Una pianista per il milionario: Harmony Collezione
By India Grey
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About this ebook
Dalla Grecia agli Stati Uniti, dall'Italia all'Inghilterra, innamorarsi di un milionario non è poi così difficile. Ma riuscire a rapirne il cuore non è un'impresa da tutti. Auto veloci e donne sofisticate sono sempre stati gli ingredienti dell'eccitante e decadente stile di vita di Orlando Winterton. Poi, qualcosa è cambiato, e Orlando si sottrae agli occhi del mondo fino a quando la pianista Rachel Campion entra nella sua vita in cerca di un rifugio. Lui non può negare di sentirsi attratto da quella fragile bellezza, così trascorre con lei una notte di passione. Il mattino seguente, però, i suoi demoni tornano a tormentarlo, e Orlando dovrà chiederle di andarsene.
India Grey
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Una pianista per il milionario - India Grey
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Mistress: Hired for the Billionaire’s Pleasure
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2008 India Grey
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-578-0
www.harlequinmondadori.it
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Prologo
«Purtroppo le notizie non sono buone...»
Orlando Winterton non batté ciglio. L’estrazione sociale e anni di ferreo autocontrollo gli consentivano di mantenere il viso impassibile mentre l’oculista consultava i fogli sulla scrivania di mogano situata tra loro.
«L’esame evidenzia che il campo visivo è significativamente ridotto nella sezione centrale, in seguito al prematuro deterioramento del nucleo...»
«Risparmiami i termini scientifici, Andrew.» Il tono di Orlando era brusco. «Dimmi soltanto se c’è una cura.»
Durante la breve pausa che seguì, Orlando serrò i braccioli della costosa poltrona di pelle, cercando di leggere l’espressione di Andrew Parkes, ma la nebbia al centro dell’occhio, che gli consentiva solo una visione sfocata, era talmente fitta da rendergli difficile il compito. Così attese, attento all’intonazione della voce dello specialista.
«Be’, temo che non ci sia molto da fare...»
Orlando rimase in silenzio, limitandosi a un brusco movimento del capo come se avesse fisicamente ricevuto un colpo. Ecco, quella tenue nota di pietà che aveva tanto temuto... un presagio di morte.
«Mi dispiace, Orlando.»
«Non è il caso. Dimmi, piuttosto... potrò continuare a volare?»
Andrew Parkes sospirò. Non era mai facile comunicare notizie del genere, e nel caso di Orlando Winterton la sorte era stata particolarmente crudele. Andrew era stato amico del padre di Orlando, Lord Ashbroke, fino alla morte avvenuta quattro anni prima, e sapeva che arruolarsi nella RAF per i due figli di Ashbroke era una tradizione di famiglia. Conosceva anche l’intensa rivalità che esisteva tra Orlando e il fratello minore, Felix. Erano entrambi piloti eccezionali e avevano fatto una splendida carriera. Ma Orlando, il maggiore, aveva recentemente superato Felix, ottenendo il grado di Officer Commanding Weapons Flight, il livello più alto in aviazione.
Essere costretti a interrompere una carriera tanto brillante era un colpo molto duro. Non c’era nessun modo di addolcire la situazione; tanto valeva essere onesti fino in fondo.
«No. Con i risultati che ho davanti sono costretto a congedarti con effetto immediato. Ci vorrà qualche tempo per una diagnosi precisa ma, al momento, tutti i sintomi indicano una distrofia maculare di Stargardt.»
Orlando era sempre immobile, solo un muscolo sulla mascella pulsava tradendo l’emozione che si agitava sotto quella superficie impassibile.
«Ma ci vedo ancora. Posso ancora volare. Immagino che questo sia confidenziale...»
L’oculista scosse il capo. «Non per quanto riguarda la RAF. Se, nella vita privata, intendi dirlo a qualcuno è una tua decisone personale. Almeno per il momento la tua vita non ne risentirà.»
«Capisco.» Orlando proruppe in una risata amara che tradiva la sua disperazione. «La mia vita sarà normale almeno per il momento. Immagino che tu stia per dirmi che la situazione peggiorerà...»
«Purtroppo è una malattia degenerativa.»
Orlando si alzò di scatto. «Grazie di tutto, Andrew.»
«Orlando, aspetta, ti prego. Avrai delle domande da fare... Vorrai sapere...»
S’interruppe quando Orlando si voltò. La desolazione sul suo viso era spaventosa.
«No, mi hai detto tutto ciò che avevo bisogno di sapere.»
«Posso consigliarti dei testi» continuò Andrew in tono di forzato ottimismo. «Capisco, ci vuole del tempo per accettare una diagnosi del genere e ti sarà di aiuto parlarne con qualcuno. Esci ancora con quella splendida ragazza? Un avvocato, mi sembra...»
Orlando esitò, quasi a soppesare le parole. «Arabella è nel campo finanziario. Sì, usciamo... ancora insieme.»
«Bene.» Andrew sorrise sollevato e aggiunse cauto: «E Felix? È a casa per il momento, no?».
«Sì. Siamo in permesso per qualche giorno. Dobbiamo riprendere servizio la settimana prossima.» Sorrise debolmente. «Pare che andrà da solo.»
Uscendo nella strada londinese Orlando sbatté le palpebre.
Era una giornata nuvolosa di gennaio, ma persino la luce grigia che filtrava tra le nubi gli feriva gli occhi. Ma non esitò, e scese deciso le scale senza l’aiuto del corrimano.
Avrebbe fatto a meno di qualsiasi aiuto.
Uno stridio di freni, un autobus che gli passò accanto, proprio mentre un timido raggio di sole perforava una nube. Davanti a lui, sul muro di fronte, c’era un manifesto che pubblicizzava un CD. Mostrava una ragazza dai capelli rossi in un abito da sera color avorio.
