Calda sorpresa di natale: Harmony Collezione
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L'erede del milionario...
A pochi giorni da Natale, Elia Vanaldi scopre all'improvviso che la sua vita subirà un drastico cambiamento: da quel momento, infatti, dovrà prendersi cura del suo nipotino.
... e la giovane babysitter.
Ainslie Farrell ha appena perso il suo lavoro di ragazza alla pari. Quando Elia, conosciuto per caso nella Tube, le offre il posto di tata e governante, lo prende come un segno del destino. Anche se vivere sotto lo stesso tetto dell'affascinante milionario non può che riservarle più di qualche sorpresa.
Carol Marinelli
Nata e cresciuta in Inghilterra, ha conosciuto il marito durante una vacanza in Australia.
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Book preview
Calda sorpresa di natale - Carol Marinelli
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Hired: The Italian’s Convenient Mistress
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2008 Carol Marinelli
Traduzione di Sonia Indinimeo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5890-661-3
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
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1
Ma dov’è...?
Schiacciata tra la folla di pendolari, Ainslie si augurò che il suo zaino fosse ancora accanto alla porta, dove lo aveva appoggiato. Non aveva bisogno di aggrapparsi alla maniglia per restare in piedi nella metropolitana di Londra, che la stava conducendo verso una destinazione ancora sconosciuta. Dove posso andare?
C’era sempre l’Earls Court... Non era lì che andavano tutti i saccopelisti australiani in visita a Londra?
Solo che lei non era una saccopelista. Era arrivata in Inghilterra con una sistemazione e un buon impiego. Per tre mesi aveva amato il suo lavoro e la sua vita, fino a quella mattina.
I folti capelli biondi erano ancora umidi per la pioggia. Fastidiose goccioline di sudore le imperlarono la fronte, dando il via a un nuovo attacco d’ansia.
Che cosa faccio, adesso?
Aveva delle amiche, certo... O meglio, conosceva altre colleghe, che aveva incontrato durante i pomeriggi al parco con i bambini e con cui aveva passato qualche serata piacevole dopo il lavoro.
Amiche che in quel momento forse sedevano in un bar, commentando tra loro la triste vicenda di Ainslie, accusata di furto e licenziata dai suoi datori di lavoro. Che ci credessero o meno, non aveva importanza. Le famiglie per cui lavoravano si conoscevano e si frequentavano, quindi, se volevano mantenere il lavoro, l’ultima cosa di cui avevano bisogno era prestare aiuto a una presunta ladra senzatetto.
«Scusi» mormorò una voce maschile bassa e profonda, vicinissima al suo orecchio. Il treno aveva accelerato e il bambino che l’uomo teneva in braccio si era trovato contro il suo seno.
«Tutto bene» rispose Ainslie senza nemmeno alzare lo sguardo. Quando il treno si fermò nel tunnel tra due stazioni, cercò di scostarsi un po’, ma non c’era spazio. Inarcò la schiena per non disturbare il sonno del bambino tra le braccia dell’uomo.
Dio mio, è peggio di un forno!
Nonostante fosse un gelido dicembre, all’interno della metropolitana la temperatura era insopportabile. Centinaia di persone accalcate, con i pesanti cappotti umidi di pioggia. Qualcuno riuscì ad aprire un finestrino, e Ainslie prese una boccata d’aria.
Anche il bambino sembrava accaldato. Infagottato in un piumino, indossava un paio di guantini di lana e un cappellino con i paraorecchi. Dormiva profondamente, e le ciglia nere spiccavano sulle guance arrossate.
Che bel bambino, pensò Ainslie con gli occhi pieni di lacrime al pensiero di Jack e Clemmie, i due piccoli che non le avevano nemmeno permesso di salutare.
«Mi dispiace!» Fu il suo turno di scusarsi, quando venne spinta contro il bimbo. Osservò la sua smorfia infastidita e cercò di ritrarsi il più possibile. Sollevò lo sguardo sul padre, per fargli capire che era del tutto disarmata contro quella calca. E fu così che si sentì.
Disarmata.
