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Parola d'onore
Parola d'onore
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Parola d'onore

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About this ebook

Inghilterra, 1815 - Un solo pensiero occupa la mente del Visconte Gilmorton: punire l'uomo che ha sedotto e abbandonato sua sorella, provocandone la morte. E quale vendetta migliore di riservare all'amata sorella di quest'ultimo lo stesso destino? Il piano di Gil prende velocemente forma mentre, sotto mentite spoglie, si reca a Fallbridge dove vive Miss Deborah Meltham. Deborah è una ragazza ingenua e insicura, segnata da un passato difficile: sarà semplice per lui farla cadere tra le proprie braccia. Ma altrettanto facilmente accade che Gil si senta intrigato dalla freschezza e dalla tenacia con cui la ragazza protegge la propria famiglia. Lentamente si fa strada in lui il dubbio che le cose non siano come sembrano e che la sete di vendetta gli abbia offuscato la ragione e precluso l'amore. Questa volta per sempre.
LanguageItaliano
Release dateMar 20, 2018
ISBN9788858978672
Parola d'onore
Author

Sarah Mallory

Sarah Mallory lives in an old farmhouse on the edge of the Yorkshire Pennines and writes historical romantic adventures.  She has had over 20 books published and her Harlequin Historicals have won the  RoNA Rose Award in 2012 and 2013.  Sarah loves to hear from readers! Contact her via her website at: www.sarahmallory.com

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    Parola d'onore - Sarah Mallory

    successivo.

    1

    Dunque, quella era la sua preda: Miss Deborah Meltham.

    Tenendosi al bordi della sala, lontano dalla luce dei candelabri, Gil studiò la giovane donna che ballava con il fratello. C'era una notevole somiglianza tra i due, anche se Randolph, Lord Kirkster, era più alto e più biondo. Gil doveva ammettere che era un uomo attraente, vestito alla moda, con folti capelli ondulati che gli lasciavano libera la fronte. Era anche un abile ballerino, ma c'era in lui un'aria di indifferenza, un'inquietudine, come se desiderasse trovarsi altrove. Il classico eroe byroniano, dissoluto quanto il poeta stesso, pensò Gil piegando le labbra in una smorfia, prima di rivolgere l'attenzione alla sorella.

    Sotto il semplice abito di mussola verde, la sua figura era minuta ma proporzionata. Non era affatto il suo tipo, ma in fondo era irrilevante. Non aveva mai mostrato preferenze per un particolare tipo di donna perché era convinto che i soldati non dovessero sposarsi, e lui era un soldato. O lo era stato. Ora che era in congedo, immaginava che a un certo punto avrebbe preso moglie, ma sarebbe stato un matrimonio di convenienza. Non c'era bisogno che venissero coinvolti i sentimenti. Secondo la sua esperienza, l'amore significava soltanto perdita e un dolore insopportabile.

    Ciò che aveva in mente adesso non aveva niente a che fare con il matrimonio, o con il corteggiamento. Doveva tener fede a un giuramento, ed era l'unico modo per lenire il dolore che minacciava di distruggerlo. Da quando aveva lasciato l'esercito, l'estate prima, si era ritirato dalla società, consumato dal dolore e determinato a cercare vendetta. Ecco perché era così interessato a Deborah Meltham. Riportò l'attenzione su di lei.

    I lineamenti erano regolari, e sarebbe stata perfino graziosa senza quello chignon severo. Non indossava gioielli, e l'abito era accollato, con le maniche lunghe. Scialba e priva di stile, decise Gil valutandola con freddezza. In quel momento, però, Lord Kirkster disse qualcosa, lei sollevò lo sguardo e un sorriso trasformò il suo volto. La vivacità dei luminosi occhi verdi lo costrinse a rivedere il suo giudizio. Con riluttanza, Gil dovette ammettere che era più che graziosa.

    Provò una contrazione improvvisa al petto e una scossa di desiderio. Sotto l'abito puritano e l'acconciatura severa, era bellissima.

    «Quindi non dovrebbe essere difficile corteggiarla» borbottò tra sé.

    Allontanò un brivido di disgusto. Non aveva mai sedotto una donna, anche se in più di dieci anni di vita militare aveva visto altri uomini farlo. Non che gli mancassero le donne disponibili, e alcune le aveva portate anche a letto, ma solamente quelle che capivano le regole e accettavano che non fosse niente di più di un'avventura. Le relazioni duravano poco e, quando finivano, Gil si mostrava generoso per attutire il colpo.

