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L irreprensibile Miss Hardwick
L irreprensibile Miss Hardwick
L irreprensibile Miss Hardwick
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L irreprensibile Miss Hardwick

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About this ebook

Inghilterra, XIX secolo.
Chloe Hardwick maschera l'insicurezza dietro una barriera di efficienza e perfezione. Poi un giorno incontra Braedon, Marchese di Marland, uomo dal fascino tenebroso e dallo sguardo ammaliante, e la sua corazza rischia di incrinarsi. Per la prima volta, infatti, desidera mostrarsi come la dolce Chloe e non come l'inappuntabile Miss Hardwick. Liberare la sua vera personalità non sarà semplice come togliersi gli occhiali e cambiare abito, ma l'amore, a volte, riesce a fare miracoli!
LanguageItaliano
Release dateAug 10, 2018
ISBN9788858985847
L irreprensibile Miss Hardwick
Author

Deb Marlowe

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    Book preview

    L irreprensibile Miss Hardwick - Deb Marlowe

    Immagine di copertina:

    Nicola Parrella

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Unbuttoning Miss Hardwick

    Harlequin Historical

    © 2012 Debra Bess

    Traduzione di Maddalena Togliani

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-584-7

    Prologo

    «Signorina! Sta arrivando!»

    Con il cuore che le batteva forte, Chloe Hardwick colse l’agitazione nella voce della domestica. Si avvicinò alla scrivania, raddrizzò la schiena e si sistemò gli occhiali nuovi sul naso.

    Era chiaramente una reazione inadeguata.

    «Signorina!» Com’era possibile che quella ragazza riuscisse a strillare e a sussurrare nello stesso tempo? Quella gioia febbrile le irritava i nervi già tesi. «Cielo!» sibilò la domestica dal corridoio. «È quasi arrivato!»

    Chloe trattenne un’ondata di panico. Era la resa dei conti. Era giunto il momento di confessare le bugie, svelare l’inganno al marchese predatore.

    È solo un soprannome, rammentò a se stessa.

    Nessuna delle sue famigerate conquiste, fatte sui campi di battaglia e tra i letti d’Europa, avrebbe avuto alcun peso lì, nel castello di Denning. Chloe se lo ripeté per tranquillizzarsi, poi fissò la ragazza con uno sguardo severo. «Grazie, Daisy. Puoi andare.»

    La domestica, delusa, si allontanò immediatamente.

    Chloe si rilassò per un attimo e fece scorrere un dito sulla fila di bottoni della giacca. Era vestita in modo poco elegante ma, come sempre, quell’abbigliamento inconsueto le dava forza e sicurezza, come se quella fila fitta di bottoni fosse una schiera di soldati pronti a difenderla dal resto del mondo. Trasse un respiro profondo, ignorando il trambusto dell’arrivo, ed estrasse un incartamento dalla pila ordinata che si trovava sull’angolo della scrivania.

    «Hardwick!» Il grido riecheggiò da sotto, seguito dai passi che avanzavano su per le scale. Si arrestarono quando l’ignaro datore di lavoro di Chloe richiamò l’attenzione di un domestico invisibile. «C’è un carro carico che sta arrivando. Che nessuno tocchi nulla fino a quando non ci sarò lì io a controllare. È chiaro?»

    Non attese nemmeno la risposta. I passi ora si stavano avvicinando.

    «Hardwick!» chiamò ancora.

    Chloe avvertì la grande sagoma che irruppe nel suo piccolo studio, prima ancora di vederla.

    «Hardwick?»

    Ecco. Era il momento al quale era preparata da quasi sedici mesi, ma che continuava a terrorizzarla. Avvertì una scarica di adrenalina. Chiuse gli occhi e cercò disperatamente di controllarla. Quando li riaprì, però, vide che le tremava la penna in mano. La posò piano e si alzò in piedi.

    «Lord Marland, benvenuto a casa» disse fissando la penna. «Che piacere riavervi qui.»

