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Tenebre e sangue (eLit): eLit
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Tenebre e sangue (eLit): eLit

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PRIMAL INSTINCT 3

Dietro la facciata di integerrimo braccio della legge, lo sceriffo Riley Buchanan nasconde un terribile segreto: nelle sue vene, come in quelle dei suoi fratelli Saige e Ian, scorre il sangue dei merrick. Diversamente da loro, però, che sono riusciti ad accettare la propria natura, Riley non riesce a superare il terrore che il suo lato oscuro possa prendere il sopravvento, e per questo ha troncato ogni rapporto con Hope, la ragazza di cui era innamorato. Tredici anni dopo, tuttavia, le loro strade si incrociano di nuovo, e in un lampo l'acerbo e innocente sentimento di un tempo si trasforma in una rovente attrazione fisica impossibile da ignorare. La dolce Hope è diventata una donna affascinante e sensuale che suscita in lui una fame insaziabile, e Riley non vuole altro che possederla, anima e corpo. Ma fino a quando riuscirà a resistere all'istinto primordiale che gli grida di bere il suo sangue?
LanguageItaliano
Release dateMay 31, 2017
ISBN9788858970737
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    Tenebre e sangue (eLit) - Rhyannon Byrd

    1

    Ci sono desideri che possono essere letali...

    Sabato mattina

    Aveva bisogno di una donna. Nel peggior modo possibile, tanto da torcergli le budella. Eppure nessuna delle donne che Riley Buchanan aveva incrociato nella pittoresca cittadina marinara di Purity, nello stato di Washington, faceva al caso suo.

    La rossa che innaffiava le piante fuori dal negozio di fiori era troppo magra, la bionda che faceva ondeggiare davanti a lui il fondoschiena coperto da una minigonna era troppo alta, quando quello che voleva era...

    Cercò le parole adatte, ma non le trovò.

    Oppure sei troppo ostinato per ammettere chi vuoi veramente. Perfino con te stesso.

    «Taci» borbottò alla voce irritante nella propria mente, curvando le spalle contro la brezza sferzante che soffiava dal Pacifico. L’aria salmastra gli riempiva la testa, così diversa dal vento asciutto di montagna che soffiava a Henning, in Colorado, il luogo che chiamava casa. Per un istante colse una traccia di profumo che lo colpì come una pugnalata al ventre. Era familiare eppure diverso in modo invitante.

    Riley si fermò al centro del marciapiede, scrutando la strada principale di Purity, affollata di gente, cercando di individuarne la provenienza. Rimase lì, stordito, con un nodo di terrore allo stomaco e il respiro ansimante. Ma non vide il dolce volto del passato. Non c’erano grandi occhi luminosi a fissarlo sorpresi. Niente morbide labbra che si piegavano in un timido sorriso di riconoscimento. Nessuno in quello sciame caotico di gente che potesse risvegliare i suoi ricordi e riportarlo a un tempo che aveva fatto di tutto per dimenticare.

    Esalando un aspro respiro, decise che era solo la mente che gli giocava strani scherzi, cosa che sembrava accadere sempre più spesso ultimamente. Credeva di avere sepolto quel periodo della propria vita in un’impenetrabile cripta, allontanandolo per sempre, ma quel dannato risveglio metteva a dura prova la sua sanità mentale, facendogli ricordare cose e soprattutto persone che era meglio dimenticare.

    Eppure non è proprio lei l’unica cosa che desideri?

    «Fermati» mormorò tra sé, irritato per aver lasciato che l’immaginazione gli prendesse la mano. Allontanando dalla mente quell’ondata di ricordi non desiderati, riprese a camminare sul marciapiede affollato, mentre quel bisogno inquieto, febbrile, gli strisciava sottopelle. Ne conosceva la fonte, sapeva esattamente da dove veniva, ma non c’era nulla che potesse farci.

