Il segreto del conte di Winchester: Harmony Destiny
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Kathryn Jensen
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Il segreto del conte di Winchester - Kathryn Jensen
successivo.
1
La vita aveva preso una piega sbagliata. E per quanto il giovane conte di Winchester ci provasse, non gli riusciva di raddrizzarla.
In cima alla torre nord del castello c'era la sua stanza preferita, il rifugio dove poteva starsene da solo con i suoi pensieri. Da piccolo, andava lì a giocare con i fratelli. Da adolescente, ci si era isolato per leggere di prodi cavalieri, imprese coraggiose, e bellissime ma disperate principesse. Era sempre uscito vittorioso nelle sue fantasie a occhi aperti e si era sentito confortato nei momenti difficili dell'adolescenza.
Ma ora, da adulto, quando passava il tempo tra quei muri di granito, i pensieri che lo avvolgevano come le nebbie di Loch Kerr riuscivano solo a incupire oltremodo il suo umore. La frustrazione e la collera crescevano di giorno in giorno, infuriando come un temporale sulla brughiera scozzese.
Uscendo sul balcone, Christopher Smythe osservò accigliato la distesa di erica. Trecento miglia a sud c'era Londra, dove la sua elitaria cerchia di amici si preparava a migrare sulla Costa Azzurra per il mese di agosto. Gli ospiti che aveva di frequente erano una distrazione efficace, ma poi se ne andavano per un'altra caccia alla volpe, un'altra partita di polo, un altro party. E allora a lui non restava che affrontare la propria collera, impotente.
Levò lo sguardo al cielo del mattino e sfogò la rabbia imprecando a voce alta contro il destino. Invece di sentirsi meglio, provò la sensazione opprimente che la sua vita si sarebbe complicata ancora di più prima di poter sperare in un po' di serenità.
Proprio allora gli parve di vedere qualcosa muoversi in fondo al viale ghiaioso che portava su per la collina. Sembrava una specie di furgone, rosso. La sua domestica non sapeva guidare e il custode aveva la giornata libera. Gli addetti alle scuderie erano occupati con i cavalli. E comunque nessuna delle persone che conosceva possedeva un veicolo di quel genere.
Mentre quella mostruosità rossa si avvicinava sollevando polvere e sassi, Christopher notò su una fiancata la scritta Murphy's Worldwide Escapes. Una comitiva di turisti che si era persa, dedusse. Non c'era altro da fare se non scendere e indicare loro la direzione per tornare sulla strada principale.
Irritato per essere stato interrotto nelle sue riflessioni, o forse perché l'interruzione prometteva di essere breve e per niente eccitante, scese in fretta dalla torre fino all'ampio atrio. Aprì la massiccia porta di quercia borchiata e uscì proprio mentre una giovane donna, in gonna jeans e top di cotone rosa, smontava dal sedile di guida del furgone invitando allegramente i suoi passeggeri a scendere.
Era davvero troppo.
«Cosa crede di fare?» Furioso, Christopher avanzò verso di lei.
La donna si voltò e lo guardò con stupore. I suoi occhi, d'un verde chiaro come le foglie appena nate, s'incupirono di fronte all'espressione accigliata di lui. «Scusi?»
«Non ha visto il cartello?»
«Quale cartello?» C'era una nota di sfida nella sua voce che lo sorprese, poiché di solito gli bastava un'occhiataccia per spedire via gli intrusi.
«Quello che dice che questa è proprietà privata» ringhiò. «Vietato Entrare.»
Lei si morse il labbro e sospirò. «Probabilmente ho supposto che fossimo...» Rovistando nella borsa, estrasse un foglio di carta. «Ecco. Abbiamo una prenotazione per le undici di questa mattina.»
«Prenotazione?»
Christopher, con un gesto di impazienza, le sfilò il foglio di mano e lo esaminò. Sembrava un permesso per una visita guidata del castello di Bremerley. Stava per informarla che Bremerley si trovava a venti chilometri più a nord, vicino a Edimburgo, ma esitò vedendo la comitiva osservare incantata le mura del castello e notando che, dietro l'apparenza disinvolta, quegli occhi verdi erano preoccupati.
La sua collera si incrinò. Non aveva il coraggio di dirle di fronte agli altri che si era persa, che aveva sbagliato strada.
Inoltre, era adorabile mentre si passava la lingua sul labbro superiore e lo guardava con quei begli occhi. Provò un'improvvisa e sorprendente eccitazione.
«Sarò felice di farvi da guida» borbottò con la cordialità di un orso risvegliato dal suo letargo.
L'espressione di lei si rianimò. «Bene. Lei deve essere il custode. Lord MacKinney risiede qui in questo periodo dell'anno?»
L'inattesa possibilità di un gioco degli equivoci gli fece piacere al punto di suscitargli un sorriso. Perché non fingere di essere un altro solo per un po'? E se così facendo aiutava anche la bella americana in difficoltà, tanto meglio. «Saltuariamente» rispose, «quando non è via per una partita di polo o una serata a teatro a Londra. Oggi non è qui.»
Lei gli ammiccò con aria complice. «Immagino che sia felice di non averlo tra i piedi?»
Lui le si avvicinò e, inspirando il suo profumo alla fragranza di vaniglia, le bisbigliò: «Oh, sa essere davvero un rompiscatole».
