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L'amante francese: I Romanzi Storici
L'amante francese: I Romanzi Storici
L'amante francese: I Romanzi Storici
Ebook324 pages4 hours

L'amante francese: I Romanzi Storici

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About this ebook

Inghilterra, 1814 - Caragh Sudley è profondamente innamorata di Quentin Burke, Lord Branson, ma lui, pur apprezzandone la brillante intelligenza, pare immune al suo fascino e la considera solo un'amica. Ed è appunto in tale veste che l'affascinante gentiluomo si offre di accompagnare a Londra per il loro debutto in società le due sorelle Sudley: per fare da cavaliere a Caragh e per aiutarla a tenere sotto controllo l'esuberante Ailis. Inoltre, è deciso a prendere moglie e i consigli di una cara amica potrebbero essergli utili per svelare i misteri della mente femminile. Ma a Caragh quel ruolo non piace affatto e decide di sfruttare l'occasione per preparare all'uomo dei suoi sogni una bella sorpresa. Anche ricorrendo a mezzi decisamente poco convenzionali!

LanguageItaliano
Release dateJul 22, 2013
ISBN9788858913413
L'amante francese: I Romanzi Storici
Author

Julia Justiss

Nata nei pressi di Annapolis, nel Maryland, è un'affermata autrice di romanzi ambientati nell'epoca della Reggenza inglese. Nel 1998 ha ricevuto uno dei più prestigiosi premi letterari conferiti dalla RWA (Romance Writers of America).

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    L'amante francese - Julia Justiss

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Seductive Stranger

    Harlequin Historical

    © 2003 Janet Justiss

    Traduzione di Fabio Pacini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5891-341-3

    www.eHarmony.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    Prologo

    Sudley Court

    Primavera, 1808

    Il dio Apollo stava venendo a casa sua.

    O almeno fu questo che pensò Caragh Sudley, una mano sollevata a schermarsi gli occhi e il respiro trattenuto, mentre osservava il cavaliere solitario che risaliva al trotto il viale di Sudley Court.

    Era appena rientrata dalla sua abituale cavalcata mattutina quando il rumore sordo e ritmato degli zoccoli sulla ghiaia l’aveva richiamata sulla porta delle stalle, dapprima semplicemente curiosa di vedere chi fosse l’inatteso visitatore, poi, a mano a mano che questi si avvicinava, sempre più estasiata dalla straordinaria bellezza sia dell’uomo, sia dell’animale.

    La pallida luce del sole creava un alone attorno alla figura del gentiluomo, facendo scintillare i suoi capelli biondi e il manto del palomino dell’identica, vibrante sfumatura dorata. Le arrivò davanti, imponente e bellissimo e, agendo con maestria sulle redini, obbligò il focoso stallone a fermarsi.

    Caragh sbatté rapidamente le ciglia, aprendo e chiudendo gli occhi un paio di volte, ma non riuscì a liberarsi della sensazione di essere davanti a una divinità. Quando Apollo smontò con agilità dal cavallo e le si stagliò davanti in tutta la sua fierezza, Caragh trattenne di nuovo il respiro. I capelli del cavaliere si accesero di riflessi ramati e gli occhi, quando le si presentarono sotto una luce favorevole, si illuminarono di un azzurro intenso e accecante.

    I lineamenti cesellati del volto, mento volitivo, zigomi alti, labbra ferme, profilo greco lievemente pronunciato che dava carattere a un insieme altrimenti troppo perfetto, non fecero che confermare la sua prima impressione.

    Era proprio Apollo, un Apollo che, dopo essersi disfatto delle ricche vesti romane, aveva indossato i britannici panni del gentiluomo di campagna.

    Se l’avesse visto, sua sorella Ailis sarebbe corsa a prendere tavolozza e pennelli.