Persa... nell’istante in cui si trovò a fissare il più bel volto che avesse mai visto. I folti e lucidi capelli neri erano spettinati, e aveva lunghe ciglia incurvate come quelle del figlio. Le rivolse un breve cenno di assenso per farle capire che non era colpa sua, poi abbassò la testa e si concentrò sul bambino ormai del tutto sveglio che gli si agitava tra le braccia, e gli sussurrò qualcosa in italiano.
La sua voce calda e profonda sembrava non avere effetto. Il piccolo spalancò gli occhi, azzurri come quelli del padre, e lo guardò. Ma sembrò non riconoscerlo. Il suo pianto incessante e lamentoso fece voltare parecchie teste nella loro direzione.
«Buono, Guido, va tutto bene...» L’uomo parlò in inglese, ma con un pesante accento, mentre tentava di calmarlo. Ainslie approfittò del momento in cui era chino sul bambino per osservarlo meglio. Era bellissimo, ma sembrava davvero esausto. Il volto era pallido sotto l’ombra scura della barba non fatta, e gli occhi segnati da profonde occhiaie violacee.
«Va tutto bene, Guido...» Il treno si era mosso, e lui aveva alzato la voce. Invece di calmarsi, il bambino cominciò a divincolarsi cercando disperatamente di liberarsi. Ma non c’era nessun posto dove scappare. Il suo visetto le premette contro, mentre il padre lottava per contenere le sue contorsioni.
«Va tutto bene...» mormorò Ainslie senza sapere se stava parlando con il bambino o rispondendo al padre che si era scusato. Si accorse che la piccola guancia era molto calda, e istintivamente sollevò una mano per toccargli la fronte.
«Scotta» dichiarò, guardando l’uomo. «Ha la febbre.»
«È ammalato...» confermò lui, annuendo. Se aggiunse altro, Ainslie non lo sentì. Il treno si era fermato, ed erano stati separati dalla piccola folla che sgomitava per scendere e per salire.
Be’, meglio non pensarci più... Aveva già abbastanza problemi. Doveva trovare una sistemazione per la notte, farsi dare un lavoro, senza nessuna referenza, riabilitare il suo nome e raccontare tutto a sua madre... Ma era difficile. Sentiva ancora il pianto del bambino in lontananza. Il viso del padre, la sua aria esausta, la sua voce si erano fissati nella sua mente. Quello sconosciuto pareva aver toccato una corda nascosta nel suo cuore. Forse era andato a prenderlo al nido. O stava tornando a casa dopo averlo portato dal dottore?
Ma cosa mi importa?, si chiese Ainslie mentre il treno si fermava stridendo alla stazione di Earls Court.
Era la sua fermata. Ora doveva solo cercare l’ostello della gioventù. Scese dal treno trascinata dalla folla e chissà come riuscì a recuperare lo zaino accanto alla porta. Si fermò sulla banchina in attesa che la calca si disperdesse e sospirò di sollievo.
Sentì squillare il cellulare e andò a sedersi su una panchina della stazione. Era Angus, il suo ex datore di lavoro. Fissò il telefono nervosa, senza decidersi a rispondere. Alla fine entrò in funzione la segreteria. Era una buona soluzione. Avrebbe potuto riflettere, prima di rispondere alle sue inevitabili domande.
Angus Maitlin era un medico famoso che appariva spesso in televisione e sulle riviste, nonché primario del Pronto Soccorso del più importante ospedale di Londra. Avendo vissuto accanto a lui per tre mesi, Ainslie aveva imparato ad apprezzare la sua saggezza e la sua intelligenza. Era un padre affettuoso, e quando era a casa cercava di passare del tempo con i suoi figli. Chissà come riusciva a leggere loro un libro, guardando e commentando sottovoce le notizie del telegiornale...
Ma quel ricordo non la fece sorridere. Come avrebbe potuto affrontare quell’uomo straordinario e gentile?
Ainslie? Sono Angus. Gemma mi ha detto ciò che è accaduto, e sinceramente non so cosa dire. Senti... non mi piace sapere che sei in giro senza un soldo e senza referenze. Spero che tu sia da un’amica. Se hai bisogno di denaro... possiamo trovare una soluzione. Lavorerò fino a tardi. Ti chiamerò domattina.
Era chiaro che Angus trovasse la situazione molto difficile e, per la prima volta da quando aveva lasciato la sua casa, Ainslie sentì scorrere le lacrime lungo il viso. Nonostante il tono cortese, sembrava convinto che lei fosse colpevole.
