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La gazza ladra (eLit): eLit
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Ebook254 pages6 hours

La gazza ladra (eLit): eLit

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About this ebook

Qualcuno è riuscito a fuggire...

Nel suo azzimato smoking, Jordan Tavistock è il più improbabile dei ladri, tuttavia ha un'importante missione da compiere e niente deve ostacolarlo. Non ha fatto però i conti con Diana Lamb, misteriosa e affascinante fanciulla, di cui lui non si fida assolutamente e che sembra interessata al suo stesso bottino. Quando si incontrano per la seconda volta, la diffidenza reciproca inizia a celare un sentimento più intenso, una profonda passione che acceca entrambi, finché una morte sospetta costringe Diana a rivelare tutto, a partire dalla propria identità segreta...
LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2017
ISBN9788858979129
La gazza ladra (eLit): eLit

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    Book preview

    La gazza ladra (eLit) - Tess Gerritsen

    successivo.

    Prologo

    Simon Trott, sul ponte oscillante della Cosima, scorse le fiamme oltre la vellutata oscurità notturna. Non un fuoco continuo ma una serie di violente esplosioni di luce che diffondevano un bagliore infernale sulle lontane onde lunghe.

    «È lei» disse il capitano al suo fianco, a prua. «La Max Havelaar. A giudicare da quei fuochi d'artificio ci metterà poco ad affondare.» Si girò verso il timoniere. «Avanti tutta!»

    «È poco probabile che ci siano sopravvissuti» osservò Trott.

    «Stanno trasmettendo l'SOS, quindi qualcuno è vivo.»

    «O lo era.»

    Mentre si avvicinavano al cargo condannato, le fiamme d'un tratto si alzarono come una fontana, sputando scintille che parvero accendere sul mare delle pozze di fuoco liquido.

    «Rallenta! C'è del carburante in acqua» urlò il capitano al di sopra del rombo dei motori.

    «Velocità ridotta» rispose il timoniere.

    «Avanti lentamente. Cerchiamo i naufraghi.»

    Trott raggiunse il parapetto per scrutare la superficie rosseggiante. La Max Havelaar già si inclinava: la poppa era quasi sommersa e la prua si sollevava verso il cielo senza luna. Entro pochi minuti sarebbe sprofondata per sempre nei flutti. Il mare era profondo e il recupero sarebbe stato poco conveniente. Lì, a due miglia dalla costa spagnola, l'imbarcazione avrebbe trovato il suo eterno riposo.

    Un'altra esplosione fece scaturire una pioggia di faville che indorarono l'acqua. Nei pochi attimi di quello sfolgorio, Trott individuò un movimento. Ad almeno duecento metri dalla Havelaar, al di fuori del cerchio di fuoco, una forma bassa e allungata ondeggiava sull'acqua.

    Poi udì delle grida.

    «Qui! Siamo qui!»

    «È la scialuppa di salvataggio» disse il capitano puntando il riflettore nella direzione delle voci. «Eccola, a ore due!»

    «La vedo» rispose il timoniere modificando subito la rotta. Diede gas facendo avanzare la barca tra le strisce di carburante in fiamme. Adesso Trott sentiva le esclamazioni gioiose, in italiano, degli scampati. Quanti erano?, si chiese, aguzzando la vista nel buio. Cinque. Forse sei. Poteva quasi contarli, adesso: braccia che si agitavano nel fascio di luce, teste che si muovevano in tutte le direzioni. Felici di essere vivi e prossimi alla salvezza.

    «Direi che c'è quasi tutto l'equipaggio della Havelaar» disse il capitano.

    «Faccia salire i nostri.»

    Il capitano diede l'ordine e pochi secondi dopo l'intero equipaggio si trovava sul ponte. Mentre la prua fendeva l'ultimo tratto d'acqua, gli uomini rimasero in silenzio presso il parapetto di prua, gli occhi puntati sulla scialuppa poco avanti.

    Nella luce del riflettore, Trott ora vide che i sopravvissuti erano sei. Sapeva che la Max Havelaar era partita da Napoli con otto uomini a bordo. Gli altri due erano ancora in acqua?

    Diede un'occhiata alla linea della costa. Con un po' di fortuna e di resistenza fisica, un uomo poteva superare a nuoto quella distanza.

