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La dura legge: I Romanzi Storici
La dura legge: I Romanzi Storici
La dura legge: I Romanzi Storici
Ebook279 pages3 hours

La dura legge: I Romanzi Storici

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About this ebook

Stati Uniti, 1879/1880 - Clair Travers, avventuriera e abilissima giocatrice di poker, sta fuggendo dal Texas e da un'accusa di omicidio. Il caso vuole che, arrivata nel Wyoming, si innamori nientemeno che di un tutore della legge. Jake McConnell è bello, forte e affascinante, l'uomo con cui vorrebbe trascorrere tutta la vita. Ma il compito di uno sceriffo è quello di arrestare i fuorilegge, non di esserne catturati. Sarà più forte l'amore di Jake per la giustizia o la passione che sente per Clair?

LanguageItaliano
Release dateJul 23, 2012
ISBN9788858903438
La dura legge: I Romanzi Storici

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    La dura legge - Susan Amarillas

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Wild Card

    Harlequin Historical

    © 1997 Karen L. Amarillas

    Traduzione di Daniela Mento

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2001 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5890-343-8

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Texas, 1879

    La pistola cadde di mano a Clair Travers.

    Il corpo dello sceriffo Bert Atkins scivolò silenziosamente sul pavimento della sua camera sopra il saloon.

    Con il cuore che batteva all’impazzata, Clair fissò la macchia di sangue sulla camicia dello sceriffo, che si allargava sempre di più. No, non era possibile, si disse arretrando terrorizzata.

    Scappa!

    Venne sopraffatta dal panico. Aprì la porta per fuggire e finì contro Buck Hilliard, il vicesceriffo. Lui vide Atkins a terra, nella sua stanza, e le afferrò il braccio stringendolo fino a farle male.

    «L’hai ucciso!» l’accusò.

    «Non è vero!» cercò di difendersi Clair.

    Dal saloon sottostante si udì una voce.

    «Chi ha sparato?»

    I clienti si erano zittiti all’improvviso. Guardavano verso l’alto, verso il ballatoio su cui si affacciavano le camere. Tutti dovevano aver sentito lo sparo.

    «Lasciatemi andare!» ordinò Clair al vicesceriffo.

    Non voleva finire in prigione, non voleva essere processata. Chi le avrebbe creduto? Aveva sparato allo sceriffo del paese. Una donna come lei non poteva che essere un’assassina, avrebbero detto, e l’avrebbero impiccata.

    «Lasciatemi andare!» ripeté disperata.

    E il miracolo avvenne.

    Buck Hilliard lasciò il suo braccio. Clair non ne capì la ragione ma non si fermò a fare domande. Fuggì via come il vento, alzando fino alle ginocchia la gonna di raso rosso per correre più in fretta. C’era una porta che si apriva sulla scala esterna, in fondo al corridoio. La raggiunse in un attimo, l’aprì e scese a rotta di collo la scala di legno.

    Sentiva voci e rumori provenire dall’interno del saloon. Un altro sparo la fece trasalire, spaventandola ancora di più.

    Nessuno l’avrebbe mai creduta innocente dell’assassinio dello sceriffo, nemmeno se lei l’avesse giurato su Dio. Lo sapeva, per questo stava fuggendo nell’oscurità della notte, nella strada fangosa di Mule Shoe. Si fermò a prendere fiato solo per un attimo, appoggiandosi a una staccionata e graffiandosi la mano con un chiodo sporgente.

    «Dov’è andata?»

    Il grido le gelò il sangue nelle vene. Proveniva dalla porta del saloon. Il vicesceriffo Hilliard era uscito e la stava cercando.

    «Trovatela! Ha ucciso lo sceriffo Atkins!» ordinò.

    Dall’altra parte della strada c’erano alcuni cavalli, legati davanti a un abbeveratoio. Clair non ci pensò nemmeno un attimo. Afferrò le redini del primo e gli saltò in groppa. Per fortuna aveva imparato a cavalcare, quando era arrivata in Texas.

    «Eccola! È laggiù! Sta cercando di fuggire a cavallo!» gridò uno degli uomini che avevano raggiunto il vicesceriffo sulla strada.

    Ma Clair cavalcava meglio di un uomo. I suoi talloni stavano già spronando senza pietà l’animale su cui era salita.

    «Fermatela! Fermatela!»

