Come ti seduco un uomo (eLit): eLit
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Come ti seduco un uomo (eLit) - Victoria Pade
successivo.
1
«Ti ho detto che non ne è capace.»
«Be', io non sono d'accordo.»
Abby Stanton guardò in modo curioso le due sorelle. Doveva concentrarsi per non vedere doppio. Che cosa le avevano fatto bere? Non ne era del tutto sicura. Ricordava Emily e Bree discutere di che cosa sarebbe stato più opportuno che ordinasse per rispettare il tema della serata: la metamorfosi di Abby Stanton. Avevano parlato di un Kamikaze o di uno Slippery Nipples, ma lei non ricordava quale dei due avesse buttato giù; forse entrambi.
«Una donna davvero emancipata, non si lascerebbe sfuggire un tipo come quello, se le passasse a fianco» disse Bree, rivolgendosi ad Abby e riferendosi allo stesso cowboy che aveva ormai da tempo catturato la loro attenzione. «Ho trovato! Vuoi davvero provare di essere una donna emancipata? Bene, dai una pacca sul sedere a quello schianto d'uomo.»
Una donna emancipata. Non era sufficiente che si trovasse seduta in un bar con dei seri problemi a mettere a fuoco quello che le stava intorno? In fondo era già un notevole passo avanti per una come lei, cresciuta nella tranquilla Clangton, in Colorado, una piccola cittadina attorniata da campi coltivati e fattorie.
«Non credo che a lui dispiacerebbe, Ab» aggiunse Emily per incoraggiarla. «Continua a guardarti. Ha gli occhi incollati su di te.»
«Chi è?» chiese Abby, come se la cosa facesse differenza nell'accettare o rifiutare la sfida.
Clangton aveva una popolazione di qualche migliaio di abitanti, di conseguenza non tutti si conoscevano tra loro. Ma Abby, Bree ed Emily erano nate e cresciute lì, inoltre gestivano un panificio nel centro della cittadina, quindi, sebbene non conoscessero chiunque per nome, non era loro difficile individuare un volto nuovo, soprattutto se possedeva lineamenti che parevano essere stati disegnati da Michelangelo. Un viso maschile, ben definito, con folte sopracciglia e un naso lungo e fine, leggermente allargato alle narici. Mento e mascelle ben delineati e scolpiti, e zigomi profondi che contribuivano a dotarlo di una bellezza selvaggia e irregolare.
«È Cal Ketchum» rispose Bree. «È il nuovo proprietario di Peterson Place. Ricordi? Ti ho rac contato di lui. Era un amico del cugino di Cissy Carlisle, quello che vive a Denver, il donnaiolo. Lui lo ha messo in contatto con Cissy e lei finalmente è riuscita a vendere parte della proprietà.»
Emily proseguì la spiegazione dal punto in cui Bree l'aveva interrotta. «Cal Ketchum ha cominciato a uscire con Cissy, dopo essersi trasferito. A lei lui piaceva molto, ma mi ha raccontato che la pri ma volta che lei gli confidò di volersi sposare un giorno, non necessariamente con lui, Cal le disse di non essere il ragazzo che faceva per lei, poiché non era interessato al matrimonio. Cissy sostiene che sia ancor più dongiovanni di suo cugino. Dice che colleziona appuntamenti in serie. Ha tante donne e poco tempo da dedicare a ognuna. Non si sposerà mai a suo parere, poiché una donna lo limiterebbe troppo.»
«Fantastico! E voi volete che io lo provochi? Penserà che voglia entrare nella sua hit parade di donne.»
«Una donna emancipata lo farebbe solo perché ha il fondoschiena più bello del locale» disse Emily, sfidando la propria natura conservatrice. «Credo non ti rimanga altro che ammettere di non essere una donna emancipata.»
Il che significava dovere riconoscere di essere come Bill Snodgrass l'aveva definita, motivando la rottura del loro fidanzamento. L'aveva accusata di essere troppo timida, troppo tranquilla, troppo prevedibile, troppo seria, insomma una provinciale noiosa.
E va bene, non aveva detto che era noiosa. O perlomeno non aveva usato quell'aggettivo, ma lo aveva sottinteso. Quella sera Abby si era ripromessa di provare a se stessa di potersi rivelare estroversa, imprevedibile, scatenata e divertente.
Proprio allora, Bree si raddrizzò sulla sedia e fece un cenno con la mano a Cal Ketchum, invitandolo ad avvicinarsi a loro. «Bene, arriva. Ti fornisco la situazione ideale per potere agire.»
Abby sollevò lo sguardo e scorse l'uomo alto, dal fisico atletico, dirigersi verso di loro. Aveva gli occhi fissi su di lei, nonostante a chiamarlo fosse stata sua sorella.
E che occhi aveva! Erano di uno stupendo colore acquamarina. Azzurri e trasparenti come le acque di un lago di montagna in un soleggiato giorno di primavera.
La guardava con intensità e quei meravigliosi occhi sembravano voler penetrare in lei come caldi raggi di sole.
«Ragazze» salutò lui, mantenendo lo sguardo su Abby. La sua voce ebbe l'effetto di un altro super alcolico: un cocktail di whisky, zucchero e uno spruzzo di limone.
Abby si sentì risollevata quando lo vide fermarsi dall'altro capo del tavolo rispetto a lei. Tra Bree ed Emily. Lontano dal suo raggio d'azione, liberandola dal peso della sfida. Almeno per il momento.
«Posso fare qualcosa per voi?» domandò.
«Volevamo sapere se sei chi pensiamo che tu sia» rispose Abby, usando un tono esageratamente frizzante, confidenziale e un tantino stridulo.
Cal le sorrise malizioso, procurandole un vago senso di agitazione.
«Chi credete che io sia?»
