Indovina chi viene a cena?: Harmony Destiny
By Anna DePalo
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Anna DePalo
Dopo aver vissuto in Inghilterra e in Italia, si è stabilita a New York dove, quando non scrive, esercita la professione di avvocato.
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Book preview
Indovina chi viene a cena? - Anna DePalo
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Under the Tycoon’s Protection
Silhouette Desire
© 2005 Anna DePalo
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-347-1
1
Allison Whittaker fissò l’uomo che, con ogni probabilità, era lo sconosciuto che minacciava di ucciderla.
Orientò la tenda a veneziana in modo tale da avere una visuale migliore delle strade buie di Boston, che si snodavano sotto la finestra. La luce giallognola diffusa da un antico lampione a gas combatteva una battaglia impari contro le tenebre di quella fredda notte d’aprile.
L’uomo era seduto, immobile, dietro il volante dell’auto nera in sosta sul lato opposto della carreggiata, il viso in ombra.
Era lì anche la sera prima. Lei lo aveva notato. Non le sfuggiva nulla, era il suo mestiere. Più di quattro anni passati alla Procura Distrettuale di Boston ed era quello il risultato. Una volta era stata molto più ingenua e sprovveduta, appena uscita dall’università, con la sua laurea in giurisprudenza.
Un garbato impiego da civilista in un decoroso e tranquillo studio legale della città doveva essere la tappa successiva. Perlomeno, era quanto la sua famiglia altolocata si era aspettata da lei. Di certo lo aveva dato per scontato sua madre, illustre giudice, presidente del Tribunale dei Minori, a cui il Boston Globe aveva di recente dedicato un esaltante articolo.
Invece, Allison aveva spiazzato tutti quando aveva intrapreso il duro mestiere del sostituto procuratore. E, per giunta, non nel prestigioso ruolo di pubblico ministero presso la Procura Generale degli Stati Uniti, a occuparsi di casi federali.
Nient’affatto. Aveva scelto di ripulire la città dalle sue sozzure, dando battaglia agli spacciatori e ai ladri della zona, come assistente della Procura Distrettuale di Boston.
Abbassò di nuovo lo sguardo sul tizio nell’auto. Ovviamente, avrebbe sbalordito tutti ancora di più se fosse stata ritrovata morta ammazzata nel proprio appartamento, la gola tagliata dall’uomo misterioso che da qualche tempo le inviava lettere minatorie. Ma non ci teneva a fare il bis in quella specie di festival delle sorprese.
Trattenne il fiato quando lo sconosciuto si mosse e aprì la portiera.
Mentre usciva dall’auto, Allison aguzzò la vista per distinguere meglio al buio i lineamenti del suo viso. Riuscì solo a notare che era alto e di corporatura massiccia, che aveva i capelli castano chiaro ed era vestito di scuro.
Lo osservò mentre perlustrava la strada a destra e a sinistra e poi attraversava, dirigendosi verso casa sua. Stava andando da lei?
Il cuore iniziò a batterle all’impazzata e il fiato le morì in gola. Chiama la polizia!, urlava la sua parte razionale.
I vicini si sarebbero accorti se quell’uomo avesse tentato di irrompere in casa sua, no? Abitava in una zona talmente tranquilla, dove fatti criminali di quel genere non erano certo all’ordine del giorno.
L’uomo passò sotto un lampione e la mente di Allison si placò, bloccando il flusso concitato dei suoi pensieri.
Conosceva quel viso.
All’improvviso, la paura cedette il posto alla rabbia. Non una rabbia comune, un moto di stizza, ma un trasporto d’ira furibonda, violenta e cieca.
Si precipitò giù per le scale della villetta in mattoni rossi, dove abitava da circa un anno, incurante del fatto di indossare solo una camicia da notte in raso, che le sfiorava appena le cosce, e una vestaglia abbinata. Giunta in fondo ai gradini, sfilò il catenaccio del portone d’ingresso, senza pensare di non aver udito suonare il campanello né bussare, e spalancò l’uscio bruscamente.
«Salve, principessa.»
Allison avvertì la medesima ondata di energia che l’assaliva sempre alla presenza di quell’uomo, prontamente sostituita da una pulsante tensione sotterranea.
Lui aveva un fisico magro ma muscoloso, di quelli che fanno girare la testa alle donne, suscitando in loro risatine civettuole e occhiate ammirate. Ma non aveva quell’effetto su di lei. Si conoscevano da una vita e Allison dubitava che fosse capitato lì per caso.
Incrociò le braccia sul petto e lo assalì: «Che cosa c’è, Connor, ti sei perso? Se non è cambiato qualcosa, nel frattempo, mi risulta che Beacon Hill sia una zona troppo esclusiva per una canaglia come te».
Lui ebbe l’audacia di mostrarsi divertito e di accarezzarla con lo sguardo. «E tu sei rimasta la principessina di sempre, il diamante più prezioso, proprio come ricordavo.»
«Se ti intendi di diamanti, allora saprai che sono le pietre più dure esistenti al mondo.»
«Oh, ho imparato un mucchio di cose sui diamanti, ultimamente, principessa» disse lui, sfiorandole la punta del naso con il dito mentre si intrufolava dentro senza invito, costringendola a indietreggiare. «Per esempio, che sono il regalo più ambito da donne del tuo rango.»
Allison scacciò dalla mente l’immagine di Connor che sceglieva dei diamanti per le sue fidanzate, magari in una gioielleria esclusiva come Van Cleef & Arpels, accidenti a lui. Poteva pur provenire da una modesta famiglia del quartiere sud di Boston, ma grazie all’attività multimilionaria di servizi di sicurezza che lui stesso aveva fondato, il suo conto in banca era attualmente espresso in un numero di ben otto cifre. Era il classico straricco che si era fatto da sé. Onore al merito, insomma.