«Sono contenta, allora, che non ci sia.» Con stupore quasi infantile, si voltò ad ammirare la svettante fortezza di pietra. «Può mostrarci le stanze aperte al pubblico?»
La linea sinuosa del suo collo attirò l'attenzione di Christopher, evocandogli una fugace visione delle proprie labbra su quella pelle delicata. Era minuta, mora, capelli lunghi. Mentre osservava il maniero che apparteneva alla famiglia di Christopher da quasi trecento anni, le sue dita giocherellavano con la cerniera della borsa. Corrugò la fronte quando concentrò lo sguardo sull'ala destra, ancora in rovina.
Donna sveglia, pensò lui. Il castello di Bremerley era stato completamente restaurato e, se lei era una guida competente, doveva saperlo. Quanto le ci sarebbe voluto per rendersi conto del suo errore?
Nel frattempo gli fece piacere vederla interessata alla sua proprietà. Di solito, quando i turisti sbagliavano strada e finivano sulle sue terre, venivano mandati via in malo modo. Ma quella donna era così incantevole da guardare!
«Come si chiama?» le chiese, avviandosi verso l'ingresso.
Lei gli si affiancò, e la sua comitiva di dieci persone la seguì come un docile gregge. «Jennifer Murphy, e lei?»
«Christopher.»
«Christopher» ripeté lei in tono pensoso, mentre saliva gli scalini di granito consumati dal passaggio di generazioni. «È un nome scozzese? Mi suona più inglese.»
«Sono nato nel Sussex. Sono cresciuto in quella zona e a Londra.»
«Eccitante!» I suoi occhi scintillavano alla luce del mattino.
«A volte» ammise lui. Non aveva di certo mai avuto problemi di sopravvivenza, e c'era sempre stato denaro in abbondanza con cui fare tutto ciò che desiderava. Suo padre, conte di Sussex, era stato avaro di affetto, ma non di soldi né di titoli nobiliari. Christopher e i suoi due fratelli potevano legittimamente asserire di essere conti, sebbene meno importanti del padre. La famiglia aveva ereditato da vari antenati del ramo paterno una collezione di titoli aristocratici antichi di secoli.
«E lei? È ovviamente americana. Di dove?»
«Baltimora. Io e mia madre abbiamo un'agenzia viaggi, specializzata in tour europei.»
«E guida personalmente ogni tour?»
Lei sorrise. «Non proprio tutti, la maggior parte, dal momento che mia madre preferisce occuparsi dell'ufficio. E dato che io sono laureata in storia, ho la preparazione adeguata per le visite in luoghi di rilevanza storica.»
Non solo era bella, era anche intelligente. E questo lo invogliava a sapere di più di lei. Ma erano ormai giunti nell'atrio, e il suo gruppo stava cominciando a curiosare intorno.
Christopher stava per pregarla di avvertire i suoi clienti di non toccare i quadri che, da poco ritirati dal deposito, erano appoggiati contro una parete in attesa di essere appesi, ma notò che lei gli stava fissando i vestiti, la fronte leggermente aggrottata. «Qualcosa non va?»
«Mi stavo solo chiedendo quanto sono pagati i custodi oggigiorno.» Con la punta di un dito gli sfiorò il risvolto del blazer di cachemire che indossava.
Era davvero svelta a capire. Per poco Christopher non ridacchiò.
Si era vestito per andare a Edimburgo dal suo avvocato. Era in quel modo che lui e suo padre erano arrivati a comunicare. Il vecchio conte non approvava lo stile di vita del suo ultimogenito, come documentato dai dettagliati servizi dei fotoreporter britannici. Il padre lo considerava un playboy con un debole per i focosi cavalli da polo e per le donne ancora più focose. Quando, un anno prima, Christopher aveva chiesto che gli fosse dato il castello di Donan come anticipo della sua eredità, il padre aveva accettato nella speranza che il figlio si sistemasse là e si trovasse una moglie. Ma viveva a Donan da più di nove mesi e di una potenziale moglie nemmeno l'ombra.
In realtà, il giovane conte aveva un'unica debolezza, che sarebbe rimasta segreta finché non fosse stato sciolto dalla sua promessa. Sperava che quel giorno arrivasse presto.
Si sforzò di sorridere alla giovane donna. «La giacca è un regalo del mio padrone.»
Jennifer lo scrutò ancora per un momento, poi, battendo le mani, richiamò la sua comitiva e cominciò a parlare dell'architettura medievale. Christopher la ascoltò, affascinato più dal suono della sua voce che dalle sue parole. Una voce dolce e melodiosa, che gli rammentò un periodo del suo lontano passato, quando una bambinaia, per farlo addormentare, gli leggeva storie di epoche in cui l'onore significava tutto.
Cercò di immaginare Jennifer in abiti da nobildonna del quindicesimo secolo, in una veste lunga di damasco, con nastri e gioielli puntati nei capelli lunghi e scuri. Lo intrigava l'idea di toglierle di dosso uno di quegli abiti fastosi.
Quella fantasia lo intrigava. Vide se stesso solo con lady Jennifer, libero di spogliarla e toccarla a suo piacere. Il suo corpo reagì istantaneamente a