La notte delle sorprese: Harmony Collezione
By Robyn Donald
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Robyn Donald
Robyn Donald è nata sull'Isola del Nord, in Nuova Zelanda, dove tuttora risiede. Per lei scrivere romanzi è un po' come il giardinaggio: dai "semi" delle idee, dei sogni, della fantasia scaturiscono emozioni, personaggi e ambienti.
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La notte delle sorprese - Robyn Donald
successivo.
1
«Dunque questa è Anne Corbett» osservò Wolfe Talamantes, guardando la foto. Diamine, aggiunse mentalmente. Era più bella di qualunque altra donna avesse mai conosciuto, inclusa quella famosissima attrice con cui aveva diviso il letto per qualche mese.
«Rowan Corbett» lo corresse l'uomo dall'altra parte della scrivania.
«Ti avevo chiesto di investigare su Anne Corbett» dichiarò brusco.
«Il suo nome per intero è Rowan Anne Corbett. Ora usa solo il primo.»
Wolfe continuò a scrutare la fisionomia della foto. Non c'era da stupirsi che quella Corbett possedesse una rara, stupefacente bellezza. Tony aveva sempre avuto buon gusto in fatto di donne.
Il viso era solenne, il collo flessuoso che sbucava dal colletto bianco ricordava lo stelo di un fiore. La luce donava riflessi rossi ai capelli corvini tirati indietro. Sotto zigomi esotici, una bocca morbida e seria risaltava sull'incarnato perlaceo, e il mento volitivo faceva intuire forza di carattere.
A dispetto della cautela che emanava lo sguardo e dell'impressione di ferreo autocontrollo, Wolfe comprese per la prima volta il fascino potente del proibito. Si scoprì infatti a fantasticare di pelle di seta, un grosso letto e una urgente passione.
Si era aspettato una tentatrice, con carnalità bruciante che la rendeva diversa da ogni altro bell'esemplare del gentile sesso, ma quegli occhi! Una combinazione fumosa di oro e topazio sotto sopracciglia arcuate. Occhi da far girare la testa a un uomo, fargli ribollire il sangue e dimenticare qualunque altra donna.
Occhi per cui uccidere, o per cui morire...
Wolfe guardò il capo della sicurezza. «E lavora in un bar di Kura Bay, nel Northland?»
«Dal lunedì al sabato, dalle sette alle quattordici.»
«Sa che le hai scattato questa foto?»
«Sono quasi certo che non se ne sia accorta.»
«Ma...?»
«È stata affabile» ammise l'uomo, «però così distaccata che mi sono chiesto se non fosse sospettosa... finché non ho scoperto che ha fama di persona riservata. E modella la ceramica» concluse.
Wolfe gli lanciò un'occhiata scettica. «Cosa?»
«Modella ceramiche. Realizza tazze, brocche e vasi in argilla su un tornio e...»
«So come si fa» tagliò corto Wolfe.
L'altro sorrise mentre precisava: «Dicono sia brava».
«Niente fidanzati?»
«Non ve n'è segno. Le piace starsene da sola.»
«La gente del posto sa del suo passato?»
«Sanno, ma non ne parlano. È l'ultima di una antica famiglia di pionieri. Pare che la madre sia morta dandola alla luce e che il padre, un poliziotto, la portasse lì ogni estate per farle passare le vacanze con i nonni, così la conoscono da quando era bambina. In quei piccoli posti isolati sono tutti uguali: gran pettegoli tra di loro, ma muti come tombe con i forestieri. Ho saputo solo che è un'esperta di arti marziali. Una donna utile da avere al fianco nelle situazioni di emergenza.»
«Preferisco affrontare le risse da me» replicò il suo capo.
Il responsabile della sicurezza, che lo aveva aiutato a respingere l'assalto di tre delinquenti armati di coltello in un fetido vicolo del Sud America, sogghignò e si allungò verso la foto.
Una mano dalle dita affusolate la tirò via prima che potesse toccarla. «La terrò io» sentenziò Wolfe.
«D'accordo. C'è altro?»
«No. Grazie di tutto.»
Rimasto solo, Wolfe spostò il suo metro e ottantatré, si avvicinò alla finestra e guardò giù. Le strade di Auckland erano un miscuglio rumoroso di pedoni, macchine e spericolati fattorini sui loro scooter chiassosi.
Di solito gli faceva piacere tornare in Nuova Zelanda, ma dopo la telefonata della madre era diventato nervoso e aggressivo. Per sei anni aveva rimosso Rowan Anne Corbett dalla mente, rifiutandosi di pensare a quanto era accaduto, tuttavia non poteva ignorare sua madre.
