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Scintille dopo il tramonto: Harmony Destiny
Scintille dopo il tramonto: Harmony Destiny
Scintille dopo il tramonto: Harmony Destiny
Ebook155 pages2 hours

Scintille dopo il tramonto: Harmony Destiny

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About this ebook

Una seconda opportunità per esplorare la passione e riaccendere l'amore.
Un peccato sprecarla.


Il loro matrimonio non è mai stato consumato.
Ci ha pensato il padre della sposa, la giovanissima Evie Montgomery, a impedire che lei e Quinn McCain diventassero a tutti gli effetti marito e moglie. Con la firma dell'annullamento ancora fresca, Quinn è dovuto andarsene, portandosi dietro solo un bagaglio di amarezza e il suo cuore spezzato.
Ora Evie è di fronte a lui, pronta a qualsiasi cosa pur di ottenerne l'aiuto. E Quinn non ha dubbi: chiederà a Evie ciò che ha sempre desiderato dall'unica donna che abbia mai amato.
Una notte. Quella notte. Stando bene attento a lasciare l'amore al di fuori del loro affare.
LanguageItaliano
Release dateJul 9, 2018
ISBN9788858984277
Scintille dopo il tramonto: Harmony Destiny

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    Book preview

    Scintille dopo il tramonto - Emily McKay

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    In the Tycoon’s Debt

    Silhouette Desire

    © 2009 Emily McKaskle

    Traduzione di Maria Latorre

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-427-7

    Prologo

    Quattordici anni prima...

    Mancavano pochi chilometri al confine della contea quando Evie Montgomery vide lampeggiare nel retrovisore le luci rossoblu. Accanto a lei, Quinn McCain si lasciò sfuggire un’imprecazione, qualcosa che faceva di rado in sua presenza.

    Evie guardò il tachimetro, poi spostò lo sguardo su Quinn, che era diventato suo marito esattamente da tre ore e quarantasette minuti.

    Era da settimane che avevano programmato tutto. La mattina del suo diciassettesimo compleanno erano usciti di casa alla chetichella, erano andati dal giudice di pace e si erano sposati con una cerimonia semplicissima. Una volta marito e moglie, niente li avrebbe più potuto separare: né le idee arcaiche di suo padre sulle classi sociali, né la negligenza da etilismo del padre di Quinn.

    «Non hai superato il limite di velocità» mormorò Evie sorpresa. «Come mai ci chiedono di accostare?»

    Quinn serrò le labbra e strinse le mani intorno al volante fino a farsi sbiancare le nocche. La macchina apparteneva a Evie, gliel’aveva regalata il padre per il suo sedicesimo compleanno, quasi che il costo dell’auto potesse compensare il fatto che il dono era arrivato con tre settimane di ritardo rispetto al compleanno di lei.

    Quinn, naturalmente, non possedeva una macchina. Il padre aveva una vecchia Chevrolet che giaceva da anni abbandonata davanti alla catapecchia in cui vivevano. Un mese prima, Quinn era riuscito a raggranellare il necessario per acquistare quattro pneumatici usati dal gommista presso il quale lavorava dopo la scuola. Per giorni e giorni aveva cercato di rimettere in sesto la Chevrolet, ma aveva dato forfait quando aveva scoperto di non potersi permettere un nuovo alternatore. Anche in quella occasione gli era sfuggita un’imprecazione. Ci teneva in modo particolare a guidare la sua auto per raggiungere il giudice di pace.

    Quell’orgoglio testardo era una delle cose che Evie amava di più in lui. Quello, e la consapevolezza che, in un paese di ventimila anime, Quinn era l’unico a considerarla qualcosa di più della figlia di Cyrus Montgomery, l’unico a capire che dalla vita lei voleva qualcosa di diverso da un bozzolo sigillato ermeticamente di ricchezza e perfezione.

    Evie si sentì serrare lo stomaco dall’apprensione. «Perché vogliono farci fermare?» gli chiese di nuovo.

    Quinn rallentò. «Forse uno dei fanali posteriori è rotto?»

    «Niente affatto. Non fermarti.»

    Lui rallentò ulteriormente. «Devo farlo, Evie» mormorò scoccandole un’occhiata penetrante. «Si può sapere che ti prende?»

    Fu difficile articolare in parole la paura indistinta che le afferrava le viscere. «Se ti fermi, succederà qualcosa di orribile.»

    «Che cosa?»

    «Non lo so. Qualcosa di brutto, ne sono sicura. È stato troppo facile. Mio padre sarebbe capace di tutto, anche di farti arrestare.»