    Compì uno sforzo per alzare lo sguardo oltre la scrivania e un frammento del tappeto, ma si arrestò su un paio di stivali da cavallerizzo un poco impolverati.

    Oh, cielo!

    Chloe aveva un debole per gli uomini con gli stivali e dovette trattenere un sospiro di ammirazione. Lisci, di pelle nera, alti fino al ginocchio e più bassi sulla parte posteriore, logori per l’uso, che gli abbracciavano i polpacci muscolosi.

    «Sì, sì. Grazie.» Il Marchese di Marland si schiarì la voce. «Cerco Hardwick.»

    Lei, allora, alzò gli occhi sulla sagoma alta e forte che dominava la piccola stanza e si fermò un’altra volta.

    Era molto diverso da ciò che si aspettava, molto meglio del ritratto appeso nella galleria al piano di sotto. Era imponente e... tutto sbagliato. Con le spalle larghe, il petto ampio e i muscoli sodi, Lord Marland sembrava uscito dalle pagine di un libro di storia. Un guerriero vichingo, forse, o un antico cavaliere, non certo un gentiluomo di nobile stirpe come i pochi che aveva visto. Persino i capelli sembravano di un’altra epoca: i folti riccioli castani gli scendevano sulle spalle raccolti in una coda sulla nuca. Chloe non poté evitare di squadrarlo, strappandogli via con l’immaginazione le brache aderenti. Sembrava destinato a indossare abiti in pelle o un’armatura. O, forse, un plaid scozzese. Anzi, no, altrimenti non avrebbe potuto portare quei meravigliosi stivali.

    Lui si schiarì nuovamente la voce, facendo trasalire Chloe, che tornò di colpo alla realtà.

    «Hardwick» ripeté lui. «Dove lo posso trovare?»

    Lei raccolse ogni briciolo di forza, ogni oncia di determinazione che aveva, lo fissò negli occhi neri e sicuri e gli rispose: «Sono io Hardwick, milord».

    Il marchese batté le palpebre. Per un istante la osservò da capo a piedi, come aveva fatto lei soltanto poco prima. Poi sbuffò impaziente. «Adoro gli scherzi, Miss... chiunque voi siate, tuttavia oggi non ho tempo. Devo parlare subito con Hardwick. Mr. George Hardwick. Il mio Hardwick.»

    Chloe voleva distogliere lo sguardo dai suoi occhi scuri, ma non ne ebbe il coraggio. Stava per giocarsi tutto. «Mr. Hardwick, mio padre adottivo, si è ammalato subito dopo la vostra partenza all’estero, milord. Da allora è confinato a letto mentre lotta contro una malattia che lo sta distruggendo.» Trasse un respiro profondo. «A tutti gli effetti, sono io il vostro Hardwick, signore.»

    Lui si raddrizzò. Con lo sguardo penetrante sembrava volerla incenerire. La giovane lo fissò negli occhi e si trattenne in attesa dell’esplosione.

    Invece non avvenne nulla. Anzi, il marchese restò immobile. Gli occhi di ossidiana scintillarono per un istante, poi si voltò. Un secondo dopo era già andato via. Lei lo udì correre giù per le scale.

    Chloe sapeva dove si stava dirigendo, ma non ebbe il coraggio di seguirlo. Per favore, supplicò in silenzio. Non aveva un posto dove andare. Aveva bisogno di quel lavoro, sebbene non amasse ammetterlo ad alta voce.

    Si sentì cedere le ginocchia e si lasciò cadere sulla sedia con la testa fra le mani.

    Braedon Denning, settimo Marchese di Marland, oltrepassò impaziente i teloni incerati che separavano l’ala nuova dal resto del castello di famiglia. La sua ala. Ciò che avrebbe lasciato ai posteri, e al diavolo suo padre e suo fratello!

    Si riempì i polmoni di aria che sapeva di segatura e dell’aroma acre di vernice, ma che gli sembrò dolce.