    La scialuppa adesso era sulla loro dritta.

    «Questa è la Cosima! Identificatevi.»

    «Siamo della Max Havelaar

    «Ciurma al completo?»

    «Due sono morti.»

    «Ne siete certi?»

    «Il motore è esploso. Uno è rimasto intrappolato di sotto.»

    «E l'altro?»

    «Finito in acqua. Non sapeva nuotare.»

    Quindi anche l'ottavo uomo era andato. Trott diede un'occhiata all'equipaggio della Cosima, immobile in attesa degli ordini.

    La scialuppa era quasi affiancata.

    «Ora vi gettiamo una cima» comunicò.

    Uno dei naufraghi si alzò, pronto ad afferrarla.

    Trott si volse e diede il segnale ai suoi uomini.

    La prima raffica abbatté l'uomo che stava tendendo le braccia verso i presunti salvatori. Non fece neppure un grido. Nuovi proiettili grandinarono dalla Cosima falciando gli altri che crollarono, inermi. I gemiti e il tonfo di un corpo caduto in acqua furono soffocati dal crepitio spietato delle armi.

    Alla fine, quando i colpi cessarono, niente più si muoveva sulla scialuppa. Il greve silenzio era rotto solo dallo sciabordio dell'acqua contro lo scafo della Cosima.

    Un'ultima deflagrazione lanciò in alto un fiotto di scintille. La prua della Max Havelaar, tutto ciò che ne restava di visibile, si sollevò quasi in verticale e infine scivolò dolcemente sotto la superficie.

    La scialuppa, crivellata dai proiettili, era già quasi sommersa. Un marinaio della Cosima lanciò un'ancora che cadde tra i cadaveri con un rumore sordo. La barca si inclinò di lato rovesciando in acqua il suo carico di morti.

    «Qui abbiamo terminato, capitano» disse Trott in tono noncurante, girandosi verso il timone. «Sarà opportuno...»

    Si interruppe fissando un tratto d'acqua a una decina di metri. Che cos'era stato quel fruscio? Si scorgevano ancora le increspature sulla superficie rosseggiante. E di nuovo. Qualcosa di argenteo che emergeva per un istante e poi spariva di nuovo.

    «Là!» gridò Trott. «Sparate!»

    Gli uomini lo guardarono, perplessi.

    «Che ha visto?» domandò il capitano.

    «A ore quattro. Un movimento.»

    «Non vedo nulla.»

    «Fate fuoco comunque.»

    Uno degli uomini sparò una raffica e i proiettili tracciarono una mortale linea di spruzzi sul pelo dell'acqua.

    Rimasero a guardare per qualche momento. Non apparve nulla. La superficie tornò liscia come vetro ondulato.

    «Sono sicuro di aver visto qualcosa» dichiarò Trott.

    Il capitano si strinse nelle spalle. «Be', ora non c'è più.» Si rivolse al timoniere. «Vira di bordo!»

    La Cosima mutò direzione creando dietro di sé un ampio ventaglio di onde.

    Trott si spostò a poppa tenendo d'occhio quel punto sospetto. Mentre l'imbarcazione si allontanava ruggendo gli parve di scorgere un altro guizzo metallico. Solo per un attimo.

    Un pesce, si disse. E volse le spalle, tranquillizzato.

    Sì, doveva trattarsi di un pesce.

    1

    «Un furtarello. Non è chiederti molto.» Veronica Cairncross alzò lo sguardo su di lui e i suoi occhi di zaffiro erano lucidi di lacrime. L'elegante abito da sera le lasciava nude le spalle, e la gonna formava seriche pieghe sul divanetto Regina Anna. I capelli, di un caldo castano rossiccio e intrecciati con minuscole perle di fiume, erano raccolti sulla sommità del capo. A trentatré anni era molto più affascinante e chic di quanto lo fosse a venticinque, quando lui l'aveva conosciuta. Con gli anni aveva acquisito, oltre al titolo nobiliare, una classe, un aplomb e una fama di donna di spirito che ne facevano un'ospite molto ambita ai più prestigiosi ricevimenti londinesi. Ma in una cosa non era, e non sarebbe mai, cambiata.

    Veronica Cairncross era un'idiota.

    Come spiegare altrimenti l'impiccio in cui si era messa?

