La resa dello sceicco: Harmony Collezione
By Kim Lawrence
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About this ebook
Rafiq Al Kamil, erede al trono di Zatare, è convinto che la bella e innocente Gabby Barton sia perfetta come moglie a contratto per suo fratello. Ma Gabby non è docile come appare al primo sguardo. Perciò Rafiq deve impegnarsi per convincerla.
Più tempo Rafiq trascorre con Gabby e più la desidera... nel suo letto. L'attrazione inaspettata lo spinge oltre, ma quando scopre che lei è vergine si sente mancare la terra sotto i piedi. Lui non può accontentarsi di averla solo come amante e per questo, contro ogni regola prevista, le chiede di diventare sua moglie!
Kim Lawrence
Autrice inglese, rivela nei suoi romanzi la propria passione per le commedie brillanti.
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Book preview
La resa dello sceicco - Kim Lawrence
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Desert Prince, Blackmailed Bride
Mills & Boon Promo-Anthologies
© 2009 Kim Lawrence
Traduzione di Silvana Mancuso
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5892-203-3
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
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1
Rafiq si rimise la camicia di lino e si sedette. Il tessuto si allargò leggermente, rivelando i muscoli del torace dorato, ancora più scolpiti da quando aveva perso quasi sette chili.
La sua espressione non rivelava affatto l’agitazione che sentiva dentro, mentre, con i pugni serrati, lottava contro l’istinto assolutamente irrazionale di afferrare per la gola il francese dai capelli grigi e di spingerlo a negare.
Mentiva... doveva mentire!
Non lo fece, però, e non perché il dottore avesse vent’anni più di lui, ma perché sapeva che l’uomo non mentiva. Quella era la verità. Una verità scomoda, ma pur sempre la verità.
Non ci sarebbe stato per il suo cinquantesimo compleanno, ma neanche per il trentatreesimo, se per questo!
Quando il frastuono nelle orecchie si smorzò, divenendo un ruggito sordo, una frase prese forma dal groviglio scomposto di pensieri che gli mulinavano nella mente: Mantieni la calma.
Sembrava così semplice.
Anni di pratica nell’imporsi una disciplina rigida servirono e, lenta, una calma fredda prese il sopravvento.
«Quanto mi resta?»
Pierre Henri si aggiustò la giacca e si alzò lentamente. Poi attraversò la stanza e tolse le radiografie dallo schermo, riponendole nella busta mentre cercava di scegliere con cura le parole per esprimere la sua sentenza.
Dare cattive notizie non gli piaceva, ma faceva parte del suo lavoro, purtroppo. Di solito, le parole non gli mancavano in tali circostanze.
Conosceva l’importanza del linguaggio del corpo - non è ciò che dici, ma come lo dici - e sapeva come sottolineare i lati positivi, perfino quando risultava difficile essere ottimisti, tanto che una parola poteva fare la differenza per chi ascoltava.
I suoi pazienti erano tutti diversi, ma l’intuito maturato in anni di esperienza gli permetteva di trovare la risposta su misura a seconda di ciò che la persona che aveva di fronte voleva sentire.
Chiaramente esistevano delle eccezioni. E quest’uomo rappresenta l’eccezione!, pensò, tornando a sedersi di fronte al paziente.
Non appena gli occhi di Rafiq incontrarono i suoi, Pierre si sentì imperlare di sudore il labbro superiore. L’insicurezza non era una caratteristica dell’eminente medico, eppure, incontrando lo sguardo insondabile e freddo dell’erede al trono di Zantara, avvertì che i ruoli di paziente e medico si erano invertiti.
Nonostante gli avesse appena comunicato la peggiore delle notizie, quell’uomo non si scompose.
Sapeva che era inutile cercare di comprendere Rafiq Al Kamil. Era un unicum, un cane sciolto, caratteristiche queste non legate strettamente allo status e al benessere, anche se, perfino per uno come Pierre, abituato a essere consultato da persone ricche e potenti, la portata dei beni della famiglia reale di Zantara era da considerarsi quasi da favola.
Pierre avvertiva un certo disagio. Era sconcertato, nella sua vita professionale non aveva mai incontrato qualcuno che mostrasse una simile mancanza totale di reazione.
Era maledettamente difficile cercare di sostenere qualcuno che non aveva bisogno di sostegno.
Solitamente, una leggera pacca sulla spalla faceva miracoli, ma in quel caso lui avvertiva che un tentativo simile sarebbe stato interpretato come una mancanza di rispetto, o perfino come alto tradimento!
