Sfida milionaria: Harmony Collezione
By Jennie Lucas
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Le glaciali parole del principe russo Vladimir Xendzov, l'uomo il cui anello un tempo portava al dito, non avevano bisogno di spiegazioni. Ma, nonostante una certa titubanza, Bree aveva deciso di accettare la sfida più importante della sua vita: il suo corpo, in cambio di un milione di dollari. Conoscendo perfettamente la risolutezza di Vladimir, aveva tutto da perdere da quella situazione, e avrebbe dovuto giocare al meglio delle proprie possibilità. A meno di non volersi rovinare per sempre.
Jennie Lucas
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Sfida milionaria - Jennie Lucas
successivo.
1
«Bree, Bree, svegliati!»
Una mano scosse bruscamente Bree Dalton che, sobbalzando, si mise a sedere sul letto, sbattendo le palpebre nell'oscurità.
La sorella minore era seduta sulla sponda del letto, le guance pallide bagnate di lacrime.
«Cos'è successo?» Bree posò i piedi sul pavimento freddo, pronta a intervenire, ad aggredire chiunque avesse fatto piangere sua sorella. «Cosa c'è?»
Josie trasse un profondo sospiro.
«Questa volta l'ho combinata proprio grossa...» Si asciugò gli occhi. «Ma prima che tu ti agiti, sappi che andrà tutto bene. So come sistemare le cose.»
Invece di essere tranquillizzata da quelle parole, Bree si spaventò ancora di più. La sorella, di ventidue anni, sei anni meno di lei, aveva una capacità innata di ficcarsi nei guai. E indossava l'abito sexy delle cameriere dell'Hale Ka'nani Resort invece del grembiule delle donne delle pulizie.
«Hai lavorato al bar?» chiese Bree.
«Sempre preoccupata che qualche uomo mi seduca?» Josie rise con amarezza. «Vorrei che fosse questo il problema.»
«Di che si tratta, allora?»
Josie si passò una mano sugli occhi. «Sono stanca, Bree» mormorò. «Tu hai rinunciato a tutto per prenderti cura di me. Quando avevo dodici anni ne avevo bisogno, ma adesso sono davvero stanca di esserti di peso...»
«Non ti ho mai considerata un peso» la rassicurò Bree.
Josie fissava le proprie dita intrecciate. «Credevo che questa fosse la mia opportunità per pagare tutti i debiti, in modo da poter tornare nel continente. Ho fatto pratica in segreto. Credevo di saper giocare, di saper vincere.»
Bree provò un brivido lungo la spina dorsale.
«Hai giocato?» chiese inorridita.
«È stato un puro caso» sospirò Josie rabbrividendo visibilmente nella calda notte hawaiana. «Avevo finito di riordinare la sala da ballo dopo il ricevimento di nozze quando è venuto il signor Hudson. Si è offerto di pagarmi gli straordinari se servivo al tavolo del poker privato a mezzanotte. Sapevo che avrei dovuto rifiutare, sapevo che tu non avresti voluto, ma ho pensato che almeno una volta...»
«Ti ho sempre detto di non fidarti di lui.»
«Mi dispiace» piagnucolò Josie. «E quando mi ha invitata al tavolo non ho potuto rifiutare.»
Bree spinse indietro i capelli biondi. «Cos'è successo?»
«Ho vinto» disse Josie con tono di sfida. Subito dopo deglutì. «Se non altro all'inizio. Poi ho cominciato a perdere. Prima ho perso quello che avevo vinto, poi ho perso i soldi della spesa e poi...»
Provando una gelida consapevolezza, Bree concluse: «Poi il signor Hudson ti ha gentilmente offerto di prestarti ciò che ti serviva».
Josie restò a bocca aperta. «Come lo sai?»
Perché Bree conosceva i tipi del calibro di Greg Hudson. Chiuse gli occhi provando un senso di nausea nel ricordare lo sguardo gelido del direttore dell'albergo al di sopra di quel sorriso gioviale, della sua camicia hawaiana che gli copriva a malapena il ventre gonfio. Il proprietario del resort era andato a letto con buona parte delle dipendenti, in particolare con quelle sottopagate. Nei due mesi da quando erano arrivate alle Hawaii, Bree si era chiesta più di una volta perché si fosse preso il disturbo di assumere proprio loro da Seattle. Sosteneva che erano state raccomandate dalla loro agenzia, ma a lei non suonava vero. Sicuramente c'erano tante persone in cerca di lavoro lì, a Honolulu.
