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Scoperta sexy (eLit): eLit
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Ebook197 pages2 hours

Scoperta sexy (eLit): eLit

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About this ebook

Morgan è arrivata a Melbourne da Parigi per vedere la serie di negozi appena ereditati e che vorrebbe vendere quanto prima. Il portavoce dei suoi affittuari è Saxon Ciantar, proprietario di alcune gelaterie, che non perde tempo nel dichiararle guerra. Molto presto, però, lui capisce che, dietro la facciata di ghiaccio, Morgan nasconde una personalità sensibile e appassionata. Saxon vuole scoprirla e per condurla alla resa userà tutto il suo potere seduttivo.
LanguageItaliano
Release dateMay 4, 2020
ISBN9788830511538
Scoperta sexy (eLit): eLit
Author

Ally Blake

Autrice australiana, ha ballato e recitato in televisione prima di dare libero sfogo alla sua innata passione per la scrittura.

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    Scoperta sexy (eLit) - Ally Blake

    Immagine di copertina:

    CHBD / iStock / Getty Images Plus

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Steamy Surrender

    Mills & Boon Modern Romance Extra

    © 2007 Ally Blake

    Traduzione di Alda Barbi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-153-8

    1

    Morgan si sistemò gli ampi occhiali da sole sul naso e osservò Como Avenue, la gelida strada di Melbourne dove il taxi l’aveva appena depositata. Si sfregò in fretta le mani sulle braccia per combattere l’aria fredda e insidiosa e aggrottò la fronte. Era questo il motivo per cui aveva trascorso ventiquattr’ore su diversi aerei, quindici delle quali seduta accanto a un tipo che non si lavava come minimo da una settimana?

    Quando i legali l’avevano contattata a Parigi, meno di due settimane prima, con la notizia che aveva ereditato cinque negozi a Carlton, era stata così stupida da immaginare che si trattasse di un pittoresco chiosco di fiori, un bar grazioso e un paio di boutique alla moda. Considerato però che il lascito proveniva dal nonno materno, avrebbe dovuto saperlo. I Kipling avevano due grandi talenti, l’autoconservazione e la discordia familiare. Lasciare in eredità degli immobili appetibili con l’intento di una conciliazione finale sarebbe stato fuori discussione.

    In realtà, la sua eredità consisteva in un lavasecco, un’agenzia immobiliare con pubblicità sbiadite appese a una finestra rotta, un ristorante indiano con tendine rosse polverose e delle pazze sedie in vinile allineate a casaccio sul marciapiede, e un posto chiamato Lana e Tessuti con un’insegna così vecchia che era priva della cifra finale del numero telefonico, che era stata aggiunta a tutti i numeri australiani anni prima.

    L’ultimo negozio ereditato era l’unico che si salvava. Con il cartellone nuovo, le luci dorate e le vetrine pulite, la facciata della Gelateria Bacio Bacio spiccava come un raggio di sole tra quello stufato male assortito di ruderi vecchi e mal tenuti. Sebbene l’idea di un gelato sembrasse ridicola, considerato che la temperatura massima doveva essere di un paio di gradi, Morgan decise di iniziare la sua ricognizione proprio da lì.

    Puntò il piede semicongelato sul cemento freddo e sconnesso, bevve un sorso del pessimo caffè che aveva preso e che si stava raffreddando e controllò bene la strada prima di attraversare, con notevole coraggio, ricordando a se stessa di controllare sempre a destra. Questo malgrado il fatto che, a differenza della vicina Lygon Street, Como Avenue fosse priva di traffico.

    «Non sei più a Parigi, mia cara» si disse prima di scattare attraverso la strada deserta.

    Saxon cantava insieme al suo CD preferito mentre immetteva Bessie, la sua adorata MkII Jaguar blu notte del 1968, in Como Avenue.

    Quando l’auto si fermò, facendo le fusa, nell’area di parcheggio riservata al personale dietro i negozi, carezzò come sempre il cruscotto con amore e le disse che era stata brava. Poi scese, soddisfatto.

    «Accidenti, che freddo» imprecò quando il vento gelido lo colpì in viso e gli si insinuò sotto il giaccone pesante.

