Incantevole illusione
By Deb Marlowe
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Deb Marlowe
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Incantevole illusione - Deb Marlowe
Immagine di copertina:
Gian Luigi Coppola
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Tall, Dark And Disreputable
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2009 Debra Bess
Traduzione di Silvia Zucca
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-099-6
1
Berkshire, Inghilterra, estate 1821
Risate e canti stonati nella notte. Il proprietario dello Spread Eagle prendeva parte al buonumore mentre accompagnava gli ultimi avventori verso il buio della strada. Rimase un momento sulla porta, soddisfatto delle monete che pesavano nel suo grembiule, consapevole che quegli uomini sarebbero tornati l’indomani, a rimpinguargli ancora le tasche.
Dentro ora regnava il silenzio, fatto di tavoli abbandonati e una cortina di fumo pronta a dissiparsi. Matteo Cardea era stato l’unico a non alzarsi quando l’oste aveva dichiarato l’imminente chiusura. Lì accanto, il fuoco ardeva ancora, la birra era buona e il posto confortevole. Si passò una mano tra i capelli. Avrebbe dovuto essere contento. Ma non lo era.
La donna di facili costumi che gli sedeva accanto gli accarezzò un orecchio con dita leggere. Si appoggiò a lui, i capelli biondi che gli solleticavano il mento, l’altra mano che correva alla sua nuca, tentatrice. Chiuse gli occhi e immaginò quel tocco in zone ben più sensibili del suo corpo.
Per quanto quell’immagine fosse eccitante, Matteo non riusciva a trovare l’entusiasmo che gli era necessario per alzarsi dalla sedia. Ridicolo. Gli sarebbero bastate poche monete e la ragazza sarebbe stata sua, eppure lui non riusciva a provare che una debole punta di desiderio.
L’oste tornò in sala sbadigliando, gettò uno sguardo a Matteo e fece schioccare le dita in direzione della ragazza. «Metti in ordine quelle sedie, Etta» le disse. La giovane sbuffò, ma si alzò facendo un’ultima carezza alla gamba di Matteo. Riconobbe il gesto per la promessa che era, ma non le rispose.
Dentro di lui non c’era spazio per cose semplici come la pace e il desiderio. «Dio del cielo...» mormorò. Oh, se era stanco di provare tutta quella rabbia nelle viscere, quel risentimento che gli scorreva nelle vene. Erano settimane che andava avanti così, da quando aveva scoperto l’orribile tradimento di suo padre.
Aveva perso tutto. Tutto quello per cui aveva lavorato durante un’intera vita, per il quale aveva fatto progetti. Tutto se n’era andato in poche, fredde parole. Anni passati a mordersi la lingua, in infinite spiegazioni, cercando di convincere suo padre ad adottare un approccio agli affari più pratico e moderno. E il vecchio non si era fidato di lui sino alla fine. Matteo era caduto in disgrazia, e per la prima volta in centinaia d’anni il controllo della Cardea Navigazioni era stato ceduto a qualcuno al di fuori della famiglia. Era più di quanto l’orgoglio di un uomo potesse sopportare.
Quando si alzò per raggiungere la porta, la giovane gli tese un agguato, circondandolo con le braccia. «Perché sei così pensieroso? Una donna?»
Matteo sorrise. «Non sono così stupido, dolcezza.» Ma voleva disfarsi di lei e delle sue attenzioni, non seguirla al piano di sopra. L’indomani c’erano grandi probabilità che sarebbe stato il giorno peggiore della sua vita e niente lo avrebbe aiutato a distrarsi.
«E cos’è allora?» gli chiese lei mettendo il broncio. «Qualcosa d’importante...» gli sussurrò all’orecchio, «... ma mi auguro di riuscire comunque a distrarti.»
Lui la prese per mano e la trascinò fino al bancone, dove l’oste stava finendo di pulire. Matteo le fece cenno di sedersi. «Stasera sono distratto, è vero. Penso alla famiglia... ai padri e ai figli...» continuò. «Sai che una volta mio padre causò una rissa per una put...» A quelle parole la giovane raddrizzò le spalle e Matteo si schiarì la gola. «... per una famosa cortigiana?»
«Non è possibile!»
Matteo sorrise di fronte all’interesse di Etta e anche l’oste si fece più vicino per ascoltare. «Oh, lo fece eccome. Accadde a Napoli, molto tempo fa. Per l’Incandescente Clarissa, così era chiamata, la donna più bella di tutta Europa. Poemi a fiumi vennero scritti in memoria delle sue rosee labbra e sulla curva dei suoi fianchi. Mio padre fu solo uno dei tanti a cadere sotto il suo incantesimo.»