Josie l'aveva presa in giro giudicandola diffidente, ma mentre puliva i bagni e i pavimenti del lussuoso resort cercando di darsi una risposta soddisfacente, Bree otteneva soltanto che i timori aumentassero, soprattutto quando il suo capo aveva fatto capire di essere interessato a Josie, ma rendendo chiaro al contempo che quella che voleva era Bree.
Naturalmente Josie, con la sua innocenza e il carattere fiducioso, non notava mai il male intorno a sé. Non riusciva a capire perché Bree avesse smesso di giocare, e si lamentava per i lavori sottopagati che avevano svolto nei dieci anni successivi alla morte del padre, un padre che le aveva tenute nel giro di uomini senza scrupoli e pericolosi. Josie non sapeva quanto il mondo potesse essere malvagio.
Ma Bree sì.
«Il gioco non paga.» Il tono di voce di Bree era calmo. «Dovresti saperlo, ormai.»
«Ti sbagli. Paga eccome!» ribatté Josie rabbiosa. «Dieci anni fa avevamo un sacco di soldi.» Guardò malinconica dalla finestra la notte hawaiana. «E credevo che se avessi potuto essere come te e papà...»
«Pensavi di usare noi come modello? Ma hai perso il senno?» esplose Bree. «Negli ultimi dieci anni ho fatto di tutto per darti una diversa visione della vita!»
«Non credi forse che lo sappia?» urlò Josie. «Tutto ciò che hai sacrificato per me?»
Bree trasse un profondo respiro. «Non era solo per te.» La gola le doleva mentre si alzava. «Quanto hai perso questa notte?»
Per un attimo sua sorella non rispose. Dall'esterno Bree udiva il canto lamentoso degli uccelli di mare mentre Josie aveva lo sguardo fisso sul pavimento, le braccia conserte. Quando alla fine parlò la voce era appena percepibile.
«Cento.»
Il sollievo per Bree fu tale che si sarebbe messa a piangere. Aveva temuto di peggio. Prese la sorella per le spalle. «È tutto a posto.» Respirò a fondo, sollevata. «Abbiamo poco denaro, ma mangeremo più riso e fagioli questo mese.» Asciugandosi gli occhi cercò di sorridere. «E che questo ti serva di lezione...»
Ma Josie non si era spostata dal letto. Alzò il viso.
«Centomila, Bree» sussurrò. «Devo al signor Hudson centomila dollari.»
Centomila dollari.
Bree cominciò a camminare per la stanza, spingendo indietro i capelli con gesti compulsivi mentre cercava di dare un senso al tutto, adesso che i suoi peggiori timori si erano avverati. Mentre cercava di controllare il tremito delle mani, mentre cercava disperatamente di trovare una via d'uscita.
«Ma te l'ho detto, non devi preoccuparti!» sbottò Josie. «Ho un piano.»
Bree si fermò di scatto. «E sarebbe?»
«Intendo vendere la terra.»
Bree sbarrò gli occhi.
«Non abbiamo scelta ormai, lo capisci anche tu» argomentò Josie sbattendo le palpebre e tormentandosi le mani. «La vendiamo, paghiamo il debito e quegli uomini che ci assillano. E tu sarai finalmente libera...»
«Quella terra è vincolata.» Il tono di Bree era secco. «Non ne entrerai in possesso finché non avrai venticinque anni o sarai sposata. Quindi toglitelo dalla testa.»
Josie scosse il capo disperatamente. «Ma so come poter...»
«Non puoi» tagliò corto Bree, «e anche se potessi, non te lo permetterei. Papà ha deciso per un'amministrazione fiduciaria per un buon motivo.»
«Perché pensava che non fossi in grado di badare a me stessa.»
«Perché fin dalla nascita hai sempre avuto la tendenza a fidarti della gente, pensando il meglio di loro.»
«Mi stai accusando di essere ingenua e stupida.»
Cercando di controllarsi, Bree serrò le mani a pugno.
«Sono delle buone qualità, Josie» riconobbe quietamente. «Vorrei averle anch'io.»
Ed era così. Josie aveva sempre anteposto gli altri a se stessa. A cinque anni aveva vagato nella neve con la speranza di trovare il gatto dei vicini che era scomparso il giorno prima. Bree, che aveva undici anni, aveva percorso chilometri con il padre atterrito e alcuni vicini per ore finché non l'avevano trovata persa nella foresta, mezza congelata.
Per poco quel giorno Josie non era morta, per salvare un gatto che era stato ritrovato poco dopo, arrotolato al caldo in una fattoria vicina.
Bree trasse un profondo sospiro. Sua sorella aveva un cuore grande come il mondo, ed era per questo che aveva bisogno di aver vicino qualcuno, non generoso come lei, che la proteggesse. «Stanno ancora giocando?»
