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La strana vita di Sophie: Harmony History
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La strana vita di Sophie: Harmony History
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La strana vita di Sophie: Harmony History

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About this ebook

Londra, 1814
Rimasta sola e senza un soldo dopo aver trascorso diversi anni all'estero, Sophie non ha altra scelta se non chiedere aiuto a un parente della madre, il ricco Duca di Belfont, libertino impenitente e affascinante. James l'accoglie in casa propria contando sull'appoggio della sorella, ma si trova ben presto in difficoltà. Sophie infatti è ben diversa dalle docili fanciulle della sua età: ha condotto una vita insolita e avventurosa al seguito dei genitori, non esita a dire la sua e per mantenersi sta scrivendo un libro piccante sui propri viaggi, opera che una volta pubblicata sfocerebbe in un grosso scandalo. Perché allora James la trova tanto attraente? Forse perché è l'unica donna a mettere in pericolo la sua tranquillità?
LanguageItaliano
Release dateDec 10, 2019
ISBN9788830508279
La strana vita di Sophie: Harmony History
Author

Mary Nichols

Nata a Singapore, si è trasferita in Inghilterra giovanissima e prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura ha lavorato in ospedale, nella scuola e nell'industria. La ragazza di cristallo è collegato a La contessina ribelle.

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    La strana vita di Sophie - Mary Nichols

    Immagine di copertina:

    Bruno Faganello

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Bachelor Duke

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2005 Mary Nichols

    Traduzione di Anna Polo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-827-9

    1

    Napoli, aprile 1814

    La lieve brezza attenuava il calore del pomeriggio e portava con sé il profumo dei fiori, mascherando gli odori molto meno gradevoli provenienti dalla strada, ma Sophie non se ne curava, lo sguardo fisso sul mare azzurro e scintillante del golfo di Napoli. Si trovava in una situazione drammatica e non sapeva come uscirne: il padre era morto consumato dall’alcol, due anni dopo la moglie, e lei ora era sola in un paese straniero. Non poteva contare sull’aiuto di amici o parenti ed entro la fine della settimana doveva pagare l’affitto della piccola villa in cui viveva.

    Avendo bussato più volte alla porta senza ottenere risposta, una signora di mezz’età entrò decisa. «Sophie, mia cara, ho una notizia meravigliosa da darti!» Lady Myers era piccola e grassoccia, con un leggero vestito di mussola poco adatto a una matrona. Un enorme cappello sovrastava i capelli neri tinti con cura e il suo sorriso era caldo e gentile. «La guerra è finita! Napoleone si è arreso e gli alleati sono entrati a Parigi. Possiamo ritornare a casa.»

    A casa? Ma dov’era casa sua? Negli ultimi dieci anni Sophie aveva vissuto con i genitori in Francia, Belgio, Svizzera e Austria. Non restavano mai a lungo nello stesso posto, sempre in fuga dai creditori. La vita all’estero era meno cara che in Inghilterra e se la sarebbero cavata, se non fosse stato per il vizio del gioco del padre. In perenne attesa del colpo di fortuna capace di ribaltare le loro sorti, questi passava il tempo a giocare a carte con altri espatriati, fino a quando si ritrovavano senza soldi e dovevano di nuovo fuggire. Dopo Vienna erano arrivati in Italia, passando per Venezia, Milano, Firenze e Roma, prima di approdare a Napoli. A quel punto la madre di Sophie era ormai gravemente malata, ma aveva scoperto con gioia che la sua vecchia amica, Lady Myers, viveva là, visto che Lord Myers faceva parte del corpo diplomatico.

    Per sopravvivere avevano dovuto licenziare i domestici e vendere la carrozza, i cavalli e gran parte dei gioielli della madre. Si ritrovavano bloccati in un paese straniero nel bel mezzo di una guerra, senza alcuna possibilità di tornare in Inghilterra. Il padre continuava a giurare che presto sarebbe cambiato tutto, ma alla fine la madre aveva rinunciato alla speranza e alla vita.