«Cal Ketchum» rispose rapida Bree, come se stesse gareggiando in un quiz televisivo.
L'uomo chinò il capo leggermente, guardandola per una frazione di secondo, prima di tornare a osservare Abby. «Sono io» confermò, dopodiché fece una breve pausa, aspettando che loro si presentassero. Dal momento che non lo fecero, domandò: «State festeggiando qualcosa?».
«La libertà!» rispose Abby un po' troppo precipitosamente, alzando il proprio bicchiere. Il movimento improvviso, fece traboccare alcune gocce di bevanda che finirono sul tavolo.
Abby, senza considerare l'immagine di donna emancipata che voleva fornire di sé, prese un tovagliolo e asciugò l'esterno del bicchiere, poi lo posò e assorbì con cura il liquido dal tavolo.
Quando ebbe terminato sollevò lo sguardo in direzione dell'uomo. Aveva labbra morbide e carnose, con gli angoli leggermente inarcati verso l'alto anche quando non sorrideva. Ora, però, le stava rivolgendo un caldo sorriso. Un sorriso consapevole, di chi conosce un segreto e Abby ebbe la sensazione che riuscisse a vedere dentro di lei.
«Bene, spero che vi stiate divertendo» disse in tono dubbioso, mostrandosi leggermente confuso. Probabilmente non capiva il motivo per cui l'avevano chiamato al tavolo, dato che tutte e tre non facevano altro che fissarlo con aria stupita. «Avete saputo tutto ciò che desideravate conoscere?»
«Tutto» disse Bree con leggerezza.
«Perfetto, e ora che sapete tutto, spero passiate una bella serata» concluse, non sembrando per nulla imbarazzato o seccato per il fatto che loro stessero chiaramente giocando alle sue spalle.
All'improvviso diede l'impressione di avere scorto qualcuno che conosceva. Girò attorno alla sedia di Bree per dirigersi verso la parte del saloon che stava alle spalle di Abby. Questo significava che le sarebbe passato accanto.
Bree diede un leggero calcio ad Abby sotto il tavolo, per ricordarle la sfida.
Ce l'avrebbe fatta, oppure no?, si chiese nella frazione di secondo che il cowboy impiegò per avvicinarsi a lei.
«Fallo» le sussurrò Emily.
E lei lo fece. Più o meno.
Nel momento in cui due tasche di un paio di jeans, piuttosto aderenti a un bel fondoschiena sodo, le transitarono accanto, pressappoco all'altezza degli occhi, Abby allungò un braccio e con mano insicura e tentennante, diede una timida pacca.
Lui si bloccò all'istante e si voltò appena per guardare in basso verso di lei con quei suoi stupendi occhi turchesi.
Abby sarebbe volentieri sprofondata sotto terra.
Pensando con la velocità che il suo cervello rallentato dagli effetti degli alcolici, le permetteva, disse: «Una mosca!». Poi cominciò a picchiare un piede per terra, nel tentativo di neutralizzare l'insetto inesistente.
«Una mosca?» ripeté lui con un pizzico di ironia nel tono di voce, senza toglierle gli occhi di dosso.
«Sì, l'avevi addosso. Le mosche sono così fastidiose» farfugliò, come un bambino che cerca di dare supporto alla propria bugia per renderla più credibile. Nello stesso tempo avvertiva una vampata di calore in tutto il corpo e cercava di non pensare al colore che sicuramente stavano assumendo le proprie guance.
«Niente male» disse lui, ammiccandole prima di allontanarsi.
Abby non era sicura a cosa le parole di Cal si riferissero, se alla storia che aveva inventato, oppure alla goffa pacca che gli aveva assestato.
Di una cosa era certa, aveva bisogno di dimenticare l'episodio, quindi afferrò di nuovo il bicchiere e in un solo sorso lo svuotò del suo contenuto. L'alcol avrebbe provveduto a cancellarle l'imbarazzo dal viso. Infine picchiò il bicchiere sul tavolo e, in un malriuscito gesto di coraggio, disse: «Fatto».
Bree ed Emily risero di gusto.
A quel punto una parte della vera Abby emerse per dare una lezione alle sorelle minori. «Ragazze, non è stato un bel gesto da parte vostra chiamare qui quel tipo e poi non compiere il minimo sforzo per intavolare una conversazione.»
«Ma noi lo abbiamo invitato ad avvicinarsi per un motivo ben preciso» rispose Bree, dimostrando di essere anche lei piuttosto brilla.
«Ebbene? Come è stato? Toccarlo è piacevole quanto guardarlo?» chiese Emily.
Abby assunse un'aria indignata. «Noi donne emancipate tocchiamo, ma non raccontiamo» proclamò altezzosa. Poi, per evitare ulteriori domande, spinse il bicchiere ormai vuoto al centro del tavolo e disse: «Ordinatemi qualcosa, mentre scelgo della buona musica al juke-box».
Era la prima volta da quando era entrata nel locale che si alzava e si rese conto di avere grosse difficoltà a reggersi sulle gambe. Faticava a mantenere l'equilibrio e vedeva doppio. Dovette quindi concentrarsi per potere camminare seguendo una linea retta.
Il saloon era immenso e arredato interamente in stile vecchio West. Un bancone in legno seguiva la lunghezza di un'intera parete e alle spalle del bar c'era un enorme specchio incorniciato, che riflette va tutto ciò che stava accadendo nella sala. Nonostante i tavoli fossero numerosi, rimaneva spazio sufficiente per potere ballare.
Abby, sempre prestando molta attenzione e non perdendo mai di vista le luci gialle e verdi del juke-box, si fece strada fra la folla del sabato sera. Accanto al juke-box, un'arcata conduceva in una stanza adiacente, nella quale si trovavano i tavoli da biliardo, il