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Graffio assassino (eLit): eLit
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Ebook391 pages5 hours

Graffio assassino (eLit): eLit

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About this ebook

Shifters - Vol. 4 - Quando il gioco si fa duro...

La vita di Faythe Sanders non conosce un attimo di noia: il suo fidanzato, Marc, è stato esiliato proprio quando sembrava che il loro amore avesse finalmente una seconda chance. Mandare avanti una relazione a distanza è già abbastanza complicato, e le manovre politiche di alcuni clan rivali le impediscono di vederlo per lunghissimi periodi. Ma quando Marc viene aggredito da una banda di randagi mutaforma e dato per disperso, Faythe decide di passare all'azione e sfodera gli artigli, pronta a difendere l'uomo che ama. Anche a costo della vita.



Titoli della serie:

1) Il graffio della pantera

2) Il graffio della notte

3) Graffio sulla pelle

4) Graffio assassino

5) Graffio sull'anima

6) L'ultimo graffio
LanguageItaliano
Release dateJun 30, 2016
ISBN9788858956663
Graffio assassino (eLit): eLit

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    Graffio assassino (eLit) - Rachel Vincent

    successivo.

    1

    «Pensi di farcela entro fine secolo, Vic?» Non ce la facevo più ad aspettare.

    Victor Di Carlo alzò gli occhi al cielo e mi rivolse un sorriso da martire, poi tornò a fissare la strada. «Il limite di velocità è settantacinque miglia all'ora, Faythe, e sto andando a ottanta. Ma se pensi che a piedi arriveresti prima, accomodati pure.»

    No, non sarei andata più veloce neanche a quattro zampe. Un ghepardo raggiunge le sessantacinque miglia all'ora, e soltanto per brevi tratti. E io non sono certo un ghepardo. Ero quindi condannata a tamburellare con le dita sul bracciolo della Suburban di Vic mentre procedevamo con quella che consideravo una lentezza intollerabile.

    «Rilassati.» Vic mise la freccia e superò un TIR enorme. «Arriveremo in tempo e Marc sarà lì ad aspettarci.»

    Annuii, e mi misi ad aprire e chiudere la sicura finché lui non mi fulminò con un'occhiataccia. «Scusa.»

    «Insomma, Faythe, si direbbe che tu non lo veda da settimane» protestò Ethan, e mi voltai in tempo per vedergli alzare gli occhi al cielo nonostante l'espressione perennemente allegra. Era il più giovane dei miei quattro fratelli – aveva solo due anni più di me – e quello che finiva sempre per battermi durante gli allenamenti e che mi portava il ghiaccio dopo avermi coperto di lividi. «Quanto tempo è passato?»

    Guardai fuori dal finestrino, i campi vuoti e gli alberi spogli nella luce ormai fioca. «Saranno nove settimane domani.» Erano successe molte cose da quando Marc era stato esiliato: l'esempio più eclatante dormiva sul sedile dietro il mio.

    Il bambino di Manx. Des aveva due settimane e dormiva in un seggiolino per auto rivolto all'indietro accanto a sua madre. Manx riusciva ad apparire splendida anche con un filo di bava che le colava dalla bocca. Dalla nascita del bambino, approfittava di ogni occasione per riposare, e anche noi. Era uno degli svantaggi che derivavano dall'avere un udito felino.

    Durante gli ultimi due mesi, Manx aveva partorito e Kaci – la giovanissima mutaforma che avevamo accolto nella nostra famiglia – si era adattata alla vita del ranch, anche se fino a quel momento si era rifiutata di trasformarsi. Novembre aveva soffiato via le foglie dagli alberi, dicembre aveva portato un vero ciclone texano e ai primi di gennaio c'era stata una bella nevicata.

    Ma non avevo più visto Marc.

    Vic sorrise, malizioso. «Immagino che ti manchino soprattutto le conversazioni con lui, no?»

    «La-la-la» canticchiò Ethan cacciandosi gli auricolari nelle orecchie per evitare di sentire la mia risposta.

    «In questo momento ascolterei qualunque cosa avesse da dirmi, se potesse farlo di persona.» Sospirai, presi il bicchiere di carta dal suo supporto e finii il caffè. Era freddo. In quel momento squillò il cellulare di Vic.

    «Pronto?»