    Lord Langford aveva reagito alla morte della moglie piangendo per giorni interi, oppresso dal rimorso e dall’odio per se stesso e annegando la disperazione nell’alcol. Pur intontita dal dolore per la perdita della madre tanto amata, Sophie aveva presto capito di non poter contare su di lui per sopravvivere.

    Un mese prima del suo ventunesimo compleanno aveva cominciato a insegnare inglese e a condurre turisti stranieri in giro per Napoli. Pochi di loro erano inglesi, poiché la guerra aveva posto fine al tradizionale Grand Tour per il continente di tanti giovani gentiluomini, ma Sophie era dotata per le lingue e sapeva esprimersi anche in francese, tedesco e italiano.

    «A casa, in Inghilterra» specificò Lady Myers, preoccupata dal lungo silenzio di Sophie. Certo, la ragazza aveva appena perso il padre e non c’era da stupirsi che fosse distratta; sedeva composta in un dimesso vestito nero, i capelli scuri trattenuti da un nastro e la carnagione un po’ troppo abbronzata per i dettami della moda, ma possedeva una grazia naturale e magnifici occhi castani.

    «È una buona notizia, ma io non posso partire» rispose infine Sophie con voce spenta.

    «Perché no? Non puoi restare qui da sola» replicò Lady Myers. «Hai di certo dei parenti in Inghilterra che possono offrirti una casa. Lord Langford...»

    Sophie scoppiò in una risatina amara e si chinò a raccogliere un foglio appallottolato. «Il fratello di mio padre? Gli ho scritto per annunciargli la sua morte e questa è la risposta: mi ripudia!»

    «Ne sei sicura?» proruppe l’altra indignata. «Eri solo una bambina quando hai lasciato l’Inghilterra e i problemi di tuo padre non erano certo colpa tua.»

    «Secondo mio zio, se mio padre non si fosse lasciato intrappolare in un matrimonio disastroso non sarebbe diventato un giocatore d’azzardo. Io poi mi sono abbassata a lavorare in un paese straniero e non sono degna della buona società, quindi non devo contare sulla sua generosità.»

    «Oh, bambina mia, è terribile! Forse potrei scrivergli io.»

    «Preferirei di no, sarebbe troppo mortificante. Non ho mai chiesto la carità e non lo farò nemmeno adesso. Continuerò il lavoro di guida che ho svolto negli ultimi tempi. Ora che la guerra è finita, gli inglesi riprenderanno a viaggiare.»

    «Senza dubbio, ma non richiederanno certo i tuoi servigi. Una ragazza che vive da sola e si mantiene con il proprio lavoro non può contare sull’approvazione della buona società.»

    Lady Myers aveva ragione. E comunque, insegnare inglese non bastava a mantenerla. «Scriverò un libro sui miei viaggi» decise dopo una breve riflessione. «Ho passato ore a esplorare con la mamma tutti i luoghi in cui abbiamo vissuto e lei mi ha incoraggiato a prendere appunti non solo sui monumenti, ma anche sulla gente e le sue usanze.»

    «E come vivrai, in attesa che il libro sia pubblicato? Torna in Inghilterra con noi» insistette Lady Myers. «Potresti cercare la famiglia di tua madre.»

    «La mamma era una Dersingham, nipote del terzo Duca di Belfont, ma quando abbiamo lasciato l’Inghilterra era molto anziano e so che in seguito è morto. Non aveva figli e, visto che mio nonno era scomparso da tempo, credo che il titolo sia passato al mio prozio Henry, suo fratello minore.»

    «Sono sicura che ti offrirà una casa. Devi fare appello alla sua generosità» dichiarò Lady Myers con fermezza, tacitando le proteste di Sophie.

    «Neanche i Dersingham erano favorevoli al matrimonio. Forse avevano capito meglio di mia madre la vera natura di papà. Lei però lo amava.»