L’aveva notato mille volte nelle vie di Londra da quando era in permesso, ma all’improvviso fu colpito del pensiero che non l’aveva mai realmente visto. Come molte altre cose. Traendo un profondo respiro alzò il capo verso l’immagine. Gli immensi occhi luminosi della giovane sembravano colmi di tristezza mentre incontravano i suoi e, benché le labbra fossero incurvate in un’ombra di sorriso, pareva tremassero incerte.
Questo lo colpì.
Lo sguardo fisso sul manifesto, pensò con brutale chiarezza a tutto ciò che si sarebbe perso, e l’oscurità in cui ben presto sarebbero sprofondati i suoi occhi si avvolse intorno al cuore.
1
Un anno dopo
Era appena l’alba quando Rachel uscì dalla porta principale dell’Old Rectory chiudendosela silenziosamente alle spalle. L’aria gelida e umida di febbraio la fece rabbrividire mentre il fiato si condensava in una nebbiolina.
La casa si stava risvegliando, ma soltanto per opera del personale che rassettava, eliminando le tracce del party della sera precedente, e preparava la celebrazione della giornata. Pur camminando silenziosamente sull’erba umida, Rachel aveva l’impressione di essere spiata. Velocemente si avviò verso l’alta siepe che separava la vecchia casa dal sagrato della chiesa, senza una ragione precisa, se non quella di trovare un luogo solitario dove riflettere.
E respirare. E fuggire dall’implacabile avanzare degli eventi che conducevano a una conclusione che non riusciva neppure a prendere in considerazione.
Aveva in mano una bottiglia di champagne mezza vuota, presa dal tavolo all’ingresso. La sera precedente, al party per la vigilia delle nozze, per una manciata degli amici più influenti di Carlos nel campo della musica la serata doveva essersi protratta fino alle ore piccole, anche se lei si era coricata a mezzanotte. Senza dubbio Carlos era furibondo con lei per non aver fatto atto di presenza fino alla fine, chiacchierando con le persone giuste, ma aveva mal di testa e il cuore stretto per quanto la aspettava il giorno successivo. Aveva addotto la stanchezza, ma era rimasta sveglia finché l’ultima macchina si era allontanata con uno sbattere di portiere e uno stridio di gomme, intorno alle tre di notte, portandosi via anche Carlos, all’albergo in cui avrebbe trascorso l’ultima notte da scapolo.
Nell’oscurità Rachel era rabbrividita al pensiero di ciò che l’aspettava la notte seguente.
Superato un arco di pietra, Rachel si trovò sul sagrato della chiesa. La nebbia che incombeva conferiva un’aria di malinconia che si adattava perfettamente al suo umore. Stringendosi addosso il golfino di cachemire, passò dall’altra parte della chiesa, nascosta alla vista della casa. Al pallido chiarore del mattino tutto era grigio, nero, argento. Alzò il viso verso il cielo coperto osservando i corvi che volteggiavano intorno alle mura della chiesa e non provò che disperazione.
Il vento gelido le scompigliava i capelli facendola rabbrividire. Davanti a lei, accanto a un antico albero, c’era la tomba più monumentale, un po’ in disparte, arricchita da un imponente angelo in pietra con le ali parzialmente ripiegate e il viso mesto. Rachel si sentì irresistibilmente attratta.
Accanto alla tomba era in parte riparata dal vento. L’angelo la guardava con gli occhi vuoti, l’espressione del viso di compassione e rassegnazione.
Aveva già visto tutto, pensò desolata. Quegli occhi ciechi dovevano aver assistito a centinaia di matrimoni e funerali, gli estremi della gioia e della tragedia. Si chiese se ci fosse un’altra sposa che avrebbe preferito che si celebrasse il proprio funerale invece del matrimonio. Seduta accanto ai piedi dell’angelo, bevve un sorso di champagne, poi posò il capo contro la pietra ricoperta di licheni. Sul fianco della tomba erano scolpiti una serie di nomi e date, alcuni ormai quasi illeggibili. Ma il nome accanto a lei era ben inciso e perfettamente leggibile. Facendo scorrere il dito sulla scritta, lesse le parole.
Hon. Felix Alexander Winterton
di Easton Hall
Caduto al servizio del suo paese
HA DONATO IL SUO PRESENTE
PERCHÈ NOI POTESSIMO AVERE IL NOSTRO FUTURO
Guardò l’angelo e alzò la bottiglia di champagne. «Salute, Felix» bisbigliò, «ma nel mio caso è stato un gesto sprecato.»
Orlando non si accorse neppure del freddo mentre, sceso dalla macchina, si dirigeva verso la chiesa. In quei giorni il freddo era il suo elemento naturale. Il freddo... e l’oscurità, naturalmente.
L’ultima visita da Andrew Parkes non aveva portato nessuna buona novità. La vista peggiorava più rapidamente di quanto Andrew avesse previsto, e gli era stato tassativamente proibito di guidare l’auto.
E lui l’avrebbe fatto. Quel giorno, infatti, sarebbe stata l’ultima volta. L’anniversario della morte di Felix. Si era recato alla tomba di buon’ora, per evitare il traffico, percorrendo la strada privata della proprietà ad alta velocità.
La zona periferica dell’occhio gli consentiva di vedere, mentre quella centrale pareva avvolta in una fitta nebbia. Muoversi, andare in giro, non era ancora un problema, ma i dettagli gli sfuggivano sempre più. Non riusciva più a scorgere un viso, e riconosceva le persone dalla voce, né era in grado di compiere tutti quei piccoli gesti che un tempo faceva automaticamente. Allacciare i bottoni di una camicia, preparare il caffè, leggere la posta.
Ma sarebbe morto piuttosto che confessarlo. Per questo era