Il segreto del principe: Harmony Destiny
By Olivia Gates
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Olivia Gates
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Il segreto del principe - Olivia Gates
successivo.
Prologo
«Solo ai familiari è concesso far visita al signor Voronov, signorina Stavros.»
«Almeno...»
L'infermiera stroncò le proteste di Kassandra, bloccandola nuovamente. «Possiamo fornire informazioni sul suo stato di salute solo ai familiari.»
«Ma...»
Rifiutandosi di concederle quello che entrambe sapevano era impossibile, l'infermiera si allontanò in fretta, liquidandola proprio come avevano fatto tutti gli altri. Per un'intera settimana. Cioè dall'incidente.
La paura e la disperazione che aveva cercato di tenere a bada esplosero, e Kassandra sentì il sangue ribollirle nelle vene.
Leonid si trovava in una stanza di quell'ospedale, ferito, irraggiungibile, e non le facevano nemmeno sapere come stava. Non era un familiare. Non era nessuno per lui, non per il resto del mondo.
Nessuno era al corrente della loro relazione che durava da un anno.
Non c'era nessun altro che potesse avvicinare per ricevere notizie o rassicurazioni, quindi si avviò con passo malfermo verso la sala d'attesa del più rinomato ospedale di New York. Nell'attimo in cui si abbandonò su una delle sedute le lacrime che aveva trattenuto sgorgarono direttamente dal profondo dell'anima.
Non poteva accadere nulla al suo Leonid, così forte, così pieno di vita. Non poteva vivere senza di lui. Ricordava a malapena com'era la vita prima di posare lo sguardo su quell'uomo.
Quella sera aveva fatto da modella per una sfilata di beneficenza. Solitamente non focalizzava mai lo sguardo su nessuno in platea, tuttavia non appena aveva calcato la passerella era stata attratta da qualcuno ai margini della sala. Ed era successa un'altra cosa strana. Era quasi inciampata, fermandosi per interminabili secondi a fissarlo da lontano, sopraffatta da tanta bellezza.
Nonostante nella sua famiglia abbondassero uomini d'affari ricchi, di bell'aspetto e di origini greco-americane, e fosse abituata a frequentare gente facoltosa e potente, Leonid era unico. Non solo possedeva un impero milionario di articoli sportivi, ma era anche stato campione mondiale di decathlon... inoltre era nobile. Era il principe di Zorya, un regno che un tempo aveva fatto parte dell'ex Unione Sovietica, in seguito annesso alla Bielorussia. Nonostante quel regno non esistesse più da novant'anni Leonid era considerato ancora un principe in Asia e in Europa, mentre il resto del mondo lo reputava un re della finanza e dello sport.
Comunque non era stato tutto questo a scioglierla al primo sguardo. Nei due anni successivi, ogni volta che si erano incrociati, ne era rimasta folgorata. Tra loro, però, non era mai successo nulla. Le si era sempre avvicinato solo il minimo indispensabile per tenerla sulle spine, tanto che Kassandra aveva creduto di essersi addirittura immaginata un interesse da parte sua.
Poi, una delle sue migliori amiche, Caliope Sarantos, aveva sposato Maksim Volkov, in Russia. Leonid era uno degli invitati dello sposo. Tutti gli uomini presenti l'avevano invitata a ballare tranne lui così, Kassandra, frustrata, era uscita a prendere una boccata d'aria. Leonid l'aveva seguita, togliendole il respiro.
Da quell'attimo aveva ripensato molte volte al momento in cui le si era avvicinato, dicendole che non gli sarebbe più sfuggita. Adesso, chiudendo gli occhi, riusciva ancora a sentire le sue braccia attorno alla vita, le sue labbra sulla bocca mentre le risucchiava l'anima in un bacio senza eguali. L'aveva atteso tutta la vita.
Prima, però, di farle vivere quella che poi si sarebbe rivelata una girandola di emozioni era stato molto chiaro: le avrebbe offerto solo passione e piacere. E a lei andava benissimo.
Aveva trent'anni, non aveva mai avuto intenzione di sposarsi, e aveva da tempo accantonato l'idea di incontrare l'uomo giusto. Leonid aveva aggiunto una dimensione diversa e particolare alla sua vita. L'assenza di aspettative era un incentivo per l'estasi e uno scudo per le delusioni.