    «Ciao, Vic.» Era mio padre. Lo riconoscemmo tutti tranne Manx, che stava russando leggermente. «Tuo padre è dalla mia parte. Volevo che fossi il primo a saperlo.»

    Vic sospirò di sollievo, e il suo viso, che fino a quel momento aveva tradito una certa tensione, si rilassò. Sorrise superando un altro TIR. «Non ne ho mai dubitato.» Il suo sguardo, però, diceva il contrario. Era stato preoccupato, come noi tutti.

    Sentimmo un cigolio in sottofondo: era Greg Sanders che si appoggiava allo schienale della poltrona. «Ricorda a Faythe di consegnare il mio messaggio alla tua famiglia, per favore» disse, e io levai gli occhi al cielo.

    «Lo so, papà.»

    Mio padre ridacchiò. «Siate prudenti e fatemi sapere quando siete arrivati.»

    «Certo.» Vic aveva ancora un sorriso idiota stampato in faccia quando riattaccò. Credo che non si fosse neanche reso conto di cosa gli aveva chiesto mio padre. Per fortuna avevo sentito io.

    «Allora siamo a quota tre, giusto?» Mi voltai per guardare Ethan, che aveva spento la musica e non fingeva più di dormire.

    Il sedile posteriore gemette quando si sistemò meglio. «Sì, Ed Taylor e zio Rick.» Le cui figlie dovevano la vita al nostro clan. Avevo liberato mia cugina Abby dopo che eravamo state entrambe rapite da un randagio che voleva venderci come femmine da riproduzione, poi avevamo catturato e ucciso il colpevole prima che potesse riprovarci con Carissa Taylor. I loro padri erano comprensibilmente leali nei confronti del mio. «E ora Bert.»

    Umberto Di Carlo – il padre di Vic – era uno dei più vecchi amici di mio padre. Avevamo contato sul suo appoggio, ma non eravamo certi di ottenerlo. Dopotutto, la politica era in grado di distruggere perfino le famiglie, figuriamoci le amicizie.

    Nove settimane prima ero stata prosciolta – per un soffio – dall'accusa di avere infettato e poi ucciso per legittima difesa il mio ex-fidanzato. L'ultimo giorno del processo – il giorno dopo che Marc era stato esiliato – Calvin Malone aveva minato l'autorità di mio padre chiedendo che fosse rimosso dalla carica di presidente del consiglio territoriale. Anche se restava al comando del nostro clan, mio padre era stato sospeso dalle sue funzioni in attesa del voto degli altri dieci Alpha. La votazione era prevista per il primo febbraio. Mancavano ancora due settimane.

    Dopo la sospensione, mio padre e Malone si erano battuti per ottenere l'appoggio degli altri.

    Mio zio si era schierato subito dalla nostra parte, e la settimana successiva Edward Taylor aveva seguito il suo esempio. Ma gli altri tradizionali alleati del nostro clan avevano chiesto tempo per valutare i pro e i contro. La loro esitazione ci aveva ferito, anche se era logico aspettarsi quella risposta. La loro scelta, qualunque fosse stata, avrebbe avuto un effetto irreversibile sul consiglio e su tutta la comunità dei mutaforma felini. Dopotutto, la maggior parte di loro aveva figli che lavoravano come vigilantes per i clan di entrambi gli schieramenti: fratelli che vivevano in territori leali a Malone. Figlie o sorelle sposate a randagi che partecipavano al colpo di mano. Era una fortuna che nessuno dei miei tre fratelli – Michael, Owen e Ethan – dovesse lealtà ad altri. Per quanto riguarda mio fratello Ryan, meno ne parlo, meglio è.

    L'attesa era stata penosa per Vic, ma neanche lontanamente comparabile alla sofferenza di Jace, figliastro di Calvin Malone, che faceva il vigilante per noi. Jace si sentiva personalmente responsabile del tradimento del patrigno, anche se non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo.

    «E Malone?» chiesi preparandomi a fare un po' di calcoli.

    «Le ultime voci di corridoio dicono che ha tre voti anche lui» rispose Ethan. «Milo Mitchell, Wes Gardner e Paul Blackwell.»

