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La ninfa dei boschi: I Romanzi Storici
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- HarperCollins Italia
- Pubblicato:
- Dec 10, 2012
- ISBN:
- 9788858906750
- Formato:
- Libro
Descrizione
Inghilterra, Medioevo. Chi è la più bella del reame? Certamente Fellis Grayson, figlia del Barone di Malvern. Eppure Sir Stephen Clayburn, cavaliere e messaggero di Re Edoardo d'Inghilterra, sa che la splendida fanciulla non potrà mai essere sua. Anzi, pur essendo innamorato di lei, si è recato appositamente a Malvern Castle per concludere il matrimonio della fanciulla con il gallese Wynn ap Dafydd nella speranza di sedare le lotte di confine. Ma consegnare la donna che ama al nemico si rivela un'impresa superiore alle sue forze.
Informazioni sul libro
La ninfa dei boschi: I Romanzi Storici
Descrizione
Inghilterra, Medioevo. Chi è la più bella del reame? Certamente Fellis Grayson, figlia del Barone di Malvern. Eppure Sir Stephen Clayburn, cavaliere e messaggero di Re Edoardo d'Inghilterra, sa che la splendida fanciulla non potrà mai essere sua. Anzi, pur essendo innamorato di lei, si è recato appositamente a Malvern Castle per concludere il matrimonio della fanciulla con il gallese Wynn ap Dafydd nella speranza di sedare le lotte di confine. Ma consegnare la donna che ama al nemico si rivela un'impresa superiore alle sue forze.
- Editore:
- HarperCollins Italia
- Pubblicato:
- Dec 10, 2012
- ISBN:
- 9788858906750
- Formato:
- Libro
Informazioni sull'autore
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Anteprima del libro
La ninfa dei boschi - Catherine Archer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Velvet Touch
Harlequin Historical
© 1996 Catherine J. Archibald
Traduzione di Alessandra De Angelis
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 1998 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5890-675-0
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
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1
Stephen Clayburn balzò in sella e si strinse il mantello intorno alle spalle muscolose per ripararsi dalla frizzante aria mattutina. Respirò a fondo; il fresco sul viso lo fece svegliare del tutto. Puntò i talloni contro i fianchi del suo stallone nero per incitarlo ad accelerare l’andatura.
Il cavaliere aveva preferito dormire all’aperto sotto le stelle piuttosto che perdere tempo a cercare un’altra abbazia dove chiedere asilo per la notte. Era poco entusiasta dell’ospitalità spartana offertagli dai monaci, che consisteva in una brodaglia immonda per sfamarsi e in un tavolaccio scomodo per dormire.
Il cavallo nitrì e lui gli fece scorrere la mano guantata sul collo. Il viaggio da Windsor, dove Sir Stephen Clayburn viveva, era stato lungo e stancante anche per l’animale, non solo per il padrone.
Stephen non vedeva l’ora di arrivare al castello di Malvern per adempiere all’incarico assegnatogli dal Re Edoardo III e tornarsene a casa al più presto. Quando il re gli aveva spiegato la natura del suo compito, Stephen aveva pensato che il viaggio fosse una risposta ai suoi problemi più immediati. La sua ex amante, Helen Denfield, non aveva accettato di buon grado la fine della loro storia d’amore e lo affliggeva a ogni occasione con una serie interminabile di recriminazioni e lamentele. Quando avevano dato inizio alla loro relazione, lei si era dichiarata d’accordo sul fatto di mantenere i loro rapporti a un livello poco impegnativo per entrambi. Tuttavia, dopo un certo periodo, Stephen era venuto a sapere che Helen, vedova e ricca, era determinata a farlo diventare il marito numero due e aveva sbandierato la sua decisione ai quattro venti.
Il fatto che la sorella di Stephen, Elizabeth, si fosse sposata da poco aveva peggiorato ulteriormente la situazione. Finché Stephen aveva vissuto con Elizabeth nella loro magione di Windsor, era stato più difficile per Helen colmarlo di attenzioni soffocanti e insistere ossessivamente affinché lui sancisse con il matrimonio la loro unione.
Stephen pensò a Elizabeth con nostalgia e un pizzico di risentimento. Era molto affezionato a sua sorella e gli dispiaceva di non trovarla più ad attenderlo quando rientrava a casa e di non avere nessuno con cui chiacchierare nelle interminabili serate in cui non era in giro per il paese a eseguire gli ordini del re.