Stare con lui l'aveva appagata in modi che non credeva possibili. Si erano compenetrati in ogni modo, incontrandosi quando i vari impegni lo permettevano, lontani da occhi indiscreti, incapaci di staccarsi l'uno dall'altra. Mantenere quella relazione segreta a tutti, soprattutto alla famiglia conservatrice di lei che disapprovava lo stile di vita non convenzionale di Kassandra, aveva reso ogni cosa ancora più eccitante.
Poi gli allenamenti di Leonid per l'imminente campionato si erano intensificati, e questo, oltre agli impegni di lavoro, li aveva divisi. L'attenzione dei media rendeva impossibile anche solo andarlo a trovare durante gli allenamenti.
Era stato allora che si era resa conto di non essere più soddisfatta del loro rapporto. Tuttavia, prima che potesse pensare al modo migliore per chiedergli di fare un passo in avanti nella loro relazione, Leonid aveva avuto l'incidente.
Kassandra ne aveva appreso la dinamica dai media: un camion aveva invaso la carreggiata opposta nell'autostrada diretta a New York. Prima che il camion si schiantasse su una vettura in cui viaggiavano padre e figlia, Leonid aveva sterzato contro di loro, spingendoli oltre la traiettoria del camion, che si era però ribaltato su di lui.
Era quasi svenuta quando aveva visto l'ammasso di lamiere a cui si era ridotta la macchina di Leonid. Era un miracolo che fosse ancora vivo.
Non appena appresa la notizia voleva precipitarsi al suo fianco, ma il dolore e la paura si erano trasformate in un incubo quando non era riuscita a sapere dove l'avessero ricoverato. Adesso che finalmente l'aveva trovato le veniva negata ogni informazione. La trattavano come l'estranea che credevano fosse. Leonid era il suo amante. E il padre del bambino che solo il giorno prima aveva scoperto di aspettare.
All'improvviso, una folgorazione. Era...?
Sì, sì era lui. Ryan McFadden. Un vecchio amico del college che era diventato medico. L'aveva incontrato un paio d'anni prima, ma all'epoca lavorava presso un altro ospedale.
Vederlo lì fu una sorta di miracolo.
Gli piombò addosso, pregandolo di farle vedere Leonid, o almeno di farle sapere come stava.
Chiaramente abituato ad avere a che fare con persone disperate Ryan le prese la mano con la quale gli arpionava il braccio. «So che, eccetto quando lo stavano operando, è sempre stato cosciente.»
Cosciente? E non l'aveva chiamata?
E se... «Può parlare?»
«Oh, sì. Per fortuna non ha subìto lesioni gravi.»
E non aveva dato disposizioni per far entrare Kassandra, o per farle almeno sapere come stava?
Vedendola sempre più sgomenta Ryan aggiunse in fretta altri dettagli. «È stato trasferito in un'ala esclusiva dove può entrare solo il personale medico privato, per tenere lontani i media. Tuttavia farò in modo di fartelo vedere. Se ti concederà di fargli visita...»
«Lo farà.» Lo abbracciò d'impeto. «Grazie.»
Ryan le rivolse un sorriso incoraggiante, poi si allontanò.
Dopo quella che sembrò un'eternità tornò, sollevando i pollici. Corse verso di lui, perché la accompagnasse da Leonid.
Ryan la fermò sulla soglia. «Ascolta, Kass, so che è difficile ma cerca di non affaticarlo, per il suo bene.»
Kassandra annuì, asciugandosi le lacrime. «Quanto... quanto è grave?»
«Non conosco i dettagli; però quando l'hanno ricoverato ho sentito che aveva fratture esposte alle gambe.»
Kassandra si sentì venire meno.
Le sue gambe.
Per una persona normale avrebbe significato mesi di mobilità precaria. Per Leonid la rinuncia a un nuovo record mondiale, chissà per quanto tempo. Forse non sarebbe mai guarito abbastanza da competere ancora ad alti livelli.
Basta. Non poteva pensare a questi scenari catastrofici. Doveva smetterla di essere così in ansia. Per la prima volta Leonid aveva bisogno di lei e non l'avrebbe deluso. Fingendosi tranquilla, aprì la porta.
Lo vide subito. Solo la presenza dei monitor attorno al letto denotava l'ambiente medico.
Leonid, il suo amato leone. Era steso, le gambe ingessate, le braccia molli lungo i fianchi, gli occhi chiusi. I capelli, lunghi fin quasi alle spalle, gli incorniciavano scompigliati il viso illeso, ma pallido.