Aveva creduto a Gemma, ma in fondo era sua moglie. Una moglie che lo aveva informato dei ripetuti furti, da quando Ainslie era arrivata a casa loro. Che gli aveva detto di aver trovato un anello e una collana in uno dei suoi cassetti. Meglio dire al marito che Ainslie era una ladra piuttosto che ammettere di essere stata colta con le mani nel sacco!
O meglio, con l’amante nel letto...
Era accaduto un paio di giorni prima, quando Ainslie aveva riportato i bambini a casa prima del previsto.
Si appoggiò alla parete fredda e pianse. Aveva sperato molto nella gratifica natalizia. Aveva un bisogno disperato di quei soldi per rimediare al guaio che Nick aveva combinato. Un paio di settimane prima, leggendo le e-mail, aveva scoperto che qualche tempo prima il suo ex ragazzo aveva ottenuto un prestito a nome di entrambi, e che a un certo punto aveva smesso di pagare le rate. Il danno economico era considerevole, ma non era niente in confronto al tradimento. Singhiozzando, Ainslie fissò gli occhi appannati sulla gente carica di sacchetti natalizi e si rese conto che nessuno la guardava.
Si trovava nella città più affollata del mondo e non si era mai sentita tanto sola.
Sentì in lontananza il pianto di quel bambino, che sembrava il controcanto del suo.
Guido...
La disperazione di quella creatura così piccola la strappò ai suoi fantasmi. Si alzò e scrutò la banchina, cercando di individuare il punto in cui si trovava.
Doveva avere diciotto mesi, forse due anni. Infatti stava in piedi... no, seduto... no...! Era completamente sdraiato sulla banchina e scalciava come un ossesso. Il padre era chino su di lui. Aveva appoggiato una valigetta lì accanto e lo teneva fermo con una mano, cercando di aprire un passeggino con l’altra. Era evidente che quell’uomo non aveva mai aperto un passeggino in vita sua.
La gente gli passava accanto indifferente, proprio come aveva ignorato le sue lacrime.
Ainslie si asciugò il viso con il dorso della mano e si avvicinò. «La posso aiutare?»
Lo vide esitare un istante. Non doveva essere abituato a chiedere aiuto, ma alla fine prese il bambino e si sollevò in tutta la sua statura.
«Può aprire il passeggino?»
«Certo.» Le bastarono due brevi mosse decise.
«Grazie» ribatté l’uomo senza guardarla. Ainslie avrebbe potuto allontanarsi, ma sapeva che aprire il passeggino era solo l’inizio. Era curiosa di vedere come sarebbe riuscito ad avere la meglio su quel bambino urlante e scalciante.
Assistette in silenzio a un paio di inutili tentativi. L’uomo si era slacciato il cappotto, lasciando vedere un perfetto completo formale di squisita fattura. L’abito di un uomo d’affari, più che di un papà. Doveva trascorrere la maggior parte del suo tempo in ufficio, se il figlio non lo riconosceva nemmeno...
«Ce la faccio» disse, quando Ainslie si avvicinò.
Era sul punto di voltarsi e di abbandonarli al loro destino, quando Guido prese entrambi di sorpresa.
Fissò suo padre e smise di piangere, poi respirò e deliberatamente, rabbiosamente, gli sputò in faccia.
Non era stato un incidente! Ainslie fissò inorridita il viso attonito dell’uomo. Poi accadde la cosa più inattesa. Lo vide sorridere, prima di scoppiare in una sonora risata. Fu la volta di Guido di restare sorpreso. Si calmò di colpo, tanto da permettere a suo padre di allacciare le cinghie di sicurezza del passeggino.
L’uomo si risollevò, prese dalla tasca un fazzoletto azzurro e si pulì il viso, senza mai smettere di sorridere. «È una canaglia, proprio come suo padre!»
Non era il modo migliore di presentarsi...
«Oh...» Ainslie annuì.
Il sorriso scomparve, e l’uomo si sfilò il cappotto, avvolgendolo intorno al bambino.
Non si infagotta un bambino così caldo! Ainslie non riuscì a trattenersi. «Ha la febbre.»
«Lo so. Così lo tengo caldo.»
«No...»