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Vite sospese (eLit): eLit
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Vite sospese (eLit): eLit

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About this ebook

Dodici anni sembrano lunghi, ma in una cittadina mineraria del Colorado la vita di quattro persone sembra essersi fermata alla notte in cui una ragazzina di nome Karen rimane uccisa in un incidente stradale. Il padre di lei continua a covare un odio feroce per Hardy, il giovane che era al volante. Lui, anche ora che è cresciuto e diventato architetto, è tormentato dai sensi di colpa e da un sentimento in apparenza senza futuro per la cugina di Karen, Joni. Joni e sua madre Hannah, che nasconde un terribile segreto, vivono in una specie di limbo. Poi un giorno, una vincita alla lotteria rimette in discussione ogni cosa...
LanguageItaliano
Release dateFeb 28, 2018
ISBN9788858981580
Vite sospese (eLit): eLit

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    Vite sospese (eLit) - Rachel Lee

    successivo.

    1

    La sera di novembre era spazzata da un vento gelido. Joni Matlock entrò dalla porta di servizio, scosse la neve dagli scarponi, se li sfilò e li appoggiò sullo zerbino. Con un brivido si tolse il giaccone e il berretto di lana e li appese a un gancio accanto a quelli della madre.

    Quando entrò in cucina, il caldo le punse le guance. Sua madre stava cucendo seduta al tavolo del tinello, visibile attraverso la porta.

    «Mamma! Hai messo di nuovo troppa legna nella stufa.»

    Hannah Matlock alzò gli occhi e sorrise. «Soffro il freddo, cara. Lo sai.»

    «Ci saranno almeno trenta gradi, qui dentro.» Ma la protesta di Joni non era troppo convinta. Nel tragitto di ritorno dall'ospedale, dove lavorava come farmacista, il riscaldamento della macchina non aveva neanche avuto il tempo di mettersi a funzionare. Si sentiva un ghiacciolo.

    «Ho appena fatto il caffè» annunciò Hannah, tornando a chinare la testa sul cucito. «E per cena, c'è da finire lo stufato.»

    «Va bene.»

    Joni si versò una tazza di caffè e vi aggiunse un goccio di panna. Poi si appoggiò allo stipite della porta che separava la cucina dal tinello e sorseggiò la bevanda calda guardando sua madre cucire.

    A cinquant'anni, Hannah aveva ancora i capelli neri come una notte senza stelle: un dono dei suoi antenati Ute. Anche il suo viso aveva il tocco esotico di due zigomi alti, ed era fresco quasi quanto quello della figlia. Aveva gli occhi scuri come i capelli, e Joni glieli aveva sempre invidiati perché li trovava misteriosi.

    Lei aveva gli occhi azzurri. Hannah diceva sempre che gli occhi di Joni avevano catturato il cielo, ma Joni li considerava in termini molto meno poetici. Gli occhi chiari erano più sensibili alla luce, e per tutto l'inverno lei doveva nasconderli dietro delle lenti scure.

    Le due donne erano tanto simili, comunque, da poter essere considerate sorelle.

    Joni si sedette di fronte alla madre, stringendo la tazza calda tra le mani. «Com'è andata, oggi?»

    «Benissimo.» Hannah raramente diceva qualcosa di diverso. «Be', c'è stato un momento triste. Abbiamo dovuto sopprimere il cane di Angie Beluk.» Hannah lavorava come assistente in uno studio veterinario quattro mattine alla settimana.

    «Mi dispiace.» Joni sentì una piccola stretta al cuore. «Cos'aveva?»

    «Cancro.» Hannah sospirò e spezzò il filo. Poi posò il lavoro. «Povera Angie. Aveva Brownie da sedici anni.»

    «Che cosa triste.»

    «Davvero. Ma per parlare di cose più allegre, abbiamo fatto nascere una cucciolata. E tu? Cos'hai fatto?»

    Joni bevve un sorso di caffè e si sentì scendere il calore nello stomaco. «Oh, il solito. Ho preparato capsule, mescolato sciroppi, dato consigli a una dozzina di persone...»

    Hannah rise. «A sentirti, sembra una noia mortale!»

    Joni ricambiò il suo sorriso. «Non lo è. Ma non è neanche una grande avventura.»

    Hannah si fece pensosa. «È questo che vuoi, Joni? Avventura?»