    L’antico sangue merrick stava tornando alla vita dentro di lui e ciò significava una cosa soltanto: i suoi giorni erano contati.

    Le tenebre stavano bussando, eppure non era la vita di Riley a essere in gioco. Era la sua anima.

    Non che avesse fatto niente di così stupido come un patto con il diavolo, anche se c’erano stati momenti, nel corso degli anni, in cui era stato tentato. A un certo punto, sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa pur di avere una possibilità di liberarsi delle tenebre che suppuravano dentro di lui. Un’oscurità velenosa e distruttiva che aveva plasmato tutta la sua vita sin dall’età di diciassette anni, scolpendo gli anni come un artista manipola l’argilla.

    Tutte stronzate. Non sono le tenebre che ti rodono dentro, è la tua debolezza. È sapere che non sarai in grado di affrontarlo quando colpirà.

    Soffocando l’imprecazione che stava per uscirgli dalle labbra, Riley affondò le mani nelle tasche dei jeans, mentre le raffiche sferzanti del vento dell’oceano gli frustavano i capelli sul volto. Nonostante il clima impietoso, Purity era un bel posto, chiuso tra la bellezza aspra e maestosa della foresta in autunno e una costa che cadeva a picco davanti alla furia battente del Pacifico. In qualsiasi altro giorno sarebbe rimasto affascinato dalla città, ma quello non era un giorno qualsiasi.

    Lui e Kellan Scott erano arrivati a Purity quel mattino allo scopo di recuperare il Marcatore Nero che credevano fosse sepolto in quella sonnolenta località marina. Solo il giorno prima sua sorella Saige aveva finito di decifrare l’antica mappa in codice che riportava le indicazioni del luogo in cui si trovava il Marcatore e subito Riley aveva insistito per essere lui ad andare a prendere il potente talismano. Il fratello e la sorella l’avevano contrastato come pazzi, ma alla fine Riley l’aveva avuta vinta, con la minaccia che sarebbe partito comunque. Sarebbe salito in auto e avrebbe lasciato Henning senza dire loro dove fosse diretto, se non fossero stati zitti e non l’avessero lasciato andare.

    Non poteva restare. Il suo risveglio stava progredendo con troppa forza, e questo significava che era più che probabile che un mostro gli stesse già dando la caccia. Un casus. Uno degli antichi nemici dei merrick, quelli che avevano dato inizio ai risvegli. Per ogni casus che riusciva a fuggire dal luogo di detenzione in cui la loro specie malvagia era stata imprigionata per più di mille anni, si credeva che il sangue primordiale si sarebbe risvegliato all’interno di un discendente del clan dei merrick.

    E, anche se Riley aveva cercato di opporsi, alla fine era venuto il suo turno.

    Ora avrebbe dovuto affrontare in combattimento una creatura demoniaca e sperare con tutto se stesso di essere almeno in grado di abbattere uno di quei mostri prima che...

    No, non voleva pensare a quello che sarebbe venuto dopo. Doveva concentrarsi sulla battaglia imminente, in modo da distruggere il casus che lo inseguiva. Per questo aveva bisogno del Marcatore Nero, una di quelle bellissime croci intagliate che servivano non solo come protezione, ma che erano le uniche armi in grado di uccidere l’anima dei casus e di spedirli dritti all’inferno. Dio solo sapeva quanti di quei mostri fossero già sulle sue tracce e Riley non aveva alcuna intenzione di attardarsi a Henning, dove avrebbero potuto uccidere a una a una le persone del posto solo per torturargli la mente. Era così che agivano quei bastardi e lui aveva visto di persona come potevano essere crudeli quando il primo casus fuggito aveva dato la caccia a suo fratello Ian, verso la fine dell’estate. Il mostro aveva ucciso quattro donne solo a Henning, due delle quali erano uscite con Ian. Alla fine suo fratello era riuscito a usare il primo Marcatore Nero trovato da Saige per uccidere quel sadico bastardo, ma Riley sapeva che aveva ancora difficoltà ad ammettere il fatto inquietante di essere più merrick che umano.