    Kevin, il figlio di Mitchell, era stato espulso dal nostro clan quattro mesi prima per avere più volte aiutato dei randagi a passare clandestinamente il confine del territorio centromeridionale. Gardner non ci aveva mai perdonato di non aver vendicato la morte di suo figlio Jamey per mano di Manx. E per quanto ne sapevamo, Paul Blackwell era contro di noi perché avverso alla politica di pari opportunità messa in atto da mio padre. Anche se non odiava né le femmine né i randagi, non trovava giusto che potessero occupare posizioni di potere nella comunità.

    Solo due Alpha non avevano ancora deciso da che parte stare: Nick Davidson e Jerald Pierce, anche lui padre di un nostro vigilante. Poiché i due contendenti avrebbero fatto qualunque cosa per conquistarsi quegli ultimi due voti, lo scontro rischiava di inasprirsi.

    «Il padre di Parker si schiererà con noi» dichiarò Vic. Io però non ne ero altrettanto sicura. «Così arriveremo a quattro.» Ma ci serviva anche il voto di Davidson. Con quattro voti ciascuno i due gruppi sarebbero stati in parità, mentre ci serviva una vittoria netta. Altrimenti, anche se mio padre avesse mantenuto la sua posizione, la pace non sarebbe durata.

    «Quanto manca?» chiesi, con la mano stretta attorno alla leva della portiera.

    «La prossima uscita è la nostra.» Vic mi indicò il cartello davanti a noi, che segnalava la presenza di un'area di servizio a circa un miglio di distanza.

    Era ora! Ne avevo abbastanza di quel viaggio interminabile e di tutto quel caffè.

    Mi voltai. Ethan si era raddrizzato e si stava infilando la giacca. Manx dormiva ancora, con i lunghi ricci neri che le ricadevano sulla camicia. Era il ritratto della pace e della serenità, della felicità di una madre, nonostante il sonno arretrato e il motivo, tutt'altro che piacevole, del viaggio.

    Des era nato l'ultimo giorno del 2008, il che avrebbe dovuto garantire a Manx una deduzione fiscale supplementare per quell'anno, se fosse stata cittadina americana o un'immigrata regolare. Purtroppo non era né l'una né l'altra cosa, e questo significava che non poteva salire a bordo di un aereo. Ecco perché io, Vic e Ethan la stavamo accompagnando in macchina dal nostro ranch, nel Texas orientale, fino alla periferia di Atlanta, dove il padre di Vic – e l'alleato più recente di mio padre – avrebbe presieduto l'udienza di Manx.

    Mi ero offerta volontaria per quell'incarico, che in altre condizioni sarebbe stato solo una scocciatura, perché per raggiungere Atlanta avremmo dovuto attraversare la zona franca. E Marc si trovava lì.

    Presto sarebbe stato tra le mie braccia.

    «Manx, svegliati!» Mi girai e sollevai il bracciolo centrale in modo da urtarla, ma stando attenta a non sfiorarla con le mani. Non le piaceva essere toccata, e considerate le violenze che aveva subito, non c'era da stupirsene.

    Aprì gli occhi e in un batter d'occhio l'aria assonnata svanì dal suo viso, sostituita da un'espressione vigile. Subito si guardò intorno, smarrita, cercando il figlio, come se qualcuno avesse potuto rubarglielo mentre dormiva. Era una possibilità che la terrorizzava.

    Quando era incinta l'avevamo sentita urlare la notte, piangere nel sonno. Le prime volte mia madre aveva cercato di svegliarla, ma mio padre l'aveva dissuasa: rischiava di finire con il naso rotto. Fortunatamente gli incubi erano cessati alla nascita del bambino, che Manx teneva a dormire con sé. Diceva che così il neonato riposava meglio, mentre ero sicura che fosse lei a trarne vantaggio. E noi insieme a lei, dato che così regnava il silenzio.

    Manx si rilassò quando il suo sguardo si posò su Des, ancora addormentato nel seggiolino. Si ravviò i capelli guardandosi intorno. «Siamo già nel Mississippi?»

    «Sì.» Vic azionò la freccia e imboccò l'uscita. Ignorai i ristoranti, concentrandomi sul distributore della Conoco.

    Marc si era abituato senza problemi alla nuova vita. Aveva trovato un lavoro e preso in affitto una casa isolata. Si stava inventando un'esistenza nel mondo degli umani, un mondo di cui io non facevo parte. Almeno di persona. Però parlavamo al telefono quasi ogni giorno, e l'avevo perfino assistito telefonicamente durante una trasformazione parziale il mese precedente. Anche se mi era stato ordinato di insegnare quel trucchetto solo ai membri del clan, ero orgogliosa del fatto che il primo a riuscirci fosse stato proprio Marc Ramos, il mio randagio preferito.

