Prigionia d'amore: Harmony Destiny
By Susan Crosby
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About this ebook
Julianne Johnson ha bisogno di qualcuno che la protegga. Zach possiede un castello in un'isola deserta e protegge le persone per mestiere. Sembrerebbe la soluzione ideale, se non fosse che per Julianne quella meravigliosa dimora si è trasformata in una sorta di prigione e l'uomo che la ospita è diventato il suo sensuale e misterioso carceriere. Se di giorno le riesce difficile accettare l'idea di aver perso la propria libertà, di notte, tra le lenzuola, diventa la sua docile e seducente concubina.
Susan Crosby
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Prigionia d'amore - Susan Crosby
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Forced To the Altar
Silhouette Desire
© 2006 Susan Bova Crosby
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-543-8
www.harlequinmondadori.it
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1
«Questo non era nei patti» protestò Julianne Johnson, le parole inghiottite dal ronzio del motoscafo che sfilava veloce verso Promontory, una delle isole dell’arcipelago di San Juan, al largo della costa di Washington. Internet le presentava come paradisi per i turisti, disseminate di villaggi di pescatori, colonie di artisti e piste ciclabili. Tutte tranne Promontory, o Prom, come la chiamava il pilota del motoscafo, raggiungibile solo per mezzo di un’imbarcazione privata o di un elicottero, non essendo servita da traghetti pubblici.
Via via che si approssimavano alla costa, Julianne poté osservare l’isola più da vicino. Com’era possibile che una terra così sperduta fosse anche una meta turistica?
Era stata mandata lì per nascondersi durante il processo a suo fratello e si sarebbe guadagnata da vivere lavorando per il proprietario di una locanda, un certo Zach Keller. Così, almeno, le avevano detto.
Ma, se c’era una locanda, ragionò, tentando di rassicurarsi, dovevano pur esserci dei turisti, no?
Forse non era così disabitata come a prima vista sembrava.
«Dov’è il centro urbano?» gridò al pilota, il signor Moody, un sessantenne dai capelli brizzolati e il fisico asciutto e tonico.
L’uomo puntò il dito di fronte, ma lei non vide che alberi, rupi e un promontorio roccioso che si protendeva nelle acque dell’oceano.
Pensò che Purgatory fosse il nome più adatto a quella landa desolata, che sarebbe stata la sua prigione per chissà quanto tempo.
Il motoscafo rallentò di colpo e si infilò in mezzo ad altre imbarcazioni ancorate nel porticciolo, segno che l’isola non era del tutto disabitata.
Il signor Moody assicurò la barca e aiutò Julianne a saltare sull’ondeggiante passerella di legno che conduceva al molo. A parte una Jeep, non vi era traccia di anima viva.
«Dov’è il centro abitato?» ripeté Julianne.
«Da quella parte» rispose il suo accompagnatore con un cenno del capo, avendo entrambe le mani impegnate con le valigie.
«E che cosa c’è?»
«Un emporio e un distributore di benzina.»
«Tutto qui?»
«Non serve altro» fu la lapidaria risposta.
Julianne inspirò a fondo, socchiudendo gli occhi, sconsolata.
Qualche istante dopo, salirono a bordo della Jeep e percorsero una stradina stretta e lastricata. Dopo un paio di minuti, comparve un edificio in lontananza. Julianne aguzzò la vista, mentre una ruga di meraviglia le solcava la fronte. «È un castello» mormorò, incantata.
«Portato pietra dopo pietra dalla Scozia e poi assemblato nuovamente.»
«Dal signor Keller?» Un’immagine del suo nuovo capo, in kilt e capelli rossicci svolazzanti alla brezza dell’oceano, le si delineò nella mente.
«No. Da qualcuno molto prima di lui, un certo Angus McMahon.» Così dicendo, il signor Moody accostò la Jeep a lato dell’imponente costruzione.
Scesero dalla vettura e raggiunsero un arco in pietra che sormontava una solida porta in legno massiccio. La penombra novembrina li accompagnò all’interno dell’edificio. I loro passi rimbombavano fra le pareti e i pavimenti di pietra grigia, mentre Julianne seguiva la sua guida dall’atrio d’ingresso verso uno spazioso ambiente con un ampio focolare di forma semicircolare, in stile antico, ma con una cucina attrezzata di tutti i comfort moderni, con un piano cottura di acciaio scintillante e ripiani di marmo.
Una donna alta e corpulenta, dai capelli rossi, era in piedi davanti al lavandino, intenta a lavare della lattuga. Il suo viso rimase immobile quando la vide.
«Mia moglie Iris» annunciò il signor Moody.
«Ben arrivata, signorina Johnson.»
«Julianne, la prego» la invitò lei, testando il suo nuovo nome, il nome che era stato scelto per nascondere la sua identità.
Sperava che la coppia le ricambiasse la cortesia, ma nessuno dei due le propose di chiamarli per nome. Si domandò se non avesse fatto meglio a scegliere un altro posto dove nascondersi, qualcosa di più informale. Non che gliene fosse stata data la possibilità. Era stato il suo amico – o presunto tale – James Paladin, a combinare tutto, senza chiederle alcun parere.