    Era una parola fermarla. Qualcuno tentò di farlo mentre Clair passava al galoppo davanti al saloon. Un uomo riuscì perfino ad afferrarle un braccio, ma venne scaraventato a terra da un calcio in pieno viso.

    «Assassina!» le gridò rotolando nella polvere.

    Fu l’ultima cosa che Clair sentì mentre lo stallone si allontanava nella notte, veloce come il vento. Lontano da Mule Shoe, lontano da chi voleva farle del male.

    1

    Wyoming, 1879

    Sarebbe stato difficile trovare qualche cosa di bello in Broken Spur, come in uno qualunque dei villaggi a ovest del Mississippi dove vivevano solo cercatori d’oro e cowboy. E nei tre mesi dalla sua fuga dal Texas, Clair ne aveva visti a decine.

    Ma questo era il primo paese nello stato del Wyoming, dove era appena arrivata, ed era anche più squallido di quelli precedenti. Una strada principale fangosa come una pista per mandrie, case che sembravano baracche e neppure un albero per miglia e miglia, fino all’orizzonte. Era raro vederne uno in quella terra desolata.

    Era giugno, ma il sole picchiava forte e Clair, scendendo dalla diligenza polverosa, si guardò intorno per cercare un po’ d’ombra. Intanto il postiglione le stava passando le sue borse di tela, tutto il suo bagaglio.

    «Grazie» gli disse. «Ci sono saloon in paese?» domandò poi.

    Lui la guardò sorpreso. Le ragazze per bene non facevano simili domande. La giovane passeggera gli era sembrata una ragazza a modo, con il suo semplice cappellino e l’abito blu scuro. Si era sbagliato?

    «Avete detto saloon?» chiese conferma per maggior sicurezza.

    «Ho detto proprio così.»

    Clair si divertiva sempre a fare quella domanda quando arrivava da qualche parte, e a vedere come reagiva la gente. Una donna rispettabile fingeva di ignorare che al mondo esistessero luoghi di perdizione come i saloon.

    Il postiglione sembrò imbarazzato. Poi fece un mezzo sorriso e le indicò la strada principale.

    «Ce ne sono due, lo Scarlet Lady e il Lazy Dog

    «Grazie» rispose lei andando verso la direzione che le aveva indicato.

    Era stanca morta e avrebbe venduto l’anima per un bel bagno caldo, ma gli affari venivano prima di tutto. Si specchiò nella vetrina di un negozietto e sorrise a due signore che passavano, insieme ai loro marmocchi.

    «Buongiorno» disse loro con un sorriso.

    Invece di risponderle la guardarono incuriosite. Non si dovevano vedere molti stranieri in quel luogo, soprattutto di sesso femminile e così ben vestite. I tacchi degli eleganti stivaletti di Clair risuonavano sulle tavole del marciapiede mentre andava verso il Lazy Dog. A un certo punto un profumo delizioso di torta di mele, proveniente da un ristorante a due passi da lì, la fece quasi fermare. Non mangiava nulla dalla colazione della mattina, ma gli affari erano gli affari. Proseguì con uno sforzo di volontà, cercando di non pensare al suo stomaco vuoto.

    Il Lazy Dog si trovava nell’ultimo edificio su quel lato della strada. La facciata ridipinta lo rendeva più presentabile delle altre costruzioni e il nome del locale era scritto su un’insegna sbiadita, appesa sulla porta. Aveva temuto che fosse peggio, pensò Clair, e diede un’occhiata dalle finestre per controllare che dentro non ci fosse qualcuno che avrebbe preferito evitare. Lo sceriffo, per esempio.

    Tutto a posto, pensò spingendo l’anta della porta ed entrando.

    Nel locale c’erano tre cowboy e il barista. Si voltarono tutti e quattro verso di lei, stupiti per la sua improvvisa apparizione ma senza dire una parola. Una donna non entrava in un saloon. Una donna perbene, naturalmente.

    Erano soltanto le tre del pomeriggio e il locale era vuoto. I saloon si animavano soltanto al tramonto, quando i cowboy finivano di lavorare nei ranch dei dintorni e arrivavano in paese per divertirsi. Clair constatò con compiacimento che il pavimento del Lazy Dog era pulito, a differenza di tanti locali simili, e che non c’era il solito sgradevole strato di segatura che si appiccicava alla suola dei suoi stivaletti e all’orlo del vestito.

