalmente. Il biglietto di Rose le era arrivato più di mezz’ora prima, vale a dire quasi a mezzanotte. E stando a Betty, aveva preceduto di pochissimo il suo rientro. Per arrivare a casa delle due donne, si impiegava circa mezz’ora quando non c’era traffico, il che significava che Rose le aveva inviato la missiva intorno alle undici e mezzo. «Rose? Se la sente di rispondere a qualche domanda?»

    L’altra alzò nuovamente gli occhi su di lei. «Troverà l’assassino? La polizia non si darà certo da fare. Non mi fido di quei furboni.»

    Francesca esitò, ripensando all’ostilità dimostratale da Daisy in occasione del loro ultimo incontro, e all’odio della stessa Rose per Hart, colpevole di averle alienato l’affetto dell’amica. Ma come poteva rifiutarsi di aiutare quest’ultima, che aveva amato tanto Daisy? «Lo troverò» rispose. «Mi occuperò delle indagini.»

    «Anche se la odiava?»

    «Non la odiavo. Avevo paura di lei.»

    Rose sussultò mentre cercava il suo sguardo. Poi lentamente annuì. «D’accordo. Che cosa vuole sapere?»

    «Cos’è successo stasera? Quando l’ha trovata?»

    Rose deglutì a fatica. «Non lo so. Ho passato la serata fuori. E quando sono rientrata, la casa era totalmente buia. Ho capito subito che qualcosa non andava. L’ho chiamata, ma non mi ha risposto.» Un tonfo leggero, nell’ingresso, la azzittì di colpo.

    Improvvisamente tesa, Francesca guardò la porta spalancata, imitata dall’altra. Non vide nulla ma di lì a poco il rumore si ripeté – c’era qualcuno.

    «I domestici dove sono?» chiese, balzando in piedi.

    «Il maggiordomo dorme nella sua stanza dietro la cucina, e così la cameriera. La governante va a casa alle cinque.» Rose si era fatta pallidissima.

    «È stata nell’altra parte della casa dopo essere rincasata?»

    «No. Mi preparavo a salire quando ho visto una luce in questa stanza.» Lanciò un’occhiata al corpo di Daisy e chiuse brevemente gli occhi per impedire alle lacrime di riprendere a scorrere.

    «Aspetti qui.» Francesca vide sulla scrivania un tagliacarte, lo prese, ma subito cambiò idea e lo sostituì con un pesante fermacarte di cristallo. Stringendolo con forza, lasciò la stanza. Fuori, il corridoio era ancora buio e lei sentì i capelli rizzarsi sulla nuca.

    Qualcuno era in agguato nel passaggio che portava alla cucina e agli alloggi della servitù, ma era improbabile che fosse l’assassino, di sicuro volatilizzatosi da un pezzo. Forse si trattava di uno dei domestici. D’altro canto, rifletté, era sempre difficile prevedere il comportamento di un omicida.

    Ispirò a fondo per farsi coraggio, quindi avanzò il più silenziosamente possibile. Sentendo dei passi altrettanto cauti avvicinarsi, si immobilizzò. Per un istante pensò di fuggire; invece, si appiattì contro il muro, in attesa. Comparve la sagoma di un uomo con in mano una candela. Nel vederla, si arrestò di colpo.

    La luce fioca illuminò il viso di Francesca – e quello di lui.

    Era il viso del suo fidanzato.

    2

    Martedì, 3 giugno 1902, mezzanotte e tre quarti

    Francesca era sbigottita. Cosa diavolo ci faceva Hart in città?

    Poi si accorse della chiazza scura sulla sua camicia, e della giacca sbottonata. «Calder?» sussurrò.

    Lui le si accostò. «Francesca!» Sembrava contrariato. «Perché non mi sorprende trovarti qui?»

    «Sei ferito?» Una sensazione di gelo attanagliava il cuore di Francesca. Senza saperne il motivo, era sicura che il sangue fosse quello di Daisy.

    «No.» Hart la prese per un braccio, sostenendola. «Daisy è morta» aggiunse.

    «Lo so.» Nella sua mente si affollava una ridda di pensieri sconnessi.

    «Il sangue che vedi è suo. L’ho trovata nello studio. È stata pugnalata.»

    I loro sguardi si incontrarono e di colpo Francesca riacquistò la lucidità. Lui avrebbe dovuto essere a Boston. Quando era tornato in città e perché non l’aveva avvertita? E cosa ci faceva negli alloggi della servitù a casa di Daisy? Il sangue sulla camicia dimostrava che anche lui aveva abbracciato la giovane vittima. Si accorse di avere paura. «Rose ha detto di essere stata lei a trovare Daisy» mormorò. «Anzi, mi ha mandato un biglietto chiedendomi di raggiungerla qui.»

    «Non c’era quando sono arrivato.» Calder la guardò con attenzione. «Daisy era sul pavimento, e non c’era

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1