«Cosa successe?» Etta aveva dimenticato ogni intento di seduzione e pendeva dalle sue labbra.
«L’inevitabile.» Matteo si strinse nelle spalle. «L’Incandescente rimase incinta. Tutta Napoli attese col fiato sospeso di sapere chi fosse il padre.»
«E chi era? Non era vostro padre?»
«Il fatto è che Clarissa poté solo restringere il campo. Il padre del bambino poteva essere mio padre o Thomas Varnsworth.»
«No!» L’oste trasalì.
«L’attuale Conte di Winbury?» domandò Etta.
«Il vecchio conte, piuttosto» replicò Matteo.
«Ma sua figlia vive...» disse l’oste senza riuscire a contenere lo sgomento.
«Sì, lo so» l’interruppe Matteo. «Posso continuare?»
Gli altri due annuirono.
«Dopo aver udito la notizia, Lord Thomas, che all’epoca non era ancora conte, e mio padre si affrontarono e per poco non distrussero gli appartamenti dell’Incandescente Clarissa. In strada, la gente si radunava per assistere allo spettacolo. Qualcuno vide Clarissa in lacrime e si sparse la voce che fosse rimasta ferita. La folla s’inferocì perché la donna era molto amata anche dal popolo, e presto i due uomini si ritrovarono a lottare l’uno accanto all’altro per avere salva la vita.»
«Tutto per una sgualdrina?» domandò l’oste.
«E stai un po’ zitto» l’ammonì la ragazza. «Lascialo finire.»
Era troppo tardi per pentirsi di aver raccontato quella storia e aver così solleticato la fantasia e le aspettative della giovane, ma quel pensiero gliene attirò un altro ben più amaro. Erano state le dannate aspettative di un’altra donna a rovinare la sua vita. Portia Varnsworth tempo addietro aveva sperato di sposarlo. Il padre di Matteo si era aspettato che anche lui fosse dell’idea. Matteo invece avrebbe preferito essere consultato prima sulla faccenda.
Tuttavia, Etta sembrava persa nel racconto. «Mi ci vedrei bene come protagonista di questa storia.»
«Davvero?»
«Oh, sì. Vuoi sapere per cosa sono famosa?»
«Non c’è bisogno che tu glielo dica» borbottò l’oste. «Non di fronte a me. Quello che fai al piano di sopra sono affari tuoi. Qui sotto sono miei.»
Fece cenno a Matteo di proseguire.
«Ah, sì, bene, mio padre e Lord Thomas furono arrestati, per la loro incolumità. Passarono due giorni in cella insieme e ne uscirono che erano diventati amici inseparabili.»
«E Clarissa?» Etta si fece più vicina.
«Era scomparsa. Lasciò Napoli e di lei si perse ogni traccia. Mio padre e Lord Thomas fecero voto di trovarla e la cercarono per anni.»
«E ce la fecero? La trovarono?»
«No. Non che io sappia. Ma non hanno mai smesso di cercare, fino alla morte.»
Negli occhi di Etta brillò una lacrima. «È la storia più romantica che abbia mai sentito.»
«Ebbene, anche se hai tutto questo bisogno di romanticismo...» disse l’oste.
«Sì, sì, lo so... devo andare a riordinare.»
Etta scese dallo sgabello e si avvicinò a Matteo. Le luccicavano gli occhi. Lui si irrigidì quando le braccia della ragazza lo circondarono. Non voleva ferirla. Una donna aveva mandato in pezzi il suo mondo, ma lui non avrebbe cercato vendetta su di un’altra. Sperò che qualcosa, qualsiasi cosa, arrivasse per distrarre la giovane e districarlo da quella situazione.
La porta dell’osteria venne aperta. Matteo si voltò mentre il suo nome veniva pronunciato e riecheggiava nella stanza vuota. Sgranò gli occhi mentre la figura usciva dalla penombra facendogli pensare che in futuro avrebbe dovuto essere molto più cauto nell’esprimere un desiderio.
La brezza accarezzava le guance accese di Portia Tofton mentre si avvicina all’Eagle. L’aria della notte era più fredda di quel che si sarebbe aspettata. Non le importava più di tanto. Aveva la sua indignazione a riscaldarla, la pistola del suo defunto marito a proteggerla e un fervente desiderio di far saltare le cervella a Matteo Cardea.
Si fermò davanti alla locanda e la fissò con disprezzo sentendo un brivido correrle per la schiena.