    Pareva tutto a posto. La rabbia cominciò a placarsi mentre percorreva l’ampio pavimento di pietra grigia. Il complesso intarsio di marmo italiano era proprio come ricordava dai disegni. A metà strada, alzò lo sguardo e notò le nicchie arcuate intorno a lui e l’impalcatura lungo una parete, fino ai primi lavori della galleria del secondo piano.

    «Dannazione!» imprecò, solo per sentirne l’eco dal soffitto a volta. Si era preparato al peggio e, invece, sembrava che i lavori dell’ala fossero in anticipo rispetto ai tempi previsti. Era stata già costruita perfino l’entrata separata, come aveva richiesto. Con impazienza varcò la porta sormontata dal frontone per esaminare il luogo dall’esterno.

    Era perfetto, ogni blocco di pietra era un capolavoro di precisione. Braedon percorse ogni palmo del perimetro senza trovare un difetto. L’ansia e l’irritazione cominciarono a svanire per lasciare spazio a una crescente curiosità. Quando tornò davanti all’entrata e trovò la giovane sconosciuta che aspettava sui gradini, poté studiarla con il consueto e prudente distacco.

    Ma non ci riuscì.

    Aveva di fronte una donna che non corrispondeva a una delle solite categorie. Era alta, questo era ovvio. Tutti gli altri dettagli fisici, però, erano nascosti. Portava una giacca di taglio maschile e una gonna dalla forma severa dello stesso materiale. Aveva un fisico snello o florido? Impossibile dirlo dietro quell’abito che sembrava un’armatura, anche se Braedon immaginava che sotto quella gonna si nascondessero gambe lunghe e deliziose.

    Non sapeva, forse, che un abbigliamento così non faceva altro che stuzzicare la curiosità maschile? Era quello il suo gioco? Braedon la osservò con diffidenza. Era cresciuto in un ambiente crudele e oppressivo, e aveva imparato presto che i regali oscuri e pericolosi spesso si presentavano avvolti in una carta luccicante.

    «L’arenaria di Aislaby è stata un’ottima scelta» esordì lei mentre il marchese le si avvicinava. «Perfetta per il resto dei muri esterni.» Gli lanciò un’occhiata e allungò la mano per toccare la pietra dal tono dorato. «Anche se abbiamo sfiorato il disastro quando dalla cava ci hanno fatto sapere che avremmo dovuto attendere un anno per avere il materiale necessario per completare i lavori.»

    Braedon le osservò la mano. La ragazza accarezzava la pietra come se fosse viva e potesse sentirne l’approvazione.

    «E, tuttavia, sembra che abbiate rispettato la tabella di marcia» osservò lui. «Come avete fatto?»

    «Il proprietario della cava aveva saputo della vostra partenza per l’Europa» rispose lei. «Così aveva pensato che il vostro progetto fosse meno urgente rispetto a quello di altri clienti.» Si voltò e lo fissò negli occhi. «L’ho convinto del contrario.»

    Braedon incrociò le braccia e la osservò divertito. «Quindi, devo supporre che siate stata voi a occuparvi di tutto ciò...» Fece una pausa e abbassò la voce, adottando un tono che avrebbe fatto tremare di paura anche soldati veterani. «... in pratica dal giorno in cui sono partito?»

    Lei lasciò cadere il braccio e raddrizzò le spalle. «Che lo crediate o meno, è la pura verità.»

    «Voglio vedere Hardwick.» Il suo era un ordine.

    «Vi sta aspettando con impazienza» replicò Chloe in tono calmo. Poi, con la tristezza negli occhi, aggiunse: «Ma vi chiedo di non essere troppo duro con lui, milord. Lo troverete molto... debilitato».

    «Perché nessuno mi ha detto niente?»