    Impegnata com’era a sorridere di quella bizzarra immagine, Caragh si accorse in ritardo che quel campione delle divinità dell’Olimpo si stava avvicinando... a lei, alla insignificante Caragh Sudley, che se ne stava là, pietrificata in una comica espressione di stupore, con il viso incorniciato da riccioli disordinati, sfuggiti a un improvvisato chignon e la gonna del suo vecchio completo da amazzone completamente inzaccherata di fango.

    Ripresasi da quella violenta emozione, non a tutte capita infatti di avere a che fare con una divinità, richiuse di scatto la bocca e, le guance arrossate, resistette all’impulso di scappare via, gesto che l’avrebbe resa completamente ridicola. Purtroppo, lei, al contrario di Dafne, non aveva il potere di tramutarsi in albero quando meglio le accomodava.

    «Buongiorno, miss...» esordì lo sconosciuto, chinando il capo in segno di saluto.

    «Buongiorno a voi, sir» rispose Caragh, meravigliandosi di non aver perso l’uso della voce.

    «Avreste la gentilezza di confermarmi che sono giunto a Sudley Court? Ho necessità di conferire con il barone.»

    «È di mio padre che state parlando, sir. Potrete trovarlo nel suo studio. Pringle, il nostro maggiordomo, vi accompagnerà da lui.»

    «Grazie per la vostra premurosa sollecitudine, miss Sudley. Spero che avremo la...»

    Prima che avesse modo di completare la frase, Ailis emerse da dietro i cespugli del giardino alla loro destra, seguita da un ragazzo che le portava il cavalletto e la scatola dei colori.

    «Ehi, Caragh, sai se è arrivato il pacco che aspettavo da Londra?» Caragh la guardò senza rispondere, concedendole quattro o cinque secondi per registrare la presenza dello sconosciuto, ma lei non gli prestò la benché minima attenzione. «Allora, è arrivato oppure no?»

    Caragh si sentì invadere da un moto di rabbia e risentimento, che tentò invano di contrastare. Ora che Ailis era apparsa sulla scena, il suo già troppo breve interludio con quel semidio sarebbe stato destinato a una fine prematura.

    «Se è arrivato, Thomas lo ritirerà scendendo in paese.» E, compiendo uno sforzo, azzardò uno sguardo all’indirizzo dello sconosciuto.

    Il quale, contrariamente alle sue previsioni, non stava fissando con gli occhi sbarrati la sua bellissima sorella, bensì le osservava entrambe, con un’espressione di formale cortesia dipinta sul volto. Doveva essere miope, non c’erano altre spiegazioni.

    «Dannazione!» borbottò Ailis, continuando a ignorarlo. «Speriamo che l’azzurro ceruleo che mi è rimasto mi basti fino a mezzogiorno.»

    Caragh arrossì, imbarazzata dalla totale mancanza di educazione della sorella. «Ailis!» sussurrò con urgenza, facendo un cenno verso l’uomo che le guardava.

    Ailis sbuffò spazientita. «Chiunque sia, fa’ tu gli onori di casa, Caragh. Io non posso perdere questa luce. Sbrighiamoci, Jack.» E dopo aver così sollecitato il giovane valletto, si allontanò senza nemmeno prendersi la briga di salutare.

    L’imbarazzo di Caragh si acuì. «La mia sorella minore, sir. Come presumo abbiate compreso, è un’artista... piuttosto brava, anche! Solo che a volte è... come dire... troppo assorbita dal suo lavoro. Lo studio a cui si sta dedicando al momento richiede la luce dell’alba.»

    «E chi siamo noi comuni mortali per disturbare l’ispirazione della musa?» ribatté lui con un sorriso disarmante. «Ma non voglio abusare oltre del vostro tempo, miss Sudley. Sono certo che avremo altre occasioni di incontrarci.»

    Prima che lei avesse la possibilità di capire cosa stava per succedere, il visitatore si impadronì della sua mano e se la portò alle labbra. Dopo averla così omaggiata, chinò il capo e, impugnando le redini del suo destriero, si avviò verso il palazzo.