    Dopo un attimo, Joni scosse la testa. «Non direi. Ricordi la maledizione? Possa tu vivere in tempi interessanti! Io mi accontento del tran tran quotidiano, grazie tante. Vuoi che metta a scaldare lo stufato, prima di andare a cambiarmi?»

    «No, cara, faccio io. Tu va' pure di sopra.»

    «Okay.» Portandosi dietro la tazza, Joni si alzò e sparì in direzione delle scale.

    Hannah la guardò allontanarsi, la fronte solcata da una ruga. Forse, pensò per la millesima volta, era stato un errore tornare a Whisper Creek, quindici anni prima, dopo la morte di Lewis.

    Allora si era detta che lo faceva per Joni, ma adesso, ripensandoci, si chiedeva se non fosse stato perché era lei che aveva paura. Dopotutto, restare a Denver significava trovare ricordi di Lewis a ogni angolo di strada. Aveva provato a riprendere il lavoro, ma aveva scoperto di non sopportare più gli ospedali. Ogni suono, ogni odore, le riportavano alla mente Lewis e i quindici anni che avevano vissuto insieme.

    Quindi, forse, non lo aveva fatto solo per Joni. Forse aveva mentito a se stessa quando aveva giustificato il trasferimento con l'esigenza di portare via la bambina dai pericoli della grande città, per farla vivere in una tranquilla comunità di montagna in cui i ragazzi non si raggruppavano in bande per ammazzare medici innocenti che attraversavano il parcheggio di un ospedale per andare a salvare delle vite umane.

    Forse aveva mentito a se stessa quando aveva detto che Joni avrebbe beneficiato della vicinanza dell'unico parente che avevano, il fratello di Lewis, Witt.

    Forse erano state tutte scuse, perché non ce la faceva ad affrontare le proprie paure e il proprio dolore.

    E la vergogna.

    Solo di recente aveva cominciato a interrogarsi. Sicuramente non lo aveva fatto fino a tre anni prima, quando Joni aveva finito l'università ed era tornata a casa, cominciando a lavorare nel piccolo ospedale di montagna. Allora, per la prima volta, Hannah si era chiesta seriamente se in qualche modo non avesse tarpato le ali a Joni.

    Perché cosa mai poteva fare una giovane donna di ventisei anni in una cittadina come Whisper Creek? C'erano pochi uomini liberi della sua età, pochi stimoli, non un posto in cui passare il venerdì sera, a parte un cinema e un paio di bar. Perché Joni non aveva cercato lavoro in un altro posto? Con la sua laurea in farmacia e i suoi voti, avrebbe avuto l'imbarazzo della scelta.

    Ma Joni aveva deciso di tornare a stare lì con sua madre. Non che ad Hannah dispiacesse. Solo, la faceva sentire terribilmente in colpa.

    Come il suo segreto. Quello che non aveva mai rivelato ad anima viva. Nel corso degli anni era quasi riuscita a convincersi che non fosse vero, ma ultimamente... Ultimamente, ogni volta che si chiedeva se avesse sbagliato con Joni, i ricordi tornavano a ossessionarla.

    Forse aveva reso tutto più difficile custodendo gelosamente quel segreto tanto a lungo. Forse aveva privato Joni di qualcosa di importante. Ogni volta che le veniva quel pensiero, cercava di cacciarlo, dicendosi che la verità non avrebbe cambiato le cose, e che lei non aveva fatto altro che proteggere sua figlia dal disonore.

    Ma non aveva protetto se stessa, perché la vergogna bruciava ancora in lei. Le ricordava che le sue motivazioni non erano mai state pure. La teneva lontana dalla cosa che desiderava più dalla vita, a parte la felicità di Joni.

    Ma ormai era troppo tardi. Aveva fatto i suoi errori, e non c'era modo di porvi rimedio. Doveva consolarsi col pensiero che, quanto meno, si era presa buona cura di sua figlia.

    Sospirando, si alzò e andò a riscaldare lo stufato.

    Di sopra, la stanza di Joni era un forno. Il calore della stufa a legna si incanalava su per la scala e riempiva le camere da letto. Era uno dei motivi per cui lei tentava di convincere sua madre a non mettere tanta legna sul fuoco.

    Con un sospiro, socchiuse la finestra e lasciò che un po' del caldo soffocante fuggisse nella notte. Il gelo che solo pochi minuti prima le aveva dato un senso di disagio, ora le sembrava che le permettesse di respirare.