Le si strinse il cuore, e provò il desiderio di correre da lui.
Quando si sporse per baciarlo sulle labbra lui aprì gli occhi. Erano quasi neri, non azzurri come sempre. E la fissavano con disprezzo. Kassandra ne rimase sconvolta. Non poteva aver interpretato correttamente la sua espressione.
Eppure il viso non sembrava contratto per effetto del dolore o di qualche medicina. Non c'era angoscia nel suo sguardo, solo limpidezza e... il vuoto.
Pensò che fosse un effetto collaterale di tutto quello che aveva passato, così gli prese la mano, sopprimendo un brivido quando la sentì gelata.
«Leonid, tesoro...»
Lui sottrasse la mano con più forza del dovuto. «Sto bene.»
Ripetendosi che non importava quello che sentiva lei, ma solo come stava Leonid, si sforzò di sorridere. «Sembri...»
Il modo glaciale in cui la fissò le impedì di ultimare la bugia che stava per dire. «Lo so che aspetto ho. Però sto bene, tutto sommato. Ho sentito che hai sollevato un polverone per cercare di vedermi.»
Lo sapeva? E non aveva dato disposizioni per riceverla prima?
Leonid distolse lo sguardo, sempre più vacuo. «Speravo rinunciassi e te ne andassi.»
Avvertì un nodo in gola. «Ca... capisco come devi sentirti. Ma ci saranno altre gare...»
La interruppe nuovamente. «Sono stanco della gente che cerca di calmarmi.»
Kassandra era convinta che avesse comunque bisogno della sua vicinanza, quindi si sedette e gli accarezzò il braccio cercando di trasmettergli forza. «Io non sono la gente, Leonid. Sono la tua donna, e tu sei...»
Le rivolse uno sguardo distaccato. «Puoi credere di essere quello che vuoi, tuttavia io di sicuro non sono niente per te.»
Si sentì sempre peggio. Ma ancora convinta che parlasse così per via dell'incidente, ci riprovò. «Leonid, tesoro...»
Le scacciò la mano con una smorfia. «Non osare chiamarmi tesoro. Sono stato chiaro fin dall'inizio. Stavo con te solo perché pensavo avessi accettato i termini del nostro rapporto.»
Scioccata di fronte a tanta brutalità si convinse nuovamente di aver sottovalutato la portata delle ferite e di quell'esperienza così traumatica, quindi pensò fosse meglio lasciarlo in pace, prima che si agitasse ancora di più.
Si alzò con cautela, per evitare capogiri.
«Volevo solo sapere se stavi bene... non avrei dovuto disturbarti...»
«Infatti. Comunque sono contento che tu l'abbia fatto.»
«Davvero?»
«È l'unico lato positivo di questo disastro. Mi sta dando la possibilità di fare quello che volevo.»
Il cuore di Kassandra decelerò, quasi temesse interiorizzare quelle parole. «Cosa volevi?»
«Finirla.»
Il cuore le si fermò in petto. «Finirla? Vuoi dire... la nostra storia?»
Il suo sguardo glaciale le fece quasi perdere l'equilibrio. «Non abbiamo mai avuto una storia. Credevo fossimo d'accordo sullo spassarcela, sessualmente parlando. Invece tu hai solo finto che ti andasse bene. Lo hai fatto per ammorbidirmi, oppure nella speranza che mi trovassi in una posizione di inferiorità, come credi stia succedendo ora. E adesso pensi di cambiare le carte in tavola come hai voluto fin dall'inizio, vero? Sei solo l'ennesima arrivista, una donna che sente lo scadere del proprio orologio biologico.»
Kassandra trasalì, incapace di respirare. «Per favore... smettila...»
Lui premette un pulsante che lo mise in posizione seduta. «Non la smetterò finché non sarà finita, una volta per tutte. Adesso che mi credi un bersaglio facile sei qui per incastrarmi? Per soffocarmi con tutta questa apprensione perché sono debole? Credi di farmi sentire in debito tanto da proporti di fidanzarci?»
Lei scosse la testa, tremante, le lacrime agli occhi. «Sai che non è così. Ti prego, calmati...»
«Vuoi farmi passare per quello che sbraita? Be', hai ragione. Non sono calmo. Sono stanco. Cos'altro posso dire per farti capire che non riesco più a sopportare tutta questa dolcezza?»
Sempre più angosciata, Kass arretrò di qualche passo per