    Quella volta, però, era diverso. Non era una questione di piacere, ma di dovere. Si portò una mano al volto, seguendo la sottile cicatrice sulla guancia. Quel segno poteva essere un problema, soprattutto perché non aveva intenzione di usare né il suo titolo né la sua ricchezza per attirare la donna. Bene, solo il tempo poteva dirlo.

    La musica finì e Gil osservò Miss Meltham che lasciava la pista da ballo al braccio del fratello. Gli sguardi che si scambiavano gli confermarono che erano molto legati l'uno all'altra. La disgrazia della donna sarebbe stato un duro colpo per il giovane lord. Da quanto aveva appreso, Gil era convinto che l'unico modo per vendicarsi di lui fosse attraverso la sorella. Kirkster aveva già perso al gioco gran parte della propria fortuna, e sembrava importargliene ben poco. Deborah era l'unica cosa a cui tenesse, l'unica che lo trattenesse dalla bancarotta e dalla disgrazia. Gil si allontanò dalla pista da ballo, mettendo a tacere gli scrupoli. Doveva essere così. Sfidare a duello Kirkster non sarebbe stata una punizione sufficiente. Doveva soffrire come aveva sofferto lui. Se poi Kirkster l'avesse sfidato per aver rovinato la sorella, Gil avrebbe avuto il piacere di trapassarlo con una pallottola.

    E Deborah Meltham?

    Ancora una volta Gil dovette mettere a tacere la coscienza, ma era solo un sussurro, facilmente messo da parte. Dopotutto ne sarebbe uscita solo con un cuore spezzato. E lui non l'avrebbe costretta, avrebbe fatto in modo che venisse da lui spontaneamente. La seduzione sarebbe stata la sua vendetta sul fratello. Occhio per occhio. Una seduzione per una vita. Due vite.

    Tre, se si contava il bambino non nato.

    Deborah avvertì un fremito alla spina dorsale mentre ballava. Lo sconosciuto era ancora lì e la osservava dall'ombra. Non l'aveva mai visto chiaramente, ma era come se potesse sentire fisicamente la sua presenza. Quando la danza finì, si guardò intorno nella sala e lo vide. L'uomo dalla figura imponente che aveva notato diverse volte, in città, nelle ultime settimane. Si teneva a distanza e le voltava le spalle ogni volta che lei lo guardava, oppure spariva in un androne. Vestiva in modo semplice, ma il portamento le diceva che era un uomo di una certa importanza.

    Non per la prima volta, pensò di parlarne a Ran, ma che cosa poteva dirgli? L'uomo non l'aveva mai accostata, e lei non l'aveva mai sorpreso a guardarla con insistenza. Eppure era come se il suo corpo sapesse quando si trovava nelle vicinanze. Lo percepiva come un animale selvatico sente un pericolo.

    Randolph ne avrebbe riso, se glielo avesse detto. L'avrebbe liquidata come una fantasia femminile, e forse era proprio così. Gli strinse il braccio. «Ran, si stanno preparando le coppie per un'altra danza popolare» lo informò. «Non dovremmo tornare sulla pista?»

    Lui scosse il capo. «Ho fatto il mio dovere e ho danzato due volte con te. Adesso ho intenzione di andare nel salotto delle carte.»

    «Ma sei un ballerino così bravo! Non ti andrebbe un altro ballo?»

    Le sorrise. «No, mia cara. Preferisco le carte.»

    Sapendo che il suo buonumore poteva svanire da un momento all'altro, Deborah rinunciò a discutere. «Bene, allora verrò anch'io e starò a guardare. Se non ti dispiace.»

    «Per niente, ma ti annoierai. Non preferiresti ballare?»

    «Non senza di te» rispose lei senza esitare.

    «Andiamo, allora, Deb. Sarai il mio portafortuna.»

    Deborah infilò la mano sotto il suo braccio, ma dalla sua espressione capì che si era già dimenticato di lei prima ancora di entrare nel salotto delle carte.

