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Doppio omicidio (eLit): eLit
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Doppio omicidio (eLit): eLit

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About this ebook

Qualcuno vuole incastrarla!

Daria Harrington si trova a gestire da sola la catena di negozi floreali della famiglia, dopo che la sorella e il cognato sono morti avvelenati. Essendo la principale indiziata, Daria ingaggia il detective Ryker Stevens, che grazie ai suoi agganci con la CIA sembra proprio l'uomo giusto per aiutarla. A dire il vero, Ryker pare l'uomo giusto per molte cose, e fingersi sentimentalmente legata a lui, per agevolare le indagini, è senza dubbio l'aspetto più eccitante di tutta la faccenda. Faccenda che diventa ogni giorno sempre più seria.
LanguageItaliano
Release dateJul 31, 2017
ISBN9788858972939
Doppio omicidio (eLit): eLit

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    Doppio omicidio (eLit) - Susan Kearney

    successivo.

    1

    «Dobbiamo rallentare il ritmo, frenare l'espansione» disse Daria Harrington alla sorella gemella Faith con un pizzico di impazienza.

    Niente sembrava calmarla. Non la magnifica fioritura dell'amarilli bianco che teneva sullo scrittoio in un elegante cache-pot orientale e nemmeno i riposanti colori pastello del raffinato acquarello inglese che si era regalata di recente.

    «L'incontro a Tokyo è fissato per la settimana entrante» obiettò Faith.

    «Cancellalo.»

    «Perché?»

    Daria distolse lo sguardo dalla sua fetta di orizzonte newyorkese al di là della finestra dell'ufficio per guardare la sorella che sedeva col marito nel salottino riservato alla clientela. «Ci stiamo espandendo senza criterio» spiegò, «e manca il tempo materiale di gettare le fondamenta.»

    Mentre Daria godeva a restare in città e occuparsi dell'azienda, la sua più intraprendente sorella preferiva nuove avventure in giro per il mondo. Insieme, avevano formato una squadra formidabile, aprendo un negozio dopo l'altro e ingrandendosi a ritmo incessante. La società che avevano creato subito dopo il college aveva sfondato al di là di ogni più rosea aspettativa.

    Ma quella volta Daria avrebbe insistito per ritardare l'ulteriore espansione sui mercati asiatici finché lei e Faith non avessero risolto certe questioni urgenti lì in patria.

    Tamburellò con le dita sullo scrittoio antico che aveva comprato durante il college. Fin d'allora aveva saputo di volersi circondare di begli oggetti e si era messa a collezionare col più ridotto dei budget. Ora non si faceva più condizionare dal prezzo per aggiudicarsi l'ultimo dipinto di Tarkay o un gioiello d'epoca ma non aveva più tempo per fare acquisti… al supermercato, figurarsi presso antiquari e case d'aste!

    «Devo forse ricordarti che volevi ritardare anche l'apertura della filiale londinese della Harrington Bouquet?» saltò su Faith. «E Londra è uno dei nostri maggiori successi!»

    E, con quell'affermazione, Faith guardò il marito, Harry Levine, che si limitò a scrollare le spalle senza fiatare. Daria trovava che Harry fosse il cognato perfetto. Solidale con la moglie e convinto delle proprie capacità, non interferiva mai negli affari. Per quel che ne sapeva lei, non aveva protestato nemmeno quando sua sorella aveva insistito per mantenere il nome da signorina, Harrington, anche dopo il matrimonio. Intelligente e sempre vigile, Harry parlava almeno una decina di lingue e si divertiva ad assecondare lo zingaresco stile di vita della consorte.

    Il problema non era Harry, era Faith. Sua sorella non se ne sarebbe rimasta ad ascoltare. Quella testa matta non si fermava mai abbastanza da comprendere un problema. Figurarsi da risolverlo!

    Faith, intanto, continuava ad argomentare. «Dobbiamo crescere insieme al mercato, pena la stagnazione.» Sorrise. «Adesso che i tassi sono bassi e che l'economia mondiale è forte, bisogna puntare sull'espansione.»

    La gemella avrebbe potuto parlare all'infinito ma Daria non si sarebbe fatta infinocchiare dal suo sorrisetto innocente o dalle sue teorie strampalate. Avrebbe trovato al contrario le parole giuste per convincere la cocciuta Faith che - già irrequieta - si era alzata e camminava avanti e indietro, formando un quadro elegante dalla cima dei lunghi capelli castani, freschi di parrucchiere, alla punta delle squisite scarpe italiane.

    Daria ritentò. «Abbiamo molto da perdere, Faith. Non siamo più bambine. Grazie al fondo fiduciario di nonna Harrington e alla nostra inventiva, possiamo dire di aver sfondato.»

