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Una sconosciuta nel mio letto
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Una sconosciuta nel mio letto

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About this ebook

New York d'estate può diventare una città insopportabile, così, quando un ex collega invita la graphic designer Allie MacDonald a trascorrere due settimane nella sua residenza estiva, lei accetta immediatamente. L'unica cosa a cui dovrà stare attenta saranno le grossolane avance del padrone di casa, ma per Allie ne sarà valsa la pena se questo significherà incontrare il fratello di lui, Jonas Meyer.

Allie ha già avuto il piacere di incontrare Jonas la notte in cui si è accidentalmente intrufolata nel suo letto e ha intravisto il paradiso. Adesso, intenta a scappare da un uomo per inseguirne un altro, fasciata nella sua lingerie super sexy, si rende conto che non ha quasi più nulla da nascondere. Ma di sicuro non ha niente da perdere!
LanguageItaliano
Release dateMar 21, 2016
ISBN9788858946350
Una sconosciuta nel mio letto
Author

Isabel Sharpe

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Una sconosciuta nel mio letto - Isabel Sharpe

    successivo.

    1

    «Non riesco ancora a credere di essere stata licenziata. Piaceva a tutti come lavoravo. Me lo dicevano ogni giorno. Be', quasi ogni giorno.» Allie MacDonald camminava avanti e indietro nel minuscolo soggiorno della casa che condivideva con Julie per attraversare il quale bastavano quattro passi e mezzo. In cucina, poi, si poteva camminare avanti e indietro stando fermi. «Anche ai clienti piacevano le mie idee. Li ho sentiti centinaia di volte ripetere come i loro prodotti o servizi riscuotevano maggior successo negli spazi che progettavo per loro. Ma soprattutto non ha senso il fatto che abbiano rinunciato a me tenendosi quella vecchia come si chiama, che tutti detestano anche se lavora lì da sempre.»

    «Ah, sì?» La sua coinquilina voltò la pagina di Saveur, la rivista che stava leggendo, le gambe piegate sotto le natiche, sul divano rosso. «Fattene una ragione.»

    «Lo so, lo so, sei stanca di me.» Allie smise di camminare e si passò le mani tra i lunghi capelli. Alcune ciocche della frangia si impigliarono nelle ciglia. Fortunatamente poteva spuntarla da sola. Avrebbe lasciato crescere il resto della chioma fino a quando non avesse trovato un altro lavoro. Con un po' di fortuna sarebbe successo prima che assomigliasse a Raperonzolo. «Da una settimana non faccio che lamentarmi.»

    «Davvero?» Julie voltò pagina esaminando le illustrazioni con apparente interesse. «Sinceramente ho smesso di ascoltarti dopo le prime quattro o cinquecento volte.»

    Allie scoppiò a ridere. Nata e cresciuta a New York, Julie Turner era sincera e diretta, ma sarebbe passata attraverso un mare di lava pur di aiutare le persone che amava. Lei e Julie erano state compagne di stanza e amiche alla Rhode Island School of Design che Allie aveva frequentato grazie a una borsa di studio e Julie alle sovvenzioni di mamma e papà. L'appartamento l'avevano trovato tramite le conoscenze dei genitori di Julie. Qualsiasi cosa servisse loro nella Grande Mela, i Turner conoscevano qualcuno che conosceva qualcuno che poteva aiutarle.

    Sarebbe stato fin troppo facile detestare Julie se non fosse stata tanto meravigliosa. Bella, sofisticata, ricca e intelligente, conduceva una vita interessante. Gli uomini la corteggiavano a frotte. Poteva mangiare qualsiasi cosa volesse senza ingrassare. E appena diplomata aveva trovato lavoro presso Vanity Fair.

    Ora che Allison ci pensava, Julie era esattamente il tipo di donna per cui suo padre aveva abbandonato la famiglia. L'unica differenza era che Julie era umana.

    Allie non era il tipo per cui gli uomini si mettevano in fila. Aveva capelli biondo scuro e le fattezze della ragazza della porta accanto, frequentava i mercatini che vendevano articoli di seconda mano, realizzava da sola i suoi vestiti e teneva sotto controllo il peso grazie a esercizi fisici costanti e altrettanto costanti sacrifici.