    Riley avrebbe voluto accettare il sangue primordiale che gli scorreva nelle vene con la stessa facilità con cui l’aveva fatto Saige, ma lui era molto più simile a Ian. A quel pensiero piegò l’angolo della bocca in un amaro sorriso. Poteva ben immaginare quale sarebbe stata la reazione del fratello a quel paragone. Mentre Ian aveva avuto una vita difficile e pericolosa, Riley aveva fatto del suo meglio per mantenersi sulla retta via, come un dannato boy scout. Eppure erano più simili di quanto il fratello si rendesse conto.

    Anche se Ian e Saige non lo sapevano, lui aveva vissuto per anni nella paura del risveglio. Da quando aveva diciassette anni. Dal momento in cui aveva voltato le spalle alla vita che voleva, gettandola da parte. Ecco perché, sin da quando si era reso conto che i risvegli sarebbero veramente avvenuti, era stato consumato dai ricordi del passato. Sapeva che era stupido e inutile. I rimpianti non l’avrebbero salvato e di certo non avrebbero alleviato quella fame violenta, viscerale, che lo metteva a nudo, strappandogli il cuore come tanti artigli. Ma i due fenomeni andavano di pari passo, era impossibile separarli.

    Affrontando il risveglio era inevitabile che ripensasse a quello che era accaduto tanto tempo prima. Alle circostanze che avevano cambiato per sempre la sua vita, plasmandolo nell’uomo che era diventato.

    Ma non c’era niente da fare. Non poteva evitare il futuro e non poteva tornare indietro e modificare quello che era accaduto prima. Il fatto che si stesse risvegliando era la prova che aveva compiuto le scelte giuste tanti anni prima, per quanto penose fossero state. Non importava quanto l’avessero lasciato amareggiato. Non importava quanto gli fossero costate o come avessero ferito le persone che gli erano care.

    Sollevò ancora il naso in aria, cercando nuovamente quel profumo, ma le raffiche di brezza profumata di mare erano troppo forti e alla fine rinunciò.

    Non era reale, si disse, scuotendo la testa come se volesse chiarirla da una nebbia alcolica.

    Intravedendo Kellan che veniva dalla direzione opposta, oltrepassò un gruppo di giovani mamme che chiacchieravano intorno a un cerchio di passeggini e si fermò ad aspettare il Guardiano sotto la tenda di un negozio di ferramenta. Si erano separati poco dopo essere arrivati in città.

    Riley si era messo a cercare tutte le informazioni che poteva raccogliere sul luogo in cui credevano fosse sepolta la croce, mentre Kellan era andato a consultare gli archivi di cronaca locale per controllare se riportavano qualche fatto strano accaduto di recente o qualche sparizione. Erano quasi certi che i casus che per breve tempo avevano sottratto loro le misteriose mappe, poche settimane prima, non fossero riusciti a decifrarle. Ma non volevano correre rischi. Anche se non capivano perché, sapevano che i casus erano ansiosi quanto loro di mettere le mani sui Marcatori Neri.

    «Trovato niente?» domandò al Guardiano che si stava avvicinando.

    L’altro scosse il capo; la luce del sole traeva riflessi ramati dai capelli rosso scuro e gli occhi verdazzurro brillavano di una scintilla maliziosa. Kellan Scott era un giovane robusto e muscoloso e per questo era stato inviato insieme a Riley a cercare il Marcatore. Era anche uno dei Guardiani – mutaforma che avevano il compito di sorvegliare gli antichi clan non umani – e la sua unità aveva rotto con la tradizione decidendo di intervenire e di aiutare i merrick nella lotta contro i casus. Come il fratello Kierland, nella sua forma animale Kellan era un lupo e, anche se Riley non l’aveva ancora visto trasformarsi, non aveva dubbi che l’aitante ventiseienne potesse mostrarsi letale, quando necessario.