    Erano anni che non faceva così freddo, dai tempi mitici in cui attraversava Lygon Street a bordo del suo Maggiolino riscaldato, con addosso solo una T-shirt e i Levi’s 501, mentre la radio trasmetteva a tutto volume Billy Joel e i suoi cugini, altrettanto poco vestiti, urlavano profferte volgari alle signore fortunate sui marciapiedi.

    Saxon si calcò il berretto sulle orecchie e si strinse il bavero in pelo del giaccone attorno al collo. Non tutto era perduto. Il cielo era cristallino, il che indicava nevicate ad alta quota a nord. Poteva sempre sfruttare l’opportunità di portare Bessie a fare un salto sul Monte Buller prima che finisse la settimana. Sci, vino caldo vicino al fuoco del camino, un CD di raffinata musica jazz nel lettore. Se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto sperare persino che una provetta sciatrice, una splendida ragazza rigorosamente in pelliccia ecologica e calzoni stretti, calmasse i suoi appetiti.

    Il suono distante di un campanello attraversò l’aria, distogliendolo da quei sogni a occhi aperti. Avrebbe riconosciuto ovunque quel suono. Per lui significava affari.

    Si infilò in bocca un chewing gum alla cannella godendosi il sapore speziato e corse in fretta verso la porta sul retro del negozio. Sapeva che sarebbe bastato dare a suo cugino Darius la mancia settimanale e lasciare gestire i clienti a Trisha, ma il brivido della caccia gli scaldava il cuore più di qualsiasi canzone di Billy Joel.

    No, non avrebbe scomodato Darius prima di essersi dedicato a fare ciò in cui era un vero maestro. Vendere gelati persino in pieno inverno.

    Il tintinnio lieve di un campanello d’ottone antico annunciò l’entrata di Morgan nella Gelateria Bacio Bacio. Si tolse la lunga sciarpa lavorata a mano e la legò all’enorme borsa firmata, uno dei milioni di omaggi che riceveva dalle case di moda come ricompensa per il lavoro di fotografa che svolgeva a Parigi per una rivista famosissima. Si inoltrò poi nella stanza, posando gli occhi creativi su innumerevoli delizie visive.

    Le pareti intonacate erano dipinte in un giallo dorato, eccetto una che era decorata con una raffigurazione delle colline toscane. Una enorme e luccicante macchina da caffè espresso color bronzo occupava una bella porzione del lungo banco in mogano; lo spazio rimanente era diviso in sezioni in vetro curvo, illuminate sapientemente per evidenziare almeno tre dozzine di vaschette ricolme di gelato spumoso e colorato e sovrastate da cucchiaini piatti, piantati sulla superficie come bandiere sul monte Everest.

    Era il tipo di locale che sarebbe piaciuto ai suoi colleghi fotografi. Una perfetta miscela di colori, luci e materiali. Bombardava i sensi in modo tale che lì non si vendeva solo cibo, ma un’immagine, una sensazione. Riusciva a figurarsi nella mente uomini in eleganti cappelli seduti attorno ai tavolini in ferro battuto, intenti a parlare di football, e ragazzini con i berretti da strilloni e i nasi spiaccicati sulle vetrine, desiderosi di un gelato che non potevano permettersi.

    Era un peccato che lei non fosse lì alla ricerca di un set per un servizio di Chic. Un vero peccato. In realtà, entro la fine della settimana avrebbe dovuto prendere una decisione: aumentare vertiginosamente gli affitti per restaurare il posto o firmare i progetti infilati nella borsa e far radere al suolo gli edifici.

    Una volta entrato, Saxon rimpiazzò il berretto con una bustina siglata Bacio Bacio, lasciò il giubbotto in pelle su una sedia e si legò in vita un grembiule rosso scuro, annodandolo sul davanti.

    Si sistemò i capelli dietro le orecchie, decidendo che avrebbe fatto meglio a tagliarli un po’ prima che sua madre lo vedesse, e si affrettò verso gli spazi invitanti della sua seconda casa, dove scoprì che una donna aveva invaso il suo rifugio.

    Rallentò. Quella non era una donna qualunque, era una che meritava un secondo sguardo. E un terzo. E una cena e un cinema e almeno un tentativo di invito per il bicchiere della staffa.