    «E grazie alla nostra recente espansione a Londra, Parigi, Milano e Sydney. Perché sei così contraria ad aprire altri negozi?»

    «Perché, mentre tu te la spassi all'estero, io sono bloccata qui a New York in una palude di bolle, contratti e scartoffie varie!»

    «Bloccata?» Girando su se stessa, Faith si piazzò le mani sui fianchi. «Sei bloccata perché ti rifiuti di partire. Quante volte ti avrò invitata oltreoceano… ma tu accampi sempre qualche scusa per rintanarti in quel buco soffocante che ti ostini a chiamare casa!»

    Daria non si fece distrarre dalle critiche della sorella all'elegante attico che aveva trasformato nel proprio rifugio personale. Pur spasimando per abiti griffati e cosmetici costosi, Faith non si curava di dove viveva. Anche una roulotte le sarebbe bastata. Daria, al contrario, adorava certi piccoli lussi e per nulla al mondo avrebbe rinunciato a lenzuola di bucato, all'idromassaggio o alla compagnia dei propri gatti.

    «Non era previsto che la gestissi io, l'azienda, ricordi? Ci saremmo dovute spartire il lavoro d'ufficio…»

    «Ma tu sei così brava!» Faith passò all'adulazione ma lei si limitò a inarcare un sopracciglio che aveva disperato bisogno di essere ridefinito sin da quando si era vista costretta a cancellare gli ultimi tre appuntamenti dall'estetista per occuparsi di urgenti questioni di lavoro.

    «Sono brava col lavoro d'ufficio solo perché lo sbrigo

    «E io sono brava ad aprire negozi e filiali. Fammi fare la mia parte.»

    «È quel che ti sto dicendo!» sbottò Daria esasperata. «Al momento, c'è bisogno di te qui a New York. Mi devi affiancare, ed è questa la tua parte. Ci sono troppe scartoffie per una persona sola.»

    «Hai bisogno di un uomo che ti distragga.»

    «Sarebbe bello» concesse lei. «Ma non ho il tempo di frequentare nessuno. Non stacco mai prima delle undici di sera e mi addormento sfinita, poi mi alzo alle cinque e ricomincio daccapo. E perché mi sto sfiancando in questo modo? Perché tu continui ad aprire negozi nuovi e a produrre altre scartoffie. È ora di tirare i remi in barca e di godersi un po' la vita.»

    «Io me la sto godendo!»

    «Ma io sto lavorando troppo. Riesco appena a ritagliare il tempo per il volontariato del Big Sister Program. Le cose devono cambiare.»

    Faith la fissò, forse valutando la sua determinazione. A differenza della gemella, Daria non amava i conflitti, tuttavia non avrebbe ceduto, non ora.

    A Daria piaceva vivere in armonia. Quindi, di solito, si lasciava dominare dalla volitiva Faith. Ma non quella volta. Per quanto le ripugnasse discutere, si sarebbe imposta lei.

    Da bambine, le due sorelle avevano reagito in modo diverso al padre ricco ma freddo ed esigente che si era risposato subito dopo il divorzio dalla loro madre. Avevano abitato con la mamma per un anno, fino alla morte di questa, dopodiché erano ritornate a vivere col padre e la seconda moglie.

    Sballottate tra governanti, collegi e campeggi estivi, si erano giocoforza affidate l'una all'altra. Ma pur volendosi un bene infinito, non avrebbero potuto essere più diverse. Faith evitava di affrontare la mancanza di amore paterno cambiando di continuo casa e amici. Daria reagiva in maniera opposta, costruendosi un nido accogliente dovunque le capitasse di trovarsi.

    E Daria dipendeva dalle franche opinioni della gemella, dalla sua amicizia e dal suo affetto. Si spalleggiavano sin dall'infanzia, sempre difendendosi al bisogno. Non a caso, i loro litigi si contavano sulle dita di una mano.

    «Vuoi cedere l'attività? Ritirarti dagli affari?» Faith era incredula.

    «Mi basterebbe una vacanza, dopodiché vorrei lavorare soltanto da lunedì a giovedì.» A quel punto, avrebbe potuto trascorrere un'intera giornata con Tanya, la ragazzina del Big Sister Program a cui dedicava il proprio tempo libero… quando ne aveva, cioè. «Ma non posso lasciare l'ufficio se la mia socia non è disposta a subentrare in mia assenza.»

    «Ecco…»

    «Senti, so bene che non sarai contenta finché non avrai aperto un Harrington Bouquet in ogni grande città del mondo. Ma dobbiamo assumere altre persone, delegare.»