    Per il resto il saloon sembrava come tanti altri. Il bancone del bar era di mogano, sulla parete retrostante era appeso uno specchio abbastanza pulito. Al di sopra dello specchio faceva bella mostra di sé qualche trofeo di caccia, la testa di qualche povero animale ucciso e impagliato.

    Non mancava il solito nudo femminile, in questo caso di discreta fattura e non troppo osceno. Ma la puzza di tabacco, sudore e whisky era proprio la stessa di qualunque altro locale da lì al Mississippi.

    «Se siete una di quelle fanatiche della Lega della Temperanza» l’apostrofò il barista senza tanti complimenti, «potete girare i tacchi e andarvene. Qui serviamo alcolici, è vero, ma non ci sono ragazze allegre. Perciò toglietevi dai piedi e non tornate mai più.»

    I tre cowboy scoppiarono a ridere e si scambiarono pacche sulle spalle.

    Clair aveva avuto accoglienze peggiori, ma detestò immediatamente il barista. Era un ometto mingherlino, con ridicoli baffetti grigi e la testa pelata come una palla da biliardo.

    «Avete capito o no? Volete che venga a cacciarvi a sculacciate?» la minacciò.

    I tre cowboy sembravano sul punto di soffocare dalle risate. Clair voltò i tacchi e se ne andò.

    «Peggio per voi» fu tutto quello che disse prima di uscire.

    Chi non la voleva, non la meritava. Ma a questo punto restava un solo saloon in tutto il paese, lo Scarlet Lady. Clair lo cercò con lo sguardo e lo vide, dall’altra parte della strada.

    Attraversare una strada come quella non era affare da poco, c’erano stalle più pulite della via principale di Broken Spur. Ma ce la fece ad arrivare dall’altra parte senza sporcarsi troppo gli stivaletti.

    Lo Scarlet Lady non era molto distante, ma come locale non era certo all’altezza del Lazy Dog. L’insegna era piantata con un chiodo sopra la porta e dondolava al minimo soffio di vento, l’unica finestra non doveva essere stata più lavata dai tempi di Noè. Di fianco c’era una bottega di mangimi e di sementi che riempiva con i suoi sacchi il marciapiede, e la facciata era di legno grezzo, sbiadita dalle intemperie.

    Dentro lo Scarlet Lady non era migliore che fuori. Clair entrò con passo sicuro, ma dovette fermarsi sulla soglia per permettere ai suoi occhi di adattarsi alla semioscurità del locale. Le pareti e il bancone erano di un colore irriconoscibile, tanto erano sporchi. I tavoli e le sedie scompagnate erano vuoti, nessun avventore nel locale. E del resto chi sarebbe voluto entrare in un posto così? L’unico cliente era un cane che stava leccando qualcosa sul pavimento sudicio. Una scala saliva fino a una balaustra, su cui si affacciavano le porte di un paio di camere ammobiliate.

    «Qui non serviamo tè» la mise in guardia il barista, un tipo grasso e unto come il suo locale.

    «Non voglio un tè» rispose Clair appoggiando su una sedia le sue borse da viaggio, che cominciavano a pesare.

    «E allora che cosa volete? Non sarete per caso una delle dame della Lega della Temperanza?» si allarmò.

    «Niente temperanza» gli assicurò cercando di non badare ai quadri di nudi femminili alle pareti.

    Se avesse avuto un po’ di buonsenso, si disse Clair, avrebbe ingoiato il proprio orgoglio e sarebbe tornata al Lazy Dog. Che cosa ci faceva in un locale come quello? Era una vera fogna. E lei, per tutta la vita, non aveva fatto altro che fuggire dalle fogne.

    «Gli affari non vanno molto bene, vero? Anzi, devono essere un disastro» si limitò a osservare guardandosi intorno mentre si toglieva i guanti.

    «Siete qui per ordinare qualcosa o per farmi perdere tempo?» le chiese il barista piuttosto offeso dal suo tono e dalle sue osservazioni.

    «Non sono qui per farvi perdere tempo. Siete voi il padrone del locale?»

    «Proprio io.»

    «Sto cercando un lavoro.»

    Clair conosceva bene quel sorrisetto malizioso.

    Compariva sulle labbra di tutti i proprietari dei locali, a quel punto della trattativa. Lo fece sparire subito.

    «Non quel tipo di lavoro» precisò.

    «Che lavoro fate? Non ho bisogno di nessuno per tenere i conti o pulire. Faccio tutto da solo.»