    «Ma non ho commesso alcun crimine» obiettò lui tranquillo. «Lo sceriffo Moroney non può arrestarmi.»

    «Sai bene che molti considerano mio padre il padrone della città. I suoi scagnozzi faranno tutto ciò che lui ordinerà di fare.»

    «Ma non è...»

    «Legale? Certo che non lo è, ma è la realtà.» Evie aveva imparato da tempo a non sottovalutare la determinazione del padre. «Ci fermeranno. Troveranno una scusa per perquisire la macchina, magari diranno che è rubata. Sarebbero anche capaci di metterci dentro... roba che scotta.»

    «Allora è per questo che eri così preoccupata e volevi a tutti i costi che riparassi la Chevrolet.»

    Evie tacque, ma la paura che la attanagliava rifiutava di svanire.

    «Non posso continuare a guidare» commentò in quel momento Quinn. «Devo fermarmi.»

    «Non nella contea di Mason» insistette lei. «Abbiamo il serbatoio pieno. Possiamo fermarci dopo il confine con la contea di Ridgemore, davanti alla prima stazione di polizia che incontriamo.»

    Ma il lampeggiatore dell’auto che li seguiva si stava avvicinando e una seconda macchina della polizia si era unita alla prima.

    Mancavano ancora venti minuti per raggiungere Ridgemore, non avevano speranza di arrivarci.

    «Sto per fermarmi» le annunciò calmo Quinn. «Moroney è un uomo ragionevole. Lo conosco da una vita, gli parlerò. Senza contare che prima o poi dovremo affrontare la gente. Tanto vale farlo subito.»

    «No, non è detto. Possiamo anche andarcene e basta. Dallas, Los Angeles, Londra. Possiamo andare dove ci pare.»

    «Sai che non è vero.» Quello era l’unico punto di attrito tra loro. «Non hai ancora finito la scuola e in tasca abbiamo appena duecento dollari. Senza contare che io non posso lasciare mio padre.» Un’occhiata decisa fece seguito a quelle parole. «Però posso prendermi cura di te.»

    «Questo lo so.» Erano sposati, adesso. Niente avrebbe potuto separarli.

    «Andrà tutto bene. Presto staremo insieme.»

    Diceva la stessa cosa ogniqualvolta si vedevano, quasi si stessero dicendo addio.

    «Ce ne andremo in un posto di cui non conosciamo neanche la lingua» gli rispose lei, come faceva sempre: rientrava tutto nelle fantasticherie che avevano intessuto insieme. «Berremo caffè in un bar nel parco e ordineremo pietanze di cui non sappiamo neppure pronunciare il nome.»

    «Scenderemo nei migliori alberghi» le fece eco lui.

    «Berremo champagne.»

    «E io ti coprirò di diamanti» concluse Quinn, mettendo la freccia per accostare sulla corsia di emergenza.

    «Io, invece, ti coprirò di amore» mormorò Evie rattristata. Aveva un peso sul cuore e si augurava che quell’apprensione fosse soltanto il frutto della sua paranoia.

    Prima che Quinn potesse aprire la portiera, lei balzò a terra e corse verso Moroney. «Sceriffo» esordì, ma l’uomo la zittì immediatamente.

    «Tu stanne fuori, Evie.»

    «No.»

    Moroney le scoccò un’occhiataccia. «Non c’entri niente.»

    «Di che cosa si tratta, signore?» domandò Quinn avvicinandosi.

    «Devi venire via con me, Quinn.»

    «Ma perché?» insistette lei. «Non ha fatto niente.»

    «La macchina che guidi è stata rubata.»

    Un brivido di sorpresa le corse lungo la schiena. «Ma è la mia macchina!» protestò. «Non è stata rubata.»

    «La macchina appartiene a tuo padre, Evie. Non rendere le cose più difficili di quanto già non siano.»

    «Ma lei non può fare questo! Non glielo permetterò.»

    Evie si scagliò contro lo sceriffo, ma lui fu lesto ad afferrarla con un braccio intorno alla vita, sollevandola da terra e impedendole in quel modo di muovere un passo. Quinn si precipitò verso di loro per aiutarla, ma lo sceriffo lo colpì con una ginocchiata che lo gettò a terra. Subito dopo, i suoi uomini lo afferrarono per le braccia, strattonandolo verso la macchina di servizio.

    Evie non poté fare altro che urlare e scalciare, ma non poté intervenire per aiutare Quinn, il ragazzo che amava, quello che era suo marito soltanto da quattro ore.

    Implorò lo sceriffo, implorò il vicesceriffo, ma nessuno volle darle ascolto.