    Per un lungo momento, Caragh rimase immobile a fissare le dita che lui aveva baciato, ancora marchiate dalla fuggevole, rovente pressione della sua bocca.

    Quando alla fine si ricordò di rialzare lo sguardo, vide che lo sconosciuto aveva quasi raggiunto i gradini dell’ingresso, ai piedi dei quali venne raggiunto da un valletto che si affrettò a liberarlo del cavallo. Ruotando velocemente su se stessa, partì a passo rapido in direzione dell’ala delle cucine, terrorizzata all’idea che, voltandosi, lui la sorprendesse nell’atto di guardarlo.

    Tuttavia, appena svoltato l’angolo, rallentò. L’affascinante sconosciuto le aveva fatto l’inchino e baciato la mano, trattandola come se fosse stata una gran dama invece che una ragazza inesperta e impacciata, a cui mancava ancora un anno per debuttare in società.

    Soprattutto, non era rimasto folgorato dall’apparizione di Ailis e, dopo che lei se n’era andata, aveva intelligentemente proseguito la loro conversazione, senza nemmeno seguirla con lo sguardo mentre si allontanava. Aveva invece prestato a lei tutta la sua attenzione accarezzandole con lo sguardo i lineamenti banali.

    Il suo cuore cedette di schianto al calore del sorriso dello straniero, all’incredibile colore dei suoi occhi che la tentavano silenziosamente.

    Sapendo che, probabilmente, lui incontrava ogni giorno damigelle di grande bellezza nella Londra da cui, a giudicare dall’accento, proveniva, lo ammirò ancora di più per l’autocontrollo che aveva dimostrato continuando a conversare con lei senza lasciarsi distrarre dalle circostanze.

    Caragh aggrottò la fronte, respingendo quella osservazione che lo sminuiva. La bontà dell’educazione che doveva aver ricevuto non intaccava l’eccellenza del suo comportamento. Era davvero un cavaliere gentile, bello e cortese, come quelli che popolavano le leggende di re Artù, concluse.

    Chissà come si chiamava? Improvvisamente ansiosa di saperlo, accelerò l’andatura e si infilò in casa.

    Passando davanti allo studio, un mormorio di voci le confermò che lo straniero era a colloquio con suo padre e allora proseguì in direzione del salottino, sperando così di potergli dare un’altra occhiata mentre se ne andava.

    Forse l’anno prossimo, quando andrò a Londra per il mio debutto, ci incontreremo di nuovo. Solo che quel giorno io sfoggerò un abito all’ultima moda, un’acconciatura elaborata ed elegante, una conversazione brillante e allora tu perderai la testa per me come io l’ho persa oggi per te...

    Stava ancora ridacchiando fra sé a causa di quella sciocca fantasia adolescenziale, quando il rumore di una porta che si chiudeva la mise sul chi vive. Si appiattì contro il muro e, dopo aver atteso che i passi del misterioso gentiluomo la superassero, diede una sbirciatina nel corridoio.

    Lo sconosciuto si era fermato nell’atrio per rimettersi i guanti che il maggiordomo gli aveva appena restituito. Caragh sospirò, lasciando indugiare lo sguardo sul suo volto mentre si imprimeva nella memoria ogni singolo dettaglio dei suoi bellissimi lineamenti virili.

    Dopo aver recuperato il frustino, lui chinò il capo in risposta all’inchino del maggiordomo e uscì.

    Resistendo a stento all’impulso di correre a una delle finestre per guardarlo mentre si allontanava, Caragh risalì il corridoio, bussò alla porta dello studio ed entrò.

    «Padre, posso disturbarvi un momento?» chiese, rivolgendosi all’uomo che sedeva dietro all’imponente scrivania, intento a scribacchiare su un grande quaderno semisepolto da libri e volumi di ogni dimensione e forma.

    Accogliendo l’interruzione con una smorfia, suo padre alzò gli occhi. «Caragh? Che c’è, benedetta figliola? Devo riprendere subito questa traduzione prima che la cadenza mi sfugga.»