    «E tu?» chiese Kellan, mentre venivano oltrepassati da due giovani donne che li guardarono con palese apprezzamento. Il Guardiano rivolse un sorriso invitante alla bionda, prima che Riley le facesse allontanare con uno sguardo truce.

    «Il terreno dove Saige ci ha detto di cercare è di proprietà della stessa donna che possiede il caffè che abbiamo visto appena arrivati in città, vicino alle scogliere. Si chiama Millicent Summers» disse quando Kellan distolse finalmente gli occhi dal posteriore della bionda e tornò a guardarlo.

    «Millicent. Mmh... suona bene. Andiamo a conoscerla» mormorò il Guardiano, alzando e abbassando le sopracciglia con un sorriso.

    «Temo che sia un po’ troppo vecchia per te, amico» sbuffò Riley irritato, cercando di far cambiare direzione ai pensieri di Kellan, la cui bussola mentale sembrava orientata sempre e perennemente verso il sesso.

    Kellan piegò le labbra in un mezzo sorriso e scrollò le spalle. «Le donne sono come il vino, Ri. Migliorano con gli anni.»

    Riley socchiuse gli occhi. «Ricordi qualcosa della lezione che ti ha dato Kierland prima di lasciare la base?» gli chiese in tono severo. Il nome di Millicent Summers continuava a ronzargli nella mente, mandandogli in confusione il cervello come la prima volta che l’aveva letto sul registro del catasto. Millicent era il nome della zia di Hope Summers, ma lui sapeva che era solo una coincidenza. Un elemento in più a mandarlo in tilt. Il destino non poteva essere così crudele. Gesù, doveva controllarsi prima che l’ossessione per il passato gli facesse perdere la concentrazione.

    Non poteva permettersi di lasciarsi distrarre, dannazione! Doveva restare sul chi vive. In allerta. Non andare in giro stordito, alla ricerca di cose che non erano nemmeno lì.

    «Sì, ricordo la lezione» ammise Kellan con un sospiro, riportando Riley al presente. Portandosi la mano destra sul cuore, aggiunse: «Ti farebbe sentire meglio se giurassi solennemente di tenere lontano le mani dalla signora, per quanto affascinante possa essere?».

    Scuotendo il capo, Riley borbottò: «Andiamo. È meglio dare un’occhiata al posto». Mentre si incamminavano, era consapevole dell’attenzione femminile che attiravano, tuttavia la ignorò. Poteva dire in tutta onestà di non avere mai avuto problemi a trovare una donna, quando voleva. La sua non era presunzione, ma un semplice dato di fatto. L’unica differenza era che in quel momento, quando aveva bisogno di una donna, non poteva averla. Anche se per miracolo avesse trovato quello che desiderava, non avrebbe potuto fare niente, sapendo che c’era almeno un casus che gli dava la caccia e che avrebbe cercato tutti i modi per ferirlo, in attesa del suo pieno risveglio. E probabilmente ce n’erano degli altri in arrivo. Finché non si fosse nutrito e il suo merrick non avesse raggiunto i pieni poteri, i nemici avrebbero temporeggiato. Se si fossero nutriti troppo presto della sua carne, quei mostri non ne avrebbero ricavato la carica di potere di cui avevano bisogno per liberare altri della loro specie dal luogo di detenzione che chiamavano Meridian.

    «Se non vuoi attirare l’attenzione più di quanto già facciamo, faresti meglio a rilassarti, Ri» osservò Kellan.

    «Non c’è pericolo» borbottò lui, scrutando la folla, amaramente consapevole che il suo inconscio stava cercando una cascata di folti capelli castani. Un paio di luminosi occhi color topazio. Si sforzò di allentare la tensione e di ritrovare quella fonte di calma a cui aveva imparato a ricorrere da anni, ma non ci riuscì.