Da quando era stato nominato messaggero di Re Edoardo, Stephen era a disposizione per incarichi improvvisi e sarebbe potuto essere chiamato in qualunque momento. Tanto vagabondare non gli dispiaceva, perché era uno spirito libero.
Stephen era refrattario all’idea stessa del matrimonio. I suoi genitori erano stati molto uniti fino a quando erano morti di peste sei anni prima. Il triste evento aveva segnato indelebilmente la sua vita. Quella che era stata una casa viva, risuonante di voci e di risate, era diventata un guscio vuoto che rimandava l’eco di ricordi pieni di malinconia. Perciò per Stephen voler bene a qualcuno significava esporsi a sofferenze inaspettate e rischiare di perdere la propria felicità da un momento all’altro, senza preavviso. Forse era per quel motivo che non voleva sentir parlare di matrimonio. Preferiva relazioni poco impegnative, giusto per soddisfare i suoi bisogni carnali e quelli della dama di turno, piuttosto che legarsi per la vita e diventare vulnerabile sentimentalmente.
Senza Elizabeth, Stephen si sentiva solo, questa era la verità. La casa era troppo silenziosa e triste da quando lei si era sposata e la solitudine aveva senza dubbio contribuito al suo stato d’animo attuale. L’incarico che lo attendeva era molto delicato e comportava delle complicate trattative diplomatiche la cui riuscita era affidata esclusivamente alla sua abilità. Re Edoardo si era dichiarato estremamente fiducioso nella capacità di Stephen di riuscire a far sì che un signorotto gallese sposasse la ragazza inglese che il re aveva scelto per lui. Per indurlo ad accettare l’incarico, il re non aveva risparmiato le lodi sulle doti di diplomazia e tatto del suo messaggero, sulla sua parlantina sciolta e la sua capacità di capire al volo le situazioni per volgerle a proprio vantaggio.
Stephen sentiva sulle spalle il peso della responsabilità. Che quel matrimonio venisse celebrato dipendeva solo da lui; si sarebbe dovuto sentire lusingato dall’essere stato preferito ad altri diplomatici più anziani ed esperti, invece era solo preoccupato e innervosito. Continuò a cavalcare, scrollandosi di dosso i pensieri tristi.
Il paesaggio che lo circondava contribuì a distrarlo dal suo pessimo umore. Nei campi che si estendevano a perdita d’occhio stava crescendo il grano. Era molto presto e la mattinata di lavoro non era ancora cominciata nelle fattorie davanti alle quali passava. Gli unici segni di vita erano lo starnazzare dei polli e il grufolare dei maiali.
Il castello di Malvern non era ancora in vista, pensò Stephen con disappunto. Aveva lo stomaco che brontolava per la fame e sperava di non dover aspettare ancora molto prima di giungere a destinazione e mettere qualcosa sotto i denti. Dietro una curva del sentiero che aggirava un basso colle, incontrò inaspettatamente un contadino che portava in spalla una zappa e veniva nella sua direzione. Tirò le redini e agitò una mano verso l’uomo. «Ehi, voi!» lo chiamò.
Il contadino lo raggiunse e lo guardò con evidente sorpresa. Era insolito vedere un nobile a cavallo a quell’ora del mattino. «Dite, mio signore» rispose rispettosamente.
«Potete dirmi la strada più breve per arrivare al castello di Malvern?»
«Sì, mio signore.» L’uomo si girò e indicò il sentiero da cui veniva. «Il castello è a circa dieci leghe da qui se seguite la strada maestra che costeggia i campi, ma la distanza sarà minore se taglierete per il bosco. Dirigetevi a nord e vedrete Malvern appena sarete uscito dalla foresta. In tal modo non saranno più di quattro leghe» spiegò in tono deferente.
Stephen guardò la strada, poi la vicina boscaglia e sentì che il suo stomaco vuoto stava decidendo per lui. «Grazie» disse, facendo girare il cavallo verso la macchia di vegetazione alla sua sinistra.
I rami delle alte querce e delle conifere formavano un’intricata tettoia verde attraverso la quale filtravano i raggi del sole nascente, creando giochi di luce e riflessi dorati sul fogliame. A terra c’era un fitto tappeto di aghi di pino che scricchiolavano sotto gli zoccoli del cavallo. Stephen cominciò a rasserenarsi grazie alla quieta bellezza di quel tempio silvestre e si avviò con rinnovata energia verso il castello di Malvern per portare a termine la sua missione.