    Passai in rassegna il parcheggio affollato. Avevamo previsto una sosta a Natchez, subito dopo il confine con il Mississippi, dove Marc ci aspettava per scortarci attraverso tutto il territorio libero e per trascorrere una notte con noi durante il viaggio. La sua auto non c'era. Delusa, mi torsi le mani in grembo finché non mi fecero male.

    Vic girò a destra nel parcheggio e si infilò in un posto libero nella zona più lontana. Feci per uscire dall'auto con l'idea di andare allo spaccio della stazione di servizio a cercare Marc, ma Vic mi posò una mano sul braccio non appena aprii lo sportello. «Puoi restare qui per un minuto? Devo andare in bagno.»

    Diedi un'occhiata a Vic, poi a Ethan. Di solito mio fratello sarebbe stato più che sufficiente per proteggere una donna e un neonato, ma la zona franca era senza legge, e Manx era sempre nervosa, anche quando non doveva affrontare un processo per omicidio, quindi facevamo in modo di essere sempre in due a scortarla. «Certo, ma sbrigati.» Vic sorrise per ringraziarmi e io chiusi la portiera mentre lui si avviava verso l'edificio.

    Des emise una specie di miagolio alle mie spalle, e quando mi voltai vidi Manx che se lo attaccava al seno. Un attimo dopo il miagolio si trasformò nel rumore ritmico della suzione. Ancora? Ma non faceva altro che mangiare, quel neonato? Anche se il viso non ne tradiva il sesso, dall'appetito si capiva subito che quel mostriciattolo doveva essere un maschio.

    Non potei evitare di sorridere mentre perlustravo il parcheggio. Quel piccoletto era un autentico sopravvissuto. Come sua madre.

    «Cercavi me?» Sentii picchiare al finestrino posteriore e sussultai. Mi voltai così di scatto da prendere una testata contro l'aletta parasole. E vidi Marc, sorridente, con addosso una giacca di pelle marrone e dei jeans. Ero così emozionata che non riuscivo ad aprire lo sportello. Ci pensò lui, e ci mise tanta forza che quasi lo strappò dai cardini.

    Non ebbi neppure il tempo di posare i piedi a terra, perché lui mi prese in braccio. Gli intrecciai le gambe attorno ai fianchi, baciandolo con avidità. La gente ci guardava – notai sbirciando oltre la spalla di Marc – ma poi sorrideva e si faceva gli affari suoi, a parte un paio di ragazzini che ridacchiarono delle nostre effusioni.

    «Ti sono cresciuti i capelli» mormorò Marc, e il suo respiro caldo sull'orecchio mi diede dei brividi che non avevano nulla a che vedere con la temperatura glaciale del parcheggio.

    «Tu invece te li sei tagliati.» Gli accarezzai i riccioli corti e ispidi.

    Mi posò a terra senza lasciarmi andare. «Mi sono detto: vita nuova, nuovo look. Che ne pensi?»

    Feci un passo indietro per osservarlo meglio. «Niente male.» Marc sarebbe stato splendido anche con una parrucca da pagliaccio arancione. Eppure, anche se li aveva accorciati solo di pochi centimetri, mi mancavano i suoi riccioli lunghi, non potevo farci niente. Ma soprattutto mi era mancato lui, naturalmente.

    Gli strinsi il braccio quando avvertii un odore noto. Di un randagio che conoscevo.

    Daniel Painter.

    Mi irrigidii e mi strinsi a Marc con il cuore che mi batteva forte. Percorsi con lo sguardo il parcheggio in cerca del randagio che aveva denunciato Manx in cambio dell'opportunità di entrare nel nostro clan, a patto che riuscisse a comportarsi bene nella zona franca per un anno. E senza dubbio attaccare briga con la delegazione di un clan significava partire con il piede sbagliato.

    In ogni caso, la sua presenza proprio in quel parcheggio non poteva essere casuale...

    2

    «Che c'è?» gli occhi castano-dorati di Marc si incupirono mentre cercava l'origine del mio turbamento.