    E una volta di più il suo buon amico Jordan Tavistock, pensò lui stancamente, doveva intervenire. Non che lui non volesse aiutarla, ma la pretesa di lei era talmente pazzesca, così satura di rischi, che l'istinto gli consigliava di rifiutarsi.

    «Non se ne parla, Veronica» disse. «Non ci sto.»

    «Fallo per me, Jordie! Pensa a quel che potrebbe accadere. Se mostra quelle lettere a Oliver...»

    «Al povero Ollie verrà un colpo. Per qualche giorno ci saranno scenate, poi lui ti perdonerà.»

    «E se non mi perdona? Se volesse...» Deglutì e abbassò gli occhi «... il divorzio?»

    «Ma insomma, Veronica» sospirò Jordan, «avresti dovuto pensarci prima di impegolarti in questa relazione.»

    Lei esaminò le pieghe della gonna, lo sguardo infelice. «È questo il guaio. Non ho riflettuto.»

    «Già. È evidente.»

    «Non avevo idea che Guy avrebbe reagito così... come se gli avessi spezzato il cuore! Non è che ci amassimo o qualcosa del genere. E adesso mi fa questa carognata... minacciare di dirlo a tutti! Ti sembra un gesto da gentiluomo?»

    «Proprio no.»

    «Se non ci fossero quelle lettere potrei negare ogni cosa. Sarebbe la mia parola contro la sua, e sono sicura che Ollie mi concederebbe il beneficio del dubbio.»

    «Che hai scritto, esattamente, in quelle lettere?»

    Veronica abbassò il capo. «Cose che avrei dovuto evitare.»

    «Tenere parole d'amore?»

    «Molto peggio» gemette.

    «Più esplicite?»

    «Molto più esplicite.»

    Jordan contemplò il capo chino di lei, le perline e i lucenti capelli. Non riesco a credere che un tempo fossi attratto da questa donna, pensò. Ma era accaduto anni prima, quando lui era giovane, appena ventidue anni, e inesperto. Inconveniente che si augurava di aver superato in modo definitivo.

    Veronica Dooley era comparsa nella sua cerchia di conoscenze al braccio di un vecchio amico di Cambridge. E, quando questi era uscito di scena, l'attenzione della ragazza si era trasferita su di lui e per alcune settimane travolgenti Jordan aveva creduto di essere innamorato, o quasi. Ma era intervenuto il raziocinio.

    Si erano lasciati senza rancori ed erano rimasti amici. Lei in seguito aveva sposato Oliver Cairncross, sebbene sir Oliver avesse vent'anni buoni più della sposa: la loro era stata la classica unione di denaro, per parte di lui, e bellezza, per parte di lei. Jordan li aveva ritenuti una coppia felice.

    Quanto si sbagliava!

    «Io ti consiglio di vuotare il sacco. Confessa questa relazione a Ollie e molto probabilmente lui ti assolverà.»

    «Restano sempre le lettere. Guy è abbastanza furioso da farle pervenire a chissà chi... E se arrivano in Fleet Street, Ollie sarà umiliato pubblicamente.»

    «Credi davvero che Guy si abbasserebbe a tanto?»

    «Non ho dubbi. Gli offrirei del denaro se si potesse risolvere la faccenda così ma, dopo tutto quel che ho perso a Montecarlo, Ollie mi tiene a stecchetto. E non posso chiedere un prestito a te. Voglio dire, ci sono cose che proprio non si possono chiedere agli amici.»

    «Il furto rientra in tale categoria» replicò asciutto Jordan.

    «Ma non sarebbe un furto! Quelle lettere le ho scritte io, e quindi sono mie. Riprendo solo ciò che mi appartiene.» Si protese in avanti, gli occhi scintillanti come diamanti azzurri. «Non sarebbe difficile, Jordan, so esattamente in quale cassetto le conserva. Sabato sera c'è la festa di fidanzamento di tua sorella. Se tu lo invitassi...»

    «Beryl non sopporta Guy Delancey.»

    «Invitalo lo stesso! E mentre lui è a Chetwynd a scolarsi champagne...»

    «Io dovrei razziargli la casa?» Jordan scosse il capo. «E se mi colgono sul fatto?»