    «Lo so, padre, scusate. Volevo solo sapere chi era il vostro visitatore.»

    «Visitatore?» ripeté lui, come se facesse fatica a ricordare l’uomo che aveva lasciato la stanza non più di due minuti prima. «Ah, sì, quel giovanotto alto e robusto. Ha appena acquistato Thornwhistle. Voleva porgere i suoi rispetti e informarsi a proposito di certe questioni relative ai pascoli. Credo che dovresti consultarti con Withers prima che ritorni. Io non ho proprio il tempo per occuparmi dei problemi della tenuta, non con questa traduzione che procede così a rilento.»

    Apollo sarebbe tornato... Un fremito di eccitazione corse lungo la schiena di Caragh.

    «Lo farò senz’altro, padre. Però, se è necessario che mi incontri con lui, sarà meglio che mi diciate il suo nome.»

    «Il suo nome? Non lo so... me lo sono dimenticato, ma non ha importanza. Quando tornerà, si farà annunciare di nuovo. Adesso, sii gentile e riporta il vassoio della colazione in cucina. Mi infastidisce quando devo aprire il dizionario.»

    Avvezza al totale disinteresse che suo padre dimostrava per tutte le cose pratiche, Caragh trattenne un sospiro. «Va bene, padre.» Delusa, raccolse il vassoio e retrocedette verso la porta. «Buon lavoro. Ci vediamo più tardi!» esclamò dalla soglia.

    Già immerso nel suo mondo, suo padre non si prese nemmeno la briga di rispondere.

    Lei alzò gli occhi al soffitto e uscì, ma una volta nel corridoio, venne folgorata da un’idea che migliorò immediatamente il suo umore.

    Depositando il vassoio su un tavolino, corse in cerca del maggiordomo e, dopo aver guardato un po’ in giro, lo trovò nella sala da pranzo, intento a istruire un valletto nell’arte della lucidatura dell’argenteria.

    «Pringle! Non è che per caso vi rammentate il nome del gentiluomo che è appena andato via? Sarà il nostro nuovo vicino, se non ho capito male.»

    «Si è annunciato come Lord Branson, miss Caragh» rispose il maggiordomo.

    «E il suo nome di famiglia?»

    «Non mi pare che l’abbia detto, però ha lasciato il biglietto da visita.»

    «Grazie, Pringle.» Caragh si affrettò nell’atrio e là, al centro del vassoio posto sul mobile accanto alla porta, vide un candido cartoncino sul quale erano impresse solo quattro parole. Quentin Burke, Lord Branson.

    Sorridendo, Caragh si premette il cartoncino sul petto. Ora l’Apollo sceso dall’Olimpo espressamente per lei aveva un nome. Quentin.

    1

    Sudley Court

    Primavera, 1814

    Considerando che quella di trasferirsi a Londra si stava trasformando in un’impresa erculea, non c’era da meravigliarsi che le ci fossero voluti ben cinque anni per organizzarla, pensò Caragh, osservando l’espressione tempestosa della sorella.

    «Ailis» disse, cercando di non lasciar trapelare l’irritazione, «tu ricordi che la settimana scorsa mi avevi promesso che saremmo riuscite a partire questo venerdì. I bauli sono pronti da giorni, zia Kitty ci aspetta e probabilmente ha già fissato una serie di appuntamenti per noi a Londra. Disdirli con un preavviso così breve sarebbe una grave maleducazione.»

    «Oh, al diavolo gli appuntamenti» replicò Ailis con un gesto sdegnoso della mano imbrattata di pittura. «Che differenza fa quando partiamo? I negozi saranno sempre là, come anche l’interminabile sfilza di noiosissime feste organizzate da vecchie gentildonne inacidite i cui unici interessi sono i vestiti, i gioielli, gli alberi genealogici e le prospettive matrimoniali dei loro ospiti. Io ti avevo detto che non mi sarei potuta mettere in viaggio finché non avessi finito il quadro.»