    «Si vede» commentò Clair. «Questo buco è sporco e puzzolente, e soprattutto non c’è un cliente a pagarlo a peso d’oro. In confronto al Lazy Dog...»

    «Siete stata al Lazy Dog? È Slocum che vi manda?»

    «Chi è Slocum?»

    «Il proprietario del Lazy Dog. Una specie di sorcio viscido, con due baffetti disgustosi...»

    «Ho avuto il piacere di conoscerlo poco fa. Non mi manda lui. Voi avreste bisogno di un’attrazione per il vostro locale, per richiamare un po’ di gente.»

    «Che genere di attrazione?» chiese interessato.

    «Qualcuno che giochi bene a carte, per esempio.»

    «Conoscete qualcuno che gioca bene a carte e che sarebbe disposto a venire nel mio locale?»

    «Certo. Io.»

    Il barista scoppiò a ridere.

    «Voi?»

    «Che cosa c’è da ridere?»

    Ma l’altro era sempre incredulo, così Clair tirò fuori il suo mazzo da poker e lo appoggiò sul bancone.

    «Perché non facciamo una partita?» gli chiese.

    Il barista continuava a guardarla dubbioso.

    «Ma senza puntare denaro» accettò un po’ riluttante.

    «Come preferite. Date voi le carte.»

    Gli uomini erano sempre sospettosi di una donna che sapesse maneggiare troppo bene le carte, perciò Clair non ci teneva a dargli subito una dimostrazione di quanto fosse abile a destreggiarsi con un mazzo in mano. Tanto gli uomini non credevano mai che fosse davvero brava. Al massimo una donna poteva saper barare bene, perché soltanto un uomo poteva essere un vero fuoriclasse.

    Il barista giocò come meglio poteva ma perse la prima partita, la seconda e anche la terza. Invece di darsi per vinto o di riconoscere la superiorità della sua avversaria, tirò fuori un altro mazzo di carte.

    «Giochiamo con queste» le propose sospettoso.

    «Come volete.»

    «Puntando un dollaro.»

    «Ne siete sicuro? Avete già perso tre partite con me...»

    «Con le mie carte punto denaro, ma non con le carte degli altri.»

    Non dipendeva di certo dalle carte se non era riuscito ancora a spuntarla con lei, ma Clair gli lasciò l’illusione.

    «Fate bene. Vada per un dollaro a partita» approvò.

    Com’erano stupidi gli uomini, pensò Clair più tardi, dopo avere sconfitto il pover’uomo altre otto volte. Il barista aveva dovuto perdere otto dollari, una bella somma, prima di lasciarsi convincere.

    «Siete davvero in gamba! Ma ditemi la verità: barate?» le chiese.

    Era incorreggibile.

    «Come potrei barare con le vostre carte?» gli fece notare.

    Sembrò abbastanza convinto dall’osservazione.

    «Vorreste venire a giocare qui, nel mio locale?»

    «Non era questa la mia proposta?» gli rispose con un sorriso.

    «La gente guarda volentieri una bella partita a carte, se c’è un buon giocatore.»

    «E se uno dei giocatori è una donna, la guarda anche più volentieri.»

    Una bella donna, ma Clair era troppo modesta per qualificarsi così.

    «D’accordo. Ma che sia ben chiaro che da me non avrete un soldo, a parte questi otto dollari che mi avete vinto oggi.»

    «Certo. Quello che vinco o che perdo è affar mio. A voi andranno i guadagni per le consumazioni dei clienti che verranno nel locale. A me le vincite sul tavolo da gioco.» Erano sempre questi i patti, ovunque Clair giocasse.

    «È da tanto tempo che giocate d’azzardo?»

    «Da quando sono nata» rispose spavalda.

    «Qua la mano, allora. Mi chiamo Bill Mullen, e mi piacete.»

    «E io Clair Travers.»

    Clair gli strinse la mano, in fondo piaceva anche a lei.

    Non era un tipo sinistro come il barista del Lazy Dog, e con lui ci si poteva intendere.

    «Sarò qui alle sette, con le mie carte. C’è una pensione in cui possa lavarmi e cenare?»

    «Certo, da Addie Hocksettler. Dall’altra parte della strada, con l’insegna blu.»

    «Vicino al Lazy Dog

    «Sì, vicino a... Siete sicura che non vi mandi Slocum?» chiese ancora sospettoso.