    Le ci era voluto un intero anno dopo la laurea per trovare un lavoro come grafica in un'agenzia pubblicitaria, la Boynton Advertising. Cinque anni più tardi, dopo che era stata promossa assistente del direttore artistico, l'agenzia aveva conosciuto un periodo di crisi e con tanti saluti e baci l'aveva licenziata, mettendola nella condizione di doversi di nuovo cercare un lavoro e di doversi di nuovo preoccupare di come pagare l'affitto. Julie si era offerta di anticipare la sua parte fino a quando non avesse trovato una nuova fonte di entrate. I fondi fiduciari erano una cosa meravigliosa. La cosa più simile a un fondo fiduciario che Allie avesse mai avuto era il barattolo nell'appartamento di Brooklyn nel quale sua madre infilava un quarto di dollaro ogni volta che Allie faceva da babysitter ai suoi cinque fratelli arrivando a fine giornata senza ucciderne nemmeno uno.

    Lasciandosi cadere sul divano accanto a Julie, Allison appoggiò la testa contro lo schienale. «Mi sento una fallita.»

    «No, non lo sei.»

    «Non ho detto di esserlo. Ho detto che mi sento una fallita.»

    «Smettila di sentirti una fallita.»

    Allie batté le mani. «Ehi, funziona. Grazie!»

    «Il tuo problema è che non hai abbastanza cose da fare.»

    «Perché non ho un lavoro. Perché sono stata licenziata

    Julie sbuffò. «Stai facendo tutto quello che devi per trovare un altro lavoro, ma ciò non basta a riempirti le giornate, perciò...»

    «Mi agito, sono di cattivo umore e mi lamento con te.»

    «Esatto.» Julie posò la rivista. «Ehi, lo sai che a me non dà fastidio. Lamentati quanto vuoi. Lo farei anch'io al tuo posto. Perdere il lavoro è un duro colpo da incassare e come ti ho ripetuto all'infinito, se c'è qualcosa che posso fare per aiutarti, dimmelo. A patto che non si tratti di cederti il mio lavoro.»

    «Uff, volevo chiederti proprio quello» scherzò Allie. «Stai facendo già tantissimo sopportandomi. Non è così che mi immaginavo sei anni dopo il diploma.»

    Julie inarcò un sopracciglio perfetto. «Insisto nel dire che hai bisogno di tenerti impegnata con un qualche progetto. Come disegnare una linea di abiti che farà impazzire Londra, Parigi e Milano. Ne hai il tempo e puoi sfruttare la tua vena creativa.»

    «La mia vena creativa.» Allie fissò disperata una crepa triangolare sul soffitto. Non aveva più creato niente di interessante da quando aveva incominciato a lavorare alla Boynton. «È stata avvelenata.»

    «Ottimista come sempre.»

    Il cellulare di Allie squillò nella tasca posteriore dei pantaloni. Forse qualcuno la stava chiamando per un colloquio. Magari da Londra, Parigi o Milano.

    «È Erik» dichiarò dopo aver controllato il display.

    «Oh, il tuo collega preferito, nonché predatore sessuale.»

    «Ex collega. Che finalmente ha smesso di provarci con me.»

    «Perché non lavori più con lui.»

    «In effetti.» Allie rispose alla chiamata. «Ciao, Erik.»

    «Allie!» Erik urlò il suo nome tanto che Allie dovette staccare il telefono dall'orecchio. Julie sollevò gli occhi al cielo tornando a leggere la sua rivista.

    «Accidenti, Erik, abbassa la voce, mi hai rotto un timpano.»

    «E sarebbe un problema perché...»

    «Che cosa succede? No!» Allie sollevò una mano in un gesto melodrammatico. «Non dirmelo. Boynton vuole che torni ed è pronto a pregarmi.»

    «È quello che dovrebbe fare. È stato un idiota a licenziarti.»

    Sebbene Erik fosse incline a dire quello che la gente voleva sentirsi dire, Allie decise che in quell'occasione era sincero. «Puoi dirlo forte.»

    «Allora, come stai?»

    «Sono ansiosa, frustrata e annoiata.»

    «Hai bisogno di fare qualcosa di eccitante?»