    Era bionda. Un biondo cenere, con onde lunghe che le carezzavano il volto, coperto a metà da enormi occhiali scuri. Almeno tre catene dorate le pendevano dal collo sottile, cariche di ciondoli enormi che producevano un suono incantatore mentre lei si muoveva nella stanza, conferendole una qualità musicale. Portava dei ridicoli sandali a tacco alto color bronzo, dai quali spuntavano unghie laccate in rosso.

    Era una donna formato mignon, di quel tipo che suo padre avrebbe definito adatta a essere messa in tasca. La sua bellezza era racchiusa in una maglia stretta dorata, con il collo a V, che aderiva a curve tali da provocare lo strabismo. Una striscia di pelle nuda, effetto ti-vedo-non-ti-vedo, separava la maglia dai calzoni alla pescatora. Saxon restò a fissarla trenta secondi buoni.

    Dovette concentrarsi per tenere a bada la libido, che era montata in un tempo straordinariamente breve, considerando il freddo mattino invernale. Si sentì un po’ a disagio e una bandierina rossa di pericolo si mise a sventolare nel suo subconscio. Qualcosa in quella donna gli faceva venire voglia di assalirla.

    Incrociò lo sguardo di Trisha e le fece cenno che si sarebbe curato lui di quella cliente. Trisha sorrise con l’aria di chi la sa lunga e scivolò sul retro, concedendosi una sosta prima dell’ora di punta.

    Rimasto solo con la donna misteriosa, Saxon si chinò sul banco e iniziò a mettere in atto la tattica con la quale aveva venduto un milione di gelati e trasformato il negozietto di famiglia in un impero.

    «Qual è il suo veleno?» chiese.

    La donna si girò verso di lui e lo guardò in silenzio.

    L’eccitazione di Saxon crebbe e dilagò, improvvisa e incredibile. Come la varicella, o una scottatura, o le cattive notizie. Non sapeva se fosse causata dal mancato sorriso di quella donna, dal fatto che avesse in mano una tazza di caffè di un concorrente o dal non poterle vedere gli occhi, nascosti dietro enormi occhiali da sole.

    Come se gli avesse letto nel pensiero, la donna sollevò gli occhiali sulla testa, scostando dal volto i capelli ondulati biondo cenere. Qualsiasi cosa Saxon avesse avuto in mente di dire o pensare, si congelò mentre guardava i due occhi più belli che avesse mai visto. Mai. In tutta la sua vita.

    I veri occhi verdi non esistevano, per quanto ne sapesse lui. In genere si chiamava così un nocciola grazioso, oppure quei bagliori colorati che scurivano appena l’azzurro. Gli occhi di quella donna, invece, avevano il colore di un prato d’estate.

    Saxon si era fatto spesso catturare da due begli occhi, un bel sedere e un po’ di senso dell’umorismo. Se la tipa gli avesse raccontato una barzelletta, magari le avrebbe chiesto di sposarlo su due piedi.

    Lei se la prese comoda e lo osservò con altrettanta cura, indugiando sui capelli troppo lunghi, la barba di tre giorni e la T-shirt nera preferita, a maniche corte.

    Fu allora che Saxon si rese conto che lei non stava sbavando per la mercanzia. In nessun senso. Il suo radar scova-pupe, invece, era in allerta. Sirene spiegate. Lampeggianti accesi, direzione bionda. Mentre indugiava in fantasie sconce di lei stesa sul tappeto di pelle di pecora davanti al camino acceso al Monte Buller con addosso solo un bikini d’ermellino, quei sensuali occhi verdi presero una sfumatura giada, più scura, nel valutare la mercanzia che lui stava vantando.

    L’eccitazione e il prurito di Saxon crebbero tanto che dovette grattarsi un braccio. Brutto segno. Cominciava a pensare che quel suo mancato istinto razionale romantico gli provenisse dal matrimonio caotico e dal divorzio se possibile ancora.più caotico

    «Che c’è di buono qui?» chiese lei.

    Era un’esca troppo facile per non abboccare. Prurito o non prurito. Aprì le braccia verso il negozio. «Tutto qui è il meglio che si possa avere.»

    Morgan rise. A voce alta. Non aveva dubbi che l’uomo dietro il banco avesse incluso se stesso in quell’affermazione. Arrogante oltre che carino, pensò. «È una frase impegnativa.»

    Lui si mise la mano sul cuore, coprendo con le dita lunghe un petto da urlo fasciato nel cotone. «Me ne faccio garante personalmente.»