    Daria era sicura che la sorella capisse le problematiche che stava sollevando ma spesso Faith si rifiutava di usare l'intelligenza innata per pura ripicca. I noiosi dettagli di lavoro non la eccitavano tanto quanto il fatto di raggiungere una città estera, trovare i locali idonei e creare quindi un punto vendita a immagine e somiglianza della loro originaria boutique di fiori newyorkese.

    Se fosse stato per lei, Faith avrebbe reso ogni negozio unico e irripetibile ma Daria aveva insistito affinché tutte le rivendite si rassomigliassero per una questione di coerenza. Era una battaglia che aveva vinto. Ogni Harrington Bouquet possedeva lo stesso particolarissimo layout, le stesse vetrine di mogano, lo stesso customer service di squisita qualità. Ognuno vendeva le esotiche composizioni floreali che provenivano dalle serre del Nord e del Sud America, dell'Africa Orientale e dell'Estremo Oriente.

    I clienti dei vari negozi appartenevano alle schiere dei ricchi e famosi, l'élite del pianeta, per così dire. Rock star, attrici, cantanti d'opera, esponenti di famiglie reali, capitani d'industria e sportivi di grido contavano tutti sugli Harrington Bouquet per ingentilire occasioni speciali, quali anniversari, lanci commerciali, compleanni, serate danzanti, matrimoni e funerali.

    Temporeggiando, Daria si alzò in piedi. «Un po' di caffè?» propose.

    Senza aspettare risposta, raggiunse l'antica fratina che, fungendo da mobile bar, era protetta da una splendida traversa ricamata. Pur non essendo una bevitrice di caffè - preferiva di gran lunga il tè verde - Daria conservava sempre per i rari incontri con la sorella la sua miscela giamaicana preferita.

    Aprì una latta di biscottini al cioccolato e dopo aver versato il caffè e aver collocato le tazze fumanti su un vassoio d'argento insieme ai dolcetti, si concesse un bel tè. «Ecco fatto.»

    «Grazie.» Faith s'illuminò alla vista dei biscotti. «Se speri di corrompermi…»

    Lei alzò gli occhi al cielo. «Con così poco?»

    Alto, moro e con una cicatrice sul mento maschio, Harry rise mentre afferrava un dolcetto, lo inzuppava nel caffè e lo addentava. Sgranocchiò felice, intingendo un biscotto dopo l'altro, per nulla preoccupato dalle calorie.

    Faith tornò a sedersi, poi alzò la propria tazza e brindò a Daria, quasi a rabbonirla. «Mi sono già mossa per cercare un locale a Tokyo» avvertì prima di trangugiare una lunga sorsata di caffè.

    «Tirati indietro comunque.» Daria resistette ai dolcetti e si limitò al tè. A differenza della snella sorella e di Harry, doveva stare attenta alla linea. Faith era longilinea mentre lei era formosa. In comune avevano due cose soltanto, i capelli castano chiaro e gli occhi nocciola ma Daria aveva ereditato le fattezze minute della famiglia materna mentre Faith aveva preso dagli Harrington, che si mantenevano magri grazie a un formidabile metabolismo. Purtroppo, qualsiasi cosa mangiasse Daria sembrava finirle direttamente sui fianchi…

    Così, mentre Faith sorseggiava il caffè e s'ingozzava di dolcetti, Daria parlò. «Se non altro, rimani ad aiutarmi finché non avrò trovato un fiscalista da inserire nell'organico e un altro designer floreale e addetto agli acquisti che ci alleggerisca il carico.»

    «Penso di poterlo fare.» Sbadigliando, Faith si coprì la bocca. «Scusa. Sono più stanca di quanto non avessi creduto. Mi si chiudono gli occhi. Speriamo che la caffeina mi svegli un po'.» Bevve un altro sorso.

    Daria sorrise. Come al solito, rifletté, avevano raggiunto un compromesso. Ma finché avesse avuto Faith lì in ufficio, ne avrebbe approfittato per illustrare le proprie idee. «Potremmo anche vedere di acquistare un'altra serra. Un fiscalista all'interno dell'azienda ci consentirebbe di investire in maniera più oculata. Isabelle ha disperato bisogno di aiuto al reparto acquisti e Cindy si sta tirando il collo nel suo duplice ruolo di designer e addetta ai rapporti con la clientela. Praticamente siamo allo…»

    Daria guardò il cognato e per lo shock si interruppe. Harry si era addormentato!

    Il placido ma sempre attento Harry - che non si lasciava sfuggire un solo dettaglio e che poteva fare baldoria per una notte intera senza nemmeno sbadigliare l'indomani - aveva chiuso gli occhi in pieno giorno! Gli ricadde il mento sul petto con un tonfo.

    Faith dovette condividere lo stupore di Daria perché lasciò cadere la tazza. Ma non fece alcun tentativo per evitare che il caffè caldo le finisse sul delizioso completo di D&G.