Giunta al limitare del bosco, Fellis Grayson si guardò dietro le spalle un’ultima volta. Non c’era nessuno sul sentiero dietro di lei. L’unico segno di vita era il sottile filo di fumo che saliva dal castello. Evidentemente la servitù aveva cominciato a preparare la colazione, si disse. Da così lontano non riusciva a vedere la sentinella sull’alto bastione di pietra, ma sapeva che era lì, da qualche parte, e che avrebbe potuto vederla se non si fosse affrettata a nascondersi tra le fronde.
Il castello di Malvern era sicuro e ben difeso, ma suo padre, un uomo molto prudente, aveva sempre insistito perché le sentinelle facessero il giro delle mura merlate giorno e notte, per prevenire possibili attacchi di sorpresa da parte dei gallesi. Quattro torrette agli angoli dei bastioni ospitavano guardie in permanenza e il castello era circondato da un profondo fossato. All’interno delle mura erano racchiusi i giardini, i granai, il cortile per gli animali, il pozzo e l’armeria, insomma tutto il necessario per resistere a un eventuale assedio. Inoltre il castello vero e proprio era circondato da un alto e impenetrabile muro di pietra.
Richard Grayson aveva voluto proteggersi dalle frequenti incursioni degli astuti gallesi che razziavano il territorio a intervalli regolari, seminando lo scompiglio tra i contadini. Dall’ultimo episodio, verificatosi appena due lune addietro, in cui una banda aveva bruciato il granaio posto entro le mura esterne, suo padre aveva raddoppiato la sorveglianza. Fellis sapeva che aveva mandato un dispaccio a Re Edoardo chiedendogli assistenza per respingere il nemico. Le ostilità stavano provocando gravi danni alle coltivazioni e ai vassalli di Lord Grayson e Fellis sperava che il re inviasse presto un esercito in aiuto per scacciare definitivamente i gallesi dalle loro terre.
C’era anche un altro motivo per cui Fellis non vedeva l’ora che il pericolo di saccheggi, distruzione e ruberie fosse eliminato. Le era sempre più difficile riuscire a sottrarsi al continuo controllo esercitato su di lei dall’occhio vigile di sua madre o delle sue dame di compagnia. Lady Mary Grayson temeva che l’atmosfera di continua tensione potesse comportare dei pericoli per l’incolumità della sua unica figlia prima di avere la possibilità di mettere in atto i progetti che la riguardavano.
Immediatamente Fellis si sentì in colpa per essere sfuggita ancora una volta alla sorveglianza della madre. Si fece in fretta il segno della Croce e recitò mentalmente un’Avemaria per espiare il peccato che aveva commesso con quel piccolo inganno, poi affrettò il passo lungo il sentiero che si addentrava nella foresta e ben presto sparì nel fitto del bosco.
Senza alcuna esitazione si diresse verso un punto che conosceva bene. Poco dopo cominciò a sentire in lontananza il mormorio dell’acqua che scorreva e cercò di affrettarsi verso la sua destinazione.
Un muro di alberi fronzuti sembrava bloccarle il passo, ma Fellis s’insinuò tra i tronchi e spuntò dall’altro lato della barriera, in una radura coperta da un tappeto di tenero muschio. Come sempre il cuore le balzò in petto per la gioia. Quello era il suo rifugio segreto e verdeggiante, la cui bellezza non mancava mai di emozionarla profondamente.
Al centro della radura si apriva un piccolo specchio di acqua purissima e tutt’intorno gli alberi crescevano alti e fitti. Gli aghi di pino e il denso fogliame creavano un riparo naturale da eventuali occhi indiscreti. Dai rami scendevano a terra ghirlande di edera e i sassi ricoperti di muschio portavano fino ai bordi del laghetto nascosto su cui danzavano delicate ninfee, mosse dolcemente dalla corrente proveniente da un ruscelletto che lo alimentava con acque fresche e limpide.
Quello era il posto preferito di Fellis, il luogo incantato in cui amava nascondersi e che pensava sempre di aver scoperto grazie a una magica facoltà per mezzo della quale era in comunione mistica con la natura. Le piaceva pensare che Dio le avesse dato il raro dono di comunicare con le creature viventi e con il verde mondo dei boschi per ripagarla del motivo che l’affliggeva, una caviglia deformata che aveva segnato il suo destino sin dalla nascita.