    «Dan Painter; è qui.» Mi voltai, cercando di non dare nell'occhio.

    Marc assunse un'aria infastidita. «Lo so. Non riesco a seminarlo.»

    Sbarrai gli occhi e smisi di cercare Painter, fissando Marc. «Ti sta pedinando?»

    «Più o meno.» Marc arrossì, facendomi capire che la storia era ben più complicata.

    «E tu glielo permetti?»

    Sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Non mi dà alcun fastidio, quindi non ho motivo di prendermela con lui. Mi gira attorno e mi fa domande sul clan e sulle nostre – vostre – abitudini. Da dove veniamo, come controlliamo l'aggressività, perché ci sono poche femmine, perché il clan non accoglie randagi. Di solito, almeno.»

    Anche Marc era un randagio: era stato un uomo prima che un mutaforma trasformato lo infettasse con un morso o un graffio, rendendolo a sua volta un mutaforma. Era l'unico randagio che fosse stato ammesso in un clan a memoria di felino. Anche se ufficialmente non ne faceva più parte.

    «Non tace mai. Dico sul serio, parla in continuazione.»

    Sorrisi. Kaci faceva lo stesso e, anche se le volevo bene, avevo cominciato ad apprezzare le trasferte per avere un po' di silenzio. Di certo Marc poteva trovare pace al lavoro. «Se non altro, hai un impiego che ti concede qualche ora di tranquillità!» commentai.

    Arrossì. «È stato assunto dalla mia impresa il mese scorso. Ora costruiamo case insieme ogni giorno.»

    Non riuscii a soffocare una risata. «Carini! E così hai un aiutante. Una Faythe in miniatura.» In realtà, se ben ricordavo, Painter era alto quasi quanto lui.

    «Lasciamo perdere, va'.» Marc guardò alle mie spalle, dove mio fratello stava uscendo dalla macchina. «Ehi, Ethan, come te la passi da monogamo?»

    Per la prima volta in vita sua, il casanova di famiglia usciva con la stessa ragazza da ben quattro mesi. Nostra madre era felice: se non altro, poteva fantasticare su un matrimonio che non fosse il mio.

    «È un po' come mangiare riso in bianco ogni giorno» rispose Ethan.

    Marc scoppiò a ridere. «Ehi, se mangi ogni giorno puoi considerarti fortunato.» Parlava a Ethan ma teneva gli occhi puntati su di me. Chissà, forse sentiva la mancanza del mio... riso.

    Ethan alzò le spalle. «Come va l'edilizia?»

    Marc si ravviò i corti riccioli. «Do martellate otto ore al giorno e guadagno il minimo legale.»

    Nel seggiolino, il bambino fece un ruttino e vidi Manx riabbottonarsi la camicia. Poi scese dall'auto e prese in braccio Des, avvolgendolo con delicatezza in una copertina azzurra lavorata a maglia.

    «Come va, Manx?» chiese Marc, infilandosi le mani in tasca per mostrarle che non intendeva toccarla. Avevamo scoperto che – soprattutto da parte di un maschio – quello era il modo migliore per metterla a proprio agio.

    «Bene, grazie.» Il suo accento esotico – era nata in Venezuela – rendeva interessante anche la frase più banale. Gli rivolse un sorriso radioso e tese il bambino verso di lui per mostrarglielo.

    «Wow.» Lo sguardo di Marc si addolcì quando guardò Des, e io mi chiesi se dovevo essere divertita o preoccupata. «Allora, vuoi presentarmi questo giovanotto?»

    Manx era fiera più che mai. «Questo è Desiderio. Il desiderio del mio cuore.»

    «Lo chiamiamo Des» precisai senza che ce ne fosse bisogno.

    «È bellissimo. Posso fargli una carezza?» domandò Marc togliendosi una mano dalla tasca.

    Manx esitò per un attimo, poi si rilassò. «Certo.»

    Marc passò un dito sul viso del bambino. Quando giunse all'altezza della bocca, Des si girò verso di lui e tentò di succhiarglielo. Marc scoppiò a ridere e sorrisi anch'io.

    «Vedo che sei diventato anche tu suo schiavo» osservò Vic, che era appena arrivato con un sacchetto di plastica in mano.

    «È splendido» ripeté Marc, e notai con la coda dell'occhio che Manx era più rilassata.

