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Chi dorme nel mio letto? (eLit): eLit
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Chi dorme nel mio letto? (eLit): eLit

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About this ebook

Sean Warren Elliot vedeva il marito una volta all'anno. Non c'era mai stato amore fra loro, ma lui era incredibilmente ricco e lei poteva fare la bella vita. Ma quest'anno suo marito era... diverso: dolce e passionale dentro e fuori dal letto; solo un po' misterioso sui dettagli di vita vissuta, a causa di un incidente, dice lui. Sean, scoperto il piacere della vita a due, vuole saperne di più sull'uomo che da giorni e giorni dorme con lei. Lui sfugge, ma, in cuor suo, sa cosa deve fare per salvare un amore insperato.
LanguageItaliano
Release dateOct 30, 2017
ISBN9788858978139
Chi dorme nel mio letto? (eLit): eLit

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    Book preview

    Chi dorme nel mio letto? (eLit) - Mary anne Wilson

    successivo.

    Prologo

    New Orleans, 10 giugno

    Mackenzie Gerard sedeva sul lercio materasso bitorzoluto con l'odore pungente di disinfettante che gli pizzicava le narici. Neanche quel tanfo riusciva a coprire il fetido lezzo di stantio che appestava l'aria. La feccia umana che aveva soggiornato negli anni in quel buco aveva tappezzato i muri di oscenità e consumato il linoleum a furia di andare avanti e indietro, sognando di stare fuori.

    A Mac c'erano voluti due giorni per farsi saltare i nervi. Aveva un disperato bisogno di dormire e non riusciva a chiudere occhio. Si affondò le mani nei capelli e guardò i tre ultimi arrivati rannicchiati per terra con uno straccio di coperta appallottolato sotto la testa per cuscino.

    Era stato nelle più squallide stamberghe, nei quartieri più malfamati, ma questa volta aveva proprio toccato il fondo.

    Si alzò e serrò le sbarre della cella oltre le quali si snodavano le pareti a specchio degli stanzoni per gli interrogatori.

    Mac, un metro e ottanta di fisico da culturista, scolpito da anni di lavori manuali, conosceva a palmo a palmo tutte le banchine dalla costa orientale al Golfo. Con la pelle bruciata dal sole, la barba di tre giorni e i capelli che gli sfioravano le spalle aveva l'aria di chi avesse lottato con le unghie e con i denti per sopravvivere.

    Il cigolio di una porta metallica che si apriva lo riscosse. Una guardia avanzò verso di lui e sostò dinanzi alla cella.

    «Gerard, sei fuori» gli annunciò.

    Mac non se lo fece ripetere due volte. Uscì in corridoio e seguì l'agente in una stanzetta. Una donna con la divisa da poliziotto era in piedi dinanzi a uno scaffale ricolmo di pacchi. La guardia le porse un foglietto. «Ordine di scarcerazione per il detenuto Gerard Mackenzie.»

    La donna aprì un librone e lo ruotò verso di lui. «Con questa firma, s'impegna a comparire in tribunale alla data prestabilita e a non lasciare la città prima che il caso sia stato risolto. Qualora non dovesse presentarsi, un mandato di arresto sarà spiccato a suo carico. Domande?»

    «No.»

    «Firmi all'ultima riga.»

    Mac scarabocchiò il proprio nome sul foglio senza curarsi di leggere il testo che stava sottoscrivendo. La procedura di rilascio andò avanti per altri dieci minuti buoni finché l'agente non lo scortò all'uscita. Mac sbucò in una stradina secondaria in una calda notte di giugno.

    New Orleans pullulava di suoni e l'aroma di cibi speziati si confondeva agli odori della città. Affondò le mani nelle tasche dei jeans e si diresse in centro. Era libero. Se avesse pensato agli affari suoi anche la settimana prima quando aveva scoperto tre della sua squadra a rubare merce da un magazzino, a quest'ora sarebbe stato in Brasile.

    Svoltò a un angolo e puntò all'ostello del porto presso il quale aveva alloggiato negli ultimi quattro mesi. Da quando era scappato dall'orfanotrofio, la parola d'ordine era stata non impicciarsi. Una regola che aveva funzionato per vent'anni e che era ancora valida.