    «Niente di tutto questo ha a che vedere con te, mia cara. Faremo così: resterai a casa nostra fino a quando non riusciremo a partire per l’Inghilterra, viaggeremo insieme e ti condurremo dal duca. Se sarà tanto insensibile da respingerti, ci occuperemo noi del tuo debutto in società e ti troveremo un marito.»

    «Io non ho mai pensato al matrimonio» obiettò Sophie. Aveva dovuto occuparsi della madre e poi guadagnarsi da vivere e, in ogni caso, chi avrebbe sposato la figlia senza un soldo di un giocatore incapace di fornirle una dote?

    «Bene, ora è tempo di farlo. E io non lascerò certo a cavarsela da sola la figlia di una mia cara amica» dichiarò Lady Myers in tono definitivo.

    «Come potrò ripagarvi per la vostra generosità?» le chiese Sophie commossa. Scoppiò a ridere per la prima volta dalla morte del padre, poi tornò seria. «Grazie al mio libro diventerò ricca e famosa e farò in modo che siate ricompensata» le promise.

    «Ti ringrazio, ma ora dobbiamo pensare a cose più urgenti. Fai i bagagli e io manderò la carrozza a prenderti. Prima vieni a vivere con noi, meglio è.»

    Rimasta sola, Sophie si concesse un sorriso: Lady Myers era fin troppo protettiva per una ragazza come lei, abituata all’indipendenza, ma in fondo la sua offerta la faceva sentire meno sola e abbandonata.

    Fare i bagagli richiese ben poco tempo: i bei vestiti della madre erano stati venduti da tempo e lei aveva dovuto disfarsi dei pochi beni rimasti per pagare l’affitto e il funerale del padre. Si era rifiutata di separarsi solo da una collana di perle che la madre aveva ricevuto per il suo debutto in società e che poi le aveva regalato.

    Sophie aveva una decina di vestiti semplici e leggeri, adatti al caldo di Napoli, qualche capo di biancheria, due paia di scarpe e uno di stivali, due cappellini, uno di velluto e uno di paglia, un mantello leggero e uno pesante con il cappuccio: un guardaroba davvero misero e inadatto al freddo clima inglese. L’abito che portava quel giorno era l’unico nero: l’aveva comprato due anni prima per la morte della madre e indossato di nuovo per il padre, ma le pareva ipocrita spendere i pochi soldi che aveva per comprare altri abiti da lutto.

    Fece un respiro profondo e infilò tutto nel baule, poi vi aggiunse il piccolo scrigno con la collana di perle, una spazzola, un pettine, la miniatura della madre e i propri appunti di viaggio. Pensò con un misto di amarezza e di vergogna alla montagna di bagagli con cui erano partiti dall’Inghilterra e si chiese desolata quale futuro l’attendeva. Poi raddrizzò le spalle e sollevò il mento: grazie alla madre, una donna colta e amante delle buone letture, possedeva un’educazione migliore di tanti giovani uomini e avrebbe usato il cervello per guadagnarsi da vivere. In quanto a sposarsi, non ci pensava nemmeno: non voleva un marito, se significava ritrovarsi legata a un giocatore incallito come il padre.

    Lord Langford era capace d’inventare bugie fantasiose per giustificare la propria mancanza di mezzi e trovava sempre qualcuno disposto a credergli e a concedergli un prestito. Sophie lo aveva amato, soprattutto da bambina, ma dopo averlo visto all’opera per tanti anni era giunta alla conclusione che non ci si poteva fidare degli uomini.

    Prima di andarsene passò dal cimitero per dire addio ai genitori, poi raddrizzò le spalle, pronta ad affrontare con coraggio il futuro.