    «È vero.» Vic posò il sacchetto sul sedile anteriore e guardò il neonato con lo sguardo adorante che assumono i maschi di fronte alla nuova generazione. Un'ulteriore prova del fatto che il propagarsi della specie è lo scopo principale della loro esistenza.

    Vic chiuse lo sportello e strinse in un rude abbraccio da uomini l'ex-collega. Poi spostò lo sguardo da me a Marc mentre Ethan posava un giaccone sulle spalle di Manx, facendo attenzione a non toccarla. «Non crederai mai a chi ho appena visto» esordì.

    «Dan Painter.»

    Vic sbuffò. «Hai sentito il suo odore?»

    Annuii. «Lui e Marc hanno... fatto amicizia.»

    Vic assunse un'espressione stupita, ma un'occhiataccia di Marc lo dissuase dal continuare l'interrogatorio. «Fa troppo freddo per il bambino» disse invece, con un sorriso d'intesa a Marc. «Rimettiamoci in marcia.»

    Marc e io camminammo al fianco di Manx fino al bar della stazione di servizio, dove l'accompagnai nel bagno delle donne. Lei cambiò il pannolino del piccolo, e poi mi chiese di tenerle il neonato mentre usava la toilette.

    «Be', io... non saprei» balbettai in preda al panico. Non avevo mai preso in braccio un neonato, e non era vero che tutte le donne sono dotate di istinto materno. «Non puoi metterlo giù per due minuti?»

    «Per terra?» Manx mi fulminò con lo sguardo, poi levò gli occhi al cielo. «Fa niente, lo chiederò a uno dei ragazzi.»

    Sospirai in modo esagerato. «Dammelo, su.» Non potevo certo far sapere a Marc che avevo paura di prendere in braccio un bambino. Non me l'avrebbe perdonato. «Cosa devo fare?» Allungai le braccia come per ricevere un pallone, come avevo visto fare tante volte a mia madre nelle ultime due settimane.

    Manx mi depose il bambino tra le braccia, sistemandogli con cura la testa nell'incavo del mio gomito. «Niente. Sta dormendo. Tienilo e basta.»

    Annuii, evitando di muovere il resto del corpo per paura di svegliare Des.

    Manx esitò con la mano sulla porta del bagno. Poi mi sorrise per dissimulare la tensione e si decise a entrare.

    Fissai il bambino studiandone per la prima volta ogni dettaglio da vicino. Era minuscolo come una bambola, ma più fragile. Aveva guance paffute e rosee, e un ciuffo di capelli neri e dritti gli scendeva sulla fronte.

    Non assomigliava per niente a Luiz, per fortuna.

    Ma nemmeno a Manx. Era solo un bel bambino, assolutamente sopportabile quando dormiva.

    La porta si aprì e Manx uscì. «Grazie.» Si lavò le mani prima di riprendere in braccio il figlio, e solo allora parve rasserenarsi.

    Mentre attraversavamo lo spaccio superammo Dan Painter che faceva la fila alla cassa con un grosso sacchetto di patatine, diverse confezioni di carne secca e due litri di coca. Gli toccai la spalla passando e, quando incrociò il mio sguardo, per poco non gli andò di traverso la barretta di carne che aveva già cominciato a mangiare.

    Risi. Non aveva dimenticato il nostro primo incontro, quando con un pugno l'avevo steso. Mi piace fare buona impressione fin da subito.

    Tornati alla macchina, Manx sistemò Des nel seggiolino. Vic aveva già fatto il pieno di carburante. Ethan si era seduto davanti, visto che io avrei viaggiato con Marc.

    Entrare nell'angusto abitacolo mi fece uno strano effetto dopo settimane intere a bordo della Suburban di Vic, ma ero contenta. Anche la sua auto mi era mancata.

    Uscimmo dal parcheggio per primi e Vic ci seguì. Gli ultimi raggi del sole tingevano il cielo di rosso e arancione. Marc e io eravamo da soli per la prima volta dopo mesi di lontananza... ma purtroppo eravamo in autostrada, quindi non potevamo fare molto eccetto parlare.

    «Allora, come sta tuo padre?» Marc mi prese la mano mentre case basse e ristoranti lasciavano il posto a campi aperti e a lunghi tratti coperti da boschi.