    Osservò il gioco, allontanando con discrezione il cameriere quando stava per riempire il bicchiere di Ran. Sapeva che non c'era da temere quando il fratello giocava a carte lì. I gentiluomini raccolti intorno al tavolo conoscevano lei e Randolph sin da quando erano bambini. Sir Geoffrey non avrebbe permesso che la posta si alzasse troppo, e il vecchio Mr. Appleton avrebbe posto fine al gioco se le perdite di suo fratello fossero diventare troppo consistenti, quindi doveva tenere sotto controllo quanto beveva. Tuttavia non lo riprese quando ordinò un'altra bottiglia, per non metterlo in imbarazzo. Sperava solo che si stancasse presto del gioco e l'accompagnasse a casa.

    Rimase al suo fianco, nascondendo la mortificazione con il passare delle ore. Più Ran beveva, più si faceva incauto al gioco. Mentre le perdite salivano, diventava sempre più scuro in volto, ma Deborah sapeva che era meglio tacere. Quando lo vide mettere sul tavolo un'altra mano perdente, agitò il ventaglio. «Cielo, fa un caldo che sembra di essere in estate anziché a marzo!» esclamò. «Non so come fai a concentrarti, caro fratello, io mi sento svenire.»

    «Davvero? Vai a casa allora, se lo desideri. Prendi la carrozza, ti raggiungerò più tardi.»

    Sforzandosi di fare una risata leggera, Deb si avvicinò e gli toccò il braccio, dicendogli con affetto: «Non posso andare senza di te, Ran. Sai che non riuscirò a dormire finché non sarai a casa».

    Lui scrollò le spalle con aria scontrosa. «Non ti basta che abbia accettato di vivere in questo posto arretrato?» mormorò. «Devi anche sorvegliarmi ogni minuto?»

    «Ran, questo non è...»

    Scostando la sedia dal tavolo, lui disse: «Vogliate scusarmi, signori. Mia sorella è stanca e deve andare a casa».

    Sotto il tono cordiale, Deborah comprese che era furioso dalla mascella contratta e dai pugni stretti ai fianchi.

    «Ma certo, figliolo.» Il vecchio Mr. Appleton lo congedò con un gesto prima di prendere un nuovo mazzo di carte. «Andate, ora. Avrete la vostra rivincita la prossima settimana.»

    «L'avrò, signore. Vieni, mia cara.»

    Una volta fuori, Ran si mostrò pieno di attenzioni, ma quando Deborah prese la mano che le tendeva, non c'era dolcezza nella sua stretta. Pazienza. Poteva sopportare il suo malumore, purché tornasse a casa con lei. In silenzio, con il sorriso stampato sul volto, accompagnò il fratello alla carrozza in attesa.

    «Vostra Signoria desidera la carrozza?»

    «No, Harris, oggi vado in città a piedi.» Gil gettò un rapido sguardo al valletto. «E cerca di smettere di chiamarmi Vostra Signoria. Finché siamo a Fallbridge, sono solo Mr. Victor.»

    «E se posso permettermi di dirlo, Vostra... signore, ci siamo già da troppo tempo.»

    Gil era impegnato a fare il nodo al fazzoletto da collo e finse di non sentire. Quello era il problema, con i vecchi dipendenti, non si poteva rimproverarli se esprimevano un'opinione. E John Harris era più di un domestico, era stato sergente nel reggimento di Gil. Insieme avevano affrontato la morte in diverse occasioni, la più recente nella sanguinosa battaglia di Waterloo. John avrebbe obbedito a qualsiasi comando di Gil senza fare domande, ma ciò non gli impediva di dire quando disapprovava qualcosa. Ed era chiaro che disapprovava il piano di Gil.

    «Desiderate che venga con voi?» chiese. «Se questo Kirkster dovesse scoprire chi siete, potrebbe essere pericoloso.»

    «Mio caro John, il nostro uomo non mi conosce e non saprà chi sono finché non sarò pronto. A meno che le tue chiacchiere non mi tradiscano» ribatté Gil.

    «Be', lasciate che vi dica che non mi piace. Non capisco perché non lo sfidiate a duello e non gli piantiate una pallottola in corpo.»

    Il nodo al fazzoletto era perfetto, ma Gil continuò a fissare lo specchio. «Sarebbe una morte troppo facile, per lui» dichiarò. «Voglio che sappia cosa si prova a veder soffrire una persona cara senza poter fare niente per aiutarla.»

    «Io dico solo che non è da voi, signore.» Harris scosse il capo. «Posso capire che vogliate giustizia, ma non in questo modo contorto.»