    «Dico sul serio» insistette Kellan, lanciandogli uno sguardo preoccupato. «Posso sentire le vibrazioni che emani, amico mio. Finirà male.»

    «Posso farcela» replicò Riley, senza sapere bene se si riferisse al risveglio o alla crescente frustrazione sessuale. Non che facesse alcuna differenza, dal momento che non aveva intenzione di discutere con il Guardiano né dell’uno né dell’altra.

    Incrociarono una graziosa brunetta che gli rivolse un sorriso con le labbra lucide e Riley distolse lo sguardo come faceva ormai da due settimane.

    «Senti, è chiaro che non hai problemi ad attirare le donne» mormorò Kellan, mentre giravano a sinistra all’angolo successivo. «Quindi scegline una e portatela a letto. Non sono l’unico a pensarla così. Tutti a Ravenswing dicono la stessa cosa.»

    «Non è questione di sceglierne una» ribatté Riley, infilando una mano sotto il giubbotto di jeans per aggiustare la fondina legata alla spalla. Aveva smesso l’uniforme da sceriffo la settimana prima, quando aveva preso un periodo di ferie che gli spettava da molto, e si sentiva strano. Come se gli mancasse qualcosa. Per fortuna il suo lavoro gli consentiva di girare armato, così non era stato costretto a lasciare la pistola, quando erano partiti da Ravenswing, la sede dei Guardiani dove vivevano suo fratello e sua sorella. E dove si era trasferito di recente anche lui, semplicemente perché non gli avevano lasciato la possibilità di rifiutare. «Che tu ci creda o no, Kell, alcuni di noi hanno più giudizio di te.»

    Il Guardiano borbottò qualcosa tra sé, si passò una mano tra i capelli e gli rivolse un’occhiata frustrata. «Onestamente, amico mio, non so che cosa abbiate voi Buchanan. Perché dovete rendere tutto così maledettamente difficile?»

    Riley grugnì, sapendo fin troppo bene che cosa voleva dire. Il risveglio di Ian era stato tutt’altro che facile. Ma, a differenza di suo fratello, che si era rifiutato a lungo di nutrirsi dalla donna che presto sarebbe diventata sua moglie per paura di prenderle troppo sangue e ucciderla senza volerlo, non era quello che terrorizzava Riley. Dopo avere visto Ian e Saige passare attraverso il risveglio, sapeva che poteva prendere quello di cui aveva bisogno senza fare del male alla donna da cui si fosse nutrito. Ma questo non cambiava il fatto che doveva ancora trovare una donna disposta a lasciare che le conficcasse le zanne nella gola, cosa piuttosto improbabile. E poi c’era il problema dei casus, che avrebbero sicuramente dato la caccia a chiunque avesse scelto.

    Senza contare che non hai ancora trovato la sola che vuoi...

    Lo sapeva, dannazione! E sapeva anche che non l’avrebbe trovata. Probabilmente si trovava al capo opposto del Paese, con una nidiata di bambini e un marito amorevole che la adorava nel modo in cui meritava. Diavolo, anche se avesse avuto il coraggio di rintracciarla, sapeva fin troppo bene come avrebbe reagito Hope Summers rivedendolo. L’avrebbe accolto con uno schiaffo o con un pugno in un occhio. Niente di più di quello che meritava e niente di meno di ciò che si aspettava.

    Stringendo i denti, indicò con un cenno del mento l’edificio di legno a due piani che si innalzava di fronte, chiuso tra la scogliera protetta da una ringhiera e la foresta svettante. «Ecco, quello è il caffè.»

    Kellan lesse l’insegna in legno che pendeva da un palo sulla strada. «Da Millie. Bel nome.»

    Mentre risalivano il tortuoso viale lastricato che conduceva all’ingresso del locale, Riley disse: «Ho sentito dire che affittano dei bungalow; con un po’ di fortuna potremo prenderne uno». Così avrebbero potuto cercare senza destare sospetti tra i boschi che confinavano con il giardino sul retro, dove credevano fosse nascosto il Marcatore.