    Soffocando una risposta rabbiosa, Caragh tirò un profondo respiro e, dopo essersi ricordata che almeno una fra loro due doveva mantenere la razionalità, ribadì: «Avevamo un accordo preciso, Ailis! Ti avrei consentito di visitare musei e gallerie, di continuare il tuo lavoro, persino di prendere lezioni di disegno... a patto che anche tu facessi la tua parte, comportandoti con la modestia e il decoro propri di una giovane donna alle prese con la sua prima Stagione nella capitale. Il che non include mettere in imbarazzo nostra zia obbligandola a disdire appuntamenti all’ultimo minuto... o emettere giudizi negativi su persone che non conosci».

    «Le quali, oso dire, alla resa dei conti si riveleranno esattamente come le ho descritte» insistette Ailis. «Se non fossi così ansiosa di godere degli insegnamenti di un maestro del livello di Maximilian Frank, non avrei mai accettato di venire a Londra con te. Tutto il resto, sarà una perdita di tempo e di energia, anche perché io non ho alcuna intenzione di sposarmi.»

    La rabbia che Caragh aveva tenuto a bada fino a quel momento, riprese immediatamente vigore. «Ailis, papà non vivrà in eterno. Come pensi di mantenerti se non ti sposi?»

    «Dal momento che tu sembri così innamorata della tenuta, perché non ti sposi tu? Io verrei a vivere con te e tutto continuerebbe come prima.»

    Sarebbe potuta essere un’alternativa perfettamente accettabile, non fosse stato che l’unico uomo che Caragh si sarebbe sentita di sposare continuava a vederla soltanto come la sua buona vicina e amica. «Credimi, ti troveresti molto più a tuo agio essendo in una casa di tua proprietà.»

    Dove saresti libera di dare ordini in piena autorità, aggiunse silenziosamente, pensando con divertito sgomento al caos che la sua volitiva sorella avrebbe scatenato nella dimora del suo malcapitato cognato, nel caso fosse diventata sua ospite permanente. No, era molto meglio cercare di trovarle un marito tutto suo, anche se non sarebbe stato facile.

    «Tu sai che, il giorno in cui dovesse ereditare, il cugino Archibald si trasferirà qui insieme alla famiglia» ricordò ad Ailis. «Conoscendolo, sono sicura che ci offrirebbe di rimanere, però credo che in cuor suo preferirebbe non avere per casa altre due donne di cui occuparsi. Le possibilità di sistemarci altrove sono pressoché nulle, dal momento che zia Kitty non ha abbastanza spazio per ospitarci a tempo indefinito e, con la nostra eredità bloccata nella dote, tu e io non avremmo i fondi necessari a mettere su casa per conto nostro. Capisco che la cosa possa non piacerti ma, se vuoi mantenere il tuo attuale stile di vita... e coltivare la tua passione per la pittura... sarai costretta a sposarti. Se non altro, a Londra avrai l’opportunità di prendere in considerazione una più vasta gamma di potenziali mariti.»

    Era un ragionamento che Caragh aveva già espresso diverse volte nelle ultime settimane, di solito con risultati deludenti, mentre quel giorno, grazie a Dio, sembrava che sua sorella avesse prestato la giusta attenzione alle sue sagge parole.

    «Suppongo che ci sia del vero in quello che dici» mormorò Ailis con aria riflessiva. «Avrei serie difficoltà a lavorare in pace a Sudley con quei cinque demonietti scatenati che scorazzano liberamente avanti e indietro.»

    Caragh si lasciò sfuggire un sospiro carico di esasperazione. «Ecco, questo è proprio il tipo di commenti che dovresti evitare di esprimere a voce alta! La bellezza è un fattore importante, ma un gentiluomo di buona nascita desidera una moglie che sappia essere cortese con gli altri e moderata nell’eloquio. E poi i bambini del cugino Archibald sono carini.»