Solo lì, nel cuore verde della natura, Fellis riusciva a dimenticare di non essere come le altre giovinette. Quando s’immergeva nell’acqua non aveva bisogno di camminare con estrema lentezza e circospezione per non far notare il lieve difetto che la faceva zoppicare leggermente se accelerava il passo.
Fellis raggiunse un’ampia roccia piatta che si protendeva sopra lo specchio d’acqua. Fremente di eccitazione mentre pregustava il piacere del bagno, si portò sull’estremità del masso, si sfilò la severa tunica di pesante panno grigio e con un tuffo aggraziato si gettò nel laghetto.
Stephen era sempre meno tranquillo a mano a mano che si addentrava nel bosco. La vegetazione era diventata molto intricata e difficile da penetrare. I fitti cespugli del sottobosco rendevano impervio il terreno che era già accidentato per la presenza di massi e irregolarità nascoste dalle felci.
Alla fine dovette arrendersi e smontare di sella per farsi largo tra il denso fogliame tenendo il cavallo per le briglie. Avvertiva sempre più forti i morsi della fame ed era irritato con se stesso. Se avesse avuto il buonsenso di mantenersi sulla strada maestra a quell’ora sarebbe certamente già arrivato a Malvern e sarebbe stato seduto a tavola, intento a divorare un abbondante pasto.
Sentendo il rumore di un ruscello non lontano, cambiò direzione. Sapeva che la cosa migliore da fare quando ci si perdeva era di seguire il corso d’acqua più vicino, che avrebbe invariabilmente condotto il viandante nei pressi di un luogo abitato. Fattosi largo tra le fronde degli alberi, riuscì finalmente a raggiungere il fiumiciattolo, ma rimase deluso nel constatare che era non più di un rigagnolo e che con tutta probabilità non lo avrebbe portato in nessun posto, ma sarebbe scomparso di lì a poco nelle viscere della terra.
Tuttavia, visto che non aveva idea di come riuscire a riportarsi sulla precedente direzione, si disse che seguire il ruscello sarebbe stato preferibile che non vagare senza meta per il bosco. Perciò camminò ancora per un poco tenendo il suo stallone per le redini, fino a quando un muro impenetrabile di vegetazione si alzò davanti a lui facendogli capire di avere commesso il secondo errore di valutazione della giornata.
Stephen esaminò la situazione con ira crescente. Si disse che ci sarebbe dovuto pur essere un varco per giungere dall’altra parte e decise di legare il cavallo a un tronco e proseguire per un tratto a piedi da solo, in cerca di un passaggio più agevole per sé e la sua cavalcatura. Si guardò intorno fino a quando non ebbe individuato un punto che sembrava meno fitto; vi si diresse con determinazione attraversando l’intrico di rami e tralci d’edera. Oltrepassato senza sforzo il muro verde, rimase immobile e a bocca aperta per lo stupore nel trovarsi in una radura d’incomparabile bellezza. In mezzo a uno scrigno di muschio verdissimo era incastonato un laghetto limpido, punteggiato da ninfee candide, circondato da alti alberi le cui foglie stormivano alla leggera brezza mattutina e illuminato dai raggi del sole che giungevano smorzati attraverso la verzura.
A Stephen parve di essere penetrato in un regno fatato di elfi e folletti, un mondo separato dal tempo e dallo spazio in una mitica dimensione di leggende e di favole. Si aspettava quasi di vedere da un momento all’altro un drago oppure una ninfa dei boschi. Restò immobile, trattenendo il fiato, sentendosi come il cavaliere dei racconti che il cantastorie narrava durante le feste al castello del re, che avrebbe dovuto superare prove difficili per ritornare nel mondo degli uomini portando il suo trofeo.
Fece un passo avanti cautamente, in atteggiamento reverenziale per la bellezza sacra di quella cattedrale boschiva. Giunto nei pressi del laghetto, ne percorse con lo sguardo la superficie cristallina e il suo cuore perse un colpo quando si accorse della figura femminile nello specchio d’acqua.