    «Be'... perché prima non mi dici di che cosa si tratta? Poi ti dirò se è quello di cui ho bisogno.» Una nuova offerta di lavoro era il genere di eccitazione di cui necessitava. Erik che voleva portarla a letto no.

    Portarsi a letto le ragazze era lo sport preferito di Erik. Se fosse riuscito a farsi pagare per fare sesso, sarebbe stato due volte più ricco di quanto già non fosse in quanto erede di una famiglia molto più che benestante. A volte Allie pensava che le riservasse così tante attenzioni solo perché non era ancora riuscito a portarla a letto. E non ci sarebbe mai riuscito, come lei gli aveva detto chiaro e tondo, ma naturalmente lui non le aveva creduto.

    La cosa buffa era che Erik le piaceva. Davvero tanto. Gli faceva onore il fatto che lavorasse duramente nonostante non avesse bisogno di farlo per guadagnarsi da vivere. Dietro la spavalderia, Allie sospettava che si nascondesse un ragazzo insicuro, con un cuore d'oro ed era anche riuscita a sentirsi un po' dispiaciuta per lui. Per quel motivo cercava di dimostrarsi sempre gentile e, di riflesso, lui si illudeva di avere ancora qualche possibilità con lei. Gli uomini erano un po' lenti a capire certe cose.

    «È l'occasione di una vita, Allie.»

    «Sì, certo.»

    «Ti piacerebbe trascorrere una settimana negli Adirondacks a Lake George? O anche due?»

    «Nella casa vacanze dei tuoi?» Allie aveva sentito parlare del posto e aveva visto alcune foto di una bellissima casa e di un altrettanto splendido lago. La tentazione fu immediata, nonostante avesse già pronte le parole per rifiutare gentilmente l'invito. Lasciare la calda e puzzolente New York in luglio per un'oasi di lusso? Per una favolosa e rinfrescante settimana... o due? Sarebbe stato irrealizzabile, irresponsabile e di incoraggiamento nei confronti del Grande Predatore, ma chi non sarebbe stato tentato?

    «Sì, nel nostro cottage nel bosco.»

    Allie sorrise. Se l'enorme villa era un cottage, lei era la regina del pianeta terra. «Mi stai proponendo una settimana di vacanza lassù io e te da soli?»

    Julie si agitò facendole cenno di no con la testa.

    «Be'... Aspetta, non ti ho ancora detto la parte migliore.»

    «Ti ascolto.» Allie aveva un po' paura della parte migliore.

    «Mia nonna e la mia bisnonna erano donne molto eleganti a cui piaceva seguire la moda e non buttavano mai niente. La soffitta è piena dei loro vestiti sotto naftalina.»

    Allie drizzò le orecchie. Abiti antichi. La sua passione. «Scherzi?»

    «No, questa è la parte migliore. Mia madre vuole disfarsi delle loro cose prima di vendere la casa.»

    «Volete vendere la casa?»

    «Sì» la voce di Erik si fece più cupa. «Dal quando i miei si sono trasferiti in Germania non riescono a tornare abbastanza spesso per sfruttarla per cui tenerla non ha più senso. Io ho chiesto a mio fratello se voleva comperarla con me, ma non ne vuole sapere. La comprerei per conto mio, ma è troppo grande per una persona sola e i miei hanno ragione, merita di essere vissuta.»

    «Oh, Erik, è terribile.» Allie sapeva quanto gli piaceva quel posto.

    «Sì, ma torniamo ai vestiti. Ce ne sono almeno quattro bauli e tu avrai diritto di prelazione su tutto.»

    «Io... su tutto?» Allie batté forte le palpebre fissando un'incredula Julie. Gli abiti della nonna e della bisnonna di Erik risalivano agli anni Venti, Trenta e Quaranta. Poteva trattarsi di una collezione incredibile. Un nirvana della moda. «Wow. È fantastico. Ma, Erik... saremo solo io e te lassù?»

    Julie le fece cenno di no con il dito.

    «Allie, Allie, Allie. Non ti fidi ancora di me?»

    «No, no» confermò lei con il cuore che le batteva forte al pensiero di tutti quei vestiti. Era disposta a vendere il proprio corpo in cambio di quei gioielli dell'alta moda?