    «All’inizio volevo solo l’opportunità di mettermi alla prova. E poi, speravamo che mio padre si rimettesse al massimo nel giro di qualche mese.» Le si fermarono le parole in gola e gli si rivolse con ironia. «Inizialmente, il vostro viaggio doveva essere molto più corto, se ricordate.» Fece un sospiro. «E, più si protraeva la vostra assenza, più era complicato dirvi la verità. Ho quindi deciso di fare del mio meglio e di aspettare il momento opportuno per confessare.»

    «Ed eccoci qui.» Braedon le passò accanto e superò la grande porta.

    Lei lo seguì da vicino.

    «La prossima settimana dovrebbero arrivare le colonne di alabastro venato. Una volta sistemate, i lavori nella galleria cominceranno a procedere veloci.»

    Lui procedeva veloce, ma la ragazza riusciva a stargli dietro.

    «Il vostro arrivo è quanto mai opportuno. Gli stuccatori vorrebbero farvi alcune domande sulle modanature nelle nicchie. Ho qualche schizzo di Mr. Keller. Vi sarei grata se ne sceglieste uno, milord.»

    Braedon trasalì e la fronteggiò. «Brian Keller è un architetto di grande talento e notevole abilità. Oltre a essere anche un libertino di prim’ordine. Devo credere che per...» Fece due conti. «... quindici mesi...»

    «Quasi sedici» lo corresse lei.

    «Per sedici mesi, Keller ha preso ordini da voi

    «No.»

    Braedon fece un ghigno trionfante.

    «Ha collaborato con me, che è tutt’altra cosa.» Lei ridacchiò. «Lo ammetto, all’inizio era riluttante, ma alla fine ho avuto la meglio.»

    «E come?» Lui non riuscì a celare i propri sospetti.

    Chloe si limitò a sorridere. «Lui non è riuscito a farsi consegnare la pietra di Aislaby in tempo.»

    L’uomo si stizzì. «Sentite, Miss... Hardwick?»

    Lei annuì.

    «Forse avete davvero talento nell’organizzare o forse solo nel manipolare gli uomini.» Il marchese continuò senza fare caso alla reazione piccata della giovane. «Ma George Hardwick era qualcosa di più che un semplice direttore dei lavori di quest’ala. Era il responsabile di tutta la mia collezione. Avete la minima idea di che cosa significhi? Del ritardo che dobbiamo avere accumulato?» Gemette e accelerò di nuovo il passo.

    Miss Hardwick, invece, si fermò di colpo. «Venite con me, milord.» Si girò bruscamente e si diresse verso un angolo della stanza. Dietro una porta nascosta apparve un passaggio stretto e un pesante uscio con due serrature. Lei estrasse dalla tasca un anello pieno di chiavi.

    «Aspettate qui» gli disse, mentre la porta si schiudeva su una stanza buia. Entrò e, dopo qualche istante, il locale fu rischiarato.

    Era un laboratorio, notò Braedon, mentre lei accendeva una lampada dietro l’altra. Pennelli sistemati con cura e altri piccoli strumenti erano disposti intorno alle pareti. Accatastate contro il muro, erano sistemate casse di tutte le dimensioni. In fondo c’era una scrivania coperta di fogli, pergamene e libri.

    Braedon si affrettò a entrare. C’era una spada corta di bronzo, intaccata dalla patina verdastra del tempo. La sollevò ammirato. Qualche mese prima aveva scovato quel tesoro in un negozio ungherese di rarità: era incrostata di sporcizia e sembrava essere stata usata come apriscatole. Ora aveva tra le mani un capolavoro.

    Fece scorrere un dito lungo l’incisione a rilievo accanto all’elsa e si avvicinò alla luce per esaminarne il filo della lama. «Chi?» domandò. «Chi l’ha restaurata?»

    L’orgoglio con cui lei la osservava fu una risposta sufficiente.

    «Come?»

    «Mio padre mi ha aiutata. Parla piano e il corpo lo sta abbandonando, ma la testa è quella di sempre.» Chloe raggiunse la scrivania e prese un incartamento. «Ho fatto un po’ di ricerche. Questi sono gli appunti sull’età, la fabbricazione e l’uso possibili. Ho anche annotato qualche idea su come potreste esporla.»

