Seduzione dal passato: Harmony Destiny
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Book preview
Seduzione dal passato - Andrea Laurence
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
What Lies Beneath
Harlequin Desire
© 2012 Andrea Laurence
Traduzione di Franca Valente
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-566-3
Prologo
«Non intendo mai più salire su uno dei vostri aerei. Sa quanto mi è costato il biglietto? È inaudito.»
Le orecchie di Adrienne furono colpite da un’acuta voce femminile mentre saliva a bordo e oltrepassava la zona riservata alla prima classe. Quel tono adirato sembrava rispecchiare lo stato d’animo di Adrienne, anche se lei era furiosa con se stessa, non con un’assistente di volo che non aveva nessuna colpa.
La zia l’aveva avvertita che sarebbe stato stupido e rischioso investire i soldi dell’assicurazione sulla vita ereditati da suo padre nell’apertura di un negozio di abbigliamento. Aveva previsto che sarebbe tornata a Milwaukee completamente al verde entro un anno.
Su una cosa, però, si era sbagliata. Erano passati tre anni da allora e Adrienne aveva avuto un discreto successo. Si era creata una piccola clientela affezionata, ma alla fine rimanere a galla in una città come New York si era rivelata una cosa economicamente insostenibile.
Cercò il proprio posto e si rese conto con orrore di essere seduta vicino alla donna che prima aveva fatto quella piazzata. Si era calmata, ma non aveva l’aria felice. Adrienne afferrò un libro, sistemò il bagaglio a mano e incollò il naso alle pagine per evitare di incontrare lo sguardo della vicina.
«Non posso credere di essere stata cacciata dalla prima classe per lasciare spazio a un gruppo di giapponesi. E invece sono qui, schiacciata nel posto vicino al finestrino. Non riesco neppure muovere le braccia.»
Adrienne pensò che l’aspettavano le due ore più lunghe della sua vita. «Vuole scambiare il sedile col mio?» le domandò. Era l’unica cosa che avrebbe potuto fare per salvarsi, anche se le sarebbe piaciuto rispedirla in prima classe. Purtroppo non c’erano più posti, a meno che la gentile signora non accettasse di sedersi in grembo al pilota.
Quella piccola offerta cambiò l’atmosfera. «Sarebbe splendido, la ringrazio.» L’espressione della donna si addolcì immediatamente, e Adrienne notò quanto fosse attraente. Il cattivo umore non le giovava. Ripensò a sua madre osservando l’ampio sorriso che rivelò denti candidi e labbra piene. Erano molto simili, lunghi capelli castani e luminosi occhi verdi. L’abito sapeva di ricchezza e le calzava perfettamente. Le scarpe erano l’ultimo modello di un famoso stilista.
Adrienne represse una fitta di gelosia. Quella donna sarebbe stata perfetta nel ruolo della favolosa figlia di Miriam Lockhart. Da sua madre lei aveva ereditato la passione per la moda e l’abilità con la macchina da cucire, ma fisicamente era il ritratto di suo padre, con i capelli indomabili e i denti storti che non poteva permettersi di migliorare.
Adrienne si alzò per cambiare posto. Non le dispiaceva stare vicino al finestrino. Avrebbe potuto lanciare un’ultima occhiata a New York mentre scompariva insieme ai suoi sogni.
«Mi chiamo Cynthia Dempsey» si presentò la sua vicina sedendosi.
Adrienne la guardò, sorpresa. Non si aspettava che le rivolgesse la parola. Sistemò il libro nella tasca del sedile di fronte e le rivolse un sorriso, sperando che miss Perfezione non notasse i suoi denti storti. «Molto lieta. Adrienne Lockhart.»
«È un nome importante. Starebbe benissimo su un cartellone pubblicitario a Times Square.»
Oppure sull’etichetta di un abito. «Non sono destinata ad avere successo, comunque grazie.»
Mentre l’aereo rullava sulla pista, Cynthia cominciò a giocherellare con l’enorme diamante che portava al dito. La fascia era troppo grande per le sue dita sottili, e la gemma sembrava pesarle.
«Si sposerà presto?» le domandò Adrienne.
«Sì» rispose Cynthia sospirando, ma il suo viso non si illuminò come avrebbe dovuto. Si chinò verso di lei. «Sposerò William Taylor III, con una cerimonia al Plaza, il prossimo maggio. La sua famiglia possiede il Daily Observer.» Sembrava quasi che le avesse appena confidato un pettegolezzo, come se il suo matrimonio fosse l’evento mondano dell’anno.