    In meno di un'ora, Mac aveva infilato le sue cose in una sacca. Se l'era issata su una spalla e si era incamminato lontano dal porto e da New Orleans.

    1

    Seattle, stato di Washington, 2 luglio

    Mac aveva camminato per un'ora abbondante dopo che il camionista lo aveva lasciato alle porte della città. Aveva oltrepassato la zona residenziale e si stava addentrando in un quartiere popolare quando una pioggerella impalpabile cominciò a cadere. L'orologio posto in cima a una torre segnava l'una di notte.

    Piccoli esercizi commerciali e modesti uffici fiancheggiavano le strade. Le saracinesche erano abbassate e le insegne al neon aprivano squarci violacei nell'oscurità. La pioggia cadeva senza posa sul suo giubbotto di jeans. Mac si passò la sacca sull'altro omero e trasse un respiro profondo. La zona del porto non doveva distare più di un miglio. Una volta raggiuntala, si sarebbe trovato un buco per asciugarsi e avrebbe atteso l'alba per imbarcarsi con il primo equipaggio che non faceva domande.

    Dalla cima di un dosso sbirciò una fila di luci in fondo alla strada. L'acqua aveva iniziato a cadere con più insistenza. Mac si calcò il cappellino da baseball sugli occhi, affondò il mento nel bavero del giubbotto e accelerò l'andatura.

    All'altezza di un incrocio vide un'insegna colorata lampeggiare a un angolo. Mentre varcava l'uscio del locale un tuono gli rimbombò alle spalle. Una zaffata di fumo lo investì. Note di musica country si spandevano dal juke-box e si perdevano tra il vocio degli avventori, scaricatori di porto, con i bicipiti tatuati.

    Mac si sfilò il cappello e se lo mise in tasca. Appoggiò la sacca ai piedi del banco e montò su uno sgabello.

    «Che cosa bevi, amico?» gli domandò il barista con una faccia da ergastolano.

    «Una birra alla spina» rispose Mac guardandosi nella parete a specchio.

    Non si radeva da quando aveva lasciato la città di New Orleans e una barba fitta gli oscurava le guance. Era un forestiero. Un tipo a cui nessuno avrebbe fatto caso. Quando avesse lasciato il Paese, Mackenzie Gerard sarebbe stato poco più di una noticina a piè pagina sotto pile di cartacce ammonticchiate sulla scrivania del procuratore distrettuale di New Orleans.

    Il barista gli fece scivolare sul banco un boccale schiumoso e lui estrasse di tasca due banconote da due dollari. Gliene restavano altri cinque, ma con un po' di fortuna, si sarebbe procurato un incarico a bordo di una nave e non avrebbe più avuto bisogno di moneta americana per un bel pezzo.

    Mentre si portava il boccale alle labbra, la porta d'ingresso si spalancò e una ventata d'aria fredda lo raggiunse alle spalle. Di lì a poco, una gomitata gli fece imbrattare la camicia. «Dannazione!» imprecò posando il bicchiere e allungando la mano verso il portatovaglioli.

    «Scusa, amico» mormorò una voce.

    Mac si asciugò la mano e si voltò. Un uomo che si reggeva a stento sulle gambe stava scivolando sullo sgabello accanto al suo.

    «È un peccato sprecare il nettare degli dei» mormorò l'uomo con voce impastata e batté il palmo sul banco per richiamare l'attenzione del barista. «Un'altra birra per il mio amico e un doppio whisky per me.»

    L'ultima persona di cui Mac aveva bisogno era un amico alcolizzato. «Non im...»

    «Sì, invece» lo interruppe lo sconosciuto.

    Mac diede un'occhiata al vicino e si accorse che non era un avanzo di galera. Nessuno squattrinato che avesse avuto guai con la giustizia avrebbe indossato un trench d'ottima fattura o avuto mani curatissime.

    Quando il barista gli porse un'altra birra, non fece storie. «Grazie!» esclamò, rivolto allo sconosciuto.

    L'uomo lo ricambiò con un cenno del capo e vuotò il bicchiere in un solo sorso. «Un altro» ordinò al barista.