    Lui alzò lo sguardo e socchiuse gli occhi. «Che altro ho mandato? Il pugnale egizio? Il fodero lavorato in avorio?»

    «È tutto qui, milord.» A uno a uno, gli mostrò i pezzi che l’uomo aveva raccolto durante gli ultimi mesi, aggirandosi tra collezionisti, banchi dei pegni e rigattieri di mezza Europa. Ognuno brillava di nuovo splendore ed era stato trattato con la dovuta venerazione.

    Rimase impressionato suo malgrado. Quando riprese a parlare, lo fece usando rispetto al posto dell’ostilità. «Non c’è dubbio che abbiate fatto un ottimo lavoro, Miss Hardwick. Avete tutta la mia riconoscenza.» Il sollievo che notò dietro quei suoi occhiali lo obbligò però a riprendere subito. «Resta, tuttavia, un problema. Ho sbagliato a restare tanto tempo fuori e ora mi attende una lunga lista di mansioni di cui occuparmi. Contavo su Hardwick per proseguire con la mia collezione, per andare in giro e viaggiare al posto mio. Acquisire pezzi di questo tipo implica molto lavoro: corrispondenza, buonsenso, abilità nella negoziazione e attitudine a spostarsi.» Braedon fece un sospiro. «Avevo scritto a vostro padre di un pezzo che desidero in modo particolare, una rara lancia giapponese da poco giunta dall’Oriente. Odio il pensiero di dovervi rinunciare.»

    Senza dire una parola, la giovane estrasse un’altra chiave e si diresse a un armadio alto nell’angolo. Lo aprì e rivelò lo scintillio del metallo che proveniva da un’arma dal lungo manico.

    Lui rimase ammutolito. Si precipitò per portare l’arma alla luce. Osservò la lama da samurai lavorata in modo magistrale. Poi guardò la giovane con ammirazione. «Come avete fatto?»

    «Ho seguito le istruzioni che avevate inviato a mio padre. Mi sono fatta accompagnare da William, il valletto più robusto che avete, e da una delle vostre affittuarie, una giovane vedova. Abbiamo formato una bella squadra.»

    Lord Braedon aveva ancora centinaia di domande che voleva rivolgerle, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dall’incredibile pezzo che aveva tra le mani. «Ingrandiremo una delle nicchie!» esclamò all’improvviso. «Disegnatela apposta per quest’arma, sarà uno dei pezzi forti della collezione.»

    «In realtà, una volta ho visto una magnifica teca in una collezione privata di manoscritti. Ho fatto qualche modifica e questo è il risultato. Possiamo metterla al centro della stanza.»

    Lui fissò lo schizzo splendidamente presentato ed elaborato. «Lo avete disegnato voi?»

    Lei fece segno di sì con il capo.

    Braedon le si avvicinò per osservarla. Scacciò la breve delusione all’idea di non sapere che cosa nascondesse quell’involucro in cui era avvolta. Non poté evitare di guardarsi alle spalle, verso la parte principale dell’edificio. Era tornato al castello di Denning, il luogo dove era sempre stato privato di ciò che più desiderava. Cercò di non pensarci. In ogni caso, non era sua abitudine ficcare il naso negli affari degli altri, e meno ancora raccontare i propri.

    Il bellissimo disegno attirò di nuovo la sua attenzione e lui prese una decisione.

    «Molto bene, allora, Miss Hardwick, volete essere la mia Hardwick?»

    1

    Un anno dopo

    «Signorina?» Il carpentiere fece capolino nel suo studio. «Avete un momento? C’è una cosa che dovreste venire a vedere.» Fece un cenno con il capo indicando l’ala delle armi.

    Chloe, stringendo a sé la corrispondenza, si alzò subito dalla scrivania. «Che cosa succede, Mr. Forrest?» protestò lei. «Non sarà di nuovo il pavimento della galleria, spero!»

    «Andiamo, signorina...»

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