    La sua stanza aveva una cabina armadio grande quanto uno spogliatoio, il che era una benedizione, poiché in camera c'era a malapena spazio per un letto, un comò e una sedia a dondolo. Joni si infilò un paio di pantaloni di velluto a coste e una camicia felpata a manica lunga, una tenuta da casa che era un compromesso: non l'avrebbe fatta soffocare alla temperatura che sua madre preferiva, ma allo stesso tempo l'avrebbe protetta dagli spifferi che sempre agitavano l'aria di quella vecchia casa.

    Di sotto, trovò Hannah che canticchiava tra sé mentre apparecchiava la tavola. Hannah lo faceva spesso, anche se non cantava mai ad alta voce, e Joni trovava quel suono rilassante. Togliendo i piatti dalle mani di sua madre, li appoggiò sul tavolo.

    «Allora, non è successo proprio niente di eccitante, oggi?» chiese Hannah.

    «Non direi.» Joni accese in mezzo al tavolo una candela rossa avanzata dal Natale prima. Tutti gli anni, Hannah si lasciava prendere la mano e riempiva la casa di candele per le feste. Poi, passavano l'anno successivo a cercare di consumarle. «C'è un'epidemia di polmonite. Sta' alla larga da quelli che tossiscono, mamma.»

    Hannah le rivolse un sorrisetto. «Ti sei dimenticata che ero infermiera?»

    Joni rise. «Hai ragione. Scusa.»

    «Non importa. E lo stesso vale per te, signorina sotutto. Non dimenticare di lavarti le mani.»

    Si scambiarono un'occhiata complice.

    Hannah tornò dalla cucina con la casseruola dello stufato. Con un cucchiaione, cominciò a riempire i piatti. «Hanno ricoverato molte persone?»

    «Bob Warner ha detto che le corsie sono quasi piene. I medici temono che sarà il peggiore inverno da anni.»

    Hannah scosse la testa. «Puoi dire a Bob che se gli serve del personale in più, posso andare a dargli una mano. Non sono arrugginita fino a questo punto

    «Lo so.» Joni le fece un sorrisetto impertinente. «Ti tieni allenata con cani e gatti.»

    Hannah le lanciò un'occhiata da sopra gli occhiali da lettura. «Che insolente! Le terapie non sono poi così diverse, sai?»

    Scoppiarono a ridere e si sedettero a tavola una di fronte all'altra.

    La cosa migliore dell'essere tornata a vivere con sua madre, pensava spesso Joni, consisteva nel fatto che erano diventate buone amiche. Il periodo che aveva passato fuori casa all'università sembrava aver dato loro il distacco necessario a superare le normali conflittualità tra madre e figlia, e ora Joni non avrebbe rinunciato al rapporto che si era creato tra loro per nulla al mondo.

    «A parte la polmonite, ci sono altre novità?» chiese Hannah.

    Joni esitò. Conosceva troppo bene la posizione della famiglia Matlock riguardo ad Hardy Wingate per sperare che la notizia sarebbe stata accolta con calore. Ma decise di parlarne lo stesso. «Ho visto Hardy Wingate, oggi. Sua madre è stata ricoverata con la polmonite.»

    Hannah alzò gli occhi dal piatto e corrugò le labbra. «Joni...»

    «Lo so, lo so. Witt lo detesta. Ma non occorre che tu ti preoccupi, mamma. Hardy mi ha appena rivolto la parola.» Ed era un peccato, pensò. Lei aveva avuto una bella cotta per Hardy, anni prima, e anche se ormai le era passata, continuava a trovarlo attraente. E un bravo ragazzo, a dispetto dell'opinione dello zio Witt.

    «Mi dispiace che Barbara stia male» disse Hannah dopo un attimo.

    Apparentemente, era accettabile sentirsi dispiaciuti per la madre di Hardy.

    Dopo cena, Hannah riprese in mano il cucito e Joni lavò i piatti. C'era una finestrella sopra il lavandino, e lei si trovò a guardare fuori. La montagna era così ripida, lì, che si vedeva il sopra del tetto del vicino. Si godeva però di una vista mozzafiato sul cielo della notte, e dato che la luna era piena, Joni riusciva perfino a distinguere le cime innevate delle montagne in distanza.