«Devo insistere, dottore.»
Pierre trasalì e arrossì al suggerimento del giovane. Per la prima volta, il principe mostrava un’emozione, ed era impazienza. Un simile controllo scoraggiava. Non era una dimostrazione di calma, era... Pierre scosse la testa lentamente, mentre il suo gergo professionale lo abbandonava. Era sinistro!, concluse.
Era consapevole di provare più rabbia e amarezza di quante ne mostrasse quell’uomo. Non era mai stato capace di dare quel genere di notizia e non sentire il fallimento, e la sensazione raddoppiava quando il paziente, pieno di vita e vigore, avrebbe dovuto avere tutta la vita davanti. Sembrava uno spreco così tragico.
All’improvviso pensò che l’atteggiamento del principe fosse dovuto al fatto che non aveva compreso appieno la gravità della situazione. Tirò gli occhiali sul naso e lanciò un’occhiata gentile all’imponente erede al trono di Zantara.
«Forse, non mi sono spiegato bene, principe Rafiq?»
«Ammetto che parte del linguaggio tecnico mi è sfuggito.»
Il francese non si lasciò ingannare, aveva notato subito lo sguardo intelligente del giovane. E anche se non lo avesse notato, che la sua mente fosse una trappola di acciaio era emerso chiaramente dalla serie di domande inquisitorie che gli aveva posto.
«Mi corregga se sbaglio» lo invitò Rafiq, pensando tra sé: La prego, dottore, mi corregga. Faccia che sia tutto un enorme malinteso. «Mi ha appena detto che ho una rara malattia del sangue giunta a uno stadio avanzato, per la quale non c’è speranza di cura?» Le sopracciglia scure si inarcarono. «C’è qualcos’altro che devo sapere?» La sua espressione preoccupata invitò il medico a parlare.
Pierre Henri si schiarì la gola. «Probabilmente starà pensando: Perché proprio io?»
Le spalle di Rafiq si alzarono mentre infilava la camicia nei pantaloni. Si fermò ad analizzare la domanda prima di rispondere. Pur non stando dritto, torreggiava sull’altro. La corporatura muscolosa e snella era atletica e lo avrebbe fatto notare anche se non avesse posseduto un viso di una bellezza mascolina ammaliante e simmetrico, tipico delle statue classiche.
«Perché non io?» Perché la capricciosa crudeltà del destino avrebbe dovuto risparmiare lui? Agli innocenti toccava anche di peggio, e lui non era innocente, ma era un uomo che aveva un compito da svolgere.
Immaginò che chiunque, nella sua posizione, sentisse di avere bisogno di più tempo... ma lui ne aveva davvero bisogno.
«Proprio così. Un atteggiamento... ehm... davvero sano... filosofia meravigliosa.»
«Quindi quanto mi resta?»
L’informazione è potere, così dicono. Perfino l’informazione che si sarebbe ben felici di ignorare. Nella mente di Rafiq potere equivaleva a controllo, e questo era un bene di prima necessità che cominciava a scarseggiare. Avvertiva che gli scivolava tra le dita come granelli di sabbia. Aveva assolutamente bisogno di un rabbocco.
Il medico abbassò lo sguardo. «Be’, ehm... queste cose sono molto difficili da stabilire con precisione.»
In altre parole, la notizia non era buona. Rafiq raddrizzò le spalle. «Faccia un’ipotesi plausibile.»
«Se vuole, può chiedere un altro parere.»
Molti pazienti, di fronte a una diagnosi a cui non desideravano o non volevano credere, lo facevano, soprattutto quelli le cui finanze potevano fare arrivare da Parigi dei medici con un jet privato per un consulto.
«Non è lei il migliore nel suo campo?»
Rafiq era consapevole di dover sentire... sentire cosa? Di più, immaginò. Ma, dopo l’iniziale pugno allo stomaco, quando si era reso conto della verità, non aveva sentito altro che una sensazione di urgenza.
«Quanto mi resta?»
«È difficile essere definitivi, ma direi sei...»
Rafiq notò il disagio del medico, tuttavia gli suscitò poca comprensione. Era consapevole invece di una crescente sensazione di impazienza. «Giorni? Settimane... mesi...?» Nulla sarebbe bastato per preparare il fratello minore a prendere il suo posto.
«Mesi.»
Il suo atteggiamento non lasciò minimamente trasparire che gli era stata appena comunicata una sentenza di morte.
«Chiaramente l’evoluzione della malattia può variare, e se lei accetta la cura palliativa si parla di...»