    «I domestici di Guy hanno il sabato sera libero. La casa sarà deserta. E anche se dovessero scoprirti, tu racconta che si tratta di uno scherzo... magari ti porti appresso una bambola gonfiabile e spieghi che gliela vuoi mettere nel letto. Ti crederanno. Chi metterebbe in dubbio la parola di un Tavistock?»

    Lui si accigliò. «È per questo che chiedi a me di compiere la bella impresa? Perché sono un Tavistock?»

    «No. Lo chiedo a te perché sei l'uomo più in gamba che conosca. Perché non hai mai e poi mai tradito un mio segreto.» Lo fissò negli occhi con espressione di totale fiducia. «E perché sei l'unico al mondo su cui possa far conto.»

    Accidenti! Poteva aspettarsela una risposta del genere.

    «Accetti, Jordie?» aggiunse lei, afflitta. «Dimmi di sì.»

    Lui si passò una mano tra i capelli. «Ci penserò» rispose. E si lasciò andare contro lo schienale della poltrona guardando, rassegnato, la parete di fronte a cui erano appesi i ritratti degli antenati Tavistock. Tutti gentiluomini senza macchia. Neanche un ladro in famiglia.

    Fino a quel giorno.

    Le luci degli alloggi del personale si spensero alle undici e cinque.

    Il buon Whitmore rispettava puntualmente il suo ruolino di marcia. Alle nove faceva il giro della casa controllando che porte e finestre fossero ben chiuse. Alle nove e trenta passava in cucina, magari a prepararsi un tè. Alle dieci si ritirava al piano di sopra. Alle undici e cinque spegneva la luce.

    Quella era stata la sua routine nell'ultima settimana e Clea Rice, che dal sabato precedente sorvegliava l'abitazione di Guy Delancey, presumeva che l'avrebbe mantenuta fino alla morte. I maggiordomi, dopotutto, avevano il compito di tenere in regola la vita dei loro datori di lavoro. Era quindi comprensibile che volessero tenere in regola anche la propria.

    Adesso restava l'interrogativo: quanto ci avrebbe messo a prendere sonno?

    Nascosta dietro la siepe di tasso, Clea si rialzò e cominciò a spostare il peso da un piede all'altro per ristabilire la circolazione. L'erba era bagnata e i pantaloni le si erano appiccicati alle cosce. La serata era tiepida ma lei si sentiva intirizzita, non solo per via degli indumenti umidi, ma per l'agitazione. E, sì, la paura. Era una tipa abbastanza sicura delle proprie capacità da essere convinta che non l'avrebbero scoperta, ma una minima possibilità di errore restava comunque.

    Avrebbe lasciato al maggiordomo venti minuti per addormentarsi, non di più. Altrimenti avrebbe avuto un margine di tempo troppo ristretto. Guy Delancey poteva rientrare prima del previsto e lei desiderava essere ben lontana quando lui avesse varcato la porta d'ingresso.

    Be', a quel punto il vecchio Whitmore di sicuro sarebbe stato immerso in un sonno profondo.

    Clea emerse cauta da dietro la siepe e scattò via. Corse fino a raggiungere il riparo di un gruppo di arbusti e là si fermò a riprendere fiato e valutare la situazione. Tutto tranquillo nella casa, nessuna traccia di movimenti. Per fortuna Guy Delancey detestava i cani; l'ultima cosa che le ci voleva quella sera era un dannato animale che le sbraitava contro.

    Raggiunse il lato della casa e attraversò la terrazza lastricata arrivando alla portafinestra. Come previsto, era chiusa a chiave. Sarebbe stato un lavoretto elementare: una rapida occhiata alla luce della pila tascabile le confermò che si trattava di una vecchia serratura un po' arrugginita, probabilmente vecchia quanto la casa. In fatto di sicurezza domestica gli inglesi erano rimasti indietro di anni luce. Trasse dal marsupio il set di cinque grimaldelli e cominciò a provarli. I primi tre non diedero risultato. Inserì il quarto, lo girò lentamente e sentì lo scatto.

    Un giochetto da ragazzi.

    Spinse il battente ed entrò nella biblioteca. Illuminati dalla luce della luna che entrava dalle finestre scorse i libri allineati sugli scaffali. Adesso veniva il difficile: dove poteva essere l'Occhio del Kashmir? Di certo non in quella stanza concluse passando sulle pareti il raggio della pila. Troppo accessibile ai visitatori, miserevolmente indifesa dai ladri. A ogni modo diede una rapida controllata.