    Whisper Creek era sorta intorno alle miniere d'argento nel 1880, sulle ripide pendici orientali di una valle tra due catene montuose. Non era mai cresciuta al punto di estendersi verso ovest, dove il fondovalle era più pianeggiante e aperto. Suo zio Witt possedeva molti terreni laggiù. Non che gli servissero gran che. Le scorie di miniera lasciate sulle colline un secolo prima avevano con taminato l'acqua e di conseguenza la terra. Non vi cresceva altro che sterpaglia, e anche questa era stentata.

    La terra non era sempre stata arida. Ai tempi in cui il primo Matlock l'aveva acquistata col denaro che aveva ricavato dalla propria miniera d'argento, era stata fertile. Ma dopo una quarantina d'anni, il bestiame aveva cominciato ad ammalarsi e a morire.

    Lo zio Witt non aveva più provato a fare nulla sulla sua terra, anche se ora era stata dichiarata fuori pericolo. Qualche volta Joni ci passava, sognando quello che ci si sarebbe potuto costruire. Ma chi aveva il denaro per realizzare delle strutture turistiche? Tutti, in città, cercavano modi di attrarre i turisti nell'area per dare un nuovo impulso all'economia, ma fino ad allora nessuno era stato in grado di trovare i capitali necessari.

    Con un sospiro, Joni tornò a lavare i piatti. Dopo la concentrazione di una giornata di lavoro, durante la quale una disattenzione poteva costare una vita umana, aveva la tendenza a sognare a occhi aperti quando tornava a casa. Quella era stata una giornata di fuoco, in ospedale, dato che l'altitudine e il freddo sembravano indebolire le difese immunitarie della gente.

    E poi c'era stato Hardy Wingate. Joni si sentiva quasi in colpa a pensare a lui, ma le era difficile non farlo. Le era parso esausto. Il suo viso squadrato era pallido sotto l'abbronzatura e i suoi occhi grigi erano iniettati di sangue. Lo aveva trovato seduto nel bar dell'ospedale, intento a imbottirsi di caffeina.

    Vedendolo, gli si era avvicinata. Lui aveva alzato gli occhi quasi con riluttanza, come se si aspettasse che lei gli dicesse qualcosa di sgradevole. O come se non volesse venir meno a un giuramento.

    «Ciao» lo aveva salutato lei, e lo aveva sorpreso sedendosi di fronte a lui.

    «Ciao.» La sua voce era suonata stanca, tesa.

    «Stai male?» Era una domanda superflua. Si vedeva che era stanco, ma sembrava in ottima salute.

    «Mia madre. L'ho vegliata tutta la notte in terapia intensiva.»

    «Mi dispiace.» Barbara Wingate era una persona adorabile. «Polmonite?»

    «Già.»

    «Come sta ora?»

    «Meglio. Mi hanno detto che posso tornare a casa a dormire.»

    Lei aveva indicato il caffè. «Un ottimo sonnifero.»

    Per un attimo, solo un attimo, le era parso che lui potesse abbozzare un sorriso. Poi Hardy si era stretto nelle spalle. «Resterò qui tutta la notte.»

    «Non credo che sia una buona idea. Crollerai se non ti riposi per qualche ora.»

    «Ce la farò.» Poi, senza un'altra parola, lui aveva buttato giù il resto del caffè, si era alzato e se n'era andato.

    E ora, in piedi davanti al lavandino, Joni si sentì sospirare. Non le aveva detto neanche arrivederci, come se anche le più semplici cortesie sociali fossero proibite tra di loro. A causa di Witt.

    Squillò il telefono, e lei sentì sua madre rispon dere in salotto. Qualche minuto dopo, le arrivò la risata di Hannah. Buone notizie. Dio sapeva quanto ne avessero bisogno.

    Non che la vita fosse tanto ingrata, ma c'erano volte in cui Joni pensava che stessero morendo tutti quanti in quella cittadina. Il prezzo dell'argento era crollato e la miniera lavorava col minimo degli organici, il che significava che c'erano molti operai a casa. La miniera di molibdeno andava un po' meglio, ma anche lì correvano voci di possibili tagli al personale.

    Raramente Joni si sentiva depressa come quella sera. Si chiese se non si stesse ammalando anche lei, poi decise che non ne aveva il tempo.

    Sciacquò il lavandino e si stava asciugando le mani quando entrò sua madre.

    «Sta arrivando Witt» annunciò Hannah. «Dice che ha delle buone notizie da darci.»