    No, non era stata rapita. No, la sua auto non era stata rubata. No, non aveva mai visto la pistola che sostenevano di avere trovato nella giacca di Quinn. E no, non aveva la più pallida idea di come avesse potuto mettere le mani sulla collana di diamanti di sua madre, che sostenevano di avergli trovato addosso.

    Non le permisero di vederlo, non le permisero neppure di chiamare un avvocato per lui. Non le diedero neppure un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.

    Evie attese per ore davanti alla prigione. E poi, poco prima di mezzanotte, suo padre fece ingresso nella sala della stazione di polizia. Calmo, composto, impassibile. Le assicurò che avrebbe messo tutto a posto e che Quinn sarebbe stato liberato. Ma a una condizione: che Evie firmasse i documenti per l’annullamento che il padre aveva già fatto predisporre. Altrimenti Quinn avrebbe scontato dai cinque ai dieci anni in una prigione federale.

    Così Evie firmò i documenti.

    Il modo peggiore per festeggiare il suo diciassettesimo compleanno.

    1

    Quinton McCain era noto ai suoi avversari in affari per la sua brillante intelligenza, per la bellezza quasi diabolica e per l’autocontrollo talvolta intimidatorio. Era raro che mostrasse i propri sentimenti e in ufficio circolavano parecchie voci sul suo passato, di cui nessuno conosceva il benché minimo dettaglio.

    Visto che però lui non nutriva alcun interesse nei pettegolezzi dell’ufficio e non gli importava assolutamente niente dell’opinione che la gente aveva di lui, non faceva nulla per incoraggiare quelle voci, ma nemmeno per metterle a tacere. Secondo alcuni era un killer assoldato dalla CIA, secondo altri un agente segreto che lavorava per l’esercito. Altri ancora sostenevano che fosse l’erede milionario di una catena di concessionarie automobilistiche. Nessuna di quelle ipotesi prendeva in considerazione una moglie. Per molti era più facile immaginare Quinn come assassino spietato che come marito amorevole.

    E fu proprio per quel motivo che, quando Genevieve Montgomery chiamò la sua segretaria per chiederle un appuntamento, sostenendo di essere la sua ex moglie, i pettegolezzi esplosero in tutta la loro magnificenza. E quando Quinn scoprì dell’appuntamento, ormai non poteva fare più niente per mettere a tacere quelle voci.

    Il mercoledì di quella settimana, la situazione si era fatta così disperata, che mentre Quinn beveva un caffè, Derek Messina passò a trovarlo in ufficio. La Messina Diamonds era fra i migliori clienti della McCain Security ed era ubicata soltanto pochi piani più in alto nello stesso edificio, ma il fatto che Derek avesse abbandonato il proprio ufficio per passare da lui non lasciava presagire niente di buono.

    Quinn corrugò la fronte e cercò di lanciare messaggi subliminali che facessero capire a Derek che era meglio levare le tende. Subliminali, perché dirgli chiaro e tondo di levarsi dai piedi lo avrebbe fatto apparire troppo preoccupato per via dell’imminente visita di Evie. «Ne hai sentito parlare anche tu, a quanto pare.»

    «Di Evie?»

    Lui annuì. «A giudicare dal silenzio che cade su ogni stanza in cui entro, direi che in questo ufficio non si parla d’altro. E dire che molti dei miei dipendenti provengono dall’esercito. Da loro non ti aspetteresti tanto interesse nei pettegolezzi.»

    Derek non batté ciglio, si limitò a osservarlo attento. «La vedi oggi, vero?»

    «Tra pochi minuti.»

    «Hai idea di cosa voglia parlarti?»

    «Non lo so. E, a dire la verità, non me ne importa.»

    «Vuoi che resti con te?»

    «Quando ci sarà lei? No, grazie. Però ti sarei grato se potessi passarle un bigliettino da parte mia durante la lezione di biologia. Dille che la aspetto dietro la palestra alla fine degli allenamenti.»

    Derek lo guardò senza capire. Gli era sfuggita la battutina che ricordava i tempi del liceo.

    Quinn si lasciò sfuggire un sospiro. «Non ho più quattordici anni, Derek. Non mi serve che tu resti a tenermi la mano quando la vedrò. Sai bene come la penso, a proposito del mio matrimonio.»

    «Già. Non vuoi parlarne. Non vuoi nemmeno pensarci. A volte credo che, se non fossimo così buoni amici, mi faresti fuori, non fosse che per eliminare dalla faccia della terra una delle poche persone che è al corrente delle tue nozze.»

    Lui arricciò il naso. «Già, penso che quelle siano state le mie esatte parole.»

    Ed erano state anche abbastanza dure,

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