    La sera dopo, a cena, Lord Myers dichiarò che dovevano assolutamente passare per Parigi: il Conte di Provenza era appena salito al trono con il nome di Luigi XVIII e tutti attendevano l’arrivo nella capitale del Duca di Wellington per celebrare la vittoria su Napoleone. Lord Myers era un po’ più alto e robusto della moglie e la trattava con una cortesia formale quasi eccessiva, chiedendo sempre il suo parere.

    «Mi piacerebbe molto essere a Parigi per i festeggiamenti» concordò la donna.

    «Allora dobbiamo partire al più presto. Quando potreste essere pronta?»

    «Anche domani, se necessario. Con tutti i viaggi che ho fatto per seguirvi nelle vostre missioni diplomatiche, sono abitata a fare i bagagli in fretta» replicò Lady Myers. «Tu che ne dici, cara?»

    «Non ho molto bagaglio e non lo disferò neppure. Però non ho ancora ricevuto la risposta del Duca di Belfont alla mia lettera» rispose Sophie.

    «Oh, non importa, cara» tagliò corto Lady Myers. «Verrai comunque in Inghilterra con noi. Al nostro arrivo ci occuperemo del duca.»

    Sophie non poteva fare a meno di porsi domande su quello sconosciuto prozio: era un vecchio scorbutico o l’età l’aveva reso più tollerante? L’avrebbe accolta a braccia aperte, superando l’antico antagonismo tra i Langford e i Dersingham, o si sarebbe dimostrato senza cuore come il fratello di suo padre? Lo avrebbe scoperto solo tornando in patria dopo tanti anni.

    Partirono nel giro di due giorni nella carrozza di Lord Myers, con un’altra vettura che portava i bagagli e i domestici. Impiegarono una settimana ad attraversare la Francia, incontrando spesso per strada bande di soldati che inneggiavano all’Imperatore. A salvarli fu il fluente francese di Sophie, in grado di convincerli che non erano nemici, ma amici ansiosi di assistere al trionfale ritorno di Napoleone. Arrivati a Parigi, trovarono una città invasa dalle armate dei vincitori e da migliaia di persone accorse a gustare le novità portate dalla fine della guerra, tanto che era difficile spostarsi. Se Lord Myers non avesse prenotato in anticipo, non avrebbero trovato alloggio in nessun albergo.

    Il giorno seguente, dopo aver fatto colazione, le due signore uscirono a esplorare la città accompagnate da una cameriera e un valletto, mentre Lord Myers si presentava al Duca di Wellington e porgeva i suoi rispetti al nuovo Re. Sophie notò sgomenta il contrasto tra i ricchi stranieri accorsi in città e gli abitanti impoveriti, molti dei quali chiedevano la carità o cercavano di vendere i loro miseri averi. Rientrate in albergo, Lady Myers dichiarò che ne aveva abbastanza della Francia. Dovevano tornare in Inghilterra, altrimenti Sophie avrebbe perso metà della stagione mondana.

    «Oh, non preoccupatevi per questo» si schermì subito lei. «Mi basta avere un tetto sopra la testa.»

    «Se il duca sarà così odioso da respingerti, mi occuperò io del tuo debutto» insistette l’altra. «Ma non credo che lo farà, è tenuto a occuparsi della famiglia. Siete deciso a rimanere?» chiese poi al marito.

    «Oh, no, mia cara. Partiremo per Calais domani stesso. Il Re si reca in Inghilterra e noi viaggeremo con la sua scorta. Sarà più sicuro.»

    Viaggiare al seguito del Re si rivelò molto più faticoso del previsto: a volte procedevano a gran velocità, altre si fermavano perché il sovrano era stanco e voleva riposarsi. A Calais dovettero aspettare che prendesse il mare, prima di trovare a loro volta un passaggio per l’Inghilterra.