    Joni notò come si era animato il viso di Hannah alla prospettiva di una visita di Witt. Erano le uniche volte che lei la vedeva così.

    «Bene» mormorò anche se, dopo aver parlato con Hardy Wingate, quel giorno, provava una strana riluttanza a incontrare suo zio. Che sciocchezza, si disse. La faida era vecchia più di dieci anni, tanto vecchia che ormai sarebbe dovuta essere superata. Perché si sentiva così a disagio? Aveva paura che Witt la guardasse negli occhi e capisse che lo aveva tradito, solo perché aveva scambiato due parole con un uomo che conosceva dai tempi della scuola?

    Era una cosa assurda.

    Witt arrivò un quarto d'ora dopo. Doveva essere venuto a piedi, perché quando entrò portò con sé il gelo della notte e Joni sentì uno spiffero attorcigliarsi intorno alle sue caviglie nude.

    Witt era un uomo dal fisico d'orso, alto e massiccio. Riempì il piccolo salotto mentre si toglieva la giacca e il berretto. Un sorriso increspava il suo viso cotto dal sole e i suoi occhi, azzurri come quelli di Joni, sembravano danzare.

    Strinse forte Joni e, come sempre, le sue braccia le trasmisero un senso di sicurezza e un benvenuto. Anche quando era irritata con lui, cosa che capitava di tanto in tanto, Joni non poteva fare a meno di rispondere a quell'abbraccio con un profondo affetto.

    «Sei gelato» gli disse, ridendo suo malgrado.

    «Tu sei calda» protestò lui di rimando. «Mi ustioni le dita.»

    «È perché la mamma carica la stufa.»

    Witt la lasciò andare e si voltò verso Hannah. «Sempre il solito fiorellino di serra, eh?»

    Hannah rise ma scosse la testa. La verità, Joni lo sapeva, era che sua madre aveva trascorso troppe notti al freddo, da bambina, e il caldo le dava un delizioso senso di lusso, anche se il lusso era una vecchia casetta vittoriana aggrappata alle montagne in una cittadina mineraria.

    «Bene» disse Witt, salutandola con un abbraccio molto più contenuto di quelli che riservava a Joni. «Se tutt'a un tratto correrò fuori e mi butterò in un mucchio di neve, saprete che è perché ho i vestiti in fiamme.»

    Sua madre rise di nuovo. Rideva sempre alle battute di Witt, pensò Joni.

    Hannah fece il suo solito gesto d'ospitalità. «Stavo per prepararmi un caffè. Ne prendi una tazza anche tu, Witt?» Hannah non beveva mai caffè la sera, ma diceva sempre così agli ospiti. Molto tempo prima, quando aveva otto o nove anni, Joni le aveva chiesto perché.

    «Perché» aveva risposto Hannah, «è un gesto di cortesia offrire qualcosa da bere agli ospiti, ma non voglio che si sentano imbarazzati pensando di darmi un disturbo.»

    Joni aveva pensato che era una sciocchezza. Perché non lasciare che le persone venute in visita sapessero che si faceva qualcosa di speciale per loro? Ma aveva visto l'ospitalità di Hannah incantare le persone per anni.

    «Certo» disse Witt, seguendola in cucina. «Un caffè fa sempre piacere, e il tuo è il migliore di tutti.»

    Lo diceva tutte le volte. Per qualche strano mo tivo, quella sera la cosa irritò Joni. Che le era preso?, si chiese. Perché la infastidivano cose che erano praticamente rituali di famiglia?

    Si riunirono intorno al tavolo del tinello, un'altra tradizione di famiglia. Le uniche volte in cui si sedevano in salotto di solito erano a Natale, o se avevano visite.

    Hannah prese una torta al caffè che aveva sfornato quel pomeriggio e ne tagliò una grossa fetta per Witt. Joni declinò l'offerta.

    «Allora?» chiese Hannah, quando ebbero finito il caffè. «Qual è la buona notizia, Witt?»

    Lui aveva un sorriso da un orecchio all'altro. «Non indovinerete mai.»

    Hannah guardò la figlia e alzò gli occhi al cielo. Joni dovette ridere. «Lo so io» disse a sua madre. «Si è comprato un camion nuovo. Rosso ciliegia e con ruote da trattore.»

    Sua madre rise divertita e Witt si accigliò. «Non la smetterai mai di prendermi in giro per il mio camion, vero?»