Sarebbe stato davvero l’evento dell’anno. Nonostante fossero sedute l’una accanto all’altra, Adrienne sentiva che c’era una distanza abissale tra loro. Probabilmente per il solo abito Cynthia aveva speso più di quanto lei aveva ereditato dal padre. «Chi le confezionerà il vestito?» La moda era l’unico terreno che avevano in comune, perciò Adrienne diresse la conversazione su quell’argomento.
Cynthia citò una sartoria di lusso.
«Mi piace come lavorano, ho fatto uno stage da loro quando ero all’università, ma preferisco un abbigliamento che piaccia alle donne che lavorano. Cose sportive, capi abbinabili» commentò Adrienne.
«Lavora nel campo della moda?»
Lei fece una smorfia. «Sì. Ho avuto una piccola boutique a Soho per un po’ di anni, ma ho dovuto chiudere.»
«Dove posso vedere i suoi capi?»
Le mostrò la camicetta che indossava, con l’originale taglio del colletto e i dettagli delle cuciture che erano una sua caratteristica. «Dato che ho chiuso con la moda, questa è la sua ultima possibilità di vedere una creazione di Adrienne Lockhart.»
«Peccato, il suo top mi piace e anche le mie amiche lo apprezzerebbero. Temo che nessuna di noi vada abbastanza spesso in centro.»
Aveva lavorato per tre anni combattendo per farsi conoscere, mandando campioni ai giornalisti più famosi con l’idea di vedere apparire le sue creazioni su qualche rivista prestigiosa. Aveva indossato i propri abiti a ogni occasione mondana per attirare lo sguardo di qualche vip. Tipico della sua fortuna incontrarne una proprio lì, mentre tornava a casa.
Il comandante annunciò il decollo e Adrienne si preparò a partire, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata al sedile. Odiava volare, temeva le turbolenze e provava una spiacevole sensazione allo stomaco ogni volta che era su un aereo. Seguiva sempre un rituale scaramantico per rilassarsi, ripetendosi che le auto erano più pericolose, ma non funzionava.
Mentre l’aereo accelerava sulla pista guardò la vicina. Cynthia stava nervosamente cincischiando con l’anello di diamanti, sembrava che neppure lei amasse volare. La cosa la fece sentire maggiormente a proprio agio. L’aereo si sollevò, scosso dalle correnti d’aria che lo spingevano verso l’alto. Il movimento fece scivolare il gomito di Cynthia dal bracciolo e l’anello le volò via dal dito. Cadde tra i loro piedi andando poi a finire nelle file dietro.
«Oh, accidenti» si lamentò Cynthia mentre si guardava intorno.
Adrienne stava per rassicurarla quando un forte scoppio spazzò via dalla sua mente ogni pensiero dell’anello. L’aereo vibrò con violenza e puntò verso terra. Angosciata Adrienne guardò fuori dal finestrino, e vide che non si erano ancora allontanati molto dal suolo.
Strinse i braccioli con forza e chiuse gli occhi, cercando di ignorare i gemiti dell’equipaggio e le grida dei passeggeri. Con voce tesa il pilota annunciò un atterraggio di emergenza. Adrienne si pentì di non aver prestato attenzione alle misure di sicurezza. Si ricordò di mettersi in posizione china con la testa tra le ginocchia e le braccia intorno alle gambe. Strinse forte gli occhi quando udì un altro forte scoppio. Le luci si spensero e l’aereo cominciò a barcollare.
Non restava altro che pregare.
1
Quattro settimane dopo.
«Cynthia?»
La voce penetrò attraverso la nebbia, richiamandola dall’abbraccio protettivo del sonno cui il suo corpo restava legato. Voleva dire alla voce di andarsene, ma quella insisteva a svegliarla.
«Cynthia, c’è qui Will.»
Qualcosa le tormentava il cervello, una sensazione insistente che la mandava in confusione tutte le volte che la chiamavano Cynthia. Come una farfalla che si posava sulla sua spalla per un attimo per poi volare via poco prima che si riuscisse ad afferrarla.
«Forse è meglio che torni più tardi, deve riposare.» La voce profonda dell’uomo la portò più vicina alla coscienza, come capitava ogni volta che la sentiva.
«No, sta solo sonnecchiando. Voglio che si alzi e si muova, che parli con gli altri.»
«A che scopo? Non ci riconosce neppure.»
«I dottori dicono che la memoria potrebbe tornarle in qualsiasi momento.»