    Mentre l'uomo tracannava un altro whisky, Mac avvertì la strana sensazione di averlo già visto. Lo sconosciuto incontrò il suo sguardo nello specchio. «Charles Elliot» si presentò.

    «Mac.»

    «Avevo dimenticato quanto fosse umido questo posto» dichiarò stringendosi nell'impermeabile. «Sarei dovuto restare in Francia.» Si strofinò il mento con la mano. «Ma avevo degli affari da sbrigare. Il volo è atterrato in ritardo e ho perso l'ultimo traghetto. Non mi resta che aspettare il prossimo.»

    «Per dove?»

    «Per l'isola del Santuario.»

    Mac fissò la schiuma che imbiancava il boccale. Non aveva mai ceduto alle fantasie, ma per una frazio ne di secondo si augurò di potersi rintanare su un'isola dal nome così promettente anziché nella stiva di una nave. «Grazie ancora per la birra» mormorò.

    «Era il minimo che potessi fare. Ehi, tu, servine un'altra al mio amico.»

    «No, ne ho già bevuta troppa...»

    «L'alcol non è mai abbastanza. Ed è il solo che possa rendere ogni cosa più tollerabile... Mia moglie non fa che predicare la moderazione. Niente whisky, niente festini.» Rise e sollevò il bicchiere in atto di brindare. «Agli stravizi e a Sean.»

    «Sean?»

    «Mia moglie. Sean Warren Elliot. Figlia unica e prediletta di Louis Warren, fondatore della Warren International. Ne avrà sentito parlare.»

    Mac aveva letto quel nome sulle casse impilate sulle piattaforme di carico di un'infinità di porti. «Certo. Import-export. Ha sposato quel colosso?»

    L'espressione di Elliot s'indurì. Trangugiò l'ennesimo bicchiere di whisky e scrollò le spalle. «Ha dinanzi il vicepresidente della filiale europea, titolare di un discreto pacchetto azionario.»

    «Una sistemazione niente male» mormorò Mac.

    «Patrimoni ingenti e non una lira di contante.» Chinò la testa e fissò il bicchiere vuoto. «Sposare la figlia del capo non ti frutta automaticamente denaro. Devi spremerti le meningi per mettere le mani su un po' di grana.» Scoppiò in una grassa risata e sfilò un biglietto da cento dal portafogli.

    Mac intravide una fila di carte di credito e la fotografia di una bionda con l'incarnato avorio e i capelli sparsi sulle spalle. L'aspetto etereo era accentuato dagli zigomi alti e dalle labbra turgide e rosee. Gli occhi ambrati non esprimevano né gioia né rabbia. Soltanto un aristocratico distacco, un che di glaciale che gli fece accapponare la pelle.

    «Sean?» domandò.

    Elliot guardò la fotografia e richiuse il portafogli. «Il suo vecchio le ha affibbiato un nome maschile, ma posso garantire che è tutto fuorché un uomo. Anche se non la vedo da nove mesi.»

    Mac lo guardò e la sensazione di averlo già visto tornò ad assalirlo un'altra volta. Quell'uomo aveva tutto, compresa una bella moglie. Come aveva potuto reggere lontano da lei così a lungo? «Nove mesi è un bel po' di tempo...»

    «Sono stato molto occupato in Europa.» Scese dallo sgabello e si resse al banco. «Ma ora che sono tornato ho intenzione di sistemare ogni cosa. Devo soltanto aspettare che quel traghetto prenda il largo.»

    Mac lo osservò mentre si abbottonava il trench. Quando quello sguardo annebbiato dall'alcol si sollevò, un brivido gli serpeggiò lungo la schiena. Quegli occhi. Erano più azzurri di due laghi di montagna. Ora capiva perché aveva avuto l'impressione di averlo già visto. Era come se stesse guardando un'immagine distorta di sé allo specchio.

    Scosse il capo e provò a rimettere a fuoco quel volto. Per quanto gli sembrasse assurdo, quell'uomo gli somigliava come una goccia d'acqua. Gerard Mackenzie sarebbe potuto essere Charles Elliot se avesse avuto tonnellate di verdoni e una vita che gli sorrideva anziché dargli del filo da torcere.

    Mac fissò quelle mani che trafficavano con i bottoni. Erano mani che non avevano mai

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