    Sdraiata sulla cuccetta nella sua cabina, sballottata dal mare agitato della Manica, Sophie si interrogava per l’ennesima volta sull’accoglienza che l’aspettava, sull’aspetto del duca e sulla sua casa. La madre le aveva parlato spesso con nostalgia dell’immensa residenza di campagna di Dersingham Park, nel Suffolk, e della casa londinese in South Audley Street, ma in fondo lei sapeva assai poco della sua famiglia. Cominciava a pentirsi della lettera spedita da Napoli: non si era proprio gettata ai piedi del duca, ma gli aveva comunque rivelato di essere rimasta sola e annunciato una visita, una volta tornata in Inghilterra. Il giorno dopo, svegliandosi, si sentì più serena: sostenuta dall’orgoglio, avrebbe affrontato qualsiasi cosa l’attendesse.

    «Harriet, io conosco una certa Sophia Langford?» chiese James alla sorella.

    «Non ti aspetterai che mi ricordi i nomi di tutte le tue donnine? Perché me lo domandi? Ti sei cacciato in qualche guaio?»

    «No di certo. E comunque non dimentico i nomi delle signore con cui passo il mio tempo.»

    James Dersingham, quinto Duca di Belfont, non era né anziano né sposato, o almeno non ancora. Quando un duca era scapolo e ricco, attraeva l’attenzione delle matrone decise a trovare un buon partito per le figlie. Se poi era giovane e bello, nonostante la reputazione di libertino, poteva contare su una fila di speranzose fanciulle che pendevano dalle sue labbra e lo fissavano adoranti. Il duca però cominciava ad annoiarsi di tutte quelle attenzioni.

    «Allora perché me lo chiedi?»

    «Questa Sophia Langford sostiene di essere nostra parente. Ho qui una sua lettera in cui racconta che la madre è morta due anni fa e il padre da pochi giorni, lasciandola sola. Alloggia presso un’amica della madre a Napoli, ma non può continuare a contare sulla sua disponibilità. Immagino si aspetti che mi occupi io di lei» osservò il duca con una smorfia.

    «Langford» ripeté Harriet pensierosa. «Sì, ora ricordo. Una nipote di papà, Louise, la figlia dello zio Robert, ha sposato un Langford. Era un giocatore incallito e la famiglia era contraria al matrimonio. Credo che lui li abbia rovinati e siano dovuti andare a vivere all’estero.»

    Lady Harriet Harley aveva trentasei anni, due più del fratello. La madre era morta quando erano bambini e lei gli aveva fatto da mentore e confidente anche dopo il matrimonio con Sir Granville Harley. Il padre, il quarto Duca di Belfont, era morto l’anno prima e James aveva ereditato il titolo e la vasta fortuna di famiglia. Trovava difficile occuparsi delle numerose proprietà, giacché faceva parte del seguito del Principe Reggente e doveva badare alla sua sicurezza. Con tutti i festeggiamenti seguiti alla vittoria su Napoleone, i suoi compiti erano raddoppiati, tanto che gli pareva di doversi trovare ovunque nello stesso momento. L’ultima cosa che desiderava era la responsabilità di una bambina. «Questo spiegherebbe come mai la lettera viene dall’Italia. Ma che cosa posso fare? Sono scapolo e non so niente di bambini.»

    «Potresti imparare presto. Basta che ti sposi» replicò Harriet con un sorriso ironico.

    James scoppiò in una gran risata. La sorella insisteva perché mettesse su famiglia, ma lui non aveva ancora trovato una donna all’altezza delle sue esigenti aspirazioni: o erano troppo giovani e stupide, o troppo serie, brutte e vecchie. Inoltre, lui era occupato con i suoi doveri e nei momenti liberi preferiva divertirsi con ragazze di facili costumi, che non ambivano a diventare duchesse. «Questo non c’entra» borbottò. «Comunque non posso ospitarla qui. E se si trattasse di un’imbrogliona?»

    «Riusciremo ad accertare le sue credenziali con qualche domanda precisa» lo rassicurò Harriet.

    «Riusciremo?»

    «Certo. Come hai detto tu stesso, sei scapolo e io non posso certo lasciare la

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