    «Bene, direi» risposi con un'alzata di spalle. «Non parla molto. Credo non voglia mostrare quanto il colpo basso di Malone lo faccia soffrire. Il consiglio è diviso in due. L'udienza di Manx dovrebbe essere interessante, visto l'ammutinamento in corso.» E anche se non l'avrei mai ammesso ad alta voce per paura di sembrare vigliacca, ero contenta che le mie responsabilità nei confronti di Kaci mi impedissero di assistere al processo. Un'aula piena di Alpha inferociti non mi allettava per niente.

    Marc cambiò corsia e Vic lo imitò. «Chi sono i giudici?»

    «Taylor, Mitchell e Pierce.» Per fortuna quella combinazione particolare di Alpha avrebbe forse permesso a Manx di avere un processo equo. Taylor sosteneva mio padre, Mitchell si era schierato con Malone, e il padre di Parker era ancora neutrale. Il problema era che mettere d'accordo quei tre – soprattutto per un verdetto – non sarebbe stato facile. «E naturalmente ci sarà anche Wes Gardner.» Suo fratello era una delle vittime di Manx.

    «Parteciperà anche Michael, immagino.»

    «Già.» Sebbene la legge dei mutaforma non fosse identica a quella umana, il mio fratello maggiore era il miglior avvocato difensore che Manx potesse avere. Sarebbe giunto in aereo ad Atlanta il giorno seguente, quando sua moglie – una modella mozzafiato e umana al cento per cento che si chiamava Holly – sarebbe partita per Milano dove doveva realizzare un reportage fotografico. Michael era fortunato che sua moglie viaggiasse tanto e fosse troppo occupata per fare domande. Holly non sapeva nulla della nostra vita di mutaforma. Il loro era uno strano matrimonio, ma sembrava soddisfare entrambi.

    Marc guardò nello specchietto retrovisore, prima di lanciarmi un'occhiata. «Come sta Kaci? Rifiuta ancora di trasformarsi?»

    «Sì. Sto cominciando a preoccuparmi. È sempre stanca, apatica. Si anima solo quando assiste ai miei allenamenti. È convinta che, se imparerà a difendersi in forma umana, non dovrà mai più trasformarsi.»

    «Cosa dice il dottore?»

    Sospirai. «Che soffre di stanchezza cronica e depressione. Se non si trasforma entro breve, il suo corpo comincerà a cedere, organo dopo organo, finché non sarà troppo debole per muoversi. Se continua a rifiutarsi di farlo, morirà presto.»

    «Maledizione.» Marc sembrò sorpreso per un istante, poi assunse un'aria pensosa.

    «Non dirlo a me! Mi sento così in colpa...» Mi allentai la cintura per voltarmi verso di lui. «Voglio dire, dovrei occuparmi di lei, invece le sto permettendo di lasciarsi morire. Merita qualcosa di meglio, ma non riesco a convincerla a trasformarsi. Non mi ascolta.»

    «Cos'hai intenzione di fare?»

    Scrollai le spalle, guardando accigliata i fili elettrici ghiacciati che correvano paralleli all'autostrada. Non riuscivo ad abituarmi a quella domanda; fino a poco tempo prima, era raro che potessi prendere delle decisioni, per me stessa o per altri. Ma Kaci non era abbastanza adulta né matura per scegliere di soffrire. Dovevo assolutamente fare qualcosa per impedirlo.

    «Non lo so. Certo non la lascerò morire. Ha lottato tanto per sopravvivere, non può rinunciare ora, soprattutto perché si tratta di una cosa tanto semplice.»

    Solo che non era affatto semplice per lei. La prima – e ultima – volta che si era trasformata aveva ucciso quattro persone, incluse la madre e la sorella. Ma era una ragazza forte. E anche abbastanza testarda da assicurarsi che nulla del genere potesse accadere di nuovo, pur sapendo che tale rinuncia le sarebbe costata la vita.

    Il resto del clan sperava che la mia ostinazione avrebbe avuto la meglio su quella di Kaci. All'inizio, in effetti, anche io ero convinta che avrebbe funzionato, ma dopo nove settimane senza fare passi avanti non ne ero più tanto sicura.

    «Il dottor Carver ha detto di chiamarlo se non si trasforma entro una settimana. Cercherà di indurre lui stesso la trasformazione.» Con un cocktail intravenoso di adrenalina e un paio di altre sostanze.