    I tuoni rombavano sulle acque agitate dell’oceano, annunciando una tempesta in arrivo, mentre il pallido sole che avvolgeva l’esterno grigio del caffè in un etereo bagliore spariva dietro una coltre di nuvole dense di pioggia.

    Entrarono nel caffè e la risposta di Kellan andò persa nel ronzio che riempì le orecchie di Riley mentre respirava a fondo... e si sentiva morire. Eccolo di nuovo. Quel profumo. Familiare come qualcosa che conosceva da tempo... eppure diverso. Più ricco. Più dolce. Più intenso di quanto ricordasse.

    Si guardò intorno con il cuore che gli martellava nel petto, cercando di scoprirne l’origine, poi la porta della cucina si aprì alla periferia del suo campo visivo.

    «Hope?» ansimò, incapace di credere che potesse essere vero. Era... impossibile.

    Come se avesse udito il proprio nome sussurrato dalle sue labbra, la donna che stava dietro il banco lucido si voltò lentamente verso di lui. Il mento le tremava mentre sbatteva le palpebre sui grandi occhi luminosi color topazio come se avesse visto un fantasma. Quasi non riuscisse a credere che lui fosse lì, nel mezzo di quel locale affollato. Aprì la delicata bocca di rosa e Riley fece un passo avanti, urtando accidentalmente un altro cliente. Lei deglutì, continuando a fissarlo... il petto florido che si alzava e si abbassava sotto una lunga maglia cascante.

    Poi, a un tratto, lasciò uscire un urlo raccapricciante di collera.

    «Che diavolo...»

    Prima che Kellan potesse terminare l’esclamazione di sorpresa, Hope Summers prese la mira e colpì Riley al centro della fronte. Ma non era né un pugno a mani nude né uno schiaffo. No, pensò lui con una smorfia mentre la sostanza calda e appiccicosa che gli aveva tirato addosso con precisione letale gli colava negli occhi, nascondendo la sua espressione infuriata.

    L’aveva colpito con una crostata di mele appena sfornata.

    A quanto pareva, il destino aveva trovato un altro modo per scombussolarlo.

    2

    Riley era nei guai.

    Guai seri, fino al collo, insidiosi come sabbie mobili, e vi sprofondava sempre di più ogni secondo che passava. Aveva creduto che fosse terribile desiderare Hope Summers e non averla vicina. Non poterla vedere. Non poter inalare quel suo aroma ricco e invitante e integrarlo nel proprio organismo come se ne avesse bisogno per vivere, per affrontare un giorno dopo l’altro. Aveva creduto che fosse terribile non sapere dove fosse, ammesso che vivesse ancora nel Nord Carolina, dove aveva saputo che si era sposata poco tempo dopo essere partita per il college. Non sapere che cosa facesse. Avrebbe preso a pugni un muro ogni volta che la propria fantasia gli proponeva un nauseante montaggio d’immagini di lei con il marito. Suo marito. L’uomo che aveva il diritto di desiderarla... di toccarla. Di tenerla sotto di sé e fare le cose che strappavano dal sonno Riley nelle ore più buie della notte, eccitato, tremante, madido di sudore. E in preda a un desiderio così violento che era come un dolore fisico.

    Dopo che lui aveva messo fine alla loro relazione era stato un inferno vederla a scuola, in città. Vederla crescere, diventare lentamente più matura, sbocciare in una donna che non avrebbe mai conosciuto, con la quale non sarebbe mai stato in intimità. Incapace di sopportarlo, alla fine era andato più lontano che poteva dalla cittadina natale di Laurente, in Sud Carolina, sperando che la distanza lo avrebbe aiutato. E, ogni volta che tornava a casa, si era fatto un puntiglio di non parlare di lei. Mai.