Allison sbatté la porta dietro di lui e reinserì il chiavistello. «Fa’ pure come se fossi a casa tua.» Il sarcasmo le veniva facile come respirare, osservando Connor che si aggirava come un’ombra indistinta nella sua casa buia, dove c’erano solo lui, lei e le emozioni turbolente che quell’uomo non mancava mai di suscitarle. «Sono convinta che saprai illuminarmi a tempo debito sul perché tu mi sia venuto a spiare nel cuore della notte.»
«Che cosa ti fa pensare che ti stessi spiando?» Connor si tolse la giacca e la depositò su una sedia vicina.
Lei si sfregò il mento, fingendo di meditare mentre lo seguiva in soggiorno e lo osservava accendere una lampada. «Oh, non saprei... forse perché te ne sei stato chiuso in auto per mezz’ora, sotto casa mia, con il motore spento?»
Allison continuava a scrutarlo sospettosa mentre lui perlustrava la stanza. Fotografie incorniciate erano dappertutto, inclusa una di lei con familiari e amici e con in braccio Samson, il gatto che era morto di vecchiaia quattro mesi prima. Si sentiva vulnerabile ed esposta, la sua vita in mostra in tutti quegli scatti.
Si era trasferita in quella villetta dopo aver venduto il suo appartamento, l’anno precedente. La sua cara amica e cognata, Liz, un architetto d’interni, l’aveva aiutata ad arredarla secondo uno stile classico, elegante, appropriato alla storia illustre dell’antico edificio.
Connor si voltò verso di lei. «Bel posto.» Si chinò e ammirò una foto di Allison in bikini su una spiaggia caraibica, che sorrideva all’obiettivo mentre correva verso l’acqua con pinne e maschera in mano. «Hai finalmente messo su un po’ di chili, principessa, una volta uscita dalla pubertà.»
Lei digrignò i denti. Sebbene Connor Rafferty fosse diventato praticamente un membro della sua famiglia, dai tempi in cui divideva la stessa stanza con suo fratello Quentin a Harvard, non si era mai sentita a proprio agio in sua presenza. E di sicuro non aveva mai pensato a lui come a un fratello. Spazientita, gli domandò: «Perché sei qui? E, soprattutto, che ci facevi appostato sotto casa mia, a tarda ora, in un tranquillo giovedì sera?».
Lui posò il ritratto, raddrizzò la schiena e infilò le mani in tasca, serrando la mascella. «Ti ho spaventato? Pensavi che fossi quel farabutto che ti invia quei biglietti osceni, pseudoromantici?»
«No!» Allison si rese conto, un secondo troppo tardi, che la sua veemente negazione era suonata finta come in realtà era, ma aveva i nervi a fior di pelle. Ed era tutta colpa dell’inaspettato ospite. Immaginava che uno dei suoi fratelli, probabilmente Quentin, gli avesse raccontato delle minacce che stava ricevendo da qualche tempo.
Connor inarcò un sopracciglio, allentando un po’ la tensione. «Be’, non mi dire che non sei contenta neanche un po’ di vedermi.» Le sue labbra si distesero in un sorrisetto beffardo.
«Smettila!» In effetti, nel constatare che era lui, Allison aveva fatto un sospiro di sollievo, in quella frazione di secondo, prima che la rabbia prendesse il sopravvento. «Non hai ancora risposto alla mia domanda. Che diavolo ci fai qui?»
Lui avanzò fino a lasciarsi sprofondare sul divano rivestito in robusto cotone stampato, allungò le gambe davanti a sé e incrociò i piedi. «Faccio semplicemente il mio mestiere.»
«Semplicemente...» Allison si bloccò, mentre un pensiero sgradito si intrufolava nella sua mente, e ridusse gli occhi a due fessure.
Connor piegò il capo da un lato. «Sei sempre stata molto perspicace, principessa. E ti confesso che sarebbe affascinante poter osservare il grazioso movimento degli ingranaggi in quella tua diabolica testolina. Ho sempre pensato che, se fossi nata rossa, il pacchetto sarebbe stato a dir poco esplosivo. I capelli rossi si sarebbero intonati alla perfezione a questo tuo temperamento focoso.»
«Fuori!»
Allison lo osservò corrugare la fronte e serrare la bocca in una linea severa. «È così che si tratta chi è qui per proteggerti?»
Lei marciò con passo spedito e nervoso lungo la stanza e si girò verso di lui, una volta raggiunto il camino. Non poteva credere a quel che stava succedendo. «Non so quale membro della mia famiglia ti abbia assunto, Connor» sibilò, le braccia conserte, «e, francamente, non me ne importa. Potrai pur essere il proprietario della migliore agenzia di servizi di sicurezza del paese, ma la tua presenza, qui, non è necessaria né gradita.»
Alzandosi dal divano, lui incrociò le braccia sul petto, incatenandola con il suo sguardo pietrificante e l’aria di chi non avesse nessuna intenzione di schiodarsi da lì. «Da quel che ho saputo, credo che la mia presenza, invece, sia decisamente necessaria. In quanto a essere gradita...» Scrollò le spalle, noncurante. «Mi è stato affidato un incarico e io lo eseguirò.»
Gradita. La mente di Allison si concentrò tutta su quella parola, con sforzo, poi, la allontanò. Qualunque fossero i propri sentimenti per Connor, quel termine non era certamente la definizione più adatta.
Aveva un fisico statuario, occhi nocciola, contornati da ciglia lunghe e folte, e i capelli biondi dal taglio cortissimo che avrebbero potuto permettergli di ambire a posare come modello, se non fosse stato per il naso che gli era stato rotto un