Erotici risvegli: eLit
By Megan Hart
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C'è qualcosa nella casa di Mel. O meglio, qualcuno. Una presenza che si avverte grazie al lieve profumo di lillà e alle note lontane di un carillon che aleggiano nell'aria. Lei non è spaventata. Anzi, quelle stranezze non fanno che aggiungere fascino al palazzo d'epoca in cui vive. Con l'arrivo di Jon Adams, il nuovo inquilino, quegli strani fenomeni diventano più frequenti e l'attrazione di Mel per quel bellissimo uomo alto, bruno e silenzioso è sempre più intensa. Ma quella che prova nei suoi confronti non è una passione normale: ha la forza di un'ossessione, che la consuma. E forse l'unico in grado di spiegare che cosa si nasconde nei vividi sogni erotici che turbano le sue notti è proprio lui.
Megan Hart
Autrice di numerosi romanzi, tra cui i fortunati Fondente come il cioccolato, Notte di piacere e Inseparabili, editi da Harlequin Mondadori è una delle stelle più brillanti nel firmamento della letteratura erotica. Vive nei boschi della Pennsylvania con il marito e due figli.
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Book preview
Erotici risvegli - Megan Hart
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Reawakened Passions
Harlequin Nocturne Cravings
© 2012 Megan Hart
Traduzione di Lorenza Braga
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-829-4
www.harlequinmondadori.it
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1
Melissa Benjamin viveva accompagnata dal profumo persistente dei lillà. Nei primi mesi successivi al trasferimento nel suo nuovo appartamento, al terzo piano del Valencia, era diventata matta cercando di capire da dove provenisse quell’odore. Non c’erano cespugli di lillà piantati all’esterno, boccette di profumo rovesciate, o candele sciolte e dimenticate in qualche armadio o credenza. Eppure continuava a sentire la fragranza penetrante e, a intermittenza, persistente di quei fiori viola. A Mel ricordava la nonna, con il suo aroma di talco, ed era piacevole. In ogni caso, quella situazione era migliore rispetto a quella vissuta nel suo ultimo appartamento, che spesso puzzava di fritto e di erba. Alla fine aveva rinunciato a cercare di capire da dove provenisse l’odore, o che cosa lo producesse. In effetti, per la maggior parte del tempo, lo notava appena.
La musica era un po’ più difficile da ignorare.
L’aveva svegliata proprio in quel momento, con suoni soavi e argentini che le ricordavano un carillon, di quelli che si caricavano con una chiavetta. Magari si trattava di un portagioie con dentro una ballerina che ruotava sulla punta di un piede quando si apriva il coperchio.
Mel aprì gli occhi al buio, le coperte un caldo conforto contro il fresco di quella notte di inizio primavera. Vi si rannicchiò sotto, premendo un orecchio sul morbido cuscino e coprendosi l’altro con la trapunta. Ora il motivo del carillon le giungeva attutito, più difficile da sentire, e poiché ormai ci si era abituata, dapprima non fece nulla se non abbassare le palpebre, sperando di addormentarsi. Dopo pochi secondi, però, quando il motivo non si fermò, Mel si girò sulla schiena.
La musica non era mai alta o chiassosa, e ripeteva sempre la stessa melodia. Pensava fosse Au Clair de la Lune, anche se si interrompeva dopo così poche note che non poteva esserne sicura. Sembrava sempre flebile e lontana, eppure ogni volta riusciva a svegliarla di soprassalto, come se qualcuno le avesse sussurrato il suo nome direttamente nell’orecchio. Mel rimase ad ascoltare, aspettando che la canzone si smorzasse a poco a poco nell’oscurità e che la lasciasse tornare a dormire.
Ma questa volta non accadde. La melodia ricominciò daccapo, un po’ più forte, un po’ più veloce, come se qualcuno avesse ricaricato il carillon.
Sbattendo le palpebre, Mel si mise a sedere sul letto. «C’è qualcuno?»
Sapeva che era stupido parlare a voce alta. Se si fosse trattato di un ladro che trafficava in soggiorno con qualche strano carillon di cui lei ignorava l’esistenza, di certo non le avrebbe risposto. E se non era qualcosa di umano, se davvero era il fantasma su cui lei aveva scherzato sin da quando si era trasferita lì, be’... voleva davvero sentire una risposta?
Proprio come il profumo di lillà non l’aveva mai irritata, la melodia del carillon a notte fonda non l’aveva mai spaventata. Però ora, seduta a letto, senza nemmeno un filo di luce che filtrava dalla finestra perché aveva chiuso le tapparelle prima di andare a dormire, era fin troppo facile per Mel immaginare una mano scheletrica che si allungava... si allungava...
Suonò la sveglia e lei gridò. Forte. Spaventosamente forte. Quasi fece un balzo sul letto e urtò il telefono inserito nella base altoparlante. Lo afferrò, strisciando un dito sullo schermo per disattivare la suoneria della sveglia. Quando questa si spense, anche l’altra musica si interruppe.
Con il cuore che le martellava nel petto, Mel si sedette, stringendo a sé il cellulare finché lo schermo divenne scuro. Riusciva a distinguere qualche ombra nella stanza: l’angolo della cassettiera, con ammassata sopra un’alta pila di biancheria pulita che doveva riporre. L’anta dell’armadio a muro che si rifiutava di restare chiusa. Il contorno della porta della camera da letto, che lasciava intravedere uno spiraglio del corridoio.
Non l’aveva chiusa quando era andata a dormire? Vivendo da sola, Mel aveva preso l’abitudine di chiudere a chiave non solo l’ingresso principale dell’appartamento, ma anche quello sul retro che conduceva alle scale di servizio del seminterrato. E quando si ritirava per la notte, si ricordava sempre di accostare per bene la porta della camera da letto.
Ora era decisamente aperta. Riusciva a vedere, lungo il corridoio, il bagliore della luce notturna in bagno. Con cautela, cercando di non fare rumore, Mel sgusciò fuori dal letto e andò alla porta in punta di piedi, quindi si mise in ascolto.
Niente.
Aprì la porta quel tanto che bastava per premere l’orecchio contro la fessura. Ancora niente.
Qualche secondo dopo, la porta del bagno in corridoio cigolò e si chiuse con un forte schianto. Mel buttò fuori il fiato che aveva trattenuto e fece un passo indietro, ridendo.
Il vento.
Il Valencia aveva uno strano condotto ricavato nel mezzo dell’edificio. Tutti gli appartamenti che si affacciavano su di esso avevano delle finestre di vetro smerigliato per garantire la privacy. Uno degli altri residenti le aveva detto che quelle aperture erano state inserite per illuminare gli ambienti. Il che era vero, perché il bagno era benedetto da una luce naturale che lei apprezzava, ma la presenza di quel condotto provocava degli spifferi che riempivano tutto il palazzo.
Il cuore martellante rallentò. Scuotendo la testa, Mel andò in bagno a piedi scalzi e fece scorrere l’acqua della doccia mentre si lavava i denti. Aveva lasciato la finestra socchiusa, il che spiegava la corrente, e sbirciò nell’interstizio. Quelle finestre interne non si potevano aprire per più di uno spiraglio, sufficiente per far entrare un po’ d’aria, ma non abbastanza per spiare i vicini. Però si sentiva tutto. Conversazioni, televisione, musica. Mel ascoltò con attenzione, concentrandosi al di sopra dello scroscio della doccia, ma non udì niente. Di certo non il trillo di un carillon.
Ma quando uscì dalla doccia quindici minuti dopo,