«Wolfe, l'ho trovata» gli aveva detto lei con la voce pacata e stanca che lo faceva sempre infuriare di una collera inutile.
A meno di un anno dalla morte del figlio minore, Laura Simpson era caduta in uno stato che l'aveva privata di energia, entusiasmo e voglia di vivere. Soffriva di crepacuore.
«Come?» le aveva domandato lui.
«Una di quelle strane coincidenze della vita. La mia amica Moira l'ha vista servire in un bar di Kura Bay e ha chiesto chi fosse.»
«Perché?»
«Moira mi aveva accompagnata in aula al processo, così l'ha riconosciuta. Me lo ha raccontato quando è tornata ad Auckland e io ho scritto alla ragazza.» Un impeto di rabbia l'aveva scossa dalla consueta apatia. «Ha risposto, due righe banali in cui spiegava che aveva riferito sei anni fa al magistrato tutto ciò che sapeva sulla morte di Tony. Ho cercato di telefonarle, ma il suo numero non è sull'elenco. Ho lasciato un messaggio in quel bar, ma non mi ha contattata, quindi andrò a incontrarla la settimana prossima.»
«Non lo farai» aveva replicato Wolfe, furioso verso Anne Corbett perché si rifiutava di soddisfare il desiderio di una donna malata di parlare della morte del figlio. Perfino il viaggio in elicottero avrebbe sfinito sua madre. «La vedrò io.»
Il respiro della madre si era fatto ansimante nel ricevitore. «Grazie. Quando la vedrai dille che non la incolpo più. L'ho usata come capro espiatorio, e me ne dispiace. Aveva solo ventun anni. Ma ho bisogno di sapere cosa è successo davvero quel pomeriggio.»
Sua madre poteva aver perdonato Rowan Corbett, che si faceva chiamare Anne prima di diventare tristemente nota, lui no. Con quei capelli neri screziati di rosso e il viso e il corpo da sirena era stata la diretta responsabile della miserabile morte del suo fratellastro.
Laura aveva esitato. «Wolfe, avevi notato qualche cambiamento in Tony dopo l'incidente?»
«Che cambiamento?»
«Mi era sembrato più serio. Più... intenso?»
«L'ho attribuito all'essere sopravvissuto a uno scontro così violento in autostrada. Esperienze simili tendono a far pensare con più serietà alle cose importanti. Dovrebbe essere un progresso.»
«Certo» aveva risposto la madre, riattaccando dopo avergli estorto la promessa di averlo a pranzo in settimana.
Wolfe guardò la foto e sorrise minaccioso. Questa volta Rowan non se la sarebbe cavata con le menzogne e il sotterfugio.
Sei anni prima un attacco di polmonite lo aveva inchiodato in ospedale all'altro capo del mondo, costringendo sua madre ad affrontare l'angoscia del processo per la morte del fratello senza il suo supporto. Lui aveva un forte istinto di protezione verso le donne, e l'impossibilità di farle da scudo lo aveva ferito nel profondo, soprattutto perché quando era tornato in Nuova Zelanda Anne Corbett era sparita senza lasciare traccia.
Il suo istinto di protezione non si estendeva alla donna che aveva causato tanta sofferenza a sua madre. Se avesse dovuto costringerla a raccontare la verità, sarebbe ricorso a ogni mezzo. E con piacere.
Anne... Rowan Corbett aveva portato Tony alla pazzia, ma Wolfe sapeva di essere più resistente del suo viziato e superficiale fratello. Mise la foto nel cassetto della scrivania e lo richiuse sbattendolo con forza.
Mezz'ora dopo, con la mente ossessionata da quel volto solenne e intrigante, imprecò, accantonò il file su cui stava lavorando e navigò su Internet in cerca del giornale locale. Lì, il suo occhio catturò la parola Rowan.
Incredulo e con il battito accelerato, si sporse in avanti e cliccò sull'articolo. Quella sera una galleria della città avrebbe inaugurato una mostra, una collezione mista di vasi, dipinti e cristalleria. Secondo il giornalista, che era stato a un'anteprima, erano tutti bei pezzi, ma i suoi commenti più elogiativi erano per la vasaia, di nome Rowan.
Niente altro... solo Rowan.
Il trafiletto si concludeva con altrettanto entusiasmo, parlando di magnifica estetica, forma superba e plasticità innata. La definiva una brillante artista, una nuova stella nel firmamento delle ceramiche neozelandesi, e potrà solo migliorare.