«La cura può influire sulle mie facoltà, la memoria?»
Il dottore ammise la possibilità con un cenno della testa. «Però, potrebbe portare i sei mesi a un anno.»
Rafiq congedò il suggerimento con un gesto della mano. «È fuori questione.»
«Posso rivedere il suo caso settimana per settimana.»
«Come vuole, dottore.»
«Sono così dispiaciuto, Sua Altezza.»
L’offerta di comprensione da parte del medico ottenne in cambio uno sguardo di sdegno. Rafiq abbozzò un sorriso e mormorò: «Lei è gentile», prima di scusarsi.
Nel corridoio, Rafiq Al Kamil permise alla maschera che gli copriva il viso di cadere, e le emozioni gorgogliarono in superficie in un’esplosione acuta e feroce. Imprecando, batté il pugno contro un muro innocente.
Attraverso gli occhi chiusi, vedeva ancora la pietà sul volto del francese. Pietà. Una cosa che non poteva, non voleva sopportare. Si rifiutava di vedere la stessa espressione sulle facce della gente che lo incontrava.
Serrò la mascella e uno sguardo determinato e orgoglioso modificò i suoi lineamenti nobili. Non sarebbe successo. Con gli occhi chiusi, Rafiq espulse l’emozione repressa con un respiro lungo e sibilante. Si rifiutava di dare spazio al terrore o alla pietà. Sarebbe morto come era vissuto: secondo il suo volere. Prima, però, occorreva sbrigare diverse faccende.
Con un’espressione fortemente decisa, uscì alla luce del sole. Mezz’ora dopo si ritrovò nelle stalle, senza ricordarsi di come vi fosse arrivato.
Hassan, lo staffiere che lo aveva messo sul suo primo cavallo quando era un bambino, si avvicinò.
«Principe Rafiq.» I modi dell’anziano signore erano rispettosi, non ossequiosi, quando chinò la testa.
«Hassan.» Il suo sorriso non si rifletté negli occhi.
«Vuole che selli un cavallo?»
Rafiq accarezzò il fianco della cavalla nel box più vicino. Annuì e replicò, noncurante: «Perché no?».
Per Rafiq, cavalcare nel deserto era un’esperienza vitale, e lui, almeno per il momento, era vivo. Il deserto era il luogo in cui si rifugiava sempre nei momenti difficili. La vista e i suoni del paesaggio senza tempo gli schiarivano la mente, consentendogli di ritrovare la concentrazione.
«Non è dell’umore migliore» lo avvertì Hassan. «È irrequieta, ha bisogno di esercizio» disse, guardandolo.
Cosa che fu evidente quando la cavalla nera, condotta da lui, roteò gli occhi, si impennò e scalciò.
«Forse lo siete entrambi...?» L’uomo più vecchio rivelava una certa preoccupazione negli occhi che non osava esprimere a parole mentre osservava il principe.
Lo aveva visto crescere, trasformarsi da bambino vivace nell’uomo che era oggi: forte, deciso, determinato. Eppure era capace di provare compassione per tutti, tranne che per sé. Un uomo che in poche parole impersonava tutte le qualità che la gente si aspetta da un leader, anche se, di tanto in tanto, in un momento di debolezza, Hassan immaginava di scorgere brevemente il bambino vivace che una volta aveva imperversato nelle stalle. Il bambino che lui rimpiangeva...
Un uomo, rifletté, doveva avere un luogo in cui abbassare la guardia, e lo rattristava che per il suo principe le stalle fossero la cosa più simile a un rifugio.
Rafiq si avvicinò con un sogghigno. «Penso che tu abbia ragione, Hassan.» Gli rivolse un sorriso caloroso. «Grazie, per il momento. Vado a cambiarmi.»
«È sempre un piacere essere utile, principe Rafiq.»
Gabby si presentò educatamente. Non ebbe scelta, in realtà, davanti a due omoni barbuti vestiti di nero che le bloccavano il passaggio. Da sempre, la sua politica era di essere educata con uomini corpulenti vestiti di nero, soprattutto se questi impugnavano scimitarre dall’elsa finemente decorata. Il buonsenso le diceva che le armi dall’aspetto barbaro erano puramente ornamentali... così sperava.
Di fatto, l’intera avventura era una lezione di speranza, ma lei tendeva sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno, anche se gli ultimi due giorni avevano messo a dura prova il suo naturale ottimismo.
Dall’espressione severa dell’uomo più grosso, era impossibile dedurre se