    Non proprio.

    «Non ci proverò, lo giuro.» Erik si sforzava di sembrare sincero. O forse era sincero. Non si poteva mai dire con lui. «Ho pensato che volessi essere la prima a vederli. Senza contare che stai attraversando un periodo difficile e una vacanza ti farebbe bene.»

    «Non so...»

    Julie si passò il pollice sulla gola.

    «E poi» aggiunse Erik, «non saremmo da soli.»

    Allie socchiuse gli occhi. «E me lo dici solo adesso?»

    «Sì. Sì.»

    Allie aspettò, ma lui non aggiunse altro. «Allora, chi altro ci sarà?»

    Julie si incupì, scettica.

    «Mio fratello Jonas con la sua ragazza.»

    Mmm. Allie socchiuse di nuovo gli occhi ignorando il sussulto che il suo cuore aveva avuto nel sentire il nome del fratello di Erik, l'uomo più affascinante del nordest degli Stati Uniti, se non dell'intero universo. «Te lo sei inventato in questo momento?»

    «No, non me lo sono inventato. Che cosa te lo fa credere?»

    «Il fatto che sei sempre pronto a inventarti cose.»

    «Te ne fornirò la prova. Ti farò scrivere un'e-mail da Jonas con la quale ti confermerà che ci sarà anche lui. Va bene?»

    «Non sono sicura che accetterò di venire.»

    «Come potresti rifiutare? Un'intera soffitta piena di vestiti. Abiti, cappelli, scarpe e forse anche biancheria intima. Come puoi rinunciare a tutto questo?»

    Allie non poteva. Non solo la vacanza le avrebbe fatto bene, ma in quella collezione storica potevano esserci i semi di una nuova occupazione, di una nuova carriera. Da sempre era ossessionata dai vestiti d'epoca e guardava i vecchi film solo per il piacere di studiarli. Adorava Edith Head, la costumista delle star più famose dell'età d'oro del cinema che andava dagli anni Venti agli anni Sessanta. Da ragazzina, Allie amava disegnare abiti per le sue bambole che poi realizzava con la vecchia macchina da cucire di sua madre Alle superiori, invece, aveva incominciato a realizzare vestiti per sé.

    La realtà delle cose l'aveva travolta non appena si era diplomata. Aveva bisogno di un'occupazione stabile e ben retribuita perché, a differenza di Erik, non poteva contare sul sostegno economico della famiglia né su una qualche eredità. Tre dei suoi cinque fratelli avevano frequentato le scuole professionali per imparare un lavoro, ma Allie aveva voluto di più fin dal momento in cui era stata abbastanza grande da capire la differenza tra i ricchi e i poveri. E quel momento aveva coinciso con la decisione di suo padre di fuggire con la Richesse Putanesse lasciando tutti loro nell'Upper East Side. Lui si era trasferito in un magnifico appartamento con la sua nuova moglie e i suoi due mocciosi spocchiosi, mentre loro si erano dovuti trasferire a Kensington, Brooklyn, tutti e sette stipati in un appartamento di tre stanze, situato in un quartiere difficile.

    Era stato allora che sua madre si era messa a bere per bene.

    Poche volte all'anno andavano a far visita al loro padre nella sua reggia, scherniti dai suoi nuovi marmocchi e ignorati da sua moglie Betsy. Allie aveva giurato a se stessa che dopo tutto quello che lui aveva fatto loro, un giorno sarebbe stata abbastanza ricca da prendersi una rivincita. E si ripromise anche di non ripetere mai l'errore che aveva commesso sua madre di dipendere da un uomo, né tanto meno quello di suo padre di andare alla ricerca di denaro che non si era guadagnato con le proprie mani.

    «Ti verrò a prendere venerdì dopo il lavoro.»

    «Erik...»

    «Jonas ti manderà un'e-mail dopo che mi sarò messo in contatto con lui.»

    «Erik

    Julie sollevò le mani.

    «Ci divertiremo. Moltissimo. E tu tornerai con un camion dei vestiti più belli che tu abbia mai visto.»

    «Non ho ancora deciso.» O forse sì.