Una ragazza nuda, forse una fata, nuotava con grazia, come uno spirito silvestre la cui solitudine Stephen era venuto a turbare. Rimasto senza fiato, lui non poté fare a meno di spiarla tenendosi nascosto. La vide uscire dall’acqua con movimenti leggiadri e restare ferma sulla riva del laghetto, sotto un raggio di sole che filtrava tra le fronde, sollevando il viso al suo calore. I lunghi capelli le scendevano sulla schiena fino alle ginocchia e lei li strizzò restando eretta, poi offrì al bacio tiepido del sole il seno sodo, la vita sottile e i fianchi perfetti. Aveva lunghe gambe, la cui forma tornita ed elegante fu apprezzata ancor più da Stephen quando lei, poggiando su un piede solo, sollevò l’altro su una piccola roccia piegando il ginocchio per massaggiarsi con tocco carezzevole il polpaccio e la caviglia.
Stephen non credeva ai propri occhi. Mai, nei suoi ventisei anni di vita, aveva creduto che potesse esistere una donna talmente perfetta e dalla grazia così languida e seducente.
Un sesto senso gli suggerì di non rivelare la sua presenza in alcun modo, come se fosse capitato per caso nell’antro di una fata che sarebbe scomparsa nell’aria se si fosse resa conto di essere osservata.
Non riuscì a persuadersi a ritrarsi quietamente per andarsene, lasciando dietro di sé quella figura di sogno. Senza fare rumore, si accovacciò tra i rami dei cespugli e rimase a spiare la ragazza come se volesse accertarsi che fosse in realtà una donna in carne e ossa e non un frutto della sua immaginazione. Sapeva di non essere corretto, ma non poté impedirsi di restare acquattato a osservare la fanciulla che guardava alternativamente la riva e l’acqua come se fosse indecisa. E, visto che evidentemente non resisteva al richiamo dell’acqua fresca, di colpo lei si tuffò con movenze fluide e aggraziate, sollevando solo leggeri spruzzi d’acqua.
Stephen capì che non si trattava di una fata ma di una donna e che, se l’avesse scoperto a guardarla, si sarebbe di certo spaventata. Perciò decise che sarebbe stato più dignitoso da parte sua e più cavalleresco ritirarsi velocemente prima che lei potesse notare la sua presenza.
Ora la fanciulla stava nuotando verso il centro del laghetto; Stephen non riuscì a decidersi ad andarsene prima di aver contemplato ancora una volta il suo corpo latteo attraverso la trasparenza dell’acqua. Il pensiero di non rivederla mai più gli provocava un nodo di tristezza che gli serrava la gola, anche se non sapeva nulla di lei.
Oltretutto, si disse, se lei avesse saputo che lui era nascosto nell’ombra a guardarla con curiosità, se ne sarebbe risentita. Sembrava che fosse venuta in quel luogo appartato proprio per stare sola. Ma come fare a voltarsi e andare via per sempre senza neppure conoscere il suo nome?, si chiese Stephen.
Si rese conto che in un modo o nell’altro avrebbe dovuto fare la sua conoscenza, ma non di certo in quel momento. Con circospezione Stephen si tirò indietro e tornò sui suoi passi attraverso l’intricato muro di alberi. Risalì in sella e si allontanò dalla grazia sensuale della ninfa dei boschi.
Fellis sentiva l’acqua scivolare sulla sua pelle nuda e sorrise mentre il suo corpo veniva attraversato da un brivido di piacere. Fece delle lunghe bracciate fino a raggiungere di nuovo il centro del lago. Non era riuscita a resistere e si era rituffata per prolungare la beatitudine che provava nell’abbraccio dell’acqua.
Il desiderio di nuotare nuda era il suo peccato più grande; le piaceva essere libera dall’impaccio degli abiti che le impedivano di sentire sulla pelle il fresco dell’aria e il bacio caldo del sole che risvegliavano i suoi sensi.
In quel luogo amava comportarsi come una creatura dei boschi, in perfetta comunione con la natura. Tutta la sua vita era ordinata e governata dal volere di sua madre. Quello era il suo rifugio segreto, l’unico posto in cui Fellis poteva essere se stessa senza intrusioni. Sapeva che non avrebbe dovuto cedere al richiamo dei sensi, ma non riusciva a stare a lungo lontana dalla radura e dal laghetto.
La giornata appena iniziata era dedicata a opere pie, oppure si rivelava colma d’impegni e di incombenze tediose o persino sgradevoli. Ogni giorno si susseguiva identico a quello precedente e al successivo, che Fellis trascorreva in preghiera, a badare all’anziana nonna e ad assistere i poveri.
Quella mattina si era svegliata molto prima di sua madre ed era riuscita a sfuggire con facilità al suo controllo. Lady Mary Grayson non avrebbe mai potuto comprendere il
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