Non poteva essere solo una coincidenza, e poi Wolfe dava spesso ascolto ai presentimenti. Fino ad allora quel fiuto misterioso non lo aveva mai abbandonato. Era stato il suo istinto a portare la piccola azienda elettronica del patrigno alla notorietà internazionale nel campo dell'industria informatica.
Una formidabile intelligenza e una prodigiosa precisione nello scegliere gli orientamenti, nonché una certa spietatezza, avevano contribuito a quella rapidissima crescita. I concorrenti lo rispettavano e il suo staff lo spalleggiava in toto. Wolfe si aspettava da loro il massimo, ma si assicurava che lavorassero alle migliori condizioni.
Premette un pulsante e parlò nell'interfono. «Signora Forrest, mi procuri un biglietto per la mostra alla Working Life Gallery, per favore.»
Rowan represse un attacco di nervi che rasentava il panico. «Non voglio andare» disse alla propria immagine riflessa nello specchio. Una perfetta estranea ricambiò lo sguardo. Era incredibile l'effetto del trucco applicato da mano esperta!
«Ti farà bene!» replicò Bobo Link, la sua agente. «Non puoi passare la vita a nasconderti.»
«Io non mi nascondo.»
«Rintanarsi come un eremita nel Northland, sgobbare in quel deprimente baretto, rifiutarsi di andare ovunque e di vedere gente non lo chiami nascondersi?»
«Sono presa dal lavoro! Se si vogliono vendere vasi...»
«E allora fallo» la interruppe pratica Bobo, che l'aveva tampinata per quasi un anno, insistendo per rappresentarla. Brillante, esuberante, brutalmente schietta, non possedeva una natura creativa, ma era un'agente in gamba, ed era diventata inoltre una cara amica. «Sei splendida» continuò, dandole una pacca rassicurante sulla spalla. «Sarò immodesta, ma ho fatto un ottimo lavoro con i tuoi occhi e la tua bocca. Naturalmente, la materia prima è eccellente.»
«Non mi riconosco» le rispose Rowan, abbastanza rilassata da sorriderle. «Però vendere non è il mio forte, è il tuo. Forse dovrei rimanere a casa e lasciarlo fare a te.»
«Stupidaggini! La gente vuole sempre conoscere l'artista. E tu sei un dono del cielo per ogni gallerista, perché sei bella e fotogenica.»
«Non sono una modella» storse il naso lei.
Bobo non si arrese. «Non ti preoccupare, il tuo lavoro parla da sé, ma il caro vecchio Frank ti ha scritto una tale recensione sul giornale che sarebbe un peccato non sfruttarla. Anche se sei un genio, non puoi mangiare vasi, e se non vuoi continuare a servire in quel patetico bar faresti bene a presentarti alla tua prima mostra in galleria.»
«Sei molto brava con le parole» ribatté Rowan sarcastica, tornando a esaminarsi nello specchio. La camicia di seta nera e oro, prestito dell'amica, e la gonna dritta e nera fino al ginocchio stavano bene insieme, eppure si incupì guardandosi. «D'accordo, verrò. Ma non posso indossare questa camicia: si vede tutto. Il mio seno non è fra gli articoli in vendita!»
L'altra alzò gli occhi al cielo. «Se proprio qualcuno guardasse bene, forse riuscirebbe a vederlo.»
«Che ne dici di un reggiseno?»
«Sciuperebbe l'effetto. Io la indosso così.»
«Tu saresti capace di andare in giro con il corpo pitturato, io non ne ho il fegato.»
Con un sospiro, Bobo pescò in un cassetto un indumento di seta nera. «Tieni. L'ho comprato con intenzioni di seduzione, però lo sacrifico per te e per il dieci per cento di ciò che vendi.»
Rowan guardò l'oggetto sospettosa. «Cos'è?»
«Lo so che non vivi sopra un albero, quindi non fingere. È un bustino, e tutto quello che mostrerà saranno le tue incantevoli spalle.»
«Non ti merito.» Rowan si sfilò la camicia e indossò il top senza spalline. Le aderiva al seno e al busto, ma almeno era coperta. Si infilò di nuovo la camicia e si esaminò critica.
«Hai ragione. Non mi meriti, ma smettila di piagnucolare. Tuo padre deve essere stato un grande uomo, però ti ha cresciuta come le ragazze con cui lui è cresciuto. No, non ti scaldare... sono certa che ha fatto del suo meglio per la sua bambina senza madre, tuttavia era irrimediabilmente antiquato. Puoi anche apparire sexy, maliziosa e scaltra, ma sotto quella vernice esotica si nasconde un'innocente Cappuccetto Rosso.»
«Cappuccetto Rosso?»
Bobo sorrise