    Marc si voltò a guardarmi. «È possibile?»

    «Non ne siamo sicuri. In teoria dovrebbe funzionare come quando si costringe un felino a tornare umano, solo al contrario.» Ci era capitato di farlo per interrogare dei randagi che si rifiutavano di collaborare o per impedire loro di aggredire il prossimo. «Solo che nessuno ci ha mai provato, finora. Detesto l'idea di usare come cavia una ragazzina, ma lei non ci lascia altra scelta.»

    «Gliel'hai detto?»

    «Sì.» Mi strofinai la fronte per combattere la frustrazione. Non vedevo Marc da mesi, e volevo che le poche ore che avremmo trascorso insieme fossero piacevoli. «È convinta che la nostra sia una minaccia a vuoto e che non lo faremo sul serio. Dice che preferisce vivere stanca che rischiare di fare del male a qualcuno.»

    «Preferisce morire?»

    Chiusi gli occhi e mi abbandonai contro lo schienale. «Temo di sì. È scioccata da quello che è accaduto l'altra volta, tanto che rifiuta di parlarne. Ma forse, se riuscissi...»

    Spalancai gli occhi quando Marc sterzò bruscamente.

    «Cosa succede?» Mi raddrizzai e guardai fuori, ma i miei occhi incontrarono solo oscurità fuori dai due coni di luce dei fari. L'auto iniziò a sobbalzare, come sputacchiando.

    Marc non rispose, ma strinse la presa sul volante, già deformato da una lunga serie di accessi di collera.

    Poi il motore fece uno strano rumore, come se stesse per spegnersi. Dal cofano usciva del fumo.

    Marc si fermò a bordo strada, spostando lo sguardo dal parabrezza allo specchietto. Mi voltai, e vidi che anche Vic aveva accostato. Uscimmo, calpestando una crosta di ghiaccio, e Vic ci raggiunse mentre Marc estraeva una torcia dal cruscotto e apriva il cofano, illuminando componenti meccaniche dall'aria misteriosa. Poi borbottò un'imprecazione e si infilò sotto l'auto, incurante dell'asfalto ghiacciato sotto la schiena.

    Qualche secondo dopo riemerse, furioso. «Il tubo del radiatore è stato tagliato» annunciò.

    «Maledizione!» esclamò Vic, mentre Ethan scendeva dall'auto, seguito da Manx con il bambino infagottato in braccio. «Non puoi aver fatto molta strada in quelle condizioni. Un miglio, uno e mezzo al massimo. Deve essere successo alla stazione di servizio.»

    Marc annuì e mi fissò, il viso appena illuminato dai fari. «Saliremo anche noi sull'auto di Vic, e chiameremo il carro attrezzi per la mia macchina.»

    Non era così che avevo sognato la nostra prima serata insieme dopo tanto tempo, ma le cose sarebbero potute andare anche peggio, considerando che qualche idiota aveva sabotato l'auto di Marc. E se avesse tagliato i freni, per esempio? Inviperita aprii la portiera per prendere le bevande comprate alla stazione di servizio. Fu allora che li vidi. Due puntini di luce rossa tra gli alberi dall'altra parte della strada. Scomparvero, poi si accesero di nuovo.

    Occhi. Occhi felini, che riflettevano la poca luce esistente. Qualcuno stava battendo le palpebre, e non era solo. Apparvero altri occhi nell'oscurità; i felini erano a qualche metro gli uni dagli altri.

    Sentii un nodo stringermi lo stomaco. Non era solo un sabotaggio: ci avevano teso un'imboscata.

    Mi raddrizzai annusando l'aria, infastidita dal gelo che mi feriva il naso e mi pungeva i polmoni. Fu sufficiente per cancellare ogni dubbio.

    Randagi.

    «Ragazzi?» Soffiai furiosa contro la prima figura che scivolò fuori dalle tenebre e si mostrò alla luce della luna con aria sfrontata.

    «Li abbiamo visti» sussurrò Marc, e vidi che stava arretrando verso il portabagagli della propria auto.

    «Tre randagi alle tue spalle, Faythe» mi avvertì Vic, con una nota di furore nella voce. «Anzi, quattro.»

    Anche dietro di me? Accidenti! «Altri cinque davanti.» Indicai con un cenno gli alberi dall'altra parte della strada e feci un passo di lato per

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