«Sì» mormorò Josie.
«Chi c'è al tavolo?»
«Il signor Hudson e alcuni altri. Texas Big-Hat, Silicon Valley, Belgian Bob» rispose servendosi dei soprannomi che lo staff aveva dato ai vari proprietari delle ville circostanti. Strizzò gli occhi. «E uno che non conosco. Bello, arrogante. Mi ha buttata fuori dal tavolo.» Si lasciò sfuggire un'imprecazione. «Gli altri mi avrebbero permesso di restare...»
«Così avresti perso di più» considerò gelida Bree. Si tolse la camicia da notte poi indossò il reggiseno e una maglietta nera. «Adesso dovremmo dare un milione di dollari invece di centomila.»
«Potrebbe essere anche un milione per quanto ci riguarda» borbottò Josie. «Non avranno niente se non vendo la terra. Non si può cavare sangue da una rapa!»
Bree indossò i jeans neri attillati. «E cosa pensi che succederà se non paghi?»
«Il signor Hudson mi farà lavare i pavimenti gratis?» replicò debolmente.
Incredula, Bree si voltò a guardarla. «Lavare i pavimenti?»
«Cos'altro può fare?»
Bree borbottò tra sé. Josie non capiva la situazione in cui si era cacciata. E come avrebbe potuto? Proteggerla da quel sudiciume era stata la missione della sua vita. Aveva sperato che alle Hawaii avrebbero trovato la pace, a tremila miglia dai ghiacci e dalla neve dell'Alaska. Aveva pregato di trovare la propria pace personale e smetterla alla fine di sognare l'uomo dagli occhi azzurri e dai capelli neri che aveva amato. Ma non aveva funzionato. Ogni notte sentiva ancora attorno a sé le braccia di Vladimir, udiva ancora la sua voce sensuale. Ti amo, Breanna. Vedeva ancora il luccichio del suo sguardo mentre esibiva un brillante sotto l'albero di Natale. Vuoi sposarmi?
Infuriata, Bree affossò il ricordo. Non c'era da stupirsi che odiasse il Natale. Che le altre donne andassero pure a casa dai loro tacchini, dai loro bambini e dagli alberi sfavillanti di luci. Per Bree il giorno precedente era stato un giorno come gli altri. Non si permetteva di cullarsi nella fantasia ricordando quel magico Natale di quando aveva diciotto anni, quando era stata decisa a cambiare la propria vita per essere degna dell'amore di Vladimir. La notte in cui si era ripromessa che non avrebbe più giocato, o ingannato, o mentito di nuovo. E anche se lui l'aveva lasciata, aveva mantenuto quella promessa.
Fino a quel momento. Prese gli stivali con il tacco a spillo.
«Bree?» chiese ansiosa Josie.
Senza rispondere lei si sedette pesantemente sul letto e calzò gli stivali. Era la prima volta che li metteva da quando era un'adolescente ribelle con una coscienza elastica e un cuore avido. La riportava a essere la donna che non avrebbe mai pensato di essere di nuovo. La donna che quella notte doveva essere per salvare sua sorella. Guardò l'orologio: le tre del mattino. L'ora perfetta per iniziare.
«Ti prego, non devi farlo» piagnucolò sua sorella. «Ho un piano...»
Ignorando il rimorso e l'angoscia nella voce della sorella, Bree si alzò. «Tu resta qui.» Raddrizzò le spalle e troncò la connessione tra il cervello e il cuore. In quel momento le emozioni sarebbero state solo una debolezza. «Me ne occupo io.»
«No! È colpa mia, Bree, posso sistemare tutto. Ascolta, la vigilia di Natale ho conosciuto uno che mi ha detto come...»
Ma lei non rimase ad ascoltare la lacrimevole storia che qualcuno doveva aver snocciolato alla sorella tanto ingenua. Afferrò la giacca nera da motociclista e si avviò alla porta.
«Bree, aspetta!»
Non si voltò. Uscì dal minuscolo appartamento e scese le scale dell'edificio in cui abitava la maggior parte del personale dell'Hale Ka'nani Resort.
È solo come andare in bicicletta, si disse decisa Bree scendendo di corsa i gradini. Anche dopo dieci anni lontana dal gioco poteva ancora vincere a poker. Poteva.
La brezza fresca le sferzava le guance. Stringendosi addosso la giacca percorse il viale illuminato del resort a cinque stelle verso il nuovo, splendido edificio frequentato da ricchi turisti e altrettanto ricchi proprietari delle ville raggruppate attorno a una spiaggia privata dalla sabbia candida.
Il mio cuore è