    Già. Aveva creduto che fosse terribile quel bisogno disperato che lo divorava. Stupido e autodistruttivo.

    Ma così era ancora peggio. E il suo assalto a torte in faccia non migliorava la situazione.

    Prima ancora che fosse riuscito a ripulirsi il volto dalla crostata di mele, lei l’aveva colpito con un’altra che sapeva di ciliegie. Il rumoroso caffè era esploso in un caos collettivo, dove tutti cercavano di evitare la linea di tiro, rapiti da quello spettacolo bizzarro, mentre le imprecazioni di Hope si udivano appena sotto le fragorose risate di Kellan.

    «Che coraggio... Venire qui... Sei fortunato che non ti tagli...»

    Usando il braccio e la spalla, Riley si ripulì il volto con la manica meglio che poteva e alzò il viso appena in tempo per vedere che lei lo stava prendendo di mira con quella che sembrava una montagna di meringa al limone. Un ruggito basso e aggressivo gli eruppe dal petto. «Basta!» tuonò, facendo un passo avanti. «Dannazione, Hope! Che cosa diavolo stai facendo?»

    «Fuori di qui!» gridò lei, lanciando il dolce. «Via! Subito!»

    Riley si piegò di lato appena in tempo e la meringa gli sfiorò l’orecchio come un missile prima di esplodere contro la porta di fronte, sgocciolando sul lucido pavimento di legno in una scivolosa massa gialla.

    «Cristo, Riley» gridò Kellan, alle sue spalle. «Riesci davvero a tirare fuori il lato più tenero delle persone.»

    Voltarsi a fulminare con lo sguardo quell’idiota che rideva sotto i baffi fu un errore. Hope mirò nuovamente, questa volta più in basso, e una crostata di mirtilli fece la fine delle altre, raggiungendo Riley al centro del petto e coprendo la maglia, la giacca e i jeans di pezzi di poltiglia blu scuro. Ringhiando, lui si riscosse finalmente dallo stupore e sollevò la mano destra con il palmo aperto e le dita allargate; la mousse al cioccolato che Hope aveva appena scagliato si fermò a mezz’aria e finì sul pavimento a pochi passi da lui.

    L’aria brulicava di mormorii.

    «Dannazione, questa volta era troppo corto!»

    «Questa non aveva abbastanza slancio!»

    Ma lui sapeva che il suo gesto non era passato inosservato. La risata di Kellan si spense e Riley avrebbe giurato di sentire il suo sguardo bruciare sulla nuca. Avrebbe affrontato più tardi il torrente di domande da parte del Guardiano, dopo aver sistemato quella banshee scatenata che scagliava torte urlando.

    Togliendosi il ripieno dagli occhi, lui concentrò lo sguardo su Hope, che cercava nuove munizioni. Prima che lei potesse passare a qualcosa di più letale, come un coltello, Riley attraversò il pavimento ricoperto di torte e si portò rapidamente dietro il banco. Hope lanciò un grido, cercando di sfuggirgli, ma lui la afferrò per un braccio ringhiando: «Dobbiamo parlare. Da soli».

    La donna lottò per liberarsi. Gli occhi lampeggiavano di collera mentre gli riversava addosso una sfilza di insulti fantasiosi. Tranquillo, Riley estrasse il distintivo e lo mostrò ai presenti, pensando di bloccare così chiunque volesse venire a salvarla. Dubitava che Hope avesse notato il suo gesto, impegnata com’era a cercare di sfuggirgli, tirando inutilmente le dita che le stringevano il bicipite. Riponendo il distintivo nella tasca posteriore dei jeans, Riley le lasciò il braccio per afferrarle il polso, chiudendo le fragili ossa in una morsa implacabile. Mentre la trascinava con sé, passò davanti a una bella donna di mezza età che riconobbe come sua zia. Millicent Summers stava alla cassa e rimase a guardare con gli

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