«Le mostro la sua stanza» si offrì la donna, asciugandosi le mani sul grembiule e sottraendo una delle due valigie dalle mani del marito.
Julianne prese l’altra e la seguì. Salirono due rampe di scale, gradini stretti, angusti che davano l’impressione di essere invasi dalle ragnatele, ma che invece erano pulitissimi. Bastò solo il pensiero, però, a farle accapponare la pelle. In cima c’era un piccolo pianerottolo con una porta. Niente corridoio, accesso ad altri ambienti. Semplicemente una porta.
«Questa è una delle due stanze della torre» spiegò la signora Moody e appoggiò la valigia di Julianne su una cassapanca ai piedi di un letto matrimoniale coperto da una soffice trapunta bordeaux e dei cuscini. «I vestiti che ci ha spedito la scorsa settimana sono stati sistemati nell’armadio e nella cassettiera.»
Julianne provò un immediato senso di fastidio al pensiero che un estraneo aveva toccato le sue cose.
«Il castello è stato rinnovato qualche anno fa. Vedrà, qui troverà tutti i comfort di una normale abitazione. La biancheria per il letto e il bagno è nel mobiletto sotto il davanzale. Dopo che si sarà sistemata, venga in cucina. Il signor Zach non la raggiungerà per cena. Sta dormendo.»
Dormendo? Alle sei di sera? Doveva essere piuttosto anziano per andare a letto così presto. «Grazie, signora Moody.»
La donna chiuse la porta dietro di sé, mentre Julianne eseguiva un lento giro su se stessa. Enormi arazzi adornavano due pareti. Una finestra alta e stretta sollecitò la sua curiosità. La raggiunse, si inginocchiò sul sedile di pietra sotto di essa, ma fuori era già buio e non vide nulla di più che il profilo degli alberi e delle rocce.
Aveva sempre vissuto in città, benché tutte vicine al mare. Adorava l’odore di salmastro, la brezza, talvolta violenta, talvolta dolce, che soffiava dall’oceano e che rendeva l’aria mai stagnante. Non le piaceva la solitudine, però. Si augurava solo che il processo a suo fratello finisse il prima possibile, così da poter tornare alla sua vita di sempre. Aveva tante cose da fare, finire l’università e vivere finalmente la vita a modo suo, senza ricevere ordini o suggerimenti da nessuno.
Che c’era, in fondo, di più prezioso della libertà?
Ma finché non fosse arrivato quel giorno, doveva essere grata a James per averle trovato quel nascondiglio, un luogo sicuro in cui proteggersi dalla tempesta...
Allora perché non si sentiva affatto al sicuro?
Julianne si avvicinò a un tavolo da pranzo di legno massello che poteva ospitare fino a dodici commensali e contornato da sedie imbottite dagli alti schienali che dimostravano nello stile almeno un centinaio d’anni.
«Non sono un’ospite» protestò con la signora Moody, che l’aveva condotta nella stanza da pranzo, con un vassoio in mano. «Posso mangiare con lei e il signor Moody in cucina.»
«Io e mio marito abbiamo già cenato.»
Julianne ingoiò un sospiro. Più di un ostacolo imprevisto si stava profilando in quella sua nuova situazione. Un capo che andava a letto con le galline, due domestici iperprotettivi e ben poco socievoli e un isolamento a cui James non l’aveva affatto preparata.
«Non ci sono altri ospiti al castello?» indagò.
«Non è la stagione adatta per venire in vacanza qui a Prom» fu la sintetica risposta della donna. «Buon appetito.»
Il palato restò soddisfatto dal gustoso pesce arrosto con insalata e il pane fragrante; ma non la sua voglia di compagnia. Mangiare da soli era triste. Inoltre, un silenzio pesante permeava l’atmosfera. Finché degli strani rumori provenienti dal piano superiore non attirarono la sua attenzione. Finì in fretta di cenare e si recò in cucina, dove trovò i signori Moody seduti a un piccolo tavolo a sorseggiare del tè.
«Era tutto squisito, signora Moody» si congratulò Julianne, svuotando il vassoio nel lavandino. «Non si scomodi, li lavo io» aggiunse poi, bloccando prontamente la donna che stava per alzarsi; e immerse le mani nella schiuma, ruotando appena il capo all’indietro. «Che cosa si fa per passare il tempo, qui al castello?»
«C’è un mega-schermo in sala TV, un lettore DVD e una vasta scelta di film.»
Julianne consultò l’orologio. Erano appena le sette e trenta, troppo presto per ritirarsi in camera, anche dopo una lunga giornata di viaggio.
«Mi accompagnereste a fare un giro del castello, quando ho finito?» chiese.
La coppia si alzò in piedi. «Certo. Può andare insieme a mio marito.» La signora Moody le si avvicinò e le mormorò: «Noi ci vediamo domattina. Il caffè è pronto alle sei, ma lei può prendersela comoda, naturalmente. Non le corre dietro nessuno».
«Grazie.» Julianne era abituata a levarsi di buonora. Nell’ultimo locale in cui aveva lavorato, attaccava alle sei del mattino.
Il signor Moody la condusse attraverso la sala da pranzo e, passando per un lungo corridoio, giunsero in un ampio soggiorno dove c’erano un enorme