    «Certo che no» ribatté Joni. «È un classico. Più vecchio di me e così arrugginito che si vede la strada attraverso il fondo.»

    «Be', per tua informazione, mi comprerò un camion nuovo.»

    Seria, ora, Joni posò la tazza e guardò suo zio, sbalordita. «Ti senti bene?»

    «Diavolo» borbottò Witt. «Non la smetterà mai. Hannah, avresti dovuto darle qualche sculaccione in più quando era piccola.»

    «Temo di sì» convenne Hannah. Ma le danzavano gli occhi.

    «No.» Witt guardò sua nipote. «Non sto male. Sono nel pieno delle mie facoltà mentali. E se i camion non costassero quanto delle case, me ne sarei comprato uno nuovo da anni» tenne a precisare.

    «Come mai hai preso questa decisione ora?» chiese Joni.

    «Ho vinto alla lotteria.»

    Il silenzio scese sul tinello. Fu uno dei silenzi più lunghi che Joni ricordasse da quando era arrivata la notizia che la figlia di Witt, sua cugina Karen, aveva perso la vita in un incidente stradale. Silenzi come quello erano grevi di shock e incredulità.

    Fu Hannah a parlare per prima, quasi con esitazione. «Stai scherzando...»

    Witt scosse la testa. «Non è uno scherzo. Ho vinto alla lotteria.»

    «Be', evviva!» esclamò Joni, tutt'a un tratto eccitata e felice. «Doppio evviva! È fantastico, zio Witt! Abbastanza per comprare un camion nuovo, eh?» Witt non le rispose. Invece, si limitò a guardare prima lei, poi Hannah. Scese un altro silenzio e Joni sentì che il suo cuore cominciava a battere come un tamburo. Finalmente, sussurrò: «Più che a sufficienza per comprare un camion nuovo?».

    Gli occhi di Hannah volarono verso sua figlia, poi tornarono su Witt. Gli posò una mano su un braccio. «Witt? Quanto hai vinto?»

    Lui si schiarì la voce. «È... Be'... È un po' difficile da credere.»

    «Oh, mio Dio...» sussurrò Joni. Aveva insieme caldo e freddo. «Zio Witt...» Si girò a guardare sua madre, come a cercare un contatto con la realtà. Ma la faccia di Hannah registrava la stessa attonita incredulità. Certe cose non capitavano a persone come loro.

    «È...» Witt sospirò e si passò le dita tra i capelli. «Ho vinto il jackpot

    «Santo cielo.» Questa volta era stata Hannah a parlare, il tono reverente. «Oh, Witt, tutto il montepremi? Quanto esattamente?»

    «Undici milioni di dollari.» La voce di lui era quasi roca. «Ovviamente, non arriveranno tutti insieme. Il pagamento avverrà in venticinque anni, e bisognerà dedurre le tasse, ma, ehm...»

    Joni, da sempre brava in matematica, calcolò rapidamente. «Porterai a casa quasi duecentomila dollari all'anno. È incredibile.» Poi, lanciò un grido esuberante. «Accidenti, zio Witt! Andrai sul velluto da ora in poi! Potrai comprarti il camion nuovo e un sacco di altre cose.» Gli sorrise, provando un meraviglioso senso di felicità per quell'uomo che era stato come un padre per lei. Non poteva capitare a uno che lo meritasse di più. «Allora, parti per Tahiti?»

    Lui rise, vagamente imbarazzato. «No... Cioè, a meno che Hannah non voglia andare.»

    Sua madre sgranò gli occhi, poi arrossì. «Tahiti, io?» Fece un gesto incurante con la mano. «E cosa ci farei io a Tahiti? E poi, la vincita è tua, Witt.»

    Sul viso di lui Joni colse una strana tensione, una tensione che non riusciva a definire.

    «Allora?» insistette.

    «Non ho ancora avuto molto tempo per pensarci, Joni. Insomma, l'ho saputo solo la settimana scorsa.»

    «La settimana scorsa? Ti tieni dentro una cosa simile da una settimana?» Le sembrava impossibile. Lei si sarebbe messa a strillare da tutti i tetti.

    «Be', prima ho voluto verificare che fosse vero. Poi...» Witt esitò. «Non voglio che lo si sappia in giro, non ancora.»

    «È comprensibile» disse Hannah con prontezza. «Ma devi pure aver pensato a cosa vuoi fare del denaro.»

    Ma i pensieri di Joni avevano preso un corso

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