Prove di ballo (eLit): eLit
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Prove di ballo (eLit) - Cheryl Kushner
successivo.
1
Zoe Russel aveva immaginato centinaia, o meglio, migliaia di scenari in cui si sarebbe trovata di nuovo faccia a faccia con Ryan O'Connor. In nessuno di questi, tuttavia, si era vista con le guance imbrattate di fango e delle pesanti manette ai polsi.
Osservò le sue mani e cercò di non pensare alla manicure da venticinque dollari che era andata in fumo. Non aveva idea di cosa ci facesse Ryan a Riverbend, ma a quanto pareva era, al momento, l'unico vero ostacolo per la sua libertà.
Forse avrebbe fatto bene a ricordargli che Zoe Russel non era tipo da farsi intimidire.
Dopo aver squadrato le sue spalle, Zoe trasse un gran respiro e, liberandolo lentamente, si avvicinò alle sbarre, senza staccare per un solo istante gli occhi da Ryan.
«È stato un terribile malinteso.»
Lui inarcò un sopracciglio e un vago sorrisetto gli incurvò le labbra: diavolo!, il suo fascino era rimasto inalterato. Come anche la piccola cicatrice sul mento, ricordo di un lancio sbagliato durante una partita di baseball.
«È quello che dicono tutti i delinquenti che arrivano qui.»
Quel sorriso...
Quando Ryan sorrideva gli si formavano delle incantevoli fossette che la facevano impazzire: quell'uomo trasudava sensualità da tutti i pori.
Zoe fece appello all'autocontrollo. Nessuna debolezza, si disse, specie di fronte all'uomo che un tempo aveva considerato il suo migliore amico. Quello stesso uomo le aveva spezzato il cuore, anche se all'epoca non se n'era reso conto. Non aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più lasciata incantare dal suo sorriso?
Non volle pensare allo stato della sua disinvolta messa in piega, né al fatto che avrebbe dovuto buttar via il suo bel vestito griffato. Era bagnata, stanca, affamata e dannatamente in ritardo per la prova dell'abito che aveva comprato per le nozze di sua sorella.
E a giudicare dall'espressione di Ryan, era anche nei guai fino al collo. Ancora non riusciva a spiegarsi come mai fosse stata l'unica tra i partecipanti a una pacifica manifestazione di protesta cittadina a essere stata arrestata. Stava solo facendo il suo lavoro, lì: intervistava i contestatori per mettere in piedi una storia avvincente per il suo programma, Svegliati, America.
«Non dovresti dare la caccia ai criminali di Filadelfia?» domandò a Ryan in tono petulante.
«Ho scoperto che i criminali più... interessanti» ribatté lui rivolgendole uno sguardo significativo, «sono nel sud dell'Ohio.»
«Io non sono...»
«Risparmia il fiato per il giudice. Ho letto il rapporto: resistenza all'arresto. Hai dato un pugno a un agente!»
«No, lui è inciampato ed è caduto.»
«Poi hai lottato con lui nel fango.»
«Mi ha messo le manette.»
«Sì, prima che entrambi finiste a faccia in giù nello stagno dei pesciolini rossi. Dicono che sulla prima pagina del Riverbend Tribune di domani ci sarà una vostra foto a colori.»
Lei trasse un altro respiro profondo per calmarsi, cercando di non pensare al danno che una foto simile avrebbe arrecato alla sua carriera. E ne trasse un altro ancora, perché rivedere Ryan l'aveva scossa terribilmente.
«Come al solito, hai interpretato tutto nel modo sbagliato.»
«E allora illuminami tu, cara Lady New York City Star.»
«Preferirei mangiare lumache.»
«Be', c'è un nuovo ristorante francese in città» osservò lui imperturbabile. «Vuoi che telefoni per chiedere se cucinano anche cibi da asporto?»
Lo stomaco le si contrasse: non sopportava le lumache. E lui lo sapeva. «No» rispose debolmente. Poi indurì la voce. «Ma grazie.»
«Suppongo sia piuttosto difficile mantenere un tono altezzoso quando si è inzaccherati di fango» la incalzò Ryan con un sorriso divertito.
Se solo non avesse avuto le mani legate, pensò lei, glielo avrebbe fatto sparire in un attimo quello stupido sorriso sexy.
Zoe chiuse gli occhi e contò mentalmente sino a dieci. La pazienza non era mai stata una delle sue virtù.