    «Se non ti piace, John, sei libero di tornare a Gilmorton e di aspettarmi lì.»

    «Così vostra madre si preoccuperà ancora di più, sapendovi solo? No, milord. Sono al vostro fianco e lo sarò fino alla fine. Qualunque essa sia.»

    Il sospiro che accompagnò quelle parole cupe attenuò il cipiglio di Gil. Si voltò sorridendo e mise una mano sulla spalla del valletto. «E io sono felice di averti con me, John, davvero. Ora resta qui e cerca di raccogliere qualche pettegolezzo su Kirkster e sua sorella nella sala mescita, mentre io uscirò ad assaporare l'atmosfera di Fallbridge in un giorno di mercato!»

    Era un mattino soleggiato, e la camminata dalla locanda al mercato era breve. Gil aveva scelto con cura i suoi abiti, una semplice giacca di lana color ruggine, pantaloni di daino e stivali. Era il tipico abbigliamento di un gentiluomo di campagna, anche se un occhio esperto avrebbe capito che la giacca veniva da uno dei migliori sarti Londra, gli stivali lucidi erano stati acquistati da un noto calzolaio tra Piccadilly e St James's Street, il cappello dalla tesa ricurva, il gilet color crema e la camicia candida erano il marchio di un gentiluomo alla moda.

    Gil si trovava a Fallbridge da due settimane per familiarizzare con la zona, ma non aveva fretta di avvicinarsi a Lord Kirkster o a sua sorella. Aveva visto Kirkster un paio di volte in qualche taverna e al ballo della sera prima al Red Lion, ma Deborah Meltham era spesso in giro per la città. Sembrava godesse di grande rispetto, a Fallbridge, e trascorreva gran parte del suo tempo in opere di carità o in visite ai vicini. Di tanto in tanto l'aveva vista fare qualche acquisto per la casa, prima di tornare all'imponente residenza di famiglia ai margini della città, sulla strada per Ormskirk. Visitava raramente la modista o il merciaio, e Gil aveva concluso che non era molto interessata a frivolezze come nastri e cappellini.

    Camminava sempre da sola, senza nemmeno una cameriera, e aveva un contegno riservato, come se fosse determinata a tenere a bada il mondo. Gil si chiese se si sentisse sola, e fu costretto a respingere un moto di simpatia. Se era così, sarebbe stata più ricettiva al suo approccio.

    Provò un brivido di freddo e lo attribuì al vento che soffiava a raffiche, costringendolo a tenere il cappello per impedirgli di volar via. Accelerò il passo, a capo chino, dirigendosi verso il centro, dove gli edifici alti offrivano riparo dal vento. Mentre girava l'angolo della strada principale, per poco non si scontrò con qualcuno che veniva dalla direzione opposta. Una donna, si rese conto, cogliendo con un colpo d'occhio gli stivaletti e l'abito semplice e pratico. Si fermarono entrambi. La donna emise un'esclamazione sommessa, e Gil vide un pacchetto avvolto in carta marrone cadere al suolo.

    «Vi prego di perdonarmi.» Istintivamente si chinò a raccoglierlo e, sollevando gli occhi mentre glielo tendeva, si trovò a guardare in viso Miss Deborah Meltham.

    Deborah era persa nei propri pensieri. Aveva fretta di restituire alla sua amica Lady Gomersham lo scialle che le aveva gentilmente prestato e di tornare da Randolph, ma quello scontro evitato per poco la portò a una battuta d'arresto. Mormorò una scusa mentre il gentiluomo raccoglieva il pacchetto, però fu soltanto quando si rialzò e la guardò che lo riconobbe.

    Dimenticate le buone maniere, fissò l'uomo che le porgeva il pacchetto. Da un paio di settimane era solo una figura in ombra, ma il destino le offriva un'opportunità di studiarlo, e lei la colse. Registrò ogni dettaglio: i capelli neri, gli occhi grigio ardesia sotto le sopracciglia arcuate, la bocca seria e il mento deciso. Le linee del viso erano troppo spigolose per essere definite belle, segnate da una sottile cicatrice che correva sul lato sinistro, dalla tempia al mento.