    Ailis scrollò le spalle. «Io li definirei piuttosto rumorosi, impertinenti e appiccicosi. L’ultima volta che sono venuti a farci visita, il più grande mi ha fatto impazzire seguendomi dappertutto come un’ombra, mentre i suoi fratellini irrompevano nelle stanze senza mai bussare e la più piccola del gruppo si è servita del mio miglior pennello per spazzare la casa delle bambole. È fortunata che non le abbia spezzato il braccio quando ho scoperto che l’aveva preso.»

    Prima che Caragh potesse protestare di nuovo, Ailis la disarmò rivolgendole un sorriso complice.

    «Suvvia, Caragh, ammettilo, eri contenta anche tu quando alla fine le piccole pesti se ne sono andate! Comunque, una cosa te la concedo. È giunto il tempo che pensi al mio futuro e lo farò, ma dopo» aggiunse alzandosi dalla sedia, «aver terminato questo quadro. Devo rimettermi al lavoro prima che la luce cambi. Volevo solo dirti che non sarei stata pronta per venerdì.»

    «Se non è chiedere troppo, posso sapere quando ritieni che questo avverrà?»

    Ignorando il sarcasmo della sorella, Ailis proseguì la sua marcia in direzione della porta. «Verso la metà della prossima settimana. Forse. Ti avviserò.»

    Caragh chiuse gli occhi, pregando il buon Dio di darle pazienza. Avrebbe dovuto spedire immediatamente un messaggio a zia Kitty, posponendo una volta di più la data del loro arrivo a Londra. Si augurava solo che la poverina non avesse già organizzato il tè con le patronesse dell’Almack al quale aveva accennato nella sua ultima lettera. Mancare di presenziare a un simile incontro avrebbe seriamente compromesso il debutto di sua sorella.

    Come spesso le era capitato mentre Ailis cresceva avvicinandosi alla maturità, Caragh avrebbe voluto confidarsi e chiedere consiglio alla loro madre, morta ormai da tanto tempo. Anche lei dotata di una bellezza e di un carattere fuori del comune, avrebbe saputo meglio di chiunque altro gestire l’altrettanto avvenente e impetuosa figliola che tanto le somigliava. O almeno, questa era l’impressione che Caragh aveva ricavato basandosi sulla miniatura che conservava in un cassetto della sua scrivania, l’unica immagine che le era rimasta della madre morta quando lei aveva da poco compiuto i sette anni. Sopraffatto dal dolore, suo padre non era più riuscito a guardare il ritratto della moglie tragicamente perduta in così giovane età e aveva fatto portare in soffitta il grande quadro che prima aveva campeggiato sopra il caminetto del suo studio.

    «Non preoccupatevi, Pringle, mi annuncerò da solo.»

    Al suono della voce che penetrava nel salottino dal corridoio, Caragh sobbalzò, riaprendo di scatto gli occhi.

    Nel corso degli ultimi sei anni, il suo debutto in società era stato sempre rimandato per tutta una serie di ragioni... la malattia che aveva colpito suo padre, il disastroso incendio delle stalle, la necessità di assumere la gestione dell’intera tenuta dopo l’inattesa scomparsa di Withers, il loro fidato amministratore e, più di recente, la riluttanza di Ailis a lasciare Sudley Court. La ragazza timida e impacciata che aveva nervosamente negoziato i primi accordi sul pascolo degli animali con i vicini, si era trasformata in una giovane donna capace di guidare con efficiente competenza tutte le questioni relative alla casa e alle terre di famiglia.

    In quel periodo, aveva avuto modo di constatare che Quentin Burke non era una divinità scesa dall’Olimpo, bensì un comune mortale come tutti gli altri. Inoltre, nel corso delle operazioni legate all’allevamento dei cavalli che sotto la sua supervisione era diventata la principale fonte di reddito di Sudley Court, aveva potuto incontrare fra i suoi aristocratici clienti uomini perfino più belli di Lord Branson.