«Se non intendi aiutarmi, vattene.»
Sorridendo, Ryan fece per andarsene. Poi si fermò, si volse e incurvò un sopracciglio. «Naah.»
E scrollando il capo, si avviò verso l'uscita.
«Conosco i miei diritti» gli gridò dietro Zoe. «Voglio fare una telefonata, voglio il mio avvocato. Voglio parlare con la persona che comanda qui!»
Ryan si girò di nuovo, calmissimo. «Si dà il caso che quella persona sia proprio io, cara signorina...»
Zoe lo fissò, sforzandosi di non fargli capire che l'aveva colta del tutto alla sprovvista. Di nuovo.
Davvero Ryan O'Connor era il capo della polizia di Riverbend? L'ultima volta che aveva sentito parlare di lui lo avevano appena insignito di una medaglia al valore per atti eroici, ed era a un passo dall'occupare la carica di capo della polizia di Filadelfia.
Cosa ci faceva di nuovo lì, a Riverbend? A lei non importava nulla dei suoi spostamenti, tuttavia...
«Non hai nessun diritto di arrestarmi» gli intimò, alzando i polsi ancora ammanettati. «Non ho violato alcuna legge. Voglio che mi tolga questa roba, e subito.»
«Ne ho pieno diritto invece: oltraggio a pubblico ufficiale e disturbo della quiete pubblica. La chiave è in fondo allo stagno. I miei agenti la stanno cercando.»
«Non hai un passe-partout?»
«Mi hanno detto che si è perso il giorno che hanno inaugurato la nuova prigione. È stato... fammi pensare... circa venticinque anni fa.»
Zoe si sforzò di restare calma.
«Non si può chiamare un fabbro?»
Lui strinse le spalle. «È venerdì e sono le cinque passate. Riverbend non è New York.» Quindi, con un sorriso per niente accondiscendente o imbarazzato, sparì oltre l'angolo.
«Aspetta! Dove credi di andare?» Zoe sbatté le manette contro le sbarre. Il suono stridente che ne derivò le fece accapponare la pelle. «Non abbiamo ancora finito! Non puoi andartene! Ryan! Torna qui!»
Era certa di averlo sentito ridacchiare, ma non ottenne alcuna risposta. Non che se ne fosse aspettata una.
Grandioso. Era tenuta in ostaggio nella prigione della sua città natale e il suo carceriere era l'ultimo uomo al mondo cui avrebbe voluto chiedere aiuto.
Erano passati dieci anni dall'ultima volta che lo aveva visto, ma non era mai riuscita a cancellarlo dalla sua mente. Ora, all'improvviso e del tutto inaspettatamente, ripiombava nella sua già complicata esistenza e lei per un attimo, un brevissimo, ridicolo istante, era stata tentata di fargli la fatale domanda che da un decennio era senza risposta.
Meno male che non l'aveva sentita quando gli aveva ordinato, strepitante, di tornare indietro. Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto dirgli, e in che modo, se lui avesse replicato.
Zoe si guardò intorno nella piccola cella: era spaziosa quanto il camerino di uno studio televisivo, e altrettanto fredda. Il cuscino piatto e la coperta grigia conferivano alla sua brandina un'aria scomoda e squallidissima. L'unica finestrella lasciava passare un timido spiraglio di sole e ben poca aria fresca.
«E non dimentichiamo le stupende sbarre alla finestra e alla porta» mormorò, percorrendo la cella avanti e indietro per un paio di volte, prima di lasciarsi cadere sulla branda.
Mentre affondava la faccia nel cuscino, cercò di non preoccuparsi troppo del fatto che nel suo costoso appartamento si sentisse prigioniera quanto lì.
Non voleva pensare a New York, né al suo lavoro di giornalista e conduttrice di Svegliati, America, che adorava, ma che stava consumandole lentamente il cuore e l'anima, anche se non si sarebbe mai sognata di ammetterlo di fronte ai colleghi o agli amici.
Era già abbastanza difficile ammetterlo con se stessa.
Tutti erano convinti che la sua esistenza fosse perfetta: l'anno precedente aveva festeggiato la promozione da giornalista a conduttrice di un programma tutto suo con una cena pantagruelica in uno dei club più esclusivi della città. Quando poi, sul Sunday Style, era apparso l'articolo sulla sua festa, gente che non la chiamava da anni le aveva telefonato o inviato una e-mail. E quando sua madre le aveva inviato una copia della prima pagina del Riverbend Tribune dedicata a lei, la concittadina illustre di cui la comunità era molto orgogliosa, si era sentita giustamente compiaciuta.