    «Una pratica commerciale coraggiosa.»

    «Il coraggio suggerisce il dubbio. Semplicemente non ho mai ricevuto lamentele.» Il sorriso si allargò, trentadue denti di persuasione pura.

    Morgan si schiarì la voce e cercò di tornare ad apparire educata, ma sulle sue. Era lì per ispezionare il locale, non per ammirare il ragazzo dietro il banco. «Vuol dire che mi fiderò della sua parola.»

    Fece ciò che avrebbe dovuto fare molto prima e si allontanò da lui, dirigendosi in fondo al banco. Quella doveva essere una visita breve, dentro e fuori, per dare un’occhiata. Dentro e fuori, decidere e tornare a Parigi. Nel suo bell’appartamentino a Montmartre, con il balconcino minuscolo in ferro battuto, piccolo sì, ma dal quale si godeva una veduta da brivido dello splendore del Sacré-Coeur, un edificio così bello da farle male al cuore. Anzi, da farle sopportare persino le giornate lavorative di quattordici ore passate a sprecare il suo talento per Alicia, la direttrice della rivista, la donna con meno gusto al mondo.

    E in effetti dentro il locale c’era. Il problema sembrava essere però andare fuori di lì, poiché dal momento in cui i suoi occhi avevano incrociato lo sguardo di Mister Arrogante, Morgan si era sentita... strana. Non strana in modo negativo. Strana da solletico allo stomaco, come se avesse bevuto troppo caffè. E considerato che il caffè macchiato congelato che teneva tra le mani era quasi intatto...

    Okay, forse, ma solo forse, la strana sensazione non aveva nulla a che vedere con il troppo latte nel caffè e aveva tutto a che fare con quel maschio sorprendente davanti ai suoi occhi. Anche se era un po’ grezzo. Senza dubbio, il tipo d’uomo che intortava facilmente le malcapitate e trovava adeguato un complimento del genere hai un bel sedere. Ma era anche molto alto e con spalle ampie. Una catena d’argento gli stringeva il collo solido, cosicché la medaglietta si posava sull’incavo della gola. Aveva muscoli lisci contenuti a fatica dal cotone della T-shirt scura con l’immagine di una rock band che, Morgan ne era quasi certa, si era sciolta prima ancora che lei fosse nata. Erano muscoli che volevano essere toccati. E di sicuro il suo addome era segnato da altri muscoli. Piatti, a tartaruga. Morgan ci avrebbe scommesso.

    Tutta quella mascolinità robusta e sana le faceva piacere, soprattutto se la paragonava ai tipi super magri, super pettinati e super effeminati con i quali lei lavorava ogni giorno. E ci pensava. Eccome se ci pensava. Niente male.

    Arrischiò uno sguardo di sbieco verso l’uomo e lo scoprì intento a osservarla. Fu costretta a posare una mano sul proprio stomaco per impedire di sentire quello sfarfallio tipico di chi si prende una cotta potente. Tuttavia, le sensazioni che provava non avevano importanza, non aveva tempo per indulgervi. Né era incline a farlo. Non aveva neppure la testa al posto giusto per concedersi un’avventura veloce, dentro e fuori, così come intendeva fare con la sua visita alla gelateria.

    «Per prima cosa, perché non comincia con il prendere un vero caffè?» suggerì lui con un sorriso malandrino che la mise in ulteriore agitazione.

    «No, grazie, questo va benissimo» insistette Morgan, sollevando la tazza.

    «Non può essere buono, non è neppure caldo, non fuma» replicò lui.

    «Non mi dispiace il caffè freddo.»

    Lui sollevò un sopracciglio. «A me sì. Mi urta fisicamente vederlo. Quindi, gliene preparo un altro. Latte scremato, giusto? Doppio, niente zucchero.»

    Lei aprì la bocca, poi la richiuse. Sollevò la tazza di cartone per vedere se ci fosse scritto all’esterno ciò che conteneva. No. «Come diavolo fa a saperlo?»

    «Talento.» Tese la mano per recuperare il caffè che lei aveva appena toccato. Dopo un attimo di esitazione, Morgan si spostò e glielo allungò. Le loro dita si sfiorarono per un secondo, ma a lei parve di essere stata punta.

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