    «E dai! Accetta.» Il signor responsabile commerciale che cercava di concludere un affare.

    «Concedimi un'ora per pensarci su.»

    «Allie, Allie, tu vuoi venire, sai di voler venire. Puoi seguire le tue domande di lavoro online e avrai il cellulare per rispondere a tutte le chiamate e se dovrai tornare ci impiegherai solo qualche ora. Non ti perderai niente. A meno che tu non decida di restare qui.»

    Erik aveva ragione. La sensazione di panico che provava derivava dall'illusione di poter controllare meglio la propria vita lì, dove c'erano le soluzioni. In realtà poteva continuare a cercare lavoro anche dal paradiso terrestre e se un curriculum di quelli che aveva spedito avesse attirato l'attenzione di qualcuno, lei sarebbe potuta tornare immediatamente.

    Nel frattempo ci sarebbero stati i vestiti. E il lago. E la villa elegante. La vita di Julie. La vita di suo padre. Forse la sua, un giorno. Vite che l'affascinavano tanto quanto la schivavano. Solo per una settimana. O due. Poi sarebbe tornata alla realtà e a cose più importanti.

    «Mi assicuri che ci saranno anche tuo fratello e la sua ragazza e che non si tratta di un elaborato piano di seduzione?»

    «Parola d'onore» la rassicurò lui senza esitare.

    Allie distolse lo sguardo da Julie.

    «Va bene, Erik. Verrò.»

    Jonas era seduto nella sala conferenze della Boston Consulting e giocherellava con la penna battendola sulla coscia. Solita riunione, soliti clienti, soliti problemi. Solita squadra di dirigenti che suggeriva le solite soluzioni. Fornite ai dipendenti una scatola per i suggerimenti. Trasformate più posizioni in una sola. Sviluppate mezzi più efficienti per portare i prodotti sul mercato, riorganizzate lo spazio fisico ed eliminate gli studi ridondanti.

    Sì, certo. Tutti rimedi che sarebbero serviti a rallentare, e forse anche a fermare, la slavina che stava travolgendo la società. Per quel giorno, per il giorno seguente, l'anno seguente e quello ancora dopo. Sarebbero riusciti ad arrestare l'emorragia, ma per essere leader nel futuro bisognava fare di più. Optare per scelte più difficili, scuotere la cultura aziendale a un grado che avrebbe gettato tutti nel panico almeno per un po'. E quando i cambiamenti fossero stati apportati, quando i dipendenti fossero entrati nell'edificio non animati da una sensazione di amarezza e di paura, ma con un vero spirito di squadra e con il giusto entusiasmo, allora la Boston Consulting avrebbe davvero funzionato.

    Ma i dirigenti della Boston Consulting non la pensavano in quel modo. Jonas lo sapeva perché un tempo faceva parte della schiera di consulenti che avevano il potere di dare suggerimenti e ne aveva dati parecchi in cui credeva e che avrebbero rappresentato un vero progresso per le società clienti e reali progressi anche per loro. Ma ogni volta, puntualmente, i suoi suggerimenti erano stati scartati.

    Costi troppo elevati, Jonas, il cliente vuole che gli facciamo risparmiare soldi, non che gliene facciamo spendere di più. Cambiamenti troppo radicali. Non decolleranno mai.

    Jonas pensava sempre più spesso che quell'azienda non faceva per lui.

    Sì, d'accordo, lo pensava da più di un anno, ciononostante lavorava ancora lì. I primi sei mesi era ancora a pezzi dopo la rottura con Missy. I sei mesi successivi... per quelli non c'erano scuse, era stato passivo.

    La riunione si dilungò. Jonas picchettava sempre più in fretta la penna sulla coscia mantenendo un'espressione interessata, voltandosi a turno verso chi stava parlando, ma ascoltando solo quanto bastava per poter rispondere in modo coerente nel caso in cui fosse stata richiesta la sua opinione. Pilota automatico inserito. L'impiegato robot.

    Non vedeva l'ora di andarsene.

    Come se Dio avesse ascoltato la sua preghiera, il suo cellulare incominciò a vibrare. Erik. Alzandosi agitò il telefono in segno di scuse davanti alle facce di pietra dei presenti e scattò.

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