    Tutti i suoi sospetti vennero confermati quando incontrò il suo sguardo. La sua non era l'espressione di un uomo che si è appena imbattuto in una sconosciuta. L'intensità del suo sguardo le trasmise un brivido e le fece accelerare il polso, ma un istante dopo lui fece un passo indietro e sorrise educatamente, portandosi la mano al cappello, prima di allontanarsi. Deborah strinse il pacchetto e rimase immobile mentre cercava di calmare il battito del cuore. Non doveva voltarsi. Raccogliendo tutta la forza di volontà, si costrinse a svoltare l'angolo e a portarsi fuori vista, ma per il resto della giornata le rimase impressa nella mente l'immagine severa e inflessibile dell'uomo con la cicatrice.

    Peccato. Gil accelerò il passo, imprecando contro la sfortuna. Non faceva parte dei suoi piani incontrare Deborah Meltham finché non avesse saputo qualcosa di più su di lei. Doveva essere sicuro del fatto suo, se voleva avere successo. Non aveva mai fatto niente del genere, prima, e aveva intenzione di pianificare ogni mossa come avrebbe fatto con un'operazione militare, per assicurarsi di raggiungere il risultato voluto.

    Si fece scuro in volto, pensando alla reazione della donna a quell'incontro inaspettato. In un primo momento aveva mostrato sorpresa e imbarazzo, ma, quando l'aveva guardato in viso, c'era stato qualcosa di più. Riconoscimento. Maledizione! Era stato attento a mantenere le distanze mentre l'osservava, ma era chiaro che non era stato sufficiente. Dopo quell'incontro casuale, non poteva più rimandare il suo piano, quindi era meglio andare avanti. Scrutò la piazza e, dopo aver individuato la preda, si fece avanti.

    «Sir Geoffrey, buongiorno a voi.» Gil si toccò il cappello con un sorriso cordiale e, quando l'uomo lo fissò con sguardo assente, aggiunse: «James Victor. Forse ricorderete che ci siamo incontrati nel salotto delle carte, ieri sera».

    «Ah, sì, Mr. Victor. Buongiorno, signore, buongiorno.» L'uomo più anziano gli sorrise. «Ora ricordo! Siete qui per affari, se non sbaglio.»

    «No, no, non proprio per affari. Sono intenzionato ad acquistare una proprietà della zona.»

    «E non c'è posto migliore, signore, ve l'assicuro!» Sir Geoffrey sprizzava cordialità da tutti i pori. «Avete già visto qualcosa?»

    Gil nominò un paio di case, fece qualche domanda e non ci volle molto per ottenere l'effetto desiderato.

    «Bene, se siete seriamente intenzionato, signore, forse dovreste incontrare qualcuno dei vostri futuri vicini. Mia moglie darà una piccola festa, domani sera. Niente di speciale, capite, solo un paio di tavoli di carte e qualche danza. Gomersham Lodge, alla fine di Mill Lane.»

    «Sarei lieto di venire, solo che... Lady Gomersham non avrà obiezioni?»

    «Niente affatto, le fa sempre piacere avere qualche giovane gentiluomo...» Gli occhi chiari di Sir Geoffrey brillavano felici, «... e se sarete disposto a partecipare a un paio di danze, ne sarà ancora più felice!»

    Gil si lasciò convincere, scambiò ancora qualche parola con Sir Geoffrey e riprese la sua strada, compiaciuto. Aveva visto il nome di Lady Gomersham sul pacchetto che aveva raccolto per Miss Meltham, quindi era più che probabile che l'avrebbe incontrata il giorno dopo a Gomersham Lodge.

    Solo più tardi, mentre si stava facendo la barba davanti allo specchio, si ricordò che negli occhi verdi di Miss Meltham non aveva visto alcuna ripugnanza. Sembrava che avesse notato appena la cicatrice.

    2

    Il mattino dopo Deborah fu sollevata di trovare il fratello seduto al tavolo della colazione, apparentemente di buonumore. Lo salutò con un bacio sulla guancia, prima di sedere accanto a lui. «Lady Gomersham ci ha invitati a cena, questa sera» annunciò in tono leggero cercando di non apparire troppo ansiosa. «Vogliamo andare, Ran?»

    «Se lo desideri.»

    «Oh, sì» rispose lei. «Lizzie è appena tornata dal suo viaggio a Londra, dove stava con la zia. L'ho vista ieri, quando sono andata in visita, e devo dire che era molto elegante. Ci metterà tutte in ombra» concluse con una risatina, guardando

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