Matteo era arrivato al villaggio quello stesso giorno. Le voci correvano veloci nella contea. Gli ci erano volute settimane per trovare una nave e arrivare sin lì, ma poi era andato da lei? Portia fece una smorfia. Ovviamente no. A quanto pareva, neppure la perdita dell’eredità era abbastanza per farlo correre da lei. Nonostante la richiesta urgente che gli aveva mandato, aveva preferito seppellirsi nella peggiore locanda della zona. Non aveva dubbi che avesse passato il giorno a bere, cantare e chissà a fare cos’altro, mentre lei era rimasta sola a girarsi i pollici. Quanto era prevedibile.
No. Portia raddrizzò le spalle e fece un passo avanti. Se anche aveva ammesso di essere stata trattata in quel modo in passato, non era più disposta ad accettarlo adesso. Adesso era una vedova. La morte di suo marito le garantiva nuove libertà e indipendenza, e lei aveva intenzione di godere appieno di quei vantaggi. Dio solo sapeva, così come tutti gli altri, che quello era il miglior regalo che le avesse mai fatto.
La porta della locanda era solo socchiusa. Portia posò la mano sulla maniglia e si fermò. Erano passati i giorni in cui Lady Portia Varnsworth, o Mrs. Tofton, se ne stava mite e buona comportandosi come ci si aspettava da lei. Ne aveva avuto abbastanza di uomini che comandavano la sua vita. Sebbene i suoi fratelli potessero ancora tentarci, non c’era nessuno che potesse arrogarsi quel diritto su di lei, che potesse intimorirla o, peggio, ignorarla. E Portia aveva tutta l’intenzione di proseguire su quella strada. Non desiderava niente di più che la propria indipendenza, la possibilità di essere la padrona del proprio destino. Aveva pensato di esserlo, fino a quando quell’odioso legale aveva bussato alla sua porta.
Ma non aveva importanza. Ora avrebbe preso in mano la situazione. Avrebbe parlato con Matteo Cardea e avrebbe ottenuto la sua libertà, la sua casa e la sua sicurezza. Doveva solo avere un po’ di coraggio e una buona dose di determinazione. Ricordò a se stessa che possedeva entrambi in abbondanza. Quindi, ardita, spinse la porta per entrare, il volto duro come l’acciaio.
Vuoto. Buio. Silenzio.
«C’è nessuno?» Perse un po’ di baldanza mentre avanzava nell’oscurità. Si fermò per guardare bene, curiosa di scoprire uno di quei posti di cui sentiva sempre parlare dai servitori e dalla gente del villaggio. La sala d’aspetto aveva un aspetto del tutto ordinario, niente a che vedere con quello che si era immaginata, con quello che la reputazione del posto suggeriva.
Delusa, proseguì.
Un’altra porta. Dal battiscopa proveniva una tenue luce, oltre il pannello si udiva un mormorio di voci. Portia si avvicinò.
La voce era debole ma inconfondibile. Matteo Cardea. E stava ridendo.
Non poté fare niente contro l’intensa reazione del suo corpo. Un lungo e cocente brivido le percorse la schiena. Da ragazzina, aveva passato ore e ore trotterellando dietro a Matteo e ai suoi fratelli. Di cinque anni più vecchio, Matteo Cardea aveva rappresentato per lei un ideale, l’insospettabile oggetto dei primi palpiti del suo cuore. Un suo sorriso fugace riusciva a illuminarle tutta una giornata, ma era la sua risata, esuberante e irriverente, che da sempre la faceva tremare tutta.
Non che lui se ne fosse mai accorto. Nonostante la loro amicizia, Portia non era stata per lui che parte dello scenario in cui viveva, un personaggio secondario nel dramma della sua giovane vita.
Ora era determinata a far sì che le cose fossero diverse. Se ne era rimasta a casa seduta tutto il giorno, aspettando il suo arrivo. Finché non era calata la sera e lei aveva perso la pazienza, decidendo che era il momento di reagire. Lo avrebbe obbligato a prenderla in considerazione, a vederla, a riconoscerla per la donna che era. Matteo, i suoi fratelli, il mondo intero. Era tempo che tutti le concedessero una seconda occhiata.
Risoluta, si avvicinò alla porta. Lui però non era solo. C’era la voce di una donna. Portia sentì il viso in fiamme. Etta era famosa almeno quanto la locanda stessa. Ovvio che Matteo fosse lì con lei. Tutti, incluso suo marito, erano stati con Etta.
Ma lei adesso era una donna diversa. Non se ne sarebbe rimasta buona buona in disparte a lasciarsi ignorare. Girò la maniglia cercando di sembrare calma e si fermò ancora. Il modo in cui sarebbe entrata avrebbe dato a Matteo l’immagine di sé che desiderava. E Portia voleva apparirgli come una donna autoritaria e indipendente. Una donna che lui potesse desiderare, sussurrò una parte ben nascosta dentro di lei. La zittì. Soprattutto, Portia non avrebbe supplicato.