Aveva raggiunto l'obiettivo che si era prefissa quando si era laureata, sei anni prima: lavorava e viveva a Manhattan. Aveva un'infinità di amici e conoscenti. E, per via dei suoi successi professionali, era considerata una specie di celebrità.
Tuttavia non riusciva a togliersi dalla mente l'appellativo che le avevano appioppato sui giornali quando era stato annunciato che, oltre alla fascia mattutina di Svegliati, America, avrebbe avuto anche due ore in prima serata: la Signorina Frivolezza ottiene la prima serata. Quel titolo la faceva andare in bestia ancora adesso: chiunque la definisse frivola non aveva seguito con attenzione le ultime puntate di Svegliati, America.
Nel suo programma non c'erano soltanto moda, pettegolezzi e facce famose. Proponeva anche storie serie, storie di persone reali alle prese con le loro complicate esistenze. E lei ne sapeva qualcosa di vite complicate, per esperienza personale.
Zoe si mise a sedere e respirò a fondo. Se i suoi colleghi l'avessero vista in quel momento... In quella donna sporca di fango e in manette non avrebbero mai riconosciuto la Zoe Russel sempre perfettamente truccata e vestita che tutti conoscevano. Se avesse scovato un'altra persona in quelle condizioni, avrebbe tratto dalla sua tragedia un quarto d'ora di successo per il suo programma televisivo.
Abbassò lo sguardo sulle scarpe da tennis da cento dollari, ora rovinate dal fango. Ma come le era saltato in mente di comprarle? Erano costose, alla moda e scomodissime. Perfette per New York, ma del tutto fuori luogo a Riverbend.
Era anche lei fuori luogo a Riverbend?
Confusa, scrollò piano il capo. Avrebbe venduto l'anima per una tazza di latte e un lungo massaggio... doveva mantenersi lucida per convincere un certo uomo dal sorriso sexy e dal fascino conquistatore che era rimasta vittima di un inspiegabile caso di amnesia: poteva fingere di non aver mai preso parte a quella manifestazione, di non aver fatto a botte con un agente, finendo a faccia in giù in uno stagno, di non esser stata arrestata ed essersi ritrovata sotto lo sguardo penetrante dei magnifici occhi blu di Ryan O'Connor.
Gli avrebbe volentieri sciorinato tutti suoi successi, ma non era il caso di fare passi falsi.
Sconsolata, affondò il volto nelle mani: quel ritorno a casa per le nozze di sua sorella si sarebbe trasformato nelle due settimane più lunghe dei suoi ventotto anni di vita.
Un uomo intelligente sarebbe entrato nello stagno e avrebbe cercato personalmente le chiavi delle manette. O avrebbe chiamato un fabbro e pagato il conto dell'intervento, così da poter liberare la graziosa Zoe Russel e accompagnarla alla porta, per non rivederla mai più.
Ryan O'Connor era intelligente. E molto scaltro.
Qualità queste che gli avevano salvato il fondoschiena quando faceva l'agente al reparto omicidi e poi il vice investigatore al dipartimento di polizia di Filadelfia. Ma il fatto che Zoe fosse ancora dietro le sbarre indicava che non era così furbo come aveva sempre pensato.
Fisicamente, Zoe era esattamente come la ricordava: alta, snella, con due grandi occhi verdi che scintillavano come gli smeraldi che ora portava al dito e ai lobi, e riccioluti cappelli rossi. Un tempo l'aveva considerata la sua migliore amica e la rovina della sua adolescenza, ma adesso non aveva idea di chi fosse realmente.
Da ragazzina disdegnava i gioielli troppo importanti, aveva paura di farsi fare i buchi alle orecchie e portava al dito un semplice anello con una perla, che era appartenuto a sua nonna. La donna che era diventata era invece troppo sofisticata per i suoi gusti.
Schiava della moda: era così che appariva tutti i giorni in televisione. Non che lui seguisse il suo programma: qualche volta gli era capitato di vederlo.
Se l'avesse incontrata quel giorno per la prima volta, si sarebbe comportato in modo educato con lei, ma non si sarebbe preso la briga di andare oltre.
E poi, anche