    Tuttavia, una cosa era rimasta costante. Il gentiluomo che aveva catturato il suo cuore in quel lontano mattino di primavera ne deteneva ancora il pieno possesso e come allora, era beatamente ignaro di tale circostanza.

    Come dotate di volontà propria, le labbra di Caragh si curvarono in un principio di sorriso e gli occhi le si illuminarono quando l’uomo che amava più di ogni altra cosa al mondo entrò nella stanza.

    «Oh, bene, Quentin, capitate proprio al momento giusto!» esclamò Ailis, offrendogli le dita per l’obbligatorio saluto. «Potrete intrattenere Caragh magnificando le bellezze di Londra mentre io vado avanti con il lavoro.»

    «Vedervi è sempre un piacere anche per me, Ailis» ribatté lui mentre lei ritirava le mani e usciva. Poi si voltò verso Caragh, un luccichio ironico negli incredibili occhi turchesi che, a dispetto del passare degli anni, avevano ancora il potere di farle girare la testa.

    «Che bella sorpresa, Quentin!» esclamò lei. «Non immaginavo che sareste tornato a Thornwhistle così presto dopo il vostro ultimo viaggio. Quando siete arrivato?»

    Prima di rispondere, lui le baciò la mano e quel semplice contatto bastò a mandarla in estasi, costringendola a lottare contro l’impulso di chiudere gli occhi per meglio assaporare quella sensazione celestiale.

    «Gli affari che mi avevano portato lontano si sono conclusi prima del previsto» le spiegò, lasciandosi cadere sulla sedia accanto alla sua. «Così ho pensato di venire a trascorrere qualche giorno nella mia proprietà preferita... e di fermarmi a vedere se la mia vicina preferita sarebbe effettivamente riuscita a trascinare la sua affascinante e sfrontata sorellina a Londra per la Stagione. No, non mi tratterrò per il tè...» aggiunse quando lei si alzò per tirare il cordone del campanello, «... ma gradirei molto un po’ di buona conversazione.»

    Caragh sospirò e tornò a sedersi. «Credo che alla fine ci arriveremo, anche se sono stata costretta a ricorrere alla corruzione e se il mio successo è dovuto solo alla fortunata coincidenza che ha spinto Maximilian Frank a tornare dall’Italia per aprire uno studio a Londra. Ailis va pazza per i suoi quadri, che sono... piuttosto inusuali, direi.» Fece una pausa e, stringendo le labbra, proseguì: «Ho acconsentito a farle prendere delle lezioni private da lui. E confido nella vostra discrezione affinché la cosa non si sappia in giro!».

    «Lezioni private!» ripeté lui, sbigottito. «Una damigella della buona società che prende lezioni dal figlio illegittimo di un mercante delle Indie Orientali? Santi numi, Caragh!» Scosse la testa. «Se quella piccola prepotente è già stata capace di strapparvi il permesso su una questione di così dubbia moralità, pensate davvero di essere in grado di trovarle marito?»

    Sebbene la domanda di Quentin non facesse che echeggiare i suoi stessi dubbi, Caragh si inalberò. «La bellezza di Ailis non può essere discussa, al pari dell’ammontare della sua dote. In aggiunta a questo...»

    «Ha raggiunto i vent’anni senza nemmeno conoscere i più rudimentali principi delle arti domestiche e le sue maniere sono... opinabili, a dir poco. Oh, no, non fate così» aggiunse lui, bloccando sul nascere le sue rimostranze. «Voi sapete che le sono affezionato e che ammiro il suo immenso talento. Però anche una sorella premurosa dovrebbe avere l’obiettività di riconoscere che Ailis non è il tipo di ragazza modesta, docile e convenzionale che la maggior parte dei gentiluomini cerca in una moglie.»

    Caragh sospirò di nuovo. «No, è vero» ammise. «Ma per il suo bene mi auguro che trovi un uomo che le piaccia e sappia apprezzarla per quello che è... non per quello che le manca.»

    «Se sarete così abile da imporne uno

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