    Lo sguardo inorridito di Daria andò da Harry alla sorella. Lo sbadiglio di Faith si era trasformato in una smorfia innaturale.

    «Faith? Qualcosa che non va?»

    La gemella non rispose. Aveva le pupille così dilatate che il bianco degli occhi si intravedeva appena. Terrea in viso e totalmente inespressiva, come se fosse stata drogata, Faith non si mosse né urlò.

    Il corpo di Harry possedeva la stessa rigidità cadaverica.

    Daria non perse tempo a rianimarli. Si precipitò al telefono, inciampando, e compose il numero del pronto intervento. «Ho bisogno di un'ambulanza!»

    L'operatrice le chiese di specificare l'indirizzo nonché la natura dell'emergenza.

    «Non si muovono né respirano. Fate presto!»

    «Chi è che non si muove?»

    «Mia sorella e suo marito.» Il petto di Harry non si sollevava sotto l'effetto della respirazione. Faith fissava immota il soffitto. «Oh, santo cielo, credo che siano morti.»

    «Non c'è il battito?»

    Posando il telefono, Daria si avvicinò alla gemella e le tastò il collo con mano tremante. Poi, ripeté l'operazione con Harry. Ma non c'era più vita in quei poveri corpi, nessuna speranza.

    Sei settimane dopo

    Ryker Stevens strizzò gli occhi quando un colpo alla porta interruppe quello che era l'ennesimo tentativo di integrare un sofisticato programma crittografico nel proprio sistema operativo. I tecnici di Langley avevano creato un formidabile Java script ma l'installazione gli stava complicando la vita. Il computer si era inchiodato almeno tre volte e ora non funzionava più niente.

    Si aprì la porta dell'ufficio. Nell'inquadrare la visitatrice, Ryker perse ogni interesse per il programma e le sue applicazioni per la prima volta in diverse settimane. Del resto, come pensare al software con quel bel pezzo di delizioso hardware che avanzava nella sua direzione?

    Una donna così bella e curata non aveva mai varcato prima la soglia del suo ufficio e Ryker dovette dominarsi per non prodursi in un fischio di ammirazione. Più che camminare, gli stava fluttuando incontro con un sensuale dondolio di anche fasciate da una lunga gonna nera che terminava con stivali a punta. La camicetta di seta si gonfiava e sgonfiava nei punti giusti. Ryker la guardò in viso e lei cercò anche di abbozzare un sorriso che però si dissolse.

    Quella sventola non aveva bisogno di sorridere per apparire graziosa. Non aveva bisogno degli abiti firmati che indossava per richiamare l'attenzione su quelle forme prorompenti, o del trucco applicato alla perfezione per migliorare la propria carnagione.

    Bontà divina, era magnifica, eccezion fatta per le ombre scure sotto gli occhi che il makeup non riusciva del tutto a camuffare. Era il genere di bambola su cui un uomo ricamava dopo essersi addormentato mentre navigava su Internet…. per poi svegliarsi e scoprire che era stato tutto un sogno. Donne come quella provenivano dai quartieri alti della città, ovvero dall'altro lato dei binari, e di rado lo scrutavano con foschi occhi nocciola che preludevano a una montagna di guai.

    «Sei tu Ryker Stevens?» domandò la sconosciuta con voce rauca.

    «Dipende da chi lo vuole sapere.» Nei suoi trent'anni di vita, Ryker si era trovato piuttosto spesso in situazioni delicate, e riconobbe all'istante la combinazione di disperazione e speranza su quel volto espressivo.

    «Al diavolo i giochetti.» La donna aprì la borsetta, tirò fuori una stilografica d'oro e un libretto degli assegni in un'elegante custodia di coccodrillo. Scribacchiò in basso il proprio nome, staccò un assegno in bianco e lo posò sulla scrivania, lasciando a lui il compito di inserire l'intestazione e l'importo in dollari. Ryker si chiese se la signora fosse dedita ai grandi gesti, perché non sembrava il tipo. A dispetto di quella volgare ostentazione, possedeva classe e raffinatezza.

    Decifrò la firma - Daria Harrington - dopodiché ignorò il pagamento e non accennò nemmeno a toccare l'assegno. Ma di colpo la prodigiosa memoria di Ryker e la sua capacità di associare fatti apparentemente disgiunti si attivarono.

    Un suo vecchio conoscente, Harry Levine, aveva sposato una Harrington. Se quella donna era la moglie di Harry, allora l'amico aveva sposato non soltanto i soldi ma anche la bellezza. Harry lo aveva invitato alla cerimonia ma lui aveva ricevuto l'invito con troppi mesi di ritardo,

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