    Niente Occhio del Kashmir.

    Sgusciò fuori, nel corridoio. Il sottile fascio di luce scivolò su superfici di legno lucidato e vasi antichi. Esaminò salottino e soggiorno. Niente. Tralasciò sala da pranzo e cucina: Delancey non avrebbe mai scelto un nascondiglio così a portata dei domestici.

    Restavano le camere al piano di sopra.

    Con il passo silenzioso di un gatto, Clea risalì la scala. Sul pianerottolo si fermò, tendendo l'orecchio. Nessun rumore. A sinistra, lo sapeva, c'era l'ala della servitù. La camera da letto di Delancey doveva trovarsi sulla destra. Prese quella direzione andando dritta alla porta in fondo al corridoio.

    Abbassò la maniglia ed entrò richiudendosi piano la porta alle spalle.

    Il chiarore lunare si riversava dal balcone attraverso la portafinestra, rivelando una stanza enorme. Le alte pareti erano coperte di quadri. Il letto a baldacchino era abbastanza ampio da accogliere un intero harem. Inoltre un poderoso cassettone, un gigantesco armadio a quattro ante, comodini e uno scrittoio facevano bella mostra di sé. Nelle vicinanze del balcone c'erano due poltrone e un tavolino disposti attorno a un tappeto persiano, probabilmente antico. Clea ebbe un gemito. Sarebbero occorse ore per ispezionare quella camera.

    Acutamente consapevole dei minuti che scorrevano, iniziò dallo scrittoio. Controllò i cassetti cercandovi scomparti segreti. Si avvicinò al cassettone frugando tra strati di biancheria intima e fazzoletti.

    Passò all'armadio che si profilava come un titanico monolito contro la parete. Stava per aprirne un'anta quando udì qualcosa e si raggelò.

    Un debole fruscio proveniente dall'esterno. E poi di nuovo, più forte.

    Si girò verso la portafinestra. Stava succedendo qualcosa di bizzarro: di fuori, oltre la balaustra, i tralci del glicine si agitavano. D'un tratto una forma si profilò al di sopra dell'intrico di foglie. Clea intravide una testa maschile, capelli biondi che rilucevano nel chiaro di luna, e subito si nascose dietro il fianco dell'armadio.

    Magnifico. Avrebbero dovuto prendere i talloncini con il numero per stabilire a chi toccava compiere la prossima violazione di domicilio. Era un'incognita con cui non aveva fatto i conti: imbattersi in un ladro concorrente. E incompetente, per giunta, pensò disgustata sentendo le rumorose vibrazioni delle ceramiche da esterni, subito interrotte.

    Un breve silenzio. L'intruso stava in ascolto per capire se qualcuno si era allarmato. Il vecchio Whitmore doveva essere sordo come una campana se non aveva sentito tutto quel baccano.

    La portafinestra si aprì cigolando.

    Clea si ritrasse più indietro. E se lui l'avesse scoperta? L'avrebbe aggredita? Non aveva portato con sé nulla con cui difendersi.

    Un tonfo sordo fu seguito da un mugolio seccato: «Al diavolo!».

    Buon Dio. Quel tizio era più pericoloso per sé che per gli altri.

    Dei passi si stavano avvicinando.

    Lei si addossò al muro. Un'anta dell'armadio si spalancò andando a fermarsi a poche dita dalla sua faccia. Un ticchettio di attaccapanni mentre gli abiti venivano spinti di lato, poi il sibilo di un cassetto che veniva aperto ruppero di nuovo il silenzio della casa. Una torcia elettrica si accese e la luce si insinuò nella fessura dell'anta. L'uomo frugò borbottando tra sé proteste irritate con accento raffinato.

    «Mi ha dato di volta il cervello. Completamente partito. Come diavolo ha fatto a convincermi...»

    La curiosità ebbe la meglio. Clea allungò il collo per sbirciare attraverso uno spiraglio. L'uomo esaminava il cassetto aperto. Profilo netto, ben definito, aristocratico. I capelli erano biondo grano e un po' arruffati. Non era certo vestito da ladro. In smoking e

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