La voce della donna sembrò sconvolta dalla fredda osservazione dell’uomo. «La cosa migliore che possiamo fare per aiutarla è parlarle. È difficile, ma dobbiamo provarci tutti. Cynthia, cara, svegliati.»
I suoi occhi si aprirono. Ci volle un po’ prima che riuscisse a mettere a fuoco l’ambiente circostante. Le luci sopra la sua testa, il viso della signora che la sovrastava. Ma chi era? Scavò nei recessi oscuri della propria memoria. Le dicevano tutti che si trattava di sua madre, Pauline Dempsey. Era scoraggiante il pensiero che perfino sua madre fosse una sconosciuta per lei.
Ma aveva un bell’aspetto. Pettinata con cura, i capelli scuri tagliati di fresco, portava un foulard di seta a fiori attorno al collo, che si abbinava perfettamente con il colore del tailleur pantalone e degli occhi grigi. Nel tentativo di sollevare il braccio per sistemarle il foulard, si accorse di essere bloccata da un tutore che le proteggeva il braccio fratturato. Forse un piccolo cambiamento l’avrebbe reso più grazioso e moderno... Chissà perché le venivano quei pensieri, l’amnesia era una strana compagna.
«Cara, c’è qui Will.»
Pauline premette il tasto per metterla in posizione seduta, lei si sistemò i capelli e spostò il braccio ingessato per stare più comoda.
In quella posizione riuscì a vedere Will, seduto ai piedi del suo letto. Dicevano che fosse il suo fidanzato. Guardandolo, così bello ed elegante, stentava a crederci. Aveva capelli castani chiari e ben curati, ma abbastanza lunghi da poterci passare le dita. Il viso nobile e squadrato era ingentilito dalle labbra piene, che lei non poteva fare a meno di fissare. Le sembrava che avesse gli occhi blu. Non poteva dirlo con certezza poiché non era ancora riuscita a incrociare il suo sguardo. Non si sentiva a proprio agio nel farlo e non sapeva spiegarsene il motivo.
Non era la sola cosa che non riusciva a spiegarsi, ma nelle ultime settimane era riuscita almeno a capire una cosa, che il suo fidanzato non la amava assolutamente. Non le si avvicinava quasi mai e la guardava sempre con espressione perplessa. Quando non sembrava confuso o sospettoso per le cose che lei diceva o faceva, appariva indifferente nei suoi confronti. Il pensiero le faceva venire voglia di piangere, ma non osava. Quando si agitava, le infermiere le somministravano dei calmanti che le intontivano perfino il cuore.
Invece trovava interessante osservare i suoi abiti. Quel giorno portava un completo grigio scuro, una camicia sartoriale blu e una cravatta a fantasia. Dirigeva un giornale e poteva farle visita solo nell’intervallo del pranzo o dopo il lavoro, salvo che non avesse degli incontri, e ne aveva sempre molti.
Sicuramente, era una scusa comoda per non andarla a trovare.
«Ciao, Will» cercò di salutarlo, ma la voce non le uscì chiara come avrebbe voluto. Gli interventi chirurgici al viso cui era stata sottoposta erano andati bene, ma non era ancora guarita del tutto. Le avevano dovuto mettere qualche impianto dentale e dopo la rimozione dei punti aveva difficoltà a muovere le labbra. Ogni volta che parlava le sembrava di aver ingoiato una rana tanto la gola le bruciava.
«Vi lascio un po’ di privacy» disse Pauline. «Vuoi del caffè, Will?»
«No grazie, sto bene così.»
La donna uscì lasciandoli soli nell’ampia stanza che l’ospedale riservava ai degenti più ricchi e famosi. Categoria in cui rientrava anche lei, perché la sua famiglia aveva elargito una grossa donazione all’ospedale parecchi anni prima. Almeno, così le avevano detto.
«Come ti senti oggi, Cynthia?»
Il viso era ancora tumefatto e le faceva male il braccio, ma nel complesso non si sentiva male. La prima volta in cui si era svegliata si era sentita come se fosse stata per giorni dentro una centrifuga. Le doleva ogni centimetro del corpo, poteva parlare o vedere a stento perché il viso era gonfio. Aveva fatto molti progressi da allora. «Piuttosto bene, oggi, grazie. E tu?»
Will rimase colpito dalla sua risposta ma si riprese subito. «Sto bene, come sempre sono molto impegnato.»
«Hai l’aria stanca.» Era vero. Non sapeva come fosse di solito, ma aveva notato che le occhiaie si erano fatte più profonde dall’ultima volta che era andato a trovarla. «Dormi