    «Vi ho detto di no, Bill. Potete stare tranquillo.»

    «Perché se vi avesse mandato lui... È da anni che cerca di rovinarmi.»

    E c’era quasi riuscito, a giudicare dalle condizioni del suo saloon.

    «Non preoccupatevi. Fate passare la voce, invece, che è arrivato in paese qualcuno che sa davvero giocare a poker.»

    «Lo farò. Ma non vi illudete, c’è gente in gamba anche qui a Broken Spur. E io voglio cercare di riprendermi quegli otto dollari.»

    «Sarò a vostra disposizione, ma forse finirete per perderne altri» lo mise in guardia Clair.

    «Lo dite voi. Ancora non mi conoscete.»

    E tu non conosci ancora me, pensò lei.

    La sera, alle sette, Clair era seduta al tavolo del locale vicino alla finestra. Da lì si potevano vedere la strada e il cielo scuro, che prometteva pioggia.

    «Se piove sarà una brutta serata per gli affari. Le strade diventano un pantano e nessuno viene in paese» commentò Bill che stava pulendo il bancone con uno straccio così sudicio che non si capiva nemmeno di quale colore fosse. «Ho fatto girare la voce che c’è una donna che gioca a poker, nel mio saloon, ma non servirà a niente se piove.»

    Anche Clair guardava preoccupata il cielo. Non chiedeva l’impossibile, solo qualche buona serata di onesto lavoro per guadagnare qualcosa. Con gli otto dollari che aveva vinto a Bill avrebbe potuto pagarsi vitto e alloggio per una settimana, ma adesso aveva bisogno di una bella vincita per continuare il suo viaggio.

    Dal Texas al Wyoming era stata un’avventura, paese dopo paese, saloon dopo saloon. Tutto per fuggire da chi la stava cercando.

    Le venivano i brividi se ricordava la notte in cui era scappata da Mule Shoe, nel Texas. Le grida, il vicesceriffo Hilliard, il cavallo che galoppava nell’oscurità. Se n’era andata senza portare nulla con sé, se non il vestito che aveva indosso. Lo stesso vestito che portava quella sera, rosso scuro e con la scollatura bordata di pizzo nero. Era la sua divisa, quando lavorava. Non troppo sfrontato ma nemmeno castigato. Agli uomini piaceva.

    «Mi hanno raccontato che in California non piove mai d’estate. E che ci sono posti dove non nevica nemmeno d’inverno» le stava dicendo Bill. «Prima o poi ci andrò anch’io. Non ne posso più di questo clima infernale.»

    Anche a lei sarebbe piaciuta la California. Niente più freddo e niente più neve, niente più fango e sceriffi che la cercavano con il nodo scorsoio in mano per impiccarla.

    «Che cosa fate? Un solitario?» le chiese Bill venendo a curiosare al suo tavolo.

    «Serve a mantenere allenate le dita» fu la risposta.

    «Temo che stasera non avranno molto da fare, le vostre dita. Ma io voglio la rivincita per quegli otto dollari che mi avete vinto oggi pomeriggio. Ricordatevelo!»

    «Me lo ricordo... Me lo ricordo...» mormorò Clair mentre continuava il suo solitario.

    Volevano tutti la rivincita, era quello il bello degli uomini. Soffrivano come vitellini strappati alla loro madre, quando perdevano a carte con una donna. Clair faceva affari proprio per quel loro ridicolo orgoglio che li spingeva a tentare e a ritentare con lei, fino a perdere anche la camicia.

    Perché Clair non perdeva quasi mai.

    Era questa la sua dote, il dono del destino che le aveva permesso di sfuggire alla miseria e di mantenersi per anni. Clair stava male soltanto a ricordare la propria infanzia miserabile a New Orleans, dove era nata.

    Non aveva mai saputo chi fosse suo padre, e quella povera donna di sua madre viveva facendo la lavandaia. Faticava dodici ore al giorno per mantenere se stessa e la figlia. A trent’anni era già vecchia, a trentasette era morta. Clair allora era soltanto una ragazzina di quattordici anni magra come un ranocchio, con due grandi occhi azzurri, sempre affamata.

    Come sarebbe potuta sopravvivere senza nessuno al mondo?

    In un primo momento aveva cercato di seguire le orme materne, lavorando nelle case della gente che aveva dato a sua madre i panni da lavare. Lucidando pavimenti, lavando piatti, facendo tutto quello che poteva e, anche

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