Una delle assi del pavimento scricchiolò sotto di lei.
L’uomo era proprio Matteo. Portia sentì lo stomaco torcersi nel riconoscerlo. Ricordava bene il suo sorriso da mascalzone, i suoi ricci neri e i suoi occhi cioccolato, così pieni di malizia.
Il polso perse un battito, poi iniziò a galoppare mentre la mente dava un senso alla scena che le si prospettava dinanzi.
Matteo Cardea, certo, ma con la famigerata Etta avvinghiata a lui peggio che l’edera. Portia serrò la maniglia nella mano, fino a farsi diventare bianche le nocche. Dio, faceva ancora male come un tempo!
Quante volte nella vita una povera donna poteva sopportare quel turbine di sentimenti, quella sofferenza e quell’umiliazione?
Troppe. Ma quella sarebbe stata l’ultima. Portia respirò a fondo e raddrizzò la schiena. Determinata, entrò nella mescita, calpestando il proprio cuore a ogni passo. «Ah, eccoti qui, Matteo» lo chiamò. «Scapestrato come sempre. Alla ricerca del piacere anche quando c’è del lavoro urgente da fare.»
Un impeto di rabbia spinse Matteo giù dallo sgabello e fuori dalle braccia di Etta. Era lo stesso impulso che sentiva sempre di fronte al nemico, solo che quella volta il suo avversario non era un mercante. Era una fanciulla con indosso un pellicciotto azzurro cielo.
Fissò Portia che avanzava nella stanza come se le appartenesse. Non era più la ragazzina che ricordava nella sua infanzia. Dalla testa ai piedi, passando per un insieme delizioso di curve, quella era una donna che non si poteva mancare di notare. Il suo cappellino all’ultima moda incorniciava l’espressione di freddo divertimento che aveva in viso. Un muscolo nella mascella di Matteo si indurì mentre lei se lo levava.
Aveva immaginato diverse volte quel confronto. Lo aveva provato e riprovato nella sua testa, cercando le parole più mordaci per mandarla al diavolo. Ora però sembrava che lei avesse trovato il modo di rubargli anche quella soddisfazione.
Serrò i pugni. Un’aura di sicurezza aleggiava intorno a lei mentre avanzava nella luce delle candele. E perché no? Pensava di averlo in pugno, proprio come aveva sempre voluto. E non le importava niente dell’ingiustizia che gli aveva fatto, o dei suoi sentimenti, lei se ne stava semplicemente lì, in attesa, sorridente.
Quel sorriso lo faceva imbestialire. Ma sarebbe bruciato all’inferno piuttosto che darglielo a vedere. «Peeve!» la chiamò. «Sei tu?»
L’espressione di trionfo di lei vacillò un poco nel sentirlo usare quel vecchio soprannome. Matteo non indugiò a trarne vantaggio. «Ma non sei cambiata per niente, mia cara.» Scosse il capo. «E ancora, dopo tutti questi anni, ti ostini ad andare in posti di cui neppure dovresti sapere l’esistenza.»
Se l’aveva punta sul vivo, lei lo nascose bene gettando indietro la testa. «Avanti, non essere scortese, Matteo.»
«Scortese? Piccola intrigante! Devi ritenerti fortunata se riesco a frenarmi ed essere soltanto sgarbato.»
«Credo che questa non sia l’occasione giusta per certe cose.» Portia gettò un’occhiata veloce all’oste e a Etta. «Questo non è il posto giusto per fare... un po’ di convivialità, non è vero?»
Matteo sentì montare la rabbia dentro di sé. Si allontanò dal bancone per tornare vicino al caminetto. «Convivialità» ripeté lanciandole un’altra occhiata. «È questo che ti aspetti da me? Accidenti a te, inglese, e accidenti alle tue pompose buone maniere. E accidenti anche a me. Che mi venga un colpo se mi metterò a trattare coi guanti la donna che ha usurpato il lavoro di una vita e che osa ordinarmi di presentarmi da lei con aria di superiorità!»
«Matteo...» Portia si avvicinò di un passo.
«Fermati» le ordinò. «Dio solo sa se non sono uno dei tuoi affettati gentiluomini inglesi! Vienimi più vicino e io non rispondo di me.» Le voltò le spalle e si aggrappò alla mensola del camino. «Non ho mai torto un capello a una donna in vita